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Giustizia minorile alias giustizia paternalista. L'importante proposta di riforma processuale civile del 29 luglio 2019 della Garante dell'Infanzia ed Adolescenza Filomena Albano

di Gustavo Sergio
già Presidente del Tribunale per il minorenni di Napoli

La segnalazione del 29 luglio 2019 del Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza che propone ai titolari di iniziativa legislativa importanti riforme processuali per la «tutela giurisdizionale dei diritti relazionali» impone chiarimenti su ritardi ed intoppi dell'evoluzione del diritto di famiglia. Anche la parziale riforma dell'istituto della "potestà genitoriale", oggi denominata «responsabilità genitoriale», rivela la persistenza di una visione culturale ancora paternalista delle relazioni familiari che si riflette anche sulla giustizia.

1. Tra le questioni emerse dal caso Bibbiano c'è innanzi tutto quella dell'allontanamento di minorenni dalla famiglia d'origine disposta sulla base delle segnalazioni degli operatori del servizio sociale dal tribunale per i minorenni con un provvedimento discrezionale nell'interesse del minore.

Tale discrezionalità ha origini nel Codice Civile del 1942 che attribuiva alla giustizia non la tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali dei soggetti coinvolti - all'epoca i diritti inviolabili dell'uomo non erano stati ancora riconosciuti - ma la «protezione tutelare» dei minori e degli incapaci in quanto soggetti privi della capacità di agire. 

Perciò il tribunale per i minorenni e il giudice tutelare esercitavano - ed esercitano ancora - un potere tutelare di natura pubblicistica (artt 330 e 333 c.c.) avvalendosi dell’azione dei servizi socio sanitari nell’interesse del minore, un incapace da proteggere piuttosto che un soggetto i cui diritti debbono essere garantiti. Tale forma di “paternalismo giuridico” è criticata dalla dottrina perché mirando al bene, e dunque a mete e obiettivi posti dal principio di beneficità, il giudice perde di vista il principio di legalità, ed abdica alla sua funzione di garante che assicura la tutela giurisdizionale dei diritti. Il suo ruolo in tal modo si risolve in quello di un’autorità dotata di poteri discrezionali che attribuiscono efficacia autoritativa ad interventi e terapie proposte dai servizi sulla base di accertamenti effettuati per finalità di benessere fuori del processo, e dunque al di fuori del contraddittorio con la parte interessata, e per lo più attraverso una cognizione solo sommaria dei fatti. [1]

In questa logica, coerentemente, il giudice si auto attivava d’ufficio, ed i suoi provvedimenti ancora oggi sono attuati dagli stessi operatori che li sollecitano. La circolarità di quest’azione presuppone dunque che il tribunale per i minorenni ed i servizi sociosanitari – questi ultimi in rapporto di subordinazione funzionale con il primo - siano concepiti come compartecipi di un unico sistema. 

La protezione tutelare peraltro discende dallo storico istituto della patria potestas (fino al 1975 il solo padre ne era il titolare) cui corrisponde quello della tutela (Libro I, Titolo X Cod. Civ.) con l'assoggettamento del minore e dell'incapace al rispetto ed obbedienza (artt. 315, 357, 358 c.c. prima delle riforme di cui appresso) nonché i poteri del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare di emettere provvedimenti discrezionali nell'interesse del minorenne e dell'incapace nei confronti dei genitori e tutori, il paternalismo protettivo gestito dalla giustizia.

In particolare l'art. 333 cc stabilisce che «quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dar luogo alla pronuncia della decadenza prevista dall'art. 330 il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare …». Nel 1956 la L. n. 888 modificò gli artt. 25 e 26 della L. n. 835 del 1935 (Istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni), che originalmente riguardavano solo la competenza amministrativa del giudice minorile nei confronti dei minori «irregolari per condotta e carattere», stabilendo che «la misura di cui all'art. 25 n.1 [i.e., l'affidamento del minore al servizio sociale] - può altresì essere disposta quando il minore si trovi nella condizione prevista dall'art. 333 del Codice Civile», dunque quando la condotta di uno o entrambi i genitori appare comunque pregiudizievole al figlio. Analoghi i poteri del giudice tutelare che per soprintendere alle tutele e curatele «può chiedere l'assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni». (art. 344 c.c.). 

