Magistratura democratica
Magistratura e società

E’ urgente garantire lo statuto d’indipendenza dei magistrati del pubblico ministero *

Per liberare la giustizia da ogni sospetto di dipendenza verso il potere politico, occorre riformare lo statuto del pubblico ministero, sostengono i due magistrati, che reputano “insufficiente” la posizione del Ministro della Giustizia su questo tema.

Il 3 luglio 2017 il presidente della Repubblica ha affermato davanti al Congresso il suo auspicio che sia portata a compimento «la separazione dell’esecutivo e del giudiziario, rafforzando il ruolo del Consiglio superiore della magistratura e limitando l’intervento dell’esecutivo nella nomina dei magistrati del pubblico ministero». L’idea di questa riforma dello statuto del pubblico ministero è nata nel 1995, a seguito dei lavori sulla riforma della giustizia presieduti dal magistrato Pierre Truche (1929-2020).

Venticinque anni dopo, questa riforma non ha ancora visto la luce e la reticenza del potere politico a condurla a compimento ci interroga sulle sue vere intenzioni, in un momento nel quale l’autorità giudiziaria, oggetto di forti critiche, è indebolita, mentre la sua indipendenza è regolarmente posta in crisi. Pertanto la riforma dello statuto del pubblico ministero è divenuta sia una urgenza che una necessità. La nobiltà e l’esigenza delle funzioni di perseguire e di giudicare richiedono ai magistrati doveri ed esigenze particolarmente forti in tema di imparzialità e di indipendenza.

Nell’esercizio della professione di un magistrato, giudice o pubblico ministero, l’indipendenza ha sempre una duplice dimensione. Anzitutto una dimensione personale. Anche se si immaginano tutte le garanzie possibili, in particolare sul piano ordinamentale, l’indipendenza del magistrato passa sempre per l’esercizio personale quotidiano: è suo dovere essere lucido nel suo esercizio professionale, saper identificare le sue eventuali dipendenze per superarle e le sue debolezze per ovviarvi. Il magistrato non deve mai sacrificare ciò che fonda e giustifica la sua azione, la dimensione etica della sua professione, le esigenze deontologiche d’indipendenza, di integrità, probità, lealtà, imparzialità e delicatezza.

In questi ultimi anni l’istituzione ha molto operato per migliorare le garanzie di indipendenza del magistrato. Con un rafforzamento delle regole deontologiche, che si è tradotto in particola nella redazione di una raccolta degli obblighi deontologici. Con un insegnamento solido e specifico alla Scuola Nazionale della Magistratura per gli uditori giudiziari. Con la messa in opera della “dichiarazione di interessi” e la creazione di un servizio di supporto deontologico. E infine con la possibilità per ogni cittadino di rivolgersi al Consiglio Superiore della Magistratura, quando ritenga che in una procedura giudiziaria che lo riguardi, il comportamento di un magistrato sia suscettibile di essere valutato disciplinarmente. Tutte queste evoluzioni rafforzano la deontologia dei magistrati e alimentano un’etica della responsabilità nella quale si coniugano rispetto della legge, della gerarchia delle norme e dei diritti fondamentali delle persone. E ’questo che il cittadino si attende dalla giustizia.

Ma l’indipendenza deve anche e soprattutto essere garantita sul piano istituzionale. L’indipendenza dei magistrati del pubblico ministero deve passare per una procedura di nomina che tenga conto solo l’attitudine e le qualità professionali, indipendentemente da ogni appartenenza, reale o supposta ad una organizzazione professionale o una scuola di pensiero. Il nuovo guardasigilli Eric Dupont-Moretti, ha annunciato in luglio la sua intenzione di «riformare lo statuto del pubblico ministero e di allineare la carriera dei procuratori a quella dei giudici».

Veleni di sospetto

Dietro questa formulazione si nascondono in realtà una insufficiente ambizione e una profonda inettitudine del rimedio proposto a fronte del veleno di sospetto che circonda oggi il modo di nomina dei procuratori generali e dei procuratori della Repubblica del nostro paese e che ha come conseguenza che quando sopravviene un caso politico-finanziario, viene messa in questione la loro imparzialità con il qualificarli come braccio armato dell’esecutivo.

Quale è la situazione? E’ caratterizzata dalla unità del corpo giudiziario, principio di valore costituzionale regolarmente riaffermato dal Consiglio Costituzionale. L’autorità giudiziaria comprende insieme giudici e pubblici ministeri, gli uni e gli altri “guardiani della libertà individuale” a termini dell’articolo 66 della Costituzione. Nella qualità di membri dell’autorità giudiziaria i magistrati del pubblico ministero devono difendere l’interesse generale, vegliare sul buon funzionamento della giustizia e sulla garanzia dei diritti delle persone.

