Magistratura democratica
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Schema operativo per l’applicazione delle pene sostitutive previste dalla c.d. Riforma Cartabia

a cura di Redazione

L’introduzione delle pene sostitutive delle sanzioni detentive brevi ha visto presto formarsi nell’opinione pubblica opposti partiti. Da un lato, chi grida alla resa dello Stato di fronte al crimine e lamenta una banalizzazione della sanzione penale. Dall’altro lato, chi vede nella trama del disegno riformatore un cambio di paradigma, la possibilità di introdurre elementi maggiormente volti al reinserimento sociale delle persone condannate, la possibilità di ridurre il fenomeno dei c.d. liberi sospesi e di decongestionare le carceri.

… e poi c’è chi sta in mezzo ai due schieramenti.

Stare in mezzo ai due schieramenti vuol dire scegliere di provare a fare funzionare la riforma, cercando di elaborare prassi e percorsi operativi capaci di assicurare il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi attesi (l’affermazione di un volto costituzionale della pena, coerente con il dettato dell’art. 27, comma 3, Cost.) e tentando di scongiurare che scarsità di risorse, poca organizzazione e poca cultura possano finire con il dar ragione a chi paventa la banalizzazione del momento sanzionatorio.

Questa è la ragione per cui abbiamo deciso di dare rilievo allo «schema operativo per l’applicazione delle nuove pene sostitutive» elaborato a Milano.

È un’iniziativa importante per il metodo e per il merito.

Il metodo. Si sono seduti intorno ad un tavolo alcuni tra i maggiori attori coinvolti dalla riforma: Corte di appello, Tribunale ordinario, Tribunale di Sorveglianza, Consiglio dell’Ordine degli avvocati, Camera penale, Ufficio di esecuzione penale esterna (e, forse, per future analoghe iniziative, sarebbe utile “chiamare” al tavolo anche le procure della Repubblica, che è bene coinvolgere nell’attuazione della riforma). 

Il merito. Lo “schema operativo” elaborato dagli attori istituzionali sedutisi attorno al tavolo persegue l’obiettivo di “far funzionare” la riforma, tentando di costruire prassi condivise, capaci di incoraggiare un uso efficiente delle (scarse) risorse disponibili (si pensi soprattutto agli UEPE) e fondate sull’idea che ciascun attore istituzionale ha la responsabilità di dare il proprio contributo.

Nello schema operativo si intende agevolare l’operatore, dando indicazioni pratiche e dettagliate (financo modelli di dispositivo o indicazioni sui passaggi prodromici alle decisioni) che, sebbene non vincolanti, promuovono prassi che consentiranno: agli avvocati di rendere più efficace l’azione di tutela prestata in favore dei loro assistiti; ai magistrati di decidere in tempi più rapidi e su una base di conoscenza adeguata; agli Uffici di esecuzione penale esterna (e agli altri servizi potenzialmente coinvolti) di essere chiamati in causa nei limiti in cui il loro intervento risulti effettivamente necessario.

Consegniamo il frutto del lavoro del “tavolo” milanese ai lettori della Rivista, per due ragioni: perché crediamo che – magari migliorabile o adattabile alle realtà locali – lo schema operativo elaborato a Milano sia una base di lavoro importante; perché auspichiamo che iniziative simili fioriscano in tutte le realtà giudiziarie italiane.

Lo “schema operativo” milanese è forse solo un primo passo. Ma, trattandosi di una evidente dimostrazione di capacità di dialogo, di razionalità e di pragmatismo è potenzialmente rivoluzionario.

17/02/2023
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Fine vita: il suicidio assistito in Europa e la palude italiana