Ma la nostra Costituzione, sorta nello stesso anno della Dichiarazione Universale dei diritti umani proclamata nel 1948 dalle Nazioni Unite, «riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità» e stabilisce che «tutti» possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi (artt 2 e 24 cost.).

Il termine «tutti» dal 1989 riguarda specificamente e direttamente anche i soggetti di età minore, visto che con la Convenzione ONU di New York del 20 novembre 1989 (rat. L. n. 176 del 1991) furono finalmente riconosciuti i diritti personali e relazionali del fanciullo, abolendo perfino il termine giuridico "minorenne" (art. 1) che nella concezione tradizionale configura innanzitutto la sua incapacità (art.2 c.c.).

Tra i diritti riconosciuti del fanciullo quello di «non essere separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di decisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo ...  Tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle procedure e far conoscere le proprie opinioni» (art.9 co. 1 e 2 Conv. N.Y.).

Anche il soggetto di età minore capace di discernimento ha il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, «di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne sia direttamente sia tramite un rappresentante …» (art. 12 Conv. N.Y.). 

Finalmente nel nuovo secolo le ultime riforme del diritto di famiglia (L. n. 219 del 2012 e D.L.vo n. 154 del 2012) hanno introdotto nel vecchio codice civile i diritti e doveri del figlio. Il nuovo articolo 315 bis stabilisce che ha il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Ad essi corrispondono il dovere diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare il figlio riconosciuto fin dal 1948 dall'art. 30 della Costituzione. 

In definitiva la relazione personale tra genitori e figli è, sotto il profilo giuridico, un diritto relazionale biunivoco che richiede una tutela giurisdizionale peculiare in caso di incapacità dei genitori, violenze nonché conflitti in materia di affidamento di un minorenne.

Non si tratta di attribuire la prevalenza di un soggetto nei confronti dell'altro ma di accertare le dimensioni e la portata obbiettiva della situazione, delle conseguenze che si producono sugli interessi dei soggetti coinvolti ivi compreso il fanciullo, e di verificare se la relazione che concretamente potrà svilupparsi soddisferà i diritti inviolabili di ognuno, tenendo conto però, secondo l'art. 3 della Convenzione di N.Y del 1989 che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali l'interesse superiore del fanciullo deve avere una considerazione preminente».

Dunque l'allontanamento, l'affidamento al servizio sociale e l'affidamento ad un solo genitore o addirittura a parenti o ad un'altra famiglia di un bambino o adolescente che vive in situazioni di grave pregiudizio non possono essere provvedimenti discrezionali adottati paternalisticamente nel suo interesse ma soluzioni dei problemi e regolazione giuridica delle relazioni familiari funzionali alla tutela dei diritti del bambino - adolescente e di ciascun genitore su un duplice piano, quello amministrativo sanitario e quello giurisdizionale.

Il legislatore, «al fine di rafforzare la tutela della salute intesa come stato di benessere fisico, psichico e sociale», ha instituito con la L. 11 gennaio 2018 n. 3 l'area delle professioni sociosanitarie individuando nuovi profili professionali e confermando comunque l'appartenenza a tale area dei profili professionali di «operatore sociosanitario, di assistente sociale, sociologo ed educatore professionale» (art. 5). Ha poi stabilito che «la professione di psicologo … è ricompresa tra le professioni sanitarie di cui al Decreto Legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 13 settembre 1946 n. 233 ratificato dalla Legge 17 aprile 1956 n. 561». (art. 9 comma 4°).

