Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La Corte costituzionale "minaccia" un cambio di passo sull'omogenitorialità?

di Maria Acierno
presidente di sezione della Corte di cassazione

Scheda sintetica delle sentenze della Corte costituzionale nn. 32 e 33 del 2021

1. L’inerzia del legislatore

L’esame delle due recenti sentenze della Corte Costituzionale in tema di omogenitorialità (nn. 32 e 33 del 2021) evidenzia, finalmente, una esplicita insofferenza verso la situazione d’ingiustificata discriminazione dei figli minori delle coppie omoaffettive che si verifica nel nostro ordinamento interno, attualmente dovuta a fattori di diversa genesi: le caratteristiche del progetto generativo; lo status acquisito all’estero od in Italia; il genere, maschile o femminile, della coppia dello stesso sesso. Tutti elementi che, in quanto legati esclusivamente al modello di procreazione e alle caratteristiche della coppia che aspira alla genitorialità, determinano un deficit di tutele per il minore difficilmente giustificabile, dopo la riforma della filiazione, fortemente ancorata all’attuazione del principio dell’unicità dello status di figlio.

Per comprendere meglio l’incisività delle pronunce occorre illustrarne le diverse fattispecie concrete che, tuttavia, non hanno impedito alla Corte Costituzionale di svolgere considerazioni analoghe, soprattutto in relazione alla necessità di un intervento legislativo tempestivo ed efficace.

 

2. Omogenitorialità femminile

Nella sentenza n. 32 del 2021 viene in discussione la domanda proposta dalla madre intenzionale di due gemelle nate da p.m.a. eterologa, all’interno di un progetto genitoriale scaturito dalla relazione omoaffettiva della attrice e della sua partner, volta ad ottenere l’iscrizione come genitore delle minori nei registri degli atti dello stato civile, per aver prestato consenso alla fecondazione eterologa così come previsto nell’art. 8 della l. n. 40 del 2004. In via subordinata è stata richiesta una sentenza che tenga luogo del consenso negato al riconoscimento da parte della madre biologica e la rettifica dell’atto di nascita oltre all’attribuzione del proprio cognome unitamente ai provvedimenti relativi all’affidamento e mantenimento delle minori. E’ inequivocabile, in punto di fatto, la condivisione del progetto di PMA e la convivenza stabile della coppia anche dopo la nascita delle bambine con coinvolgimento diretto della madre intenzionale nella cura, educazione e crescita delle stesse. Le minori sono nate in Italia ma non vi è stata dichiarazione congiunta all’atto della nascita. La relazione è cessata e ciò costituisce un ostacolo anche all’adozione in casi particolari, essendo stato negato il consenso da parte della madre biologica.

Con la vicenda sottoposta all’esame della Corte viene in luce, in particolare, l’inadeguatezza del modello dell’adozione in casi particolari (art. 44 l. n. 184 del 1983) come strumento elettivo per la collocazione giuridica della relazione filiale scaturente da coppia omoaffettiva, non solo per la contrazione dei diritti del minore rispetto all’adozione legittimante ma soprattutto perché «impraticabile» (secondo l’affermazione della stessa Corte Costituzionale) quando il momento della costituzione dello status genitoriale coincida con l’emersione di un insanabile conflitto nella coppia omoaffettiva che conduca alla negazione del consenso da parte del genitore biologico. In questa ipotesi per i minori nati in Italia da p.m.a. effettuata legalmente all’estero, non vi è alcuno spazio per alcun riconoscimento giuridico della relazione tra il genitore d’intenzione e il figlio minore.

Sottolinea questo gap il tribunale rimettente che interroga la Corte sulla legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della l. n. 40 del 2004 e dell’art. 250 c.c. in riferimento agli artt. 2,3,30 e 117 Cost.; agli artt. 2,3,4,5,7,8 e 9 della Convenzione di New York firmata a New York il 20 novembre 1989 e degli artt. 8 e 14 della CEDU.

