Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Dj Fabo: la Corte d’assise di Milano solleva una questione davanti alla Corte costituzionale*

di Francesca Paruzzo
dottore di ricerca in diritto e istituzioni, Università di Torino<br>avvocato
Contrasto tra la disposizione dell’art. 580 cp e, da un lato, gli artt. 3, 13 primo comma e 117 primo comma Cost. – in relazione, quest’ultimo, agli artt. 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – e, dall’altro, gli artt. 3, 13, 25 secondo comma e 27 terzo comma Cost.

La Corte d’assise di Milano, nel processo che vede Marco Cappato quale imputato per aver accompagnato Fabiano Antoniani, nel mese di febbraio 2017, presso una clinica svizzera dove riceveva assistenza al proprio suicidio, solleva una questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale che sanziona le condotte di istigazione o aiuto al suicidio.

Il giudice rimettente, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione, pronuncia ordinanza di rimessione con riferimento al contrasto tra la disposizione impugnata e, da un lato, gli artt. 3, 13 primo comma e 117 primo comma Cost. – in relazione, quest’ultimo, agli artt. 2 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – e, dall’altro, gli artt. 3, 13, 25 secondo comma e 27 terzo comma Cost.

Quanto al primo profilo, la Corte d’assise, dopo aver ricostruito il quadro giurisprudenziale e normativo di riferimento, rileva che i principi costituzionali richiamati, dai quali deriva la libertà dell’individuo di decidere sulla propria vita, ancorché da ciò ne consegua la morte, il diritto all’autodeterminazione terapeutica di ciascuno, nonché il divieto, proprio dell’impianto personalistico della Costituzione, di strumentalizzare la persona per fini “eteronomi e assorbenti”, devono presidiare l’esegesi dell’art. 580 cp e devono, pertanto, orientare l’interprete nell’individuazione del bene giuridico tutelato e delle condotte concretamente idonee a lederlo. Con riferimento agli artt. 3, 13, 25 comma secondo e 27 comma terzo della Costituzione, invece, il giudice rimettente osserva come la pena della reclusione da 5 a 10 anni, prevista dall’articolo impugnato senza distinzione tra le condotte di istigazione e quelle di aiuto − nonostante le prime siano certamente più incisive, sotto il profilo causale, rispetto a quelle di chi abbia semplicemente contribuito al realizzarsi dell’altrui autonoma deliberazione e sebbene del tutto diversa risulti, nei due casi, la volontà e la personalità del partecipe − non risponda a quei canoni di ragionevolezza, offensività e proporzionalità che devono orientare le scelte di politica criminale del legislatore.

*La foto di copertina è tratta dalla pagina Facebook di Marco Cappato

16/02/2018
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Fine vita: il suicidio assistito in Europa e la palude italiana

A fronte dell’infinito confronto, esistenziale e filosofico, sui temi della libertà di vivere e della libertà di morire, è emersa in Europa una nuova domanda sociale: quella di una libertà del morire che sia tutelata dall’ordinamento giuridico non solo come “libertà da” e come espressione di autodeterminazione ma anche come un vero e proprio “diritto sociale” che assicuri l’assistenza di strutture pubbliche nel momento della morte volontaria. In questi ultimi anni, in alcuni Paesi europei sono stati compiuti significativi passi verso un nuovo regime del fine vita mentre in altri vi sono cantieri aperti ormai ad un passo dalla positiva chiusura dei lavori. Il Regno Unito sta approvando una nuova legge destinata a superare il Suicide Act del 1961. In Germania la Corte costituzionale, con una decisione del 2020, ha affermato che esiste un diritto all’autodeterminazione a morire ed a chiedere e ricevere aiuto da parte di terzi per l’attuazione del proposito suicidario. In Francia una nuova normativa, in corso di approvazione, è stata preceduta e preparata da un importante esperimento di democrazia deliberativa come l’istituzione di una Convention Citoyenne Cese sur la fin de vie, formata per sorteggio e chiamata a fornire un meditato e informato parere sul fine vita. La situazione del nostro Paese resta invece caratterizzata da una notevole dose di ipocrisia e da un altrettanto elevato tasso di confusione istituzionale. La radicale negazione dell’esistenza di un diritto a morire proveniente dalla maggioranza di governo coesiste infatti con il riconoscimento di diverse possibilità legittime di porre fine volontariamente alla propria vita in particolari situazioni: rifiuto delle cure, sedazione profonda, suicidio assistito in presenza delle condizioni previste dalle pronunce della Corte costituzionale. Dal canto suo il legislatore nazionale è stato sin qui paralizzato da veti e contrasti ed appare incapace di rispondere alla domanda, che sale con crescente intensità dalla società civile, di tutelare il diritto “doloroso” di porre fine ad una esistenza divenuta intollerabile. In questa situazione stagnante la domanda sociale di libertà del morire si è trovata di fronte solo l’arcigna disciplina del fine vita dettata dagli artt. 579 e 580 di un codice penale concepito in epoca fascista. Da questo impatto sono scaturite le forme di disobbedienza civile consistenti nel prestare aiuto, sfidando le norme penali, a chi in condizioni estreme aspirava ad una fine dignitosa. E, a seguire, i giudizi penali nei confronti dei disobbedienti e le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei processi dai giudici che hanno innescato i numerosi interventi della Corte costituzionale, sinora decisivi nel disegnare la disciplina del fine vita. Da ultimo un tentativo di superare l’inerzia del parlamento è stato compiuto da due Regioni - Toscana e Sardegna - che hanno approvato leggi sul fine vita, individuando come requisiti per accedere all’assistenza al suicidio quelli previsti dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 e disegnando procedure per ottenere la prestazione assistenziale richiesta. La reazione del governo è consistita nell’impugnare la legge regionale toscana ritenuta esorbitante dalle competenze regionali e lesiva di competenze esclusive dello Stato. Reazione non priva di qualche fondamento giacchè la prospettiva di regimi del fine vita differenziati su base regionale appare criticabile sotto il profilo giuridico e non certo desiderabile nella pratica, ma singolare quando provenga dal uno Stato che sinora si è dimostrato incapace di dettare una normativa rispondente alle istanze di riconoscimento di libertà e di diritti sul fine vita che provengono dalla società italiana. 

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