La protezione, la cura, il sostegno offerto dai servizi socio sanitari perciò devono svolgersi sulla base del principio del consenso informato degli utenti / pazienti, per assicurare ad ogni essere umano, e dunque anche ai bambini - adolescenti ed ai loro genitori, e comunque alle persone coinvolte in relazioni personali e familiari, mediazione, protezione, aiuti e cura sulla base delle risorse professionali e materiali disponibili. Ultimamente la L. n. 219 del 2017 (Norme in materia del consenso informato) ha ribadito e disciplinato anche a favore di minorenni ed incapaci il principio del consenso informato (art. 3) che tutela «il diritto alla vita, alla salute, alla dignità ed alla autodeterminazione della persona» (artt. 1 co. 1).  In particolare il successivo comma 2 stabilisce che deve essere «promossa valorizzata la relazione di cura e fiducia tra il paziente (e/o utente) e medico (o professionista socio sanitario) che si basa sul consenso informato … ».  

Dunque il piano della protezione, cura e sostegno dei soggetti deboli è assolutamente diverso da quello della tutela giurisdizionale dei diritti: l'art. 3 della Convenzione Europea di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei fanciulli (rat. con L. n. 77 del 2003) stabilisce che «per prevenire o risolvere i conflitti ed evitare procedimenti giudiziari riguardanti minorenni gli Stati incoraggiano la mediazione o ogni altro metodo di risoluzione dei conflitti e la loro utilizzazione per raggiungere l'accordo».

Infatti la legislazione italiana più recente in tema di tutela dei diritti relazionali e protezione ed assistenza dei soggetti di età minore favorisce questa alternativa. L'articolo 337 octies c.c. stabilisce che il giudice, per favorire nell'ambito del processo per la separazione o divorzio oppure per l'affidamento dei figli minorenni di una coppia non sposata, può rinviare l'adozione dei provvedimenti che regolano l'esercizio della responsabilità genitoriale e consentire che i genitori, avvalendosi di un esperto, tentino una mediazione per raggiungere un accordo nell'interesse morale e materiale dei figli. Lo stesso indirizzo è previsto anche nell'ambito degli ordini di protezione contro gli abusi familiari: l'art. 342 ter c.c.  stabilisce che il giudice oltre all'ordine di protezione «può disporre altresì, ove occorra, l'intervento dei servizi sociali del territorio, o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario l'accoglienza di donne e di minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati …»

Dunque non un paternalistico provvedimento di affido al servizio sociale ma la sollecitazione dell'intervento professionale dei servizi, oppure di mediatori, di associazioni di volontari privati che svolgono attività di cura sostegno aiuto nel rispetto del principio del consenso informato.

 

2. Da quanto si è detto si comprende che le due funzioni, quella di protezione, cura e sostegno e quella di tutela dei diritti personali e relazionali dei soggetti di minore età e dei loro genitori e parenti non sono state ancora correttamente coordinate e distinte, e che l'incompleta riforma dell'istituto della potestà genitoriale - oggi chiamata formalmente «responsabilità genitoriale» - conserva i conseguenti poteri del tribunale per i minorenni di controllo discrezionale dell'esercizio della potestà come stabilito sin dal 1942 dagli artt. 330 e 333 c.c. mai modificati nella sostanza.

Tuttavia, dal momento che un tribunale non può non assicurare anche la tutela dei diritti personali e relazionali (finalmente inseriti anche nel codice civile) nel solco dei principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 co. 1 e 2 cost., laddove i servizi socio sanitari devono svolgere le loro funzioni nel rispetto del principio del consenso informato recentemente disciplinato anche dalla ricordata L. 219 del 2017, occorrevano ed ancora occorrono quanto meno integrazioni delle disposizioni processuali per salvaguardare il diritto di difesa, il contraddittorio tra le parti, il consenso informato degli utenti dei servizi, ivi compreso il soggetto di minore età, anche per favorire l'efficacia delle iniziative di protezione, cura e sostegno che presuppongono la c.d. “alleanza terapeutica”.  

Una delle disposizioni non aggiornate è l'articolo 403 c.c. che prevede che «quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia lo colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo sicuro alla sua protezione».

