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Giustizia climatica strategica e transizione ecologica. Prime indicazioni della Cassazione sullo spazio d'azione, per il giudice italiano, nell'approccio alle nuove frontiere del diritto

di Marta Buffoni
dottoranda di ricerca presso l'Università del Piemonte Orientale

E' ufficialmente aperta la stagione della giurisdizione climatica nel nostro ordinamento. Lo scorso 21 luglio, nel cuore di un'estate dal caldo record, è stata pubblicata l’ordinanza n. 20381 con cui la Corte di Cassazione, per la prima volta, ha affermato che, a certe condizioni, il giudice ordinario italiano è competente a decidere le cause in materia climatica. La particolarità del tema trattato e l'importanza che, verosimilmente, questo provvedimento andrà acquisendo via via nel tempo rendono opportuna una riflessione di primo approfondimento.

1. Il contesto

La pronuncia risolve l'istanza per regolamento preventivo di giurisdizione proposta da GreenPeace Onlus, Recommon E.T.S. (e altri), parti attrici nella causa promossa contro Eni (e altri) attualmente pendente in primo grado avanti il Tribunale di Roma.

Tale causa è volta i) ad accertare l'inottemperanza dei convenuti al dovere di adottare, nell'esercizio dell'attività industriale e commerciale svolta, le misure necessarie per ridurre il volume di emissioni di gas climalteranti in modo da consentire il raggiungimento dell'obiettivo fissato dagli accordi internazionali di contrasto al cambiamento climatico consistente nel contenimento dell'incremento della temperatura globale entro 1,5C° rispetto ai livelli preindustriali; ii) ad ottenere la dichiarazione della responsabilità solidale dei convenuti per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dagli attori in conseguenza al cambiamento climatico, per violazione del combinato disposto degli artt. 2 e 8 CEDU, nonché degli articoli 2043, 2050 e 2051 c.c.; iii) ad ottenere la condanna dei convenuti a limitare il volume annuo aggregato di tutte le emissioni di gas climalteranti, in misura tale che a fine 2030 lo stesso venga ridotto di almeno il 45% rispetto ai livelli del 2020, ovvero in altra misura che garantisca il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale, con la fissazione di una somma di denaro da pagarsi in caso d'inottemperanza o ritardo nell'esecuzione del provvedimento e in subordine, la condanna dei convenuti alla adozione di ogni iniziativa necessaria a garantire il rispetto degli scenari elaborati dalla comunità scientifica internazionale per contenere l’aumento della temperatura entro 1,5° C.

La necessità di chiarire il profilo giurisdizionale è emersa a fronte di sollecitazioni sia endogene, sia esogene alla vicenda processuale.

Quanto al primo aspetto, la questione è stata sollevata dalla difesa di ENI che, per quanto qui di interesse, ha eccepito a) il difetto assoluto di giurisdizione, avendo la domanda ad oggetto l'adozione di misure che presuppongono valutazioni di natura politico-legislativa, spettanti al Parlamento ed al Governo, b) il difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria italiana, avendo gli attori allegato, a sostegno della domanda, anche condotte tenute all'estero; c) il difetto di giurisdizione del Giudice ordinario, spettando in via esclusiva al Ministro dell'ambiente la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale avanti il giudice amministrativo.

Gli impulsi esterni, invece, hanno avuto origine dalla sentenza[1] resa nel 2024 in una causa «analoga, ma non identica» (p. 13) con cui proprio il Tribunale di Roma ha affermato la carenza assoluta di giurisdizione ordinaria in materia climatica.

In questo quadro, appare comprensibile la scelta difensiva di non tergiversare nello "sciogliere il nodo venuto al pettine". La stessa Suprema Corte riconosce, infatti, che il regolamento richiesto è ammissibile perché sussiste un interesse concreto ed attuale alla risoluzione della questione in via definitiva.

 

2. Il primo caso di "comune azione risarcitoria senza precedenti"

Dopo aver inquadrato questa iniziativa nel genere dei contenziosi climatici strategici (climate change litigations), la Corte indugia nel tratteggiarne il perimetro differenziale rispetto ad altri praticati sia nel contesto europeo, sia nel contesto nazionale.

Atteso che «non si riscontrano precedenti nella giurisprudenza di legittimità» (p. 13) in relazione alle questioni processuali e di merito sollevate, la Corte afferma che questa causa si caratterizza, da un lato, per la chiamata in giudizio di un’impresa privata anziché di uno Stato Nazionale (come avvenuto sia in casi europei, sia nell'altro caso italiano). Dall'altro, perché fa valere una «comune azione risarcitoria» (p. 17) fondata sull'allegazione di un danno consistente nella lesione del diritto alla vita e al rispetto della vita privata e famigliare generato dall'inadempimento degli obblighi negativi (di astensione) e positivi (di azione) fissati dagli artt. 2 e 8 della CEDU e dai trattati internazionali, anziché una responsabilità dello Stato legislatore per «atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico nella questione del cambiamento climatico antropogenico», come avvenuto nell'altro caso italiano, almeno secondo l'interpretazione del giudice di merito in quel caso.