Sul piano statutario, il Csm, presieduto dal primo presidente e dal procuratore generale della Corte di Cassazione e composto in maggioranza di non-magistrati, è garante, insieme al Presidente della Repubblica, dell’indipendenza della magistratura.  La sezione del Csm competente per i giudici ha il potere di proporre la nomina dei primi presidenti di Corte di appello, dei presidenti dei tribunali ordinari e dei giudici della Corte di cassazione. E’dunque il Csm che li sceglie. Per la nomina degli altri giudici il Csm formula un parere vincolante per il governo. Invece i pubblici ministeri sono sempre nominati su proposta del guardasigilli, poiché il Csm emette un parere che non vincola il governo, che può, secondo la legge, ignorarlo. A partire dal 2008 tutti i guardasigilli hanno sempre rispettato i pareri del Csm, ma dal punto di vista della normativa costituzionale nulla impedirebbe ad un potere politico meno rispettoso della separazione dei poteri di ignorare un parere sfavorevole e nominare comunque il suo candidato.

Una riforma inadeguata

L’idea di allineare lo statuto dei pm su quello dei giudici, prevedendo la necessità di un parere vincolante del Csm è stata avanzata la prima volta nel 1995. Poteva sembrare, allora, adeguata e aveva indotto il presidente Chirac ad aprire nel 1998 il procedimento di riforma costituzionale.

Ma oggi, quando la nostra società è profondamente cambiata, quando la possibilità per il guardasigilli di emettere direttive nei casi individuali è stata soppressa dalla legge  del 25 luglio 2013, quando le esigenze di imparzialità e trasparenza della giustizia non sono mai state così forti, una riforma che si limitasse ad esigere il parere vincolante del Csm per le nomine di tutti i pm non sarebbe più sufficiente per rispondere a queste attese legittime. Sarebbe insufficiente e inadeguata rispetto alle esigenze di una giustizia moderna se non andasse più avanti. La Francia  del 2020 non è più quella del 1995! La composizione del Csm è stata modificata nel 2010 e nel 2016: per evitare accuse di corporativismo i magistrati non sono più in maggioranza nelle sezioni che decidono sulle nomine. Il funzionamento del Consiglio non è più oggetto di critiche da molti anni.

Infine l’istituzione del Pubblico Ministero Europeo, dotato di uno statuto di indipendenza ed integrato nel nostro sistema giudiziario nazionale, pone di nuovo  la questione della necessaria indipendenza ordinamentale del pubblico ministero francese, sia per ragioni di buona amministrazione della giustizia sia  per assicurare l’eguaglianza dei cittadini davanti alla stessa. Chi è soggetto ad indagini godrebbe d’ora in avanti di garanzie differenti quanto all’indipendenza dell’autorità inquirente a seconda che il reato commesso rechi o meno pregiudizio agli interessi finanziari dell’Unione.

Il magistrato del pubblico ministero ha un ruolo duale che si ripercuote sul suo statuto ibrido. Soggetto alla subordinazione gerarchica, mette in opera la politica penale stabilità dal governo secondo l’articolo 20 della Costituzione. Questa catena gerarchica, posta sotto l’autorità del guardasigilli, garantisce l’applicazione omogenea della legge e di una politica penale coerente sull’insieme del territorio nazionale. Parallelamente il pubblico ministero è indipendente dal potere politico e tratta, in piena imparzialità ed indipendenza, i casi individuali poiché, a seguito della legge del 25 luglio 2013, non può più ricevere, su questi, direttive del guardasigilli. Poiché è magistrato e guardiano della libertà individuale, il magistrato del pubblico ministero dirige la polizia giudiziaria, controlla la legalità delle indagini e la proporzionalità degli atti di indagine. Veglia a che le indagini mirino alla ricerca della verità e che sia svolte, a carico e discarico (à charge et à decharge), nel rispetto dei diritti della vittima, del denunciante e delle persone sospettate.

Il rischio della funzionarizzazione

Negli ultimi anni abbiamo visto svilupparsi e generalizzarsi il sospetto in ordine alla nomina dei più alti magistrati del pubblico ministero nel nostro paese e la messa in discussione sempre più frequentemente della loro imparzialità nelle indagini che dirigono. D’altronde è stata istituita una commissione d’inchiesta parlamentare sugli ostacoli all’indipendenza del potere giudiziario, che deve depositare le conclusioni questo 2 settembre.

Oggi il pubblico ministero francese si trova ad un crocevia. O resta il guardiano della libertà individuale come lo concepisce l’articolo 66 della Costituzione, o non è in grado di ricoprire questo ruolo e diverrà una sorta di avvocato non più dell’interesse pubblico, ma dei poteri pubblici; questo segnerebbe la fine dell’unità della magistratura e aprirebbe la via alla evoluzione del pm verso una forma di funzionarizzazione ove la difesa delle libertà individuali e la salvaguardia dell’interesse generale avrebbero tutto da perdere.