La norma (testo originale del 1942) non considera la tutela dei diritti ma solo la protezione, non indica solo situazioni di emergenza che richiedono un soccorso immediato ma anche genericamente condizioni potenzialmente croniche, non stabilisce i tempi della comunicazione dell'allontanamento dall'ambiente in cui vive il minorenne, né tantomeno quelli delle decisioni giudiziarie perché secondo la concezione paternalista le azioni di protezione sono discrezionali.

Come mai ancora oggi una norma siffatta non è stata modificata? Semplicemente perché ancora oggi la giustizia che più si occupa di questi problemi è “minorile”, considera cioè soprattutto l'incapacità e la funzione di protezione discrezionale sancita dagli articoli 330 e 333 del codice civile.

Questa incongruenza, che ha ragioni soprattutto culturali, si manifestò a suo tempo addirittura con un larvato rifiuto della necessità della tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali riguardanti bambini ed adolescenti. 

Pochi mesi dopo la modifica dell'art. 111 cost. (L. cost. del 23 novembre 1999 n. 2), la L. 28 marzo 2001 n. 149 aveva riformato la L. 4 maggio 1983 n. 184 a cominciare dal titolo che da Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori era stato modificato in Diritto del minore ad una famiglia. La riforma, nel rispetto del principio del contraddittorio e di terzietà ed imparzialità del giudice ribadito organicamente dal citato art. 111 cost., riguardava in primo luogo la disciplina processuale della dichiarazione di adottabilità (Titolo II, Capo II della legge) che nel testo originale della legge n. 184 invece consentiva al tribunale per i minorenni di ricevere direttamente anche dagli operatori dei servizi sociali segnalazioni sulle condizioni di un minore, di aprire di ufficio il procedimento di adottabilità o quello di controllo dell'esercizio della potestà ex artt. 330 e seguenti del codice civile (quindi d'intesa con il servizio), nominando un tutore al minore, dichiarando poi l'adottabilità, o la decadenza dalla potestà, o adottando un provvedimento conveniente (in genere l'affido al servizio sociale) con un decreto di per sé non ricorribile in cassazione. 

Dopo la eventuale dichiarazione di adottabilità il pubblico ministero, i genitori, parenti del minorenne ed il tutore avrebbero potuto con ricorso allo stesso tribunale opporsi (solo) al decreto di adottabilità nell'ambito di un procedimento contenzioso rispettoso della terzietà e del contraddittorio da definire con sentenza appellabile e successivamente ricorribile in cassazione (artt. 9, 10, 15 L. n. 184 del 1983). Dunque due funzioni giudiziarie: la prima paternalista, gestita d'intesa soprattutto con i servizi socio sanitari da concludere con provvedimenti discrezionali nell'interesse del minore comprensivi della dichiarazione di adottabilità del bambino - adolescente segnalato; la seconda, in caso di opposizione, di tutela giurisdizionale dei diritti relazionali con il minorenne (limitatamente alla dichiarazione di adottabilità), prima riconosciuti ai solo genitori e poi anche al fanciullo dalla Convenzione di New York del 1989.

Viceversa, secondo la legge 149 del 2001, le segnalazioni dei servizi sociali, di pubblici ufficiali, devono essere presentate al pubblico ministero minorile, cui è attribuita la legittimazione processuale per presentare il ricorso per la dichiarazione di adottabilità aprendo un procedimento rispettoso dei principi stabiliti dalla costituzione: diritto di difesa obbligatorio con eventuale nomina difensore d'ufficio, contraddittorio, ascolto del minore, titolare anche lui di diritti personali e relazionali, dunque parte in senso sostanziale nel processo e perciò doverosamente assistito da un tutore/difensore (C. Cost., sent. 30 gennaio 2002 n. 1), accertamenti da effettuarsi nel rispetto del principio del contraddittorio (artt. 9 e 10 L. cit.).  

L'altra importante modifica aggiungeva nel procedimento per i provvedimenti riguardanti l'esercizio della potestà regolato dall'art. 336 c.c.  la necessità della assistenza di un difensore per le parti, dunque i genitori ma anche il minore, «anche a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge». Significativo che la sentenza della C. Costituzionale ora citata nel sottolineare la qualità di parte del soggetto di età minore si riferiva all'art. 37 co. 3 della L. 149 del 2001 la cui applicazione sarebbe rimasta bloccata per anni.

