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Il DNA come strumento di identificazione, esigenze investigative e diritti della persona: uno sguardo alla giurisprudenza ed alla prassi

di Emilio Gatti
procuratore aggiunto presso la Procura di Torino

L’impronta genetica o traccia del DNA dell’individuo è divenuta elemento importante a volte decisivo delle indagini scientifiche svolte sulla scena del crimine. Il contributo ripercorre le nozioni di base, le norme concernenti l’acquisizione ed il successivo esame di tale tipo di traccia e la loro interpretazione ad opera della giurisprudenza per poi concludere con uno sguardo al concreto funzionamento della Banca Dati Nazionale del DNA.

1. Il progresso scientifico pone spesso il giurista di fronte a mezzi tecnici di portata enormemente innovativa, in relazione ai quali è necessario confrontare gli strumenti processuali a disposizione degli operatori con il quadro dei diritti coinvolti.

Così è con il DNA, codice genetico dell’individuo ritenuto rappresentare un rilevantissimo strumento di identificazione biometrica[1].

Da alcuni anni l’analisi del DNA è entrata nelle investigazioni e nei processi, sia civili sia penali.

Si pensi anche solo alle indagini circa l’accertamento della paternità di un individuo, a quelle relative all’identificazione di resti umani ritrovati, ad indagini penali su reperti biologici rinvenuti sulla scena del crimine.

Per quanto riguarda le indagini penali sembra utile riferire sulla giurisprudenza di legittimità che si è venuta via via formando in relazione a questo strumento investigativo.

Alla disamina sembra parimenti utile premettere alcune definizioni normative.

Come noto, con la legge 30 giugno 2009 n. 85[2] l’Italia ha aderito al Trattato di Prum ed ha istituito presso il Ministero dell’Interno[3] la «banca dati nazionale del DNA» (BDN-DNA) e presso il Ministero della Giustizia[4] il «laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA»[5].

L’art. 6 comma 1 della legge contiene le definizioni normative, tra gli altri, dei concetti di «reperto biologico», «campione biologico», «profilo del DNA» e «tipizzazione».

Reperto è il «materiale biologico acquisito sulla scena di un delitto o comunque su cose pertinenti al reato».

Campione è la «quantità di sostanza biologica prelevata sulla persona sottoposta a tipizzazione del profilo del DNA».

Profilo del DNA o biologico è la «sequenza alfa numerica ricavata dal DNA e caratterizzante ogni singolo individuo». 

Infine, tipizzazione è il «complesso delle operazioni tecniche di laboratorio che conducono alla produzione del profilo del DNA».

Le definizioni di cui sopra aiutano a comprendere l’esatta portata di alcune recenti pronunce di legittimità in punto ripetibilità o irripetibilità degli accertamenti tecnici svolti sul DNA.

 

2. La giurisprudenza della Corte di Cassazione affronta questo tema in relazione al diritto al contraddittorio che spetta alla persona sottoposta alle indagini di fronte ad un accertamento tecnico di tipo irripetibile, svolto cioè ai sensi dell’art. 360 c.p.p.[6]

La Corte (Sez. II 30/5/2019 n. 41414, Abruzzese Fiore, Sez. II 27/11/2014 n. 2476, Santangelo) distingue tre diverse attività «rispettivamente costituite dall'estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti; dalla decodificazione dell'impronta genetica dell'indagato; dalla comparazione tra i due profili».

Di queste solo la prima, l’estrapolazione del profilo genetico presente sui reperti rinvenuti sulla scena del crimine, può essere definita come irripetibile ma solo nella misura in cui l’irripetibilità sia dovuta alla scarsa quantità della traccia genetica, o alla scadente qualità del DNA presente nella stessa[7][8].

Al contrario, la «decodificazione dell’impronta genetica dell’indagato» contenuta nei campioni biologici a lui prelevati e la successiva comparazione tra i due profili costituiscono attività ripetibili.

Appare evidente come l’estrazione del profilo del DNA dai campioni biologici provenienti dalla persona sottoposta ad indagini sia attività ripetibile nella misura in cui possa ripetersi il prelievo dei campioni, o comunque la quantità di materiale biologico rimasto sia sufficiente alle necessità[9].

