Magistratura democratica
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Che ne è della Giustizia, quale funzione statale?

di Adolfo di Majo
Professore ordinario Università Roma 3
Pubblichiamo l'appello promosso da alcuni professori universitari per la tutela della natura e funzione statale della Giustizia
Che ne è della Giustizia, quale funzione statale?

Esiste una profonda preoccupazione non solo da parte dei cittadini ma anche dagli stessi giudici che l’attuale linea governativa di riforma della giustizia civile abbia imboccato una strada profondamente errata e fuorviante. Il che, del resto, ha luogo non solo ora per effetto della linea governativa ma anche andando a ritroso, per i governi che hanno preceduto quello di Renzi.

L’errore profondo è consistito e consiste nella convinzione che il “nemico” da combattere sia l’eccesso del ricorso ai giudici, onde l’obiettivo da perseguire è sostanzialmente quello di ridurre il ricorso alla giustizia.

La linea riformatrice del governo conferma come un siffatto obiettivo può essere perseguito in vario modo, aumentando il costo della giustizia oppure indebolendo la componente, per così dire, pubblica o statale di essa, attraverso l’intervento di altri operatori, che di pubblico hanno ben poco.

Quanto al costo della giustizia, è sotto gli occhi di tutti che essa, se non ha raggiunto i picchi raggiunti in altri ordinamenti (ad es. Gran Bretagna), ha comunque toccato livelli assai alti, suscettibili di aumento ulteriore a seguito della eventuale nomina di arbitri (negli istituendi arbitrati), tali ormai da renderla poco praticabile per i ceti più deboli…

Quanto al secondo aspetto e cioè alla alternativa Stato – non Stato, basta pensare alla storia ormai lunga e tormentata, che ha visto l’irrompere, nell’area della giustizia civile, di persone e/o operatori di varia origine e composizione e composizione, a suo tempo, ad opera delle Sezioni Stralcio composte da avvocati e, più semplicemente, da dottori in legge, ai giudici di pace istituiti nel 1991, alla c.d. magistratura onoraria (Got) ed ora, nel progetto governativo, alla conversione degli avvocati in arbitri, nei previsti arbitrati e/o nelle forme della “negoziazione assistita”.

Del resto, anche l’inevitabile svuotamento degli organici, specie a livello apicale (dei Presidenti di Tribunale o di Corti d’Appello e/o di Sezioni di essi), creato dall'improvviso abbassamento dell’età a 70 anni (anziché a 75), e, vista la irrealizzabilità in tempi brevi del loro rimpiazzo, dati i tempi biblici dei concorsi di immissione dei giovani, quasi come se la Giustizia non avesse bisogno, forse più di altri comparti, di persone fornite di esperienza e saggezza, e quindi anche di età, non può non andare contro ogni progetto di efficienza e di affidabilità.

Il prezzo della alternativa Stato – non Stato è sotto gli occhi di tutti. Alla (ma solo) apparente celerità delle decisioni (con l’obiettivo della eliminazione dell’arretrato) ha corrisposto sovente il grave abbassamento della qualità delle decisioni, per non dire della loro insostenibilità, e non solo dal punto di vista del rispetto della legge e del diritto, con l’intasamento inevitabile delle sedi in cui quelle stesse decisioni sarebbero state impugnate.

E su ciò è da ritenere che possa fare ben poco, quale palliativo, l’introdotta responsabilità civile dei giudici.

Oggi l’irruzione degli avvocati, improvvisatisi arbitri (su accordo delle parti!), e nominati da Consigli dell’Ordine, segue il palese rifiuto dello Stato a voler, esso, amministrare giustizia, considerata ormai una funzione non più centrale tra quelle pubbliche ma gradualmente da ridurre e/o addirittura da dimenticare, per aprire a forma di “giustizia privata”.

Peraltro, il corso della giustizia, già “biblico”, dovrebbe ora arrestarsi in attesa che si dia risposta, anche da parte del giudice togato, alla attuabilità e/o legittimità dell’accordo compromissorio con cui le parti dichiarano di volere fare a meno del giudice, così da dar luogo alla traslatio judicii. A tacere della inevitabile complicazione allorquando tale traslatio debba avere luogo in sede di appello.

E così, in definitiva, fingendo di dimenticare che il bisogno di giustizia non è un capriccio delle parti, a tal punto da costringerle a mettersi d’accordo e/o delegando ad altri il potere di accordarsi, bensì un bisogno reale, che nasce sul terreno della violazione dei diritti e dell’illegalità, e cioè proprio su di un terreno ove è la sovranità dello Stato a doversi fare sentire, attraverso lo jus dicere.