Pone in luce come la prevalenza del consenso sulla verità genetica stabilita nell’art. 8 l. n. 40 del 2004 non trova applicazione per il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita, stabilito nell’art. 5 della stessa legge, peraltro ribadito nelle sentenze della Corte Cost.  n. 237 del 2019 e 230 del 2020 e della Corte di Cassazione n. 7668 e 8029 del 2020[1]. Indica la grave disfunzionalità derivante dalla diversità di regime tra i minori nati all’estero da p.m.a. per i quali può essere trascritto l’atto di nascita formato all’estero e quelli nati in Italia, a parità di condizioni generative per i quali opera il divieto di cui al citato art.5. Evidenzia la grave compromissione del diritto all’identità del minore e alla conservazione della stabilità affettiva derivante dalla scelta genitoriale dalla quale è conseguito l’obbligo di provvedere all’educazione, all’assistenza ed al mantenimento del minore, ed il correlato diritto all’unità familiare fondato sugli artt. 2, 3, 30 Cost. ed 8 Cedu così come ampiamente riconosciuto nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani. Infine, la soluzione negativa determina anche, secondo il Tribunale rimettente, la violazione dell’impegno assunto dallo Stato italiano con la ratifica ed esecuzione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo di adottare tutti i provvedimenti di tutela da ogni forma di discriminazione nei confronti del minore motivata dalla condizione sociale, dalle attività, dalle opinioni o convinzioni dei suoi genitori o familiari (art. 2 Convenzione).

L’Avvocatura generale dello Stato e la madre biologica hanno escluso la rilevanza e la fondatezza dei profili di costituzionalità sollevati osservando che la tutela delle minori è garantita dal riconoscimento del genitore biologico e che l’adozione richiesta non è costituzionalmente necessaria.

Gli interventi ammessi degli Amici Curiae[2] rappresentano la medesima contrapposizione.

Escluso il profilo d’inammissibilità per la mancata sperimentazione di un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 8 e 9 l n. 40 del 2004, avendo il Collegio rimettente valutato tale profilo alla luce dei recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, la Corte ritiene inammissibile la questione rimessa al suo esame, sotto un altro profilo, rilevando che la materia è caratterizzata da ampia discrezionalità legislativa. Rispetto alle pronunce n. 237 del 2019 e 230 del 2020 il percorso argomentativo risulta molto diverso. La Corte Costituzionale fa precedere l’accoglimento dell’eccezione da una vasta e completa panoramica dello statuto costituzionale e convenzionale relativo ai diritti dei minori, nati da p.m.a. 

In primo luogo rileva che già nel 1998 con la sentenza n. 347 era stata posta in evidenza una situazione di carenza dell’ordinamento con implicazioni costituzionali e l’urgenza d’individuare idonei strumenti di tutela del nato a seguito di fecondazione assistita soprattutto in relazione «ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendosene le relative responsabilità».  La legge n. 40 del 2004, in risposta a questa esigenza, con gli artt. 8 e 9 ha inteso blindare lo status di figlio nato da fecondazione eterologa, prescrivendo che il consenso alla p.m.a determini l’effetto per chi lo  abbia prestato di divenire responsabile nei confronti del nato, «quale destinatario naturale dei doveri di cura, pur in assenza di un legame biologico». Amplissimo spazio nella motivazione viene dedicato alla centralità del consenso alla genitorialità da p.m.a. e alla tutela del diritto all’identità del minore. Viene sottolineato come il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia (sent. n. 162 del 2014; n. 272 del 2017) e come sia determinante «il consolidamento in capo al figlio di una propria identità affettiva, relazionale, sociale, da cui deriva l’interesse a mantenere il legame genitoriale acquisito, anche in contrasto con la verità biologica» (sentenza n. 127 del 2020)[3].

Si pone al centro della motivazione il quadro complessivo delle forme di tutela del minore, sottolineando l’impegno assunto con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, l’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e gli approdi della giurisprudenza EDU che ha sempre ricondotto all’interno dell’art. 8 la garanzia di legami affettivi stabili tra il minore e chi abbia in concreto svolto la funzione genitoriale per un lasso di tempo sufficientemente ampio, assimilando al rapporto di filiazione il legame esistente tra madre d’intenzione e figlia nata da procreazione assistita. Il diritto all’identità personale, nella valutazione della Corte di Strasburgo culmina con l’Avis Consultatif richiesto dalla Corte di Cassazione Francese in ordine ad un caso di filiazione scaturente da gestazione per altri (Caso Menesson) di cui la CEDU era stata già investita in sede giurisdizionale. In questa peculiare sede la Corte di Strasburgo ha sottolineato che al minore deve essere garantito un riconoscimento da attuarsi con procedura rapida svolta in modo tempestivo ed efficace. La Corte Costituzionale, infine, non trascura di evidenziare come non sia configurabile un divieto costituzionale per le coppie dello stesso sesso di «accogliere figli», pur spettando alla discrezionalità del legislatore la disciplina in concreto, dal momento che, come già osservato dalla sentenza n. 221 del 2019, «non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore».