Quanto alla successiva attività di “comparazione” tra i diversi profili biologici la Corte precisa che «i risultati del procedimento attraverso il quale si giunge all'identificazione del DNA della persona vengono usualmente trasposti in supporti documentali nei quali è riversata la composizione della catena genomica rilevata dall'analisi dei campioni di materiale genetico. Questi supporti documentali, generalmente riversati su file, sono stabili e non modificabili, con la conseguenza che la comparazione genetica si risolve nel confronto dei supporti documentali su cui sono stati registrati i profili genotipici estratti attraverso l'attività tecnica che quindi costituisce operazione sempre ripetibile a condizione che sia assicurata la corretta conservazione degli stessi supporti sui quali sono impresse le impronte genetiche»[10].

 

3. La giurisprudenza distingue ancora le attività di acquisizione di reperti e campioni (considerate come prodromiche o “ancillari”) dalle successive attività di estrazione dei profili genetici e di loro comparazione.

Così, «in via generale e astratta, questa Corte ha già avuto modo di specificare che, poiché il concetto di accertamento non comprende la constatazione o la raccolta dei dati materiali pertinenti al reato o alla sua prova, i quali possono anche esaurirsi in semplici rilievi, ma riguarda piuttosto lo studio e la elaborazione critica dei medesimi, la irripetibilità dei rilievi, più specificamente dell'acquisizione dei dati da sottoporre ad esame non implica di per sé la irripetibilità dell'accertamento (Sez. 1, Sentenza n. 10893 del 03/06/1994 Rv. 200176 - 01)»[11].

Più precisamente, l’acquisizione di reperti biologici rientra nell’attività di accertamento e rilievo che la P.G. esegue di iniziativa (art. 354 co. 2 c.p.p.) o su delega del P.M. (art. 370 c.p.p.) e che lo stesso P.M. può svolgere direttamente (art. 358 c.p.p.).

Si tratta di attività alla quale ai sensi degli articoli 356 e 365 c.p.p. ha diritto di assistere, senza previo avviso, il difensore della persona indagata.

Evidentemente, se i rilievi e l’acquisizione dei reperti biologici avvengono in un momento nel quale il procedimento è ancora a carico di ignoti, essi saranno utilizzabili anche quando, in seguito, sarà individuata una persona da sottoporre ad indagini[12].

 

4. Per quanto riguarda, poi, il prelievo di campioni biologici dalla persona sottoposta ad indagine la Corte di Cassazione (Sez. II 27/11/2014 n. 2476, Santangelo ) chiarisce che si tratta di attività che può essere svolta, a seconda dei casi e delle modalità, o tramite prelievo coattivo compiuto dalla P.G. quando si esaurisce nel «carpire un campione salivare o acquisire capelli o peli» oppure tramite il ricorso a tecnico (consulente o perito) nel caso in cui l’attività tecnica necessaria abbia carattere invasivo, come ad esempio quando questa avviene mediante l’acquisizione di «campioni di tessuto interno, reperti riconducibili a materiale organico non apprendibile senza l’uso di tecniche chirurgiche o senza il ricorso a competenze mediche».

La stessa Corte (Sez. I n. 52872 del 12/10/2018, P) chiarisce come durante le indagini preliminari «la scelta del P.M. di delegare un accertamento tecnico alla P.G. ex art. 370 c.p.p. anziché procedere alla nomina di un consulente tecnico ex art. 359 o 360 c.p.p. non determina l’inutilizzabilità dei risultati, purché siano comunque rispettate le garanzie previste a tutela dell’indagato».

Se l’interessato presta il consenso al prelievo genetico «non è applicabile la procedura garantita prevista dal combinato disposto degli artt. 224 bis, 359 bis c.p.p. e neppure vi è la necessità dell’assistenza di un difensore» (Cass. Sez. V n. 12800 del 7/2/2017, Lagioia).

Se, invece, l’interessato non presta consenso al prelievo[13], le norme del codice prevedono una procedura coattiva di competenza rispettivamente della P.G. (art. 349 comma 2 bis c.p.p.), del P.M. (art. 359 bis c.p.p.) o, in caso di perizia, del giudice (art. 224 bis c.p.p.).