Infatti queste innovazioni non piacquero a qualcuno, ed il legislatore fu costretto con il decreto legge n. 150 del 2001 a sospendere l'entrata in vigore di tali riforme in via transitoria e non oltre il 30 giugno 2002,  per consentire «l'emanazione di una specifica disciplina della difesa d'ufficio» nei procedimenti di adottabilità e di una completa riforma del procedimento sull'esercizio della potestà disciplinato dall'art. 336 c.c.. Tale sospensione fu prorogata di anno in anno con altri decreti legge fino al 30 giugno 2007 senza che mai fossero realizzate quelle ulteriori riforme che formalmente dovevano giustificarla. Una prova evidente della pretestuosità di questa operazione, che al di là della sua impotenza (era impossibile far revocare una legge definitivamente approvata dal Parlamento) aveva contrastato la riforma processuale dettata dalla L. 149 del 2001 non tanto per non rispettare il principio del contraddittorio sancito dalla riforma dell'art. 111 cost. ma per mantenere il tradizionale carattere paternalista della giustizia minorile che sulla base della concezione della potestà genitoriale (rectius oggi denominata "responsabilità genitoriale") può funzionare solo conservando un rapporto fuso e confuso tra giudici e servizi sociosanitari, attribuendo ai primi la illusoria funzione di garantire con atti giudiziari - non i diritti - ma il benessere del minore.

 

3. Perciò bisogna riconoscere che la recente segnalazione del 29 luglio 2019 della Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza Filomena Albano diretta ai titolari del potere di iniziativa legislativa, all'Autorità Giudiziaria ed ai Comuni, alle Regioni, ai Ministeri delle Politiche Sociali, della Giustizia, della Famiglia, nonché alla Scuola della Magistratura, al Consiglio Nazionale Forense, dell'Ordine degli Assistenti Sociale e degli Psicologi per migliorare il «sistema della tutela minorile» è un documento importante, redatto sia sulla base delle osservazioni conclusive del Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza del febbraio 2019 sia perché «negli ultimi mesi il tema della tutela dei bambini in Italia ha interessato l'opinione pubblica per il verificarsi di casi di cronaca che hanno scosso le coscienze».

Queste le segnalazioni formulate per «disciplinare i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale secondo i principi del giusto processo: 

a) disciplinare la fase delle indagini del pubblico ministero minorile rafforzando la sua funzione di filtro rispetto alla necessità di instaurare il procedimento sulla responsabilità genitoriale, chiarendo tra le altre cose i poteri anche istruttori che gli sono attribuiti, i criteri secondo i quali orientare la sua azione, tesi a valutare la effettiva capacità del ricorso al tribunale, le modalità dell'ascolto della persona di minore età e della famiglia, i contenuti del ricorso, la comunicazione dell'archiviazione;

b) garantire il diritto all'informazione delle parti attraverso una puntuale disciplina del regime delle notifiche, a partire dal ricorso per l'instaurazione del procedimento ed una puntuale disciplina dell'accesso agli atti;

c) garantire il diritto alla difesa tecnica dei genitori, da rendersi obbligatoria con la previsione della nomina di un difensore di ufficio qualora non sia stato nominato quello di fiducia … con la possibilità di accesso al patrocinio a spese dello Stato; 

d) garantire la nomina del curatore speciale e dell'avvocato per il minorenne;

e) stabilire attraverso la previsione di termini perentori tempistiche certe nel contemperamento tra l'esigenza di rapidità e l'esigenza di assicurare un'istruttoria adeguata;

f) stabilire termini particolarmente celeri, laddove il giudice intervenga in via d'urgenza inaudita altera parte, al fine di assicurare un contraddittorio attivo tempestivo;