Di fronte a questa crisi, la sola risposta utile è quella di rivedere profondamente lo statuto del pubblico ministero. Non si tratta di proclamare la sua totale indipendenza: il principio della subordinazione gerarchica deve essere mantenuto, poiché non si può contestare che la definizione delle politiche pubbliche, compresa la materia giudiziaria, spetti al governo. Si tratta piuttosto di porre in essere un dispositivo tale che la questione del sospetto non si possa più porre, affidando alla sezione pubblico ministero del Csm il potere di proporre le nomine dei procuratori generali, dei procuratori della Repubblica e dei procuratori generali presso la Corte di Cassazione; tutti gli altri pubblici ministeri sarebbero nominati su proposta del guardasigilli con parere vincolante del Csm.

Questa riforma è la condizione per una giustizia indipendente e affrancata dal sospetto. E’ la condizione per una reale separazione dei poteri e per l’imparzialità, tanto reale che apparente, senza la quale la giustizia non sarebbe più la giustizia, essenziale per il funzionamento della democrazia e per rispondere alle attese dei nostri concittadini.

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Pubblichiamo qui in traduzione a cura di Edmondo Bruti Liberati l'articolo di François Molins e Jean-Louis Nadal «Il est urgent de garantir l’indépendance statutaire des magistrats du parquet», apparso su Le Monde, Tribune, il 2 settembre 2020 (https://www.lemonde.fr/idees/article/2020/09/02/francois-molins-et-jean-louis-nadal-il-est-urgent-de-garantir-l-independance-statutaire-des-magistrats-du-parquet_6050629_3232.html). Si ringraziano gli Autori e Le Monde per aver gentilmente concesso l'autorizzazione alla pubblicazione. 

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François Molins è procuratore generale presso la Corte di Cassazione

Jean- Louis Nadal è procuratore generale onorario presso la Corte di Cassazione, già presidente dell’Alta Autorità per la trasparenza della vita pubblica

18/09/2020
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27/11/2023
Magistrato e cittadino: l’imparzialità dell’interprete in discussione

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22/11/2023
Appunti comparatistici sulla (apparenza della) imparzialità giudiziaria

E' diffusa presso ogni sistema giuridico la preoccupazione che sia sempre rispettato il canone dell'imparzialità dell'opera giudiziale affinché ai cittadini che vi si rivolgono la Giustizia -oltre ad essere rettamente amministrata -appaia circondata da garanzie sostanziali e processuali tali da sottarla al rischio di impropri condizionamenti legati alla persona ed ai comportamenti dei Giudici. L'esperienza giuridica inglese è particolarmente ricca di un pensiero, sviluppatosi sia in dottrina sia in giurisprudenza, modellato nel senso di creare come presupposto della violazione del canone stesso circostanze che ispirino nel cittadino anche il semplice, seppur ragionevole, timore che l'attività giudiziale non sia l'espressione della scienza e coscienza di chi la pone in essere. In particolare, tale presupposto si ritiene realizzato allorché risalti un nesso diretto tra le condizioni soggettive del Giudice e la decisione adottata nel singolo caso, escludendo l'automatica presunzione che il modo di esprimere la propria personalità mediante le libertà riconosciute dall'ordinamento sia di per sé indice sintomatico dell'allontanamento dalla via dell'imparzialità effettiva o anche semplicemente percepita. In altri termini, il diritto di common law europeo pretende sempre la severa dimostrazione, ai fini di una pronuncia caducatoria di provvedimenti giurisdizionali impugnati per la ricorrenza di un “bias” inteso come assenza nell'animo del giudicante di pregiudizi in contrasto con i suoi doveri funzionali, dell'immediata e provata incidenza sull'atto del suo stato soggettivo quale si ricava da comportamenti concreti e da specifici interessi in relazione alla questione oggetto del processo. Importanti e decisive indicazioni provengono dal grado più elevato della giurisprudenza del Regno Unito. La lezione che se ne ricava ben può orientare anche il dibattito nell'ordinamento italiano e consentire di ritenere, in perfetta sintonia con le regole codicistiche in materia di astensione e ricusazione, che solo la concreta riferibilità alla singola fattispecie da esaminare di circostanze riguardanti la persona del Giudice che inequivocabilmente disvelino un atteggiamento contrario ai doveri di imparzialità univocamente desumibile dal contenuto intrinseco del provvedimento possa giustificare la seguente conclusione. Da un canto, che sia rimasto inosservato l'obbligo di astensione e, d'altro canto, che la decisione possa dirsi affetta da un pregiudizio in misura tale da esporla al rischio della successiva caducazione in quanto immediato prodotto di tale improprio atteggiamento mentale.
Soltanto il rigorosamente verificato difetto di questi requisiti, e non altri sintomi esteriori quali le convinzioni personali rimaste ai margini del provvedimento, si rivela indice affidabile e consentito dell'avvenuta delusione dell'aspettativa collettiva di un'amministrazione imparziale della Giustizia, anche sotto l'aspetto dell'apparenza.

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