Ben altra deve essere la via che occorre imboccare ed è quella del potenziamento dell’amministrazione della Giustizia, considerata quale servizio fornito ai cittadini, così come la scuola e la sanità, per la soddisfazione di un diritto fondamentale, previsto dalla Costituzione (art. 24).

E la via non passa per la alternativa Stato - non Stato, che sostanzialmente si risolve nel rifiuto di fornire il servizio bensì nel rafforzamento della sua struttura e composizione, e ciò sia del personale giudicante (si pensi al tanto declamato ufficio del Giudice) come di quello amministrativo.

Così come una via ordinamentale potrebbe essere una riflessione sui gradi di giudizio che la giustizia deve percorrere, che non è detto (neanche in base alla Costituzione) debbano essere tre o quattro!

Inoltre la Cassazione deve (tornare ad) essere un mezzo “straordinario” di impugnazione, cui debbono accedere preferibilmente avvocati che non trattino il merito dei giudizi, come accade in altri Paesi (ad es. Francia).

In conclusione, è quasi un paradosso il fatto che, se con riguardo al lavoratore, si parli oggi di “contratto a tutele crescenti”, per il cittadino, sul terreno della giustizia civile, la tutela si manifesta sempre più “decrescente”!


Caro Presidente, da quanti (giudici, professori e avvocati) vivono quotidianamente l’esperienza del processo civile e che ne conoscono pregi e difetti Ti viene rivolto l’invito ad abbandonare l’indirizzo che hai scelto, perché inutile e dannoso, per scegliere quello del potenziamento delle strutture, sia in persone che cose, della Giustizia Civile e dell’introduzione di modifiche ordinamentali che ne semplifichino radicalmente l’iter (quale ad es. l’abolizione di uno dei gradi di merito) e ne garantiscano, in primo luogo, l’affidabilità (come il ritorno alla Collegialità del giudice di primo grado).

Condividono il messaggio i Proff.ri di procedura civile Antonio Carratta, Giorgio Costantino, Girolamo Bongiorno, Bruno Sassani, Bruno Capponi. 

21/10/2014
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Per rispondere alle richieste di conoscenza dell’attuale situazione italiana che provengono da magistrati e giuristi stranieri, pubblichiamo in inglese il testo del Controvento firmato da Nello Rossi intitolato L’estremismo istituzionale del governo Meloni. Una rivincita degli “esclusi”?. Il testo italiano si può leggere qui.


An astute “orderly accounts” economic policy and the Prime Minister’s political tightrope between ideological sympathies for Trump’s administration and her intention not to lose touch with the EU on the Ukraine crisis have earned Meloni’s government a public image of moderacy and refuted many of the worries and apocalyptic forecasts that had emerged on the eve of its inauguration. This public image was only insignificantly touched by Giorgia Meloni’s statements that followed the assassination of Charlie Kirk, when, forgetful of her role as all Italians’ Prime Minister, she did not hesitate to hold the Italian left accountable for imaginary current threats and exclusively responsible for the hatred, conflicts and victims of the “Years of Lead”. However, a closer observation of the government’s institutional policy makes its measured, well-balanced and cautious image fade away and make way for deliberate inflexibility and for choices grounded on institutional and constitutional revanchism. These traits do not come directly from fascism (in facts, Meloni’s government is utterly a-fascist), but rather from the deeply authoritarian cultural foundations of Giorgio Almirante’s Italian Social Movement (Movimento Sociale Italiano, MSI) of the 1970s and 1980s. That culture of the “marginalised” from the elaboration of the constitutional pact – which Brothers of Italy inherited – is the inspiration for the constitutional reforms sponsored by the government: though acting in the political context of democratic competition, those “outcasts” have always perceived themselves as “estranged” from the values and the cultural and institutional balances enshrined in the Constitution and have always opposed the Resistance and the political forces that cooperated to build a democratic republic in Italy. The genealogy of constitutional reforms and the policy of law pursued by the government allows to clearly identify the legacy of the past, the elements of an intentional continuity with the ideas and institutional proposals expressed by the First Republic’s far-right and the resentment against some of the most specific features of our Constitution. This institutional and constitutional extremism – which contradicts the assumed moderation of the incumbent government and raises deep concerns on the future hold of the democratic framework – is all the more disquieting as it expresses the will of the “marginalised pole” to take revenge on the Constitution and the institutional history of the Republic and to overturn the founding rules and principles of Italy’s republican democracy. An analysis of the constitutional reform bills – organisation of the judiciary and premiership system – and of the government’s criminal law and immigration policy allows to describe the revanchism-related aspects of the political agenda pursued by the right-wing majority.

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