g) riformare l'art. 403 c.c. stabilendo che il servizio pubblico che opera l'allontanamento d'urgenza informi immediatamente il pubblico ministero; il pubblico ministero, qualora ritenga fondata la misura, presenti richiesta di convalida dell'allontanamento entro un termine breve al tribunale per i minorenni; il tribunale per i minorenni in tempi rapidi, valuti la sussistenza dei presupposti per l'allontanamento effettuato e comunque entro il termine stabilito, proceda all'ascolto delle parti; tutti i termini indicati abbiano un carattere perentorio;

h) specificare il ruolo processuale del servizio sociale territoriale nell'ambito del procedimento;

i) stabilire le modalità dell'espletamento della fase istruttoria con particolare riguardo all'attuazione del principio del contraddittorio …

l) assicurare che il provvedimento  - temporaneo o definitivo - sia adeguatamente motivato, sia circostanziato, vi siano indicate chiaramente le disposizioni concernenti le parti, le richieste rivolte al soggetto esecutore, le modalità ed i tempi di attuazione;

m) assicurare l'impugnabilità dei provvedimenti, anche temporanei nonché tempi certi e celeri per la decisione sull'impugnazione;

n) definire la fase esecutiva dei provvedimenti, delineando soggetti e competenze relative;

o) differenziare i soggetti cui sono demandati compiti valutativi, esecutivi e di controllo dei provvedimenti giudiziali da quelli chiamati a prendere in carico i minorenni e le famiglie per il sostegno genitoriale e la cura».

Per sottolineare l'importanza delle segnalazioni riportate ne illustriamo la portata con alcune osservazioni.

a), e), f), g), h), i), l), m): si tratta di proposte processuali che marcano in modo sistematico e funzionale la distinzione tra protezione, cura e sostegno dei soggetti di età minore da parte dei servizio socio sanitari, attività amministrative che si svolgono nel rispetto del consenso informato del paziente / utente e la tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali che deve svolgersi nel rispetto dell'art. 111 della Costituzione.

Dunque è il pubblico ministero minorile la parte pubblica che, svolgendo una funzione di filtro rispetto a tutte le segnalazioni trasmesse soprattutto dai servizi sociosanitari, può esercitare l'azione civile per la tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali dei soggetti di età minore interessati, al di là della legittimazione spettante ai titolari dei diritti da tutelare. Ciò comporta la necessità di sviluppare comunicazioni e rapporti costruttivi tra operatori dei servizi e pubblici ministeri sia per chiarire la portata delle segnalazioni che per diffondere tra gli operatori informazioni sull'orientamento della procura in tema di rilevanza giuridica di situazioni, condizioni personali per la tutela dei diritti del bambino / adolescente, anche alla luce del principio stabilito dall'art. 13 della Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996 (rat. L. n.77 del 2003) secondo cui «al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un'autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni».

Quest'ultimo principio, chiaramente anti paternalista, illumina il confine tra i due sistemi che il legislatore moderno deve rispettare valorizzando così un indirizzo consolidato dalle convenzioni internazionali.

Va poi ricordato che già la L. n. 154 del 2001 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari), che avendo introdotto gli ordini di protezione aveva marcato la durata dei provvedimenti che comunque incidono sui diritti fondamentali della persona stabilendone la non superiorità ad un anno (art. 342 ter co. 2 e 3 c.c.). Si comprende allora l'importanza delle segnalazioni del Garante che nel rispetto dei diritti umani di per sé inviolabili richiede al legislatore di stabilire termini «celeri e perentori» sia per la durata dei tempi processuali che per quelli dell'efficacia di provvedimenti che incidono sui diritti fondamentali delle persone, come nel caso della riforma dell'art. 403 c.c. assolutamente necessaria.

Va a tal riguardo ricordato che le Linee Guida 2008 per i servizi sociali e socio sanitari della Regione Veneto per la cura e la promozione dell’infanzia e dell’adolescenza ancora oggi in vigore già forniscono dettagliate indicazioni sugli interventi di protezione per un minore in situazione di emergenza e per la funzione svolta dal livello giudiziario in tali circostanze assolutamente conformi alla proposta formulata dalla Garante (lett. g). In presenza delle condizioni previste dall’art. 403 c.c. (minore moralmente o materialmente abbandonato o allevato in luoghi insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi comunque incapaci di provvedere alla sua cura ed educazione) l'intervento di emergenza dell'allontanamento di un bambino /adolescente da adulti incapaci e/o inaffidabili con collocamento in luogo sicuro, «deve essere contestualmente segnalato al pubblico ministero minorile di turno che valuta se presentare una richiesta di convalida al tribunale per i minorenni….» 

