Magistratura democratica

Le ADR nei moduli organizzativi del processo civile e nella programmazione del PNRR

di Mirella Delia

Nella programmazione del PNRR la risoluzione del problema dei tempi della giustizia civile è affidata prioritariamente al potenziamento degli strumenti di definizione delle liti alternativi alla sentenza. Una nuova stagione per i temi della media-conciliazione, non limitata a novità processuali, ma calibrata su progetti e moduli organizzativi dell’ufficio del processo, grazie alle buone prassi, alle innovazioni informatiche e statistiche che monitorano le performance, nonché alle reti della formazione.

1. Le pagine dedicate dal PNRR al sistema giustizia: le ampie prospettive per il processo civile / 2. La nuova stagione degli strumenti di Alternative Dispute Resolution / 3. Il modello francese di mediazione / 4. La magistratura italiana e le buone prassi sui temi della media-conciliazione / 5. La promozione dei modelli di giustizia partecipata nei moduli organizzativi del processo / 6. Dalle rilevazioni informatiche all’innovazione nella rete della formazione: il radicamento di nuovi metodi conciliativi / 7. L’approccio predittivo: il modello di ufficio del processo conciliativo / 8. Conclusioni

 

1. Le pagine dedicate dal PNRR al sistema giustizia: le ampie prospettive per il processo civile

L’emergenza Covid e la generale crisi economica che ne è derivata hanno provocato la necessaria risposta dell’Unione europea, che è apparsa fiduciosa nel tessere, attraverso la Next Generation EU, le maglie della società europea del futuro, ispirata da un risveglio geopolitico, dal costruirsi attorno a imponenti investimenti ed ampie riforme che si intersecano per realizzare la transizione ecologica e digitale[1].

In quelle maglie, il Governo Draghi ha inserito la progettazione e la successiva attuazione del PNRR – «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza». L’approvazione del Piano incoraggia l’opera di modernizzazione del nostro Paese sotto vari profili, tra cui quello giudiziario e quello economico. 

Le raccomandazioni Ue che riguardano la giustizia (il riferimento è alle «Country Specific Recommendations» del 2019 e anche del 2020) si concentrano sulla riduzione della durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio. 

Gli interventi di riforma processuale e, insieme, ordinamentale consegnano la chiave per accedere a una giustizia che mantenga la promessa costituzionale sulla trasparenza e sulla prevedibilità della durata di procedimenti civili e penali.

Trova radici nella stessa cultura costituzionale europea il valore dell’efficienza dell’amministrazione della giustizia, da attuarsi mediante “rimedi giurisdizionali effettivi” per la tutela dei diritti, specie dei soggetti più deboli. Si comprende, inoltre, l’incidenza del settore giustizia, quando ben funzionante, nell’accelerazione dell’economia di un Paese, parandosi al contrario la lentezza del sistema giudiziario come un ostacolo difficilmente sormontabile per gli investimenti e la competitività delle imprese[2].

Affrontare seriamente il problema di come garantire una giustizia più effettiva – più giusta e resa in tempi ragionevoli – significa, però, impiantare una soluzione organica: affidandosi sì alle riforme, ma contemporaneamente mettendo in campo progetti mirati.

Negli obiettivi fondamentalmente dati per i progetti e le riforme da dedicare al settore giustizia, si chiede alla giustizia civile di flettere i suoi tempi del 40 per cento.

Nel processo civile, questo simboleggia il saper mettere mano a molteplici settori di interesse, partendo dall’organizzazione dei singoli uffici per arrivare a coinvolgere anche le infrastrutture, l’edilizia e la digitalizzazione.

Non ultime, le risorse umane. Da anni sappiamo come si esprima a più voci il bisogno di espandere il numero dei magistrati, dei cancellieri, del personale tecnico-amministrativo, degli assistenti di giustizia, e oggi abbiamo appreso che queste copiose risorse umane entreranno attraverso l’ufficio per il processo e i bandi programmati dal Ministero della giustizia per i copiosi reclutamenti. 

Non è più rimandabile la costruzione di modelli organizzativi con cui sfruttare al meglio le nuove e generose risorse, le infrastrutture promesse e tutte quelle ulteriori disponibilità che raggiungeranno gli uffici giudiziari.

Le forze per riformare il processo civile e tener fede agli impegni assunti dal potere esecutivo con l’Europa e il PNRR corrono lungo tre direttrici: Alternative Dispute Resolution; interventi sul processo civile; interventi sul processo esecutivo.

L’ennesima semplificazione del rito processuale, in entrambi i gradi del merito, si salda questa volta al definitivo favor espresso per il processo telematico, implementato nelle sue diverse componenti anche per effetto delle accelerazioni introdotte dall’emergenza pandemica.

Nondimeno, vi è la volontà di intervenire sul piano organizzativo. 

Nelle pagine che seguono verrà proposta un’analisi che, prendendo avvio dalla prima delle menzionate direttrici, scruta la prossima stagione degli istituti della mediazione e della conciliazione, accompagnandone l’inserimento nel sistema giudiziario attraverso una prioritaria attenzione alla rigenerazione dei metodi di lavoro nelle aule giudiziarie.