Il prelievo coattivo compiuto dalla P.G. richiede autorizzazione scritta, oppure orale poi confermata per iscritto, del P.M.

Si tratta di attività di iniziativa della P.G. che avviene al fine dell’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, quindi di solito in un momento iniziale di queste.

A sua volta il P.M., previa ordinanza autorizzativa del G.I.P., può disporre il prelievo coattivo di capelli, peli o mucosa del cavo orale su persona vivente ai fini della determinazione del profilo del DNA (art.224 bis come richiamato dall’art. 359 bis comma 1 c.p.p.).

Nei casi d’urgenza il P.M. dispone il prelievo coattivo con decreto motivato di cui, entro quarantotto ore, richiede convalida al G.I.P., che vi provvede con ordinanza (comma 2).

Al fine di eseguire l’atto, il P.M. può disporre l’accompagnamento coattivo della persona che non si presenti senza legittimo impedimento.

Tanto l’ordinanza del giudice quanto il decreto d’urgenza del P.M. devono contenere, insieme ad altre indicazioni ed avvisi[14], anche l’indicazione specifica del prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono assolutamente indispensabile per la prova dei fatti, nonché l’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia (art. 224 bis comma 2 c.p.p. richiamato dall’art. 359 bis comma 2 c.p.p.).

L’attività del P.M. è tenuta a rispettare, a pena di nullità delle operazioni e di inutilizzabilità delle informazioni così acquisite, tanto i precetti appena menzionati quanto i divieti e le prescrizioni contenute nei commi 4 e 5 dell’art. 224 bis c.p.p.[15].

Una disciplina particolare è prevista per i procedimenti di omicidio stradale (art. 589 bis c.p.) e di lesioni personali stradali gravi o gravissime (art. 590 bis c.p.).

Nei casi di urgenza, a fronte del rifiuto dell’interessato a sottoporsi al prelievo o all’accertamento il P.M. emette decreto motivato. 

Il provvedimento può essere emesso anche oralmente e poi confermato per iscritto (art. 359 bis comma 3 bis c.p.p.).

Gli ufficiali di P.G. operanti accompagnano l’interessato presso il più vicino presidio ospedaliero per l’esecuzione.

Del decreto e delle operazioni viene data tempestiva notizia al difensore che ha facoltà di assistervi purché sia prontamente reperibile e senza che l’esercizio di tale facoltà possa comportare pregiudizio nel compimento delle operazioni.

Entro le successive quarantotto ore, il P.M. chiede al G.I.P. la convalida del decreto.

Anche in questo caso devono essere rispettate le norme dell’art. 224 bis commi 2, 4 e 5 c.p.p.

Nel caso di perizia, se manca il consenso della persona, il prelievo viene ordinato dal Giudice ai sensi e secondo le prescrizioni previste dall’art. 224 bis c.p.p.

Vi sono peraltro casi nei quali il prelevamento di campioni biologici della persona indagata non richiede alcun atto costrittivo e, pertanto, neppure i provvedimenti autorizzativi di cui sopra.

Così la Corte di Cassazione (Sez. II n. 2087 del 10/1/2012, Bardhaj) riconosce come: «in tema di perizia o di accertamenti tecnici irripetibili, il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo, e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico».

Si tratta di atto a sorpresa mediante il quale viene sequestrata la traccia biologica lasciata dall’interessato su di un oggetto.

Si pensi ad esempio ai capelli lasciati sul cuscino, al mozzicone di sigaretta[16], alla saliva rimasta nel bicchiere, alle tracce di sudore e di liquidi biologici presenti su capi di vestiario.

In tutti questi casi il sequestro è atto garantito ai sensi degli articoli 253 e ss., 365 e ss. c.p.p., senza che sia necessario provvedere al prelievo coattivo del DNA mediante atti di tipo invasivo.

 

5. L’estrazione (o decodificazione) del profilo genetico prelevato dalla persona e la successiva comparazione di questo con il profilo genetico estratto dal reperto rinvenuto sulla scena del crimine appartengono alla categoria degli accertamenti tecnici.