«Il magistrato di turno - reperibile 24 ore su 24 tramite il 112 o 113 per comunicazioni telefoniche urgenti. – così è posto nelle condizioni di formulare tempestive richieste al tribunale per i minorenni per la pronuncia del provvedimento urgente di allontanamento del minore. Tali comunicazioni oltre ad assicurare la correttezza dell’intervento d’emergenza di competenza del servizio nel rispetto della competenza giurisdizionale del tribunale per i minorenni e dell’imparzialità del giudice, consentono anche l’effettivo coordinamento tra le iniziative per la tutela giurisdizionale del minore – di competenza della procura per i minorenni - e l’azione diretta all’accertamento e repressione degli eventuali reati di maltrattamento, abuso sessuale, lesioni - della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario competente - attraverso contatti diretti tra i pubblici ministeri interessati, nel rispetto del protocollo di coordinamento vigente tra le procure del Distretto[2]».

Il buon funzionamento fino ad oggi di quest'applicazione concordata dell'art. 403 c.c. tra servizi sociali e Procura per i minorenni del Veneto dimostra la fondatezza della proposta di riforma della Garante.

Infine va sottolineato che l'indicazione sub m) (assicurare l'impugnabilità dei provvedimenti anche temporanei …) è stata di recente confermata dalla Cassazione (Sez. I civ, ord., 4 febbraio2019 - 17 aprile 2019, n. 10777) che innanzi tutto riconosce che «tutti i procedimenti cd. de potestate, ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale, emessi dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. hanno attitudine al giudicato in quanto non revocabili o modificabili, salva la sopravvenienza di fatti nuovi» (Cass. n. 23633/2016; Cass. n. 19780/2018; Cass. S.U. 32359/2018). 

Peraltro il provvedimento che incide su diritti di natura personalissima di primario rango costituzionale è immediatamente reclamabile (Cass. n. 12650/2015) perché, pur se adottato nell'ambito di procedimento ancora in corso, è già idoneo a produrre effetti pregiudizievoli per i minori e per il genitore, in ragione delle sue immediate ripercussioni sulla relazione parentale che ha un primario rango costituzionale. Il provvedimento è altresì suscettibile di acquisire la definitività equiparabile al giudicato, all'esito delle fasi impugnatorie, atteso che solo la sopravvenienza di fatti nuovi lo rende modificabile o revocabile.

b), c), d), riguardanti i diritti di difesa delle parti private nel processo.

Innanzi tutto i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale hanno la stessa natura e funzione: la tutela dei diritti personali e relazionali dei soggetti interessati, genitori, parenti bambini ed adolescenti. Dunque regole processuali comuni, quelle del rito camerale, anche perché le diversità riguardano solo i provvedimenti. Ricordiamo che gli artt. 10 e 16 della L. n. 184 del 1983 sia nella versione originaria che in quella modificata dalla L. n. 149 del 2001 stabiliscono - al di là della decisione di dichiarare l'adottabilità del minorenne da formulare con sentenza (art. 15) - che per gli altri provvedimenti «si applicano le norme di cui agli articoli 330 e seguenti del codice civile».

Ecco dunque l'importanza delle indicazioni fornite al legislatore dal Garante per assicurare   s e m p r e   a tutte le parti, dunque anche al soggetto di età minore, il diritto all'informazione, il diritto di difesa e di rappresentanza autonoma da garantire ad ognuno, ivi compreso il soggetto di età minore che di per sé, se è stato avviato il procedimento, ha una posizione autonoma rispetto ai genitori. 