Dunque la Corte condivide le preoccupazioni del giudice rimettente in relazione all’attuale condizione di discriminazione e deficit di tutela nella quale possono trovarsi i minori nati da p.m.a. condivisa da una coppia omoaffettiva e ritiene improcrastinabile un intervento legislativo adeguato. 

Colpisce anche sotto il profilo quantitativo oltre che qualitativo lo spazio argomentativo rivolto alla valorizzazione delle ragioni di tutela del minore all’interno di una scelta consensuale e condivisa di genitorialità per mezzo di p.m.a. e la laconica giustificazione dell’inammissibilità: «l’elusione del limite stabilito dall’art. 5 l. n. 40 del 2004 non evoca scenari di contrasto con principi e valori costituzionali». E colpisce ancor di più il monito finale della Corte rivolto al legislatore. Si avverte nella sentenza che “non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore”. 

 

2.1 La formula dell’inammissibilità: una scelta obbligata?

Il rilevato squilibrio argomentativo e l’affermazione finale inducono ad alcuni interrogativi. Il primo riguarda le ragioni ostative ad una interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata del complessivo sistema legislativo relativo agli status filiali. La l. n. 40 del 2004 ed il reticolo di divieti all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita si collocano in un contesto storico-politico nel quale non erano ancora maturati né la riforma, fortemente egualitaria, della filiazione, né gli sviluppi del diritto alla vita familiare della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani. Gli stessi limiti all’accesso alla p.m.a. sono frutto dell’impianto valoriale molto caratterizzato della legge volto più alla tutela del processo generativo in vitro, e dell’embrione, in funzione del diritto alla vita che non al divieto dell’omogenitorialità, frutto della riproposizione del canone dell’imitatio naturae,  in un settore ove il processo generativo segua un percorso diverso.

Ove si escluda, come fa la Corte Costituzionale, la compatibilità costituzionale di una discriminazione della genitorialità dovuta all’orientamento sessuale ed ove s’incentri lo statuto del minore sulla equiparazione degli status filiali, che siano di derivazione biologica o, in senso lato, sociale, non è escluso che possa non ritenersi più del tutto interna alla discrezionalità legislativa la scelta limitativa del legislatore del 2004, peraltro contraddetta dalla assolutezza del consenso prestato anche alla fecondazione eterologa. 

Il secondo riguarda l’atteggiamento futuro della Corte Costituzionale ove investita di questioni analoghe anche relative all’omogenitorialità maschile, tenuto conto della coesistenza disarmonica di condizioni filiali fondate su sistemi di tutela ingiustificatamente differenziati, prevalentemente dovuti dalla nascita all’estero od in Italia del minore. Che tenuta costituzionale può avere questa pluralità di condizioni di disequilibrio alla luce delle illuminanti considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale?

 

3. Omogenitorialità maschile

Una prima risposta, anch’essa non priva di ambiguità, ci viene dalla coeva sentenza n. 33 del 2021 che affronta il più delicato tema della gestazione per altri all’interno di una coppia omogenitoriale maschile.

La rimessione alla Corte proviene dalla Prima sezione civile della Corte di Cassazione e segue di un anno l’intervento nomofilattico delle Sezioni Unite[4] sulle medesime questioni. Una peculiarità sottolineata in dottrina, con commenti favorevoli[5] e critici[6].

Il caso è molto simile. Un bambino nasce in Canada da una donna alla quale è stato impiantato un embrione formato con i gameti di una donatrice anonima e di un uomo, cittadino italiano unito in matrimonio con altro cittadino italiano on il quale è stato condiviso il progetto genitoriale. Al momento della nascita le autorità canadesi avevano formato un atto di nascita con il solo nome del genitore genetico. Con provvedimento della Corte Suprema della British Columbia è stato dichiarato genitore anche l’altro. L’ufficiale dello stato civile italiano ha rifiutato la trascrizione in relazione al genitore d’intenzione e la Corte d’Appello di Venezia ha accolto la domanda di riconoscimento del provvedimento canadese. Approdato il ricorso in Cassazione, la prima sezione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 della l. n. 40 del 2004 (che contiene non solo il divieto della surrogazione di maternità ma anche la sanzione penale a carico di chi violi il divieto stesso), dell’art. 64, c.1, lettera g) della l. n. 218 del 1995 e dell’art. 18 del d.p.r. n. 396 del 2000, nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione del diritto vivente (fornita meno di un anno prima dalle S.U.) che possa essere riconosciuto, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero che attribuisce lo status al genitore d’intenzione in coppia omoaffettiva che è ricorsa alla gestazione per altri.