La Cassazione (Sez. I n. 14852 del 31/1/2007, Piras) ha riconosciuto come «in tema di indagini preliminari, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato, che si esaurisce nei semplici rilievi, bensì il loro studio e la loro valutazione critica». (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato come mero prelievo e non come accertamento tecnico il prelievo del DNA dal materiale biologico rinvenuto in un passamontagna, conservato e non esaurito pur all'esito delle prime indagini e, successivamente, utilizzato per effettuare a dibattimento, nel contraddittorio fra le parti, l'esame comparativo con il DNA dell'imputato).

Si tratta, come si è visto (Cass. Sez. II 30/5/2019 n. 41414, Abruzzese Fiore, Sez. II 27/11/2014 n. 2476, Santangelo) di attività ripetibile che può essere introdotta nel dibattimento mediante l’escussione del consulente di parte e nel rispetto delle regole del contraddittorio.

 

6. Il rinvenimento sul luogo del crimine, oppure su di un oggetto collegato al crimine del DNA di un sospetto riconduce intuitivamente la sua persona a quel luogo o a quell’oggetto e di conseguenza a quel crimine.

Si tratta di aspetto che deve essere valutato secondo due diverse prospettive.

Innanzitutto, quella della certezza dell’attribuzione della traccia del DNA alla persona sospettata.

Come sempre accade in materia di prova scientifica, la valutazione dibattimentale degli esiti dell’indagine genetica dipende dalla correttezza ed accuratezza della procedura seguita dagli operatori.

Nel caso di risposta affermativa, «gli esiti dell’indagine genetica condotta sul DNA hanno natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell’art. 192 comma secondo c.p.p., sicché sulla loro base può essere affermata la responsabilità penale dell’imputato, senza necessità di ulteriori elementi convergenti» (Corte di Cassazione Sez. II n. 43406 dl 1/6/2016, Syziu)[17]

La natura di prova è dovuta all’elevatissimo numero di ricorrenze statistiche confermative del risultato, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore.

Peraltro, «nei casi in cui l'indagine genetica non dia risultati assolutamente certi, ai suoi esiti può essere attribuita valenza indiziaria» (Corte di Cassazione Sez. II n. 8434 del 5/2/2013, Mariller).

Il che rende così necessario, proprio in base alla norma del secondo comma dell’art. 192 c.p.p., la ricerca di ulteriori elementi di carattere indiziario che, unitamente alla traccia di DNA, presentino le caratteristiche della gravità, precisione e concordanza.

Se, al contrario, si sono verificate violazioni «delle regole procedurali prescritte dai Protocolli scientifici internazionali in materia di repertazione e conservazione dei supporti da esaminare, nonché di ripetizione delle analisi» si dovrà concludere che «gli esiti di "compatibilità" del profilo genetico comparato non abbiano il carattere di certezza necessario per conferire loro una valenza indiziante, costituendo essi un mero dato processuale, privo di autonoma capacità dimostrativa e suscettibile di apprezzamento solo in chiave di eventuale conferma di altri elementi probatori» (Corte di Cassazione Sez. V n. 36080 del 27/3/2015, Knox).

È interessante notare come la Corte di Cassazione, nella sentenza Syziu utilizzi a contrario proprio l’argomentazione della sentenza Knox per concludere che l’esito di un’indagine genetica condotta correttamente ha natura di prova.

Si tratta, all’evidenza, di problema di carattere eminentemente scientifico sul quale il giudice esprime un giudizio sul metodo di lavoro utilizzato e sulla sua corretta applicazione[18].

Diversamente, più pregnante e più legata a canoni inferenziali logico-giuridici è la valutazione circa il significato da attribuire alla presenza del DNA della persona sospetta sul luogo o su un oggetto facente riferimento al crimine, anche quando si tratta del corpo della vittima.

Ciò perché, intuitivamente, possono essere offerte spiegazioni che sono alternative all’attribuzione del crimine alla persona che ha lasciato la propria traccia genetica in quel luogo o su quell’oggetto.

È allora compito dell’inquirente e poi onere motivazionale del giudicante esaminare ed escludere ipotesi diverse prima di giungere all’attribuzione certa del fatto all’imputato.

 

7. Come già osservato, con la legge 30 giugno 2009 n. 85 l’Italia ha aderito al Trattato di Prum ed ha istituito la «banca dati nazionale del DNA» (BDN-DNA) presso il Ministero dell’Interno ed il «laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA» presso il Ministero della Giustizia.