 

2. La nuova stagione degli strumenti di Alternative Dispute Resolution

Non sfugge la direzione dell’intento riformatore.

Dapprima si accentua il ricorso agli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, le cd. “Alternative Dispute Resolution” (ADR), senza però dimenticare di apportare le presupposte migliorie al processo civile, nella sbocciata consapevolezza che le misure alternative sapranno esprimere maggiore incisività in quanto accordate su un processo civile intonato, in grado cioè di funzionare in modo efficace davanti all’autorità giudiziaria.

Si allarga la competenza della mediazione civile. Entrano nell’elenco delle materie sottoposte alla mediazione obbligatoria quelle dell’area dei contratti di durata in cui le parti sono legate da rapporti stabili. Franchising, consorzi, contratti d’opera, di rete, società di persone e subfornitura, a eccezione dei casi per i quali la legge preveda altre specifiche procedure obbligatorie di soluzione stragiudiziale delle controversie.

Quando il tentativo di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, le parti devono essere necessariamente assistite da un difensore (ex artt. 82 ss. cpc) in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi di cui all’art. 86 cpc. La condizione si considera avverata se il primo incontro tenutosi davanti al mediatore si conclude senza l’accordo. 

In ogni caso, viene garantito un monitoraggio di cinque anni dall’entrata in vigore della riforma per verificare se sia necessario il permanere della mediazione come condizione di procedibilità.

Al contempo, la mediazione viene potenziata ricorrendo all’aumento dei benefici fiscali: è previsto un ampliamento del campo di applicazione dell’esenzione dall’imposta di registro (oggi nel limite di 50.000 euro); è introdotto il credito d’imposta per il compenso pagato all’avvocato e al mediatore, con una riduzione quindi delle spese legali fino alla possibilità, sussistendone i presupposti di legge, di avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato, beneficio quest’ultimo contemplato anche per la negoziazione assistita. Un credito d’imposta è, infine, consentito per il contributo unificato quando il giudizio si estingua grazie alla mediazione.

Si procede indi al riordino delle disposizioni concernenti lo svolgimento della procedura di mediazione, con modifiche volte a consentire l’avvicinamento delle parti e il superamento della frattura comunicativa – dal favorire la partecipazione personale delle parti, fino alle garanzie di effettivo confronto sulle questioni controverse, il tutto accompagnato dalla specifica regolamentazione delle conseguenze che discendono dalla mancata partecipazione delle parti alla procedura, inclusa la disposizione ad hoc finalizzata a definire il regime del decreto ingiuntivo allorquando la parte obbligata non abbia soddisfatto la condizione di procedibilità.

L’onere di presenza agli incontri si alleggerisce nel solo caso in cui le parti possano delegare un proprio rappresentante ed esclusivamente in presenza di giustificati motivi[3].

Il legislatore consente alle persone giuridiche e agli enti di partecipare, a loro volta, al procedimento di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati: le persone delegate dovranno, nondimeno, essere a conoscenza dei fatti ed essere munite dei poteri necessari per cercare la soluzione della controversia.

L’ottica di semplificazione del procedimento si manifesta pure nella possibilità che la mediazione si svolga, previo accordo delle parti, con modalità telematiche, ricorrendo ai collegamenti da remoto per gli incontri. Si conferma, in tal modo, la volontà di stabilizzare le innovazione telematiche introdotte durante l’emergenza Covid.

Particolare rilevanza assume la previsione per le parti di poter concordare la produzione in giudizio della relazione dell’esperto nominato dal mediatore nel caso di controversie che possano richiedere specifiche competenze tecniche ai sensi di quanto disposto dall’art. 8, comma 4, d.lgs n. 28/2010. Una facoltà esercitabile dalle parti al momento della nomina dell’esperto, la cui relazione potrà perciò essere liberamente valutata dal giudice ai fini della decisione della controversia.

Lo svolgimento della mediazione non costituisce neppure un ostacolo alla concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né alla trascrizione della domanda giudiziale.

La riforma intende spianare, e non da ultimo, le controversie in cui sia coinvolta una pubblica amministrazione. Una clausola di esonero della responsabilità contabile per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs 20 marzo 2001, n. 165, è stata concepita per promuovere la conclusione delle conciliazioni nell’ambito del procedimento di mediazione o in sede giudiziale.

Al fine di ridurre le liti condominiali e le decelerazioni che producono sui tribunali, il ddl di riforma riconosce innanzitutto all’amministratore di condominio la legittimazione ad attivare, aderire e partecipare al procedimento di mediazione. In tal modo, si accresce l’autonomia dell’amministratore rispetto all’assemblea, che oggi deve essere convocata per esaminare e votare ogni passaggio, dall’avvio della mediazione alla prosecuzione degli incontri e alla formulazione dei contenuti[4]. Con la riforma, invece, verrà richiesto l’esame dell’assemblea unicamente per decidere sulla proposta di accordo finale. Si sveltisce quindi l’iter nel rapporto fra amministratore di condominio e assemblea, eliminando ciò che nella pratica ha rappresentato un elemento di forte rallentamento e di minore incisività per le attività del mediatore.

L’accordo di conciliazione riportato nel verbale o la proposta del mediatore, come detto, rimangono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale. L’assemblea è tenuta a deliberare con le maggioranze previste dall’art. 1136 cc e, nel caso di mancata approvazione, la conciliazione si intenderà non conclusa o la proposta del mediatore non approvata.

In una prospettiva più ampia, la riforma si propone di incidere con più coraggio sulla mediazione demandata, di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs n. 28/2010, perché condivide, in un ordinamento democratico, l’essenza volontaria con l’ideale proprio della giustizia partecipata. In questo senso, la revisione della disciplina sulla formazione e sull’aggiornamento dei mediatori – mediante un aumento della durata della formazione e l’allargamento dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici – appare un investimento a medio-lungo tempo per accrescere le potenzialità dell’istituto.

In linea con l’intravista prospettiva, la mediazione delegata risulta potenziata attraverso la rete della collaborazione fra gli uffici giudiziari, le università, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio.

Il legislatore ha cura per la formazione degli operatori, per il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti ai percorsi di mediazione. Non sono esclusi i magistrati dalla rinnovata traccia formativa, come finanche sono valorizzati, in chiave statistica, i contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, con tutte le dovute proiezioni premiali persino in sede di valutazione delle carriere. 

Nel quadro complessivo, trova una coerente collocazione la stessa modifica dell’art. 185-bis cpc, in modo tale da consentire al giudice di formulare la proposta conciliativa nel corso dei giudizi pendenti e sino a quando la causa venga trattenuta in decisione, estendendosi il punto di innesto processuale della conciliazione endoprocessuale oltre il limite attualmente consentito dalla citata norma (testualmente, la proposta conciliativa può avvenire sino a che non sia esaurita l’istruzione).

Il ricorso sempre più massivo agli strumenti deflattivi del contenzioso giudiziario nel settore civile e commerciale è la mossa cruciale con cui il legislatore, negli ultimi decenni, aspira a contrarre l’attesa cui rimane esposto il cittadino in lite allorquando chiede una soluzione di giustizia.

Sennonché, l’azione di riorganizzazione varata dal PNRR nel contesto della giustizia civile si appella a un salto di qualità decisamente più alto di quello compiuto dalle precedenti riforme di settore. Si guarda oltre la presentazione della dimensione processuale con funzioni salvifiche, perché i dati finora raccolti nei tribunali italiani ci raccontano invece come – a parità di riti e di regole di ordinamento – le forbici performanti per fronteggiare l’arretrato e ridurre i tempi delle risposte di giustizia presentino una diversa apertura da ufficio a ufficio, e ciò non sempre per la disparità delle risorse in organico e, in particolare, il numero dei magistrati in servizio.

Analizzare l’andamento degli uffici e “zoomare” sui singoli territori, sulle diversità complessive di contesto ambientale e sociale, sulla leadership realmente esprimibile dai capi ufficio e dalle dirigenze amministrative, sul tasso di turnover e, non ultimo, sulla capacità di coltivare e presidiare le interrelazioni con gli ordini professionali e le varie categorie di utenza, è la via per intraprendere un percorso strategico fra i problemi che attanagliano i sistemi di gestione degli uffici e raggiungere, con velocità e qualificata pragmaticità, il comune obiettivo: favorire il processo di trasformazione della nostra giurisdizione[5]; ridurre il carico di lavoro per i magistrati competenti in sede civile, avendo parimenti cura di mantenere tra il privato cittadino e l’autorità giudiziaria un rapporto più vicino. L’introduzione di benefici economici e fiscali è apparso un modo per incentivare prontamente i cittadini a provvedere alla tutela dei propri diritti e interessi già nella sede stragiudiziale. È chiaro finanche come non sia stata negletta la difficoltà economica, inevitabilmente aggravata dalla crisi pandemica, di numerose famiglie non più in grado di remunerare i propri difensori di fiducia.

Sul piano finanziario, il semplice fatto che i privati cittadini siano incoraggiati a investire in spese legali stragiudiziali con la certezza che potranno rientrare nell’investimento per mezzo degli incentivi accordati, potrà produrre un maggior potere d’acquisto. È linfa per rilanciare l’economia nazionale e avvalorare le crescita di stime del Pil nel prossimo triennio.

Né va taciuto il movimento evolutivo che si va compiendo all’orizzonte della nostra giurisdizione.

All’arbitro dirimente una questione stragiudiziale ovvero una negoziazione assistita viene attribuito – dietro accresciute garanzie del contraddittorio e del diritto di difesa sotto lo scudo dell’art 111 della Costituzione – l’esercizio di poteri finora di esclusivo appannaggio degli organi giudiziari. L’arbitro, terzo e imparziale, è investito della possibilità, se le parti acconsentano, di adottare un provvedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 cpc, ovverosia tutte quelle misure immediatamente efficaci nel tessuto economico e sociale, e di conseguenza dirette a prevenire i danni irreparabili dalle lungaggini processuali. 

Ancora una volta la “linea parallela