A fronte dell’infinito confronto, esistenziale e filosofico, sui temi della libertà di vivere e della libertà di morire, è emersa in Europa una nuova domanda sociale: quella di una libertà del morire che sia tutelata dall’ordinamento giuridico non solo come “libertà da” e come espressione di autodeterminazione ma anche come un vero e proprio “diritto sociale” che assicuri l’assistenza di strutture pubbliche nel momento della morte volontaria. In questi ultimi anni, in alcuni Paesi europei sono stati compiuti significativi passi verso un nuovo regime del fine vita mentre in altri vi sono cantieri aperti ormai ad un passo dalla positiva chiusura dei lavori. Il Regno Unito sta approvando una nuova legge destinata a superare il Suicide Act del 1961. In Germania la Corte costituzionale, con una decisione del 2020, ha affermato che esiste un diritto all’autodeterminazione a morire ed a chiedere e ricevere aiuto da parte di terzi per l’attuazione del proposito suicidario. In Francia una nuova normativa, in corso di approvazione, è stata preceduta e preparata da un importante esperimento di democrazia deliberativa come l’istituzione di una Convention Citoyenne Cese sur la fin de vie, formata per sorteggio e chiamata a fornire un meditato e informato parere sul fine vita. La situazione del nostro Paese resta invece caratterizzata da una notevole dose di ipocrisia e da un altrettanto elevato tasso di confusione istituzionale. La radicale negazione dell’esistenza di un diritto a morire proveniente dalla maggioranza di governo coesiste infatti con il riconoscimento di diverse possibilità legittime di porre fine volontariamente alla propria vita in particolari situazioni: rifiuto delle cure, sedazione profonda, suicidio assistito in presenza delle condizioni previste dalle pronunce della Corte costituzionale. Dal canto suo il legislatore nazionale è stato sin qui paralizzato da veti e contrasti ed appare incapace di rispondere alla domanda, che sale con crescente intensità dalla società civile, di tutelare il diritto “doloroso” di porre fine ad una esistenza divenuta intollerabile. In questa situazione stagnante la domanda sociale di libertà del morire si è trovata di fronte solo l’arcigna disciplina del fine vita dettata dagli artt. 579 e 580 di un codice penale concepito in epoca fascista. Da questo impatto sono scaturite le forme di disobbedienza civile consistenti nel prestare aiuto, sfidando le norme penali, a chi in condizioni estreme aspirava ad una fine dignitosa. E, a seguire, i giudizi penali nei confronti dei disobbedienti e le questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso dei processi dai giudici che hanno innescato i numerosi interventi della Corte costituzionale, sinora decisivi nel disegnare la disciplina del fine vita. Da ultimo un tentativo di superare l’inerzia del parlamento è stato compiuto da due Regioni - Toscana e Sardegna - che hanno approvato leggi sul fine vita, individuando come requisiti per accedere all’assistenza al suicidio quelli previsti dalla sentenza della Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 e disegnando procedure per ottenere la prestazione assistenziale richiesta. La reazione del governo è consistita nell’impugnare la legge regionale toscana ritenuta esorbitante dalle competenze regionali e lesiva di competenze esclusive dello Stato. Reazione non priva di qualche fondamento giacchè la prospettiva di regimi del fine vita differenziati su base regionale appare criticabile sotto il profilo giuridico e non certo desiderabile nella pratica, ma singolare quando provenga dal uno Stato che sinora si è dimostrato incapace di dettare una normativa rispondente alle istanze di riconoscimento di libertà e di diritti sul fine vita che provengono dalla società italiana. 

19/11/2025
Seminario di presentazione del volume La riforma costituzionale della magistratura
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Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo

05/11/2025
Persona, comunità, Stato alla luce della riforma Meloni-Nordio

Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima. 

22/10/2025
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Un saggio a tutto tondo sulla maternità in carcere e sulla detenzione femminile, riletti alla luce delle regressive modifiche contenute nel c.d. Decreto Sicurezza 48 del 2025

09/10/2025
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Una accorta politica economica dei “conti in ordine” e l’equilibrismo della presidente del Consiglio tra le simpatie ideologiche per l’amministrazione Trump e la volontà di non perdere contatto con l’Unione europea sulla crisi ucraina, hanno guadagnato al governo Meloni un’immagine di moderazione, smentendo molte delle preoccupazioni e delle apocalittiche previsioni emerse alla vigilia del suo insediamento. Una immagine che è stata solo marginalmente scalfita dagli interventi di Giorgia Meloni successivi all’omicidio Kirk, nei quali, dimenticando di essere la presidente del Consiglio di tutti gli italiani, non ha esitato ad addebitare alla sinistra italiana immaginarie minacce presenti ed esclusive responsabilità per gli odi, gli scontri e le vittime degli anni di piombo. Quando però si mette sotto la lente di ingrandimento la politica istituzionale del governo, l’immagine di misura, di equilibrio, di cautela svanisce e cede il posto ad un dichiarato oltranzismo ed a scelte improntate all’estremismo ed al revanscismo istituzionale e costituzionale. Tratti, questi, che non provengono dal fascismo (per molti aspetti il governo Meloni è infatti compiutamente afascista) ma dall’humus culturale profondamente autoritario del Movimento Sociale Italiano degli anni 70 e 80 guidato da Giorgio Almirante. Ad ispirare le riforme costituzionali propugnate dal governo è infatti la cultura – ereditata dal partito di Fratelli d’Italia - degli “esclusi” dall’elaborazione del patto costituzionale, i quali, pur collocando la loro azione politica nell’alveo della competizione democratica, si sono sempre sentiti “estranei” ai valori ed agli equilibri culturali ed istituzionali cristallizzati nel testo della carta fondamentale e si sono posti come avversari della Resistenza e delle forze politiche che hanno cooperato alla costruzione nel Paese della Repubblica democratica. La genealogia delle riforme costituzionali e della politica del diritto perseguita dal governo consente di cogliere nitidamente le eredità del passato, gli elementi di voluta continuità con le idee e le proposte istituzionali dell’estrema destra della prima Repubblica e l’ostilità verso alcuni degli istituti più caratterizzanti della nostra Costituzione. Questo oltranzismo istituzionale e costituzionale - che smentisce i giudizi sulla moderazione dell’attuale governo e suscita vive preoccupazioni sulla tenuta futura del quadro democratico – è tanto più inquietante in quanto esso è frutto di una volontà di rivincita sulla Costituzione e sulla storia istituzionale repubblicana del “polo escluso”, esprimendo la volontà di capovolgere regole e principi fondanti della democrazia repubblicana. L’analisi dei progetti di riforma costituzionale – assetto della magistratura e premierato – e della politica del governo sul versante del diritto penale e dell’immigrazione consente di illustrare gli aspetti di revanscismo della linea politica perseguita dalla maggioranza di destra.

26/09/2025
The institutional extremism of the Meloni Government. The revenge of the “marginalised”?

Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

26/09/2025