Il regolamento 7 aprile 2016 n. 87 contiene norme di dettaglio per il funzionamento e l’organizzazione della banca e del laboratorio centrale.

Il laboratorio ha ottenuto il prescritto accreditamento il 19 dicembre 2017[19].

Da altra fonte[20] si apprende che «il 21 dicembre 2017 ha avuto avvio per il personale dei ruoli tecnici individuato per l’inserimento dei profili del DNA nel CODIS – Banca Dati Nazionale DNA, presso il Laboratorio Centrale, la prima formazione – Corso «CODIS Campione Biologico (Person)» – a cura del personale del Ministero dell’Interno per la definitiva operatività del Laboratorio. 

Ottenute le predette certificazioni, si è quindi potuto procedere al «processamento» ed all’estrazione del DNA dai primi campioni biologici.

Il 28 dicembre 2017 ha avuto inizio l’inserimento dei profili ricavati in Banca Dati Nazionale DNA”.

Nel sito del Ministero dell’Interno[21] si legge come al 21 giugno 2020, quindi dopo diciotto mesi di funzionamento, sono stati analizzati circa 200.000 campioni biologici e circa 20.000 profili genetici sono stati inseriti nella Banca Dati Nazionale del DNA.

Altri 20.000 profili circa sono stati rinvenuti sulle scene dei crimini (cd. reperti), analizzati ed inseriti in banca dati.

L’utilizzo di tale strumento «ha consentito di effettuare già oltre 1000 correlazioni tra soggetti sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria e scene del crimine (43% furti, 23 % rapine, 10% omicidio doloso, 5% violenza sessuale, 3% tentato omicidio)».

Il funzionamento della Banca Dati ha rilievo anche nelle relazioni con altri Paesi e nel sito si legge ancora che: «nel solo 2019, sono stati scambiati 487 i profili del DNA e 7 “match” a livello internazionale tra scene del crimine e soggetti noti in Svizzera e Francia».

Inoltre, «la Banca dati viene impiegata anche nella ricerca delle persone scomparse e nel riconoscimento di cadaveri non identificati. Il miglioramento delle tecniche analitiche permette, infatti, la possibilità di ottenere profili genetici anche da microtracce e non solo da fluidi biologici come avveniva in passato. Questo consente di riaprire casi rimasti insoluti da tempo con la possibilità di lavorare su reperti non ritenuti, all'epoca, idonei all'estrazione del DNA. Ben 156 sono i cold case risolti dal 2017 ad oggi, il più antico dei quali risale a ventuno anni fa».

Si tratta, dunque, di strumento che ha iniziato a produrre risultati numericamente anche importanti.

E pare facile prevedere un aumentato interesse della giurisprudenza in questo campo nei prossimi anni.


 
[1] Nicolina Mastrangelo (DNA: origini dell’identificazione e del fingerprinting, in http://www.crimint.it/il-futuro-del-dna/) lo ritiene, tra tutti gli strumenti biometrici «in assoluto il materiale più informativo che possa esistere». L’autrice spiega come «il DNA, ormai noto a tutti come acido desossiribonucleico, è una molecola contenuta in tutte le cellule del nostro organismo, organizzato in 23 copie di cromosomi … per una lunghezza di circa un metro, compattata per essere contenuta nei pochi micron del nucleo cellulare. È depositario delle informazioni ereditarie contenute nei geni che si stimano in un numero che va oltre i 20-30.000». La genetica forense è la scienza che «si occupa di associare il DNA a persone, di generare un profilo conoscitivo, unico e indiscutibile da attribuire ad un individuo. Il DNA fornisce sotto tale aspetto: unicità (non esistono due individui al mondo con lo stesso corredo genetico, a parte i gemelli omozigoti); è uguale in tutte le cellule e non varia durante il corso dell’esistenza; per metà deriva da un genitore e per metà dall’altro». L’autrice spiega ancora come ai primi del ‘900 Karl Landsteiner, scoprendo i polimorfismi genetici dei gruppi sanguigni, intuì la possibilità di identificare gli individui mediante un’«impronta genetica». Quindi nel 1953 Watson e Crick intuirono la struttura del DNA. Infine nella seconda metà degli anni ’80 Jeffreys riuscì a tipizzare il DNA, detto anche «DNA fingerprinting», scoprendo in alcune regioni del DNA «sequenze altamente ripetute e che la lunghezza di tali sequenze variava da individuo a individuo, quindi non si ripetevano allo stesso modo».

[2] Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 del 13 luglio 2009 - Supplemento ordinario n. 108.

[3] Dipartimento della pubblica sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale, Servizio per il sistema informativo interforze, Divisione Quarta.

[4] Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Direzione Generale dei detenuti e del trattamento, Ufficio VI istituito con D.M. Giustizia 2 marzo 2016. Il laboratorio centrale è istituito presso il Polo Logistico di Rebibbia.

[5] Sulla banca Dati nazionale del DNA si veda, tra gli altri, E. Gatti, La Banca dati nazionale del DNA e la salvaguardia del diritto al rispetto della vita privata del singolo, in QuestioneGiustizia, 6 giugno 2018 http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-banca-dati-nazionale-del-dna-e-la-salvaguardia-del-diritto-al-rispetto-della-vita-privata-del-singolo_06-06-2018.php    

[6] Come chiarito da SS.UU. n. 41281 del 17/10/2006, il concetto di irripetibilità di un atto che consente l’acquisizione dello stesso al fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 431 c.p.p. va interpretato alla luce del principio costituzionale del diritto al contraddittorio enunciato nel comma 4 dell’art. 111 della Costituzione e delle eccezioni ad esso previste nel comma successivo. Oltre ai casi di consenso all’acquisizione prestato dall’imputato e di provata condotta illecita volta a non consentire l’acquisizione della prova, un atto va considerato irripetibile e quindi acquisibile al procedimento solo nel caso in cui esso non sia rinnovabile a dibattimento «per accertata impossibilità di natura oggettiva».

[7] Così anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 52872 del 12/10/2018 Rv. 275058 – 01.

[8] Secondo Cass. Sez. II 30/5/2019 n. 41414 Abruzzese Fiore le operazioni di estrazione del DNA, se di natura irripetibile, possono essere provate a dibattimento attraverso la lettura della relazione dell’operatore, consulente o perito.

[9] Si veda il paragrafo 4.

[10] Sez. 1, n. 52872 del 12/10/2018 Rv. 275058 - 01, Sez. 1, n. 18246 del 25/02/2015 Rv. 263859 - 01, Sez. 2, n. 2476 del 27/11/2014, Santangelo, Rv. 261866.

[11] Così Cass. Sez. II 30/5/2019 n. 41414, Abruzzese Fiore, pag. 9.

[12] «Il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono utilizzabili quando l'indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal P.M.» (Cass. Sez. 2 n. 45929 del 24/11/2011, Cocuzza). Nello stesso senso Cass. Sez. 1  n. 52872 del 12/10/2018, P.

[13] La Corte di Cassazione (Sez. 2 n. 44624 dell’8/7/2004) rileva come «Il rifiuto dell'imputato di consegnare o lasciar prelevare materiale biologico utile alla comparazione del DNA, quando non siano state prospettate allo scopo modalità invasive o comunque lesive dell'integrità e della libertà personale, costituisce, se non motivato con giustificazioni esplicite e fondate, elemento di prova valutabile dal giudice a fini di ricostruzione del fatto, anche in qualità di riscontro individualizzante della chiamata in correità».(Fattispecie relativa al rifiuto opposto da persona accusata d'omicidio di consentire la comparazione del proprio DNA con quello ricavabile da alcune formazioni pilifere rinvenute all'interno di un casco che, stando alle dichiarazioni di un collaborante, era stato utilizzato durante l'esecuzione del delitto).

[14] Quali l’indicazione delle generalità della persona da sottoporre all’esame, del reato per cui si procede, del luogo, del giorno, dell’ora e delle modalità dell’atto e l’avviso che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà essere ordinato l’accompagnamento coattivo.