I parametri violati sono rinvenuti negli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 8 CEDU e agli artt. 2, 3, 7, 8, 9 e 18 della Convezione di New York sui diritti del fanciullo oltre che dell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Secondo il giudice rimettente la contrarietà ai principi di ordine pubblico, in relazione all’ostacolo insuperabile costituito dal divieto di surrogazione di maternità, posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione, contrasta con i parametri costituzionali sopra indicati ed in particolare con l’art. 117, primo comma, Cost. tenuto conto degli standard di tutela dei diritti del minore stabiliti in sede convenzionale e valorizzati, di recente dall’Avis Consultatif richiesto dalla Corte di cassazione francese del quale non hanno potuto tenere conto le Sezioni Unite. 

 

3.1 Profili comuni alla sentenza coeva n. 32 del 2021 e peculiarità: le questioni preliminari

Il primo punto di contatto con la sentenza n. 32 del 2021 riguarda il profilo di denegata tutela del diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza nel proprio nucleo familiare nonché il diritto all’identità ed infine il forte richiamo alla situazione di discriminazione del minore nato da maternità surrogata in conseguenza di circostanze «di cui non porta alcuna responsabilità».

Oltre ai profili d’inammissibilità comuni a quelli esaminati nella pronuncia n. 32, l’Avvocatura Generale dello Stato rileva che la sezione rimettente avrebbe dovuto investire nuovamente le S.U. ex art. 374 c.p.c. e non promuovere l’incidente di costituzionalità, assumendo il principio di diritto elaborato dalle S.U. come termine di contrasto. Ed esclude che l’Avis Consultatif possa essere considerato parametro interposto in quanto il Protocollo n. 16 non è stato ratificato dall’Italia.

La Corte Costituzionale affronta per la prima volta questo tema ed afferma che il parere non può essere vincolante neanche per la giurisdizione richiedente così come per gli altri Stati, specie quelli che non hanno ratificato il protocollo ma, essendo confluito in pronunce successive[7] relative all’interpretazione dell’art. 8, entro questo ambito può diventare un parametro interposto e non se ne può omettere il confronto.

Sul dovere della Sezione semplice della Corte di Cassazione di non decidere in contrasto con le S.U., la Corte afferma che ciò attiene al piano dell’interpretazione e non a quello della verifica della compatibilità costituzionale della legge interna così come interpretata dalle S.U. e divenuta diritto vivente. Questo sindacato viene affidato dall’ordinamento italiano ad ogni autorità giurisdizionale. 

Infine, viene dichiarata l’inammissibilità della questione formulata con riferimento agli artt. 117 Cost. e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea per difetto di motivazione sulla riconducibilità della questione all’ambito del diritto unionale anche se viene precisato «le norme della Carta possono essere comunque tenute in considerazione come criteri interpretativi di altri parametri costituzionali ed internazionali invocati dal giudice rimettente».

3.1.1 La discrezionalità legislativa ed il suo limite…futuro. 

Nel merito la questione viene ritenuta inammissibile con un percorso argomentativo del tutto analogo a quello seguito nella sentenza coeva n. 32, con ampia trattazione degli strumenti costituzionali e convenzionali di tutela effettiva del figlio minore accompagnata dalle carenze attuali, tendenti a creare situazioni d’ingiustificata disparità di trattamento tra soggetti che non hanno determinato la condizione filiale in cui versano.

Fermo il disvalore rivolto verso la maternità surrogata, sottolineato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 272 del 2017 e condiviso anche dal Parlamento europeo, nella Risoluzione del 13 dicembre 2016, di ferma condanna verso qualsiasi forma di surrogazione di maternità a fini commerciali, il focus della decisione viene spostato sulla compatibilità costituzionale delle conseguenze di questo stigma sul sistema dei diritti del minore.

Viene precisato che viene in discussione non «il diritto alla genitorialità» ma unicamente l’interesse del minore a che sia affermata in capo a chi si è determinato ed ha condiviso la scelta di generare «la titolarità giuridica di quel fascio di doveri funzionali che l’ordinamento considera inscindibilmente legati all’esercizio delle responsabilità genitoriali» pur riconoscendo che tale interesse non può essere ritenuto automaticamente prevalente rispetto ad ogni altro controinteresse in gioco. E’ necessario che l’operazione di bilanciamento avvenga secondo il criterio della proporzionalità come indicato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che si è fatta carico di trovare una soluzione adeguata e con orientamento coerente l’ha rinvenuta nella necessità del riconoscimento di un legame di filiazione con i componenti della coppia che si prende cura del minore, lasciando agli Stati l’apprezzamento in relazione alla forma di genitorialità, anche sociale, da prescegliere, purché effettiva, tempestiva e non discriminatoria. A tal fine, per le ragioni già espresse nella sentenza n. 32 del 2021, l’adozione in casi particolari risulta inadeguata, oltre che inscindibilmente condizionata dall’assenso del genitore biologico.