Al netto dell'infelice accostamento espressivo che non giova alla comprensione, è emersa una prima interpretazione che valorizza queste distinzioni ipotizzando, in obiter, una pronuncia implicita sul difetto di giurisdizione nel caso di azione risarcitoria climatica proposta nei confronti dello Stato in quanto volta ad introdurre, per via giudiziaria, limiti alla discrezionalità politica in violazione del principio di separazione dei poteri[2].

 

3. Un richiamo da non sottovalutare

Un approccio più cauto pare opportuno.

Questa ipotesi interpretativa sottende, invero, un'indimostrata condivisione, da parte della Corte, della qualificazione della domanda operata dal giudice di merito che, almeno a quanto consta, la Corte si limita a ritrascrivere come mera citazione, chiaramente isolata e identificata da virgolette.

D'altro canto, appena poche righe dopo (par. 7.2. pp. 18-19) e con ampio richiamo alla propria giurisprudenza, la Corte ricorda che la violazione del principio di separazione dei poteri si verifica in un unico caso, allorché il giudice, in luogo di una norma esistente, ne applichi un'altra da lui stesso creata, così esercitando un'attività di produzione normativa che esula dalle sue competenze. Ne segue, allora, che l'avvio di un'azione risarcitoria climatica nei confronti dello Stato non determina, di per sé, alcun difetto di giurisdizione.

Se, poi, tale azione è fondata sull'allegazione dell'omesso o illegittimo esercizio della potestà legislativa e se il bene della vita unicamente dedotto in giudizio attiene al danno derivato dall'adozione (o mancata adozione) di un determinato atto o provvedimento, allora il difetto di giurisdizione non è neppure invocabile. In questo caso, infatti, la lite attiene alla materia dei diritti soggettivi e, a fronte di affermati diritti fondamentali riconosciuti e protetti dalla normativa nazionale e sovranazionale, non può escludersi il diritto di azione, anche se la lesione sia fatta discendere dall'esercizio, asseritamente illegittimo, di una potestà pubblica o dalla predisposizione, presentazione, o mancata modifica di un atto legislativo. 

Piuttosto che un’implicita presa di posizione, quindi, sembra trattarsi di linee guida tese ad evitare fraintendimenti futuri, da un lato e, dall'altro, a indicare la strada per una corretta formulazione della domanda di tutela negli eventuali - e tutt'altro che peregrini - contenziosi a venire.

Del resto, già occupandosi della nota sentenza CEDU sul caso Vereinklimaseniorinnen, la Corte, considerato il numero elevato di soggetti potenzialmente lesi nel diritto ad un clima stabile dalla condotta dello Stato, ha prospettato addirittura l’ammissibilità di una class action climatica veicolata da un’organizzazione o un’associazione che abbia nei propri scopi statutari la tutela di tale diritto[3].

 

4. Contenziosi strategici e diritti

Ora, indipendentemente dalla modalità processuale opzionata per approcciare la questione, sta di fatto che il fenomeno dei contenziosi climatici strategici, di cui la Corte dà espressamente conto, si colloca in un quadro ormai consolidato di ibridazione dei sistemi giuridici. Esso trova terreno fertile in questioni che, come quella climatica, caratterizzandosi per il loro potenziale divisivo, registrano un sostanziale arretramento della politica nella loro definizione, una «fuga dal legislatore dalle sue responsabilità politiche»[4]. E in questo territorio abbandonato, le istanze dei cittadini vengono convogliate all'attenzione delle Corti nazionali e, dove possibile, sovranazionali. 

Non si tratta di un'alterazione degli equilibri della democrazia rappresentativa, ma di un processo di partecipazione democratica attraverso il quale la società civile attiva un meccanismo fisiologico degli ordimenti basati sui diritti, dove il Giudice è chiamato a garantire effettività a quei diritti, anche ponendosi in contrasto con il legislatore; è chiamato a costruire argini «contro le prevaricazioni di uno Stato che fa naturalmente fatica a rinunciare alla sovranità tradizionalmente connotata in termini di assolutezza»[5] e di un mercato che si percepisce svincolato dai limiti imposti dai diritti fondamentali.

In questi termini, dunque, la sindacabilità dell'esercizio del potere politico è pacifica. E la vittoria elettorale non costituisce un'esimente.


 
[1] Trib. Roma, 26 febbraio 2024, n. 3552. A questo riguardo sia consentito il rinvio a M. Buffoni, Il dito e la luna del diritto al clima. Tra Italia ed Europa, in Economiacircolare.com, 11 giugno 2024.

[2] In questo senso L. Serafinelli, Cass. Civ. Sez. Un. Ord. 21 luglio 2025 n. 20381, Greenpeace et al e. Eni et al.: navigare nel mare (forse un poco meno?) incerto del contenzioso climatico all’italiana, in OCA-Osservatorio sul Costituzionalismo Ambientale, in DPCE online, 29 luglio 2025.

[3] Cfr. il report dedicato a questo caso reso disponibile sul sito della Cassazione.

[4] G. Orrù, Giudici sovrani?, in M. Basicu (a cura di), Crisi e metamorfosi della sovranità. XIX Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica, Trento il 29-30 settembre 1994, in Quaderni della Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2, Milano, Giuffrè, 1996, pp. 93-100.

[5] A. Pisanò, in Crisi della legge e litigation strategy, Milano, Giuffrè, 2016, p. 84.

15/10/2025
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