[15] Il comma 4 vieta operazioni che contrastano con espressi divieti posti dalla legge o che possono mettere in pericolo la vita, integrità fisica o la salute della persona o del nascituro, o che, secondo la scienza medica, possono provocare sofferenze di non lieve entità. Il comma 5 prescrive che le operazioni vengano eseguite nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto e che, a parità di risultato, sia data preferenza alle tecniche meno invasive.

[16] Così Cass. Sez. I n. 48907 del 20/11/2013, P.M. in proc. Costantino: «In tema di raccolta di materiale biologico, non è necessario ricorrere alla procedura prevista dall'art. 224 bis cod. proc. pen. se il campione biologico sia stato acquisito in altro modo, con le necessarie garanzie sulla provenienza dello stesso e senza alcun intervento coattivo sulla persona». (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto legittimo il prelievo di tracce biologiche da un mozzicone di sigaretta maneggiata e fumata dall'indagato, acquisito dalla polizia giudiziaria dopo che l'indagato medesimo l'aveva abbandonato). 

[17] Nello stesso senso Corte di Cassazione Sez. I n. 48349 del 30/6/2004, Rizzetto «gli esiti dell'indagine genetica condotta sul DNA, atteso l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova, e non di mero elemento indiziario ai sensi dell'art. 192, comma secondo, cod. proc. pen.».

[18] L’art. 10 comma 4 del D.P.R. 7/4/2017 n. 87 prevede l’inserimento dei profili del DNA nella banca dati solo se ottenuti con metodi accreditati a norma ISO/IEC 17025, e successive modificazioni. Si tratta di norma tecnica internazionale, recepita dall’Ente di normazione italiano,  che formula i Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura ed è volta ad armonizzare le procedure, migliorandone il livello e facilitando così lo scambio di informazioni tra laboratori di diversi Paesi. Essa prevede, tra l’altro, una verifica di Parte Terza (in Italia rappresentata dall’Ente Italiano di Accreditamento ACCREDIA) a garanzia delle prassi adottate nei processi gestionali e tecnici dei laboratori interessati. Così G. Siligato, Criteri di inserimento dei profili genetici in banca dati, in https://www.accredia.it/app/uploads/2017/06/7149_Criteri_di_inserimento_dei_profili_genetici_in_banca_dati___Diritto24___Il_Sole_24_Ore___6_giugno_2017.pdf   

[19] Si legge sul sito del Ministero della Giustizia Ufficio VI che ACCREDIA (articoli 2.11 e 4.1 del Regolamento (CE) n. 765/2008 del 9 luglio 2008) ha dichiarato la conformità ai principi previsti dalla legge istitutiva del Laboratorio Centrale per la Banca Dati Nazionale del DNA con certificato di accreditamento n. 1671 inviato il 19 dicembre 2017, di conseguenza l’indicazione del laboratorio a riprova dell’avvenuta certificazione viene accompagnata dal simbolo di ACCREDIA. L'attività del Laboratorio è certificata sulla base della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 “Requisiti generali per la competenza dei Laboratori di prova e taratura”. Si veda sul punto https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_12_3_5_7.page;jsessionid=WyLaFsu4uCyzRVSMAiWMEJOn 

[20] https://www.ilcorrieredellasicurezza.it/dap-laboratorio-centrale-per-banca-dati-dna/

[21] https://www.interno.gov.it/it/notizie/banca-dati-nazionale-dna-dalla-sua-istituzione-oltre-200000-prelievi-biologi 

10/03/2021
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Trojan horse: spiragli di retromarcia legislativa

Sulle riviste giuridiche, sui quotidiani, sulle mailing list dei magistrati è in corso un argomentato confronto sulle modalità e sui limiti di utilizzo del Trojan Horse come strumento di “intercettazione itinerante”, operante in una pluralità di luoghi di privata dimora indeterminabili a priori. Dibattito - è bene sottolinearlo - in larga misura diverso da quello in corso a livello politico che appare dominato, o meglio inquinato, dalle continue e confuse dichiarazioni del Ministro della Giustizia che, da un lato, sembra voler escludere tout court le intercettazioni dalle indagini per reati diversi da quelli di mafia e terrorismo e, dall’altro, manifesta una inquietante propensione verso le c.d. intercettazioni preventive. Nel confronto tecnico sul captatore informatico , che vogliamo aperto a tutti i differenti punti di vista, interviene il professor Luca Marafioti con un articolo che ripercorre attentamente la vicenda giurisprudenziale e normativa del Trojan, analizza le debolezze della sua attuale disciplina e auspica la formulazione di un nuovo apparato normativo dagli orizzonti più vasti, in grado di disciplinare i diversi versanti della materia e cioè sia l’uso del malware quale “microspia” 2.0., sia le altre forme di sorveglianza e controllo occulti esperibili attraverso virus.

24/01/2023
Trojan Horse: tornare alla riforma Orlando? Il difficile equilibrio nell’impiego del captatore informatico

Un disegno di legge del Senatore Zanettin - che propone di escludere l’impiego del captatore informatico nei procedimenti per delitti contro la pubblica amministrazione – sta suscitando discussioni e polemiche. Nel dibattito politico e giornalistico sulla giustizia penale - ormai dominato da un meccanico susseguirsi di azioni e reazioni che spesso prescindono dal merito delle questioni sul tappeto per privilegiare ragioni di schieramento – sono scattati riflessi condizionati pregiudizialmente “oppositivi” o giudizi sommari che non esitano a qualificare le intercettazioni (tutte le intercettazioni, con qualunque mezzo effettuate e per qualunque reato adottate) come uno strumento di oppressione. Così la proposta è stata immediatamente “bollata” dagli uni come espressione di volontà di disarmo nel contrasto alla corruzione e come un favore alle organizzazioni criminali (le cui attività delinquenziali non sono peraltro escluse dalla sfera di utilizzo del Trojan) ed “esaltata” dagli altri come uno strumento di liberazione dallo strapotere di pubblici ministeri e giudici che se ne servirebbero “normalmente” per prave finalità di potere, di pressione, di intimidazione e di controllo dei cittadini. Per sottrarsi a queste grottesche semplificazioni polemiche - che sembrano divenute la cifra obbligata del confronto pubblico sulla giustizia- vale la pena di ripercorrere le fasi della vicenda istituzionale del Trojan per trarne indicazioni utili a delimitare correttamente la “desiderabile” sfera di applicazione di questo mezzo di ricerca della prova, tanto efficace quanto insidioso. Non dimenticando che l’estensione dell’utilizzo del Trojan Horse ai procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione - e dunque al di là dell’originario confine dei reati di criminalità organizzata fissato dalla elaborazione giurisprudenziale e dalla riforma Orlando - è stata realizzata da una legge, la c.d. Spazzacorrotti, che costituisce uno dei frutti più discutibili della stagione del governo dei due populismi di Cinque Stelle e della Lega. 

28/12/2022
Il DNA come strumento di identificazione, esigenze investigative e diritti della persona: uno sguardo alla giurisprudenza ed alla prassi

L’impronta genetica o traccia del DNA dell’individuo è divenuta elemento importante a volte decisivo delle indagini scientifiche svolte sulla scena del crimine. Il contributo ripercorre le nozioni di base, le norme concernenti l’acquisizione ed il successivo esame di tale tipo di traccia e la loro interpretazione ad opera della giurisprudenza per poi concludere con uno sguardo al concreto funzionamento della Banca Dati Nazionale del DNA.

10/03/2021
La Banca dati nazionale del Dna e la salvaguardia del diritto al rispetto della vita privata del singolo
La raccolta a fini investigativi e la conservazione dei profili genetici pone delicati problemi di compatibilità delle esigenze investigative con il diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Cedu soprattutto nei confronti di individui indagati ma poi assolti con sentenza definitiva. Il contributo ripercorre la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’obbligo di creare una banca dati nazionale del Dna stabilito dal Trattato di Prüm e le soluzioni adottate dal legislatore italiano che paiono rispettose dei principi convenzionali e costituzionali, in attesa di verificare la correttezza delle prassi applicative
06/06/2018
«No a iscrizioni frettolose». Pignatone sfata la leggenda dell’”atto dovuto”
Il procuratore della Repubblica di Roma invia una circolare sulla gestione delle iscrizioni delle notizie di reato dopo la riforma penale entrata in vigore ad agosto, segnalando rischi e costi delle prassi basate sull’automatismo. Come per le intercettazioni, è la prima circolare sulla materia
17/10/2017