3.1.2 Un margine comune di ambiguità

Come per la sentenza n. 32 del 2021, poco spazio argomentativo residua per la giustificazione della formula dell’inammissibilità che anzi, non appare prima facie consequenziale all’esame puntuale della pluralità di indici costituzionali e convenzionali tutti univocamente rivolti alla creazione di un sistema uniforme e privo di trattamenti discriminatori di diritti del minore rispetto agli status filiationis. Il ventaglio delle soluzioni possibili, «tutte compatibili con la Costituzione (ma non in via d’interpretazione conforme evidentemente) e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica» impone di cedere il passo al legislatore il cui compito è divenuto indifferibile. Null’altro sostiene la valutazione d’inammissibilità.

 

4. Considerazioni conclusive

Le sentenze sono di estremo rilievo per le “pesanti” ragioni di tutela antidiscriminatoria dei figli minori che pongono al centro della decisione e per l’evidente insofferenza per l’attuale situazione di immobilismo legislativo rispetto al forte dinamismo e al crescente numero di richieste di tutela di status filiali proveniente da scelte genitoriali non previste dall’ordinamento positivo. Lo sono anche per la salda collocazione dei diritti del minore nell’ambito della tutela multilivello dei diritti fondamentali della persona e per la precisa configurazione del contributo che la giurisprudenza di Strasburgo e l’Avis Consultatif possono fornire. Lasciano tuttavia un margine d’indeterminatezza in relazione al futuro bilanciamento effettivo dei diritti in gioco nelle decisioni esaminate. Ove questo bilanciamento non sia realizzato dal legislatore dovrà essere la giurisdizione non solo costituzionale a tenere conto dei plurimi indici di tutela individuati dalla Corte Costituzionale ed a tentare di rendere omogenea la condizione dei minori il cui processo generativo possa essere stato fondato su pratiche di p.m.a. non consentite nel nostro ordinamento. 

In particolare, in relazione all’omogenitorialità, ove si continui a non ritenere praticabile la strada dell’interpretazione conforme, sarà necessario sottoporre alla Corte Costituzionale le norme della l. n. 76 del 2016 che limitano la genitorialità, anche sociale, alle coppie omoaffettive anche in relazione alla corretta interpretazione dell’art. 74 c.c.


 
[1] Sulle due pronunce della Corte di Cassazione, G. Ferrando, I diritti dei bambini smarriti tra formule e modelli, https://www.questionegiustizia.it/articolo/i-diritti-dei-bambini-smarriti-tra-formule-e-modelli_12-05-2020.php; S. Celentano, Tradizione, natura e pregiudizio. Storie di figli nati a metà, https://www.questionegiustizia.it/articolo/tradizione-natura-e-pregiudizio-storie-di-figli-nati-a-meta_12-05-2020.php

[2] Avvocatura per i diritti LGBT e Centro Studi Rosario Livatino.

[3] La pronuncia riguarda il vaglio di costituzionalità dell’art. 263 c.c. in relazione all’art. 8 l. n. 40 del 2004 e la questione viene ritenuta non fondata perché anche nel giudizio d’impugnazione per difetto di veridicità dello status deve essere effettuato il bilanciamento tra favor veritatis e preminente interesse del minore.

[4] S.U. 12193 del 2019 in Famiglia e Diritto, 2019, p. 653 con note di Ferrando e Dogliotti; S. Celentano, M. Acierno, La genitorialità e la gestione per altri. L’intervento delle Sezioni Unite, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-genitorialita-e-la-gestazione-per-altri-l-intervento-delle-sezioni-unite_14-05-2019.php

[5] A. Scalera, Sui nati da maternità surrogata si va verso la fase 2, https://www.questionegiustizia.it/articolo/sui-nati-da-maternita-surrogata-si-va-verso-la-fase-2

[6] G. Luccioli, Il parere preventivo della Corte Edu e il diritto vivente italiano in materia di maternità surrogata: un conflitto inesistente o mal risolto dalla Corte di Cassazione?, in www.giustiziainsieme.it  

[7] Sentenza 19 luglio 2020 D contro Francia; 19 novembre 2019, E contro Francia.

07/04/2021
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