Significativo è che recentemente la giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, ha confermato che nei giudizi riguardanti l'adozione di provvedimenti limitativi, ablativi della responsabilità genitoriale, l'art. 336 c.c. come modificato dalla legge 149 del 2001, art. 37 co. 3) richiede la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. ove non sia stato nominato un tutore provvisorio, sussistendo un conflitto d'interesse verso entrambi i genitori. Perciò la mancata nomina di un difensore al minore nel primo grado di giudizio comporta una lesione del diritto di difesa del minore stesso che non ha potuto esercitare alcun contraddittorio su tutti gli atti processuali che hanno costituito il presupposto per la decisione impugnata (Cass. sez I 13 marzo 2019 n. 7196; C. d'Appello di Brescia sent. n. 81/20 del 14 febbraio 2020).

h), o), n): Altro profilo importante segnalato in tali punti è quello della differenza del ruolo dei servizi nel processo e fuori del processo. Se la protezione, la cura, il sostegno degli utenti, anche di età minore, si svolgono nel rispetto del principio del consenso informato ciò comporta, come prescrive l'art 1 comma 2 della L. 219 del 2017, che sia «promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico». Non si tratta solo di rispetto reciproco, ma anche di favorire lo sviluppo della cosiddetta alleanza terapeutica, un rapporto di fiducia che facilita il raggiungimento di buoni risultati soprattutto se si tratta di psicoterapia o di indirizzi educativi per bambini ed adolescenti. Di qui la necessità di differenziare gli operatori socio sanitari che prendono in carico i minorenni e le famiglie da quelli demandati a compiti valutativi, esecutivi, di controllo sulla base di provvedimenti giudiziari (o). Ma a tal proposito è altrettanto necessario specificare i ruoli processuali svolti dagli operatori nell'ambito dei procedimenti. Fornire le informazioni richieste dal giudice (artt. 213 738 c.p.c.) è naturalmente un'attività semplice se si riferisce alle operazioni già svolte sul piano amministrativo - sanitario. Ma laddove il giudice voglia chiedere un contributo nell'ambito del processo, va rispettato il principio del contraddittorio sancito dall'art. 111 cost. Dunque, come previsto dall'art. 10 della L. 184 del 1983 e succ., il giudice può disporre tramite i servizi sociali locali o gli organi di pubblica sicurezza, più approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull’ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono o situazioni comunque pregiudizievoli ma le parti private (naturalmente anche il pubblico ministero), assistiti dal difensore, possono partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale, presentare istanze anche istruttorie, prendere visione ed estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo previa autorizzazione del giudice. I

Insomma i rapporti tra operatori ed utenti sono molto diversi ed è grave che ancora non siano state aggiornate le disposizioni che debbono consentire, come suggerisce la Garante, una posizione corretta e costruttiva agli operatori dei servizi impegnati nelle due distinte e diversamente disciplinate attività, quella di cura protezione e sostegno degli utenti, quella di tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali dei soggetti anche di età minore coinvolti in un processo dal pubblico ministero o da una parte privata.

In conclusione le proposte formulate dalla Garante affrontano limiti e contraddizioni del sistema attuale ancora condizionato dalla tradizione paternalista della giustizia minorile e mirano a rafforzare le due azioni distinte che lo Stato attiva con la L. 149 del 2001 per la tutela del "Diritto del minore ad una famiglia" e cioè quella di protezione, sostegno, cura «nel rispetto della loro autonomia dei nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia» e quella di tutela giurisdizionale dei diritti personali e relazionali incisi e compromessi per l'incapacità genitoriale (art. 30 co. 2 cost). 


 
[1]  Zatti P., Rapporto educativo e potere d’intervento del giudice, De Cristofaro, Belvedere (a cura di), L’autonomia dei minori tra famiglia e società, Giuffrè, Milano, 189 – 203, 1980.

[2] Cfr. Regione del Veneto, Quaderni =1/08, Linee Guida 2008 per i servizi sociali e socio sanitari per la cura e la promozione dell’infanzia e dell’adolescenza, pag. 87.

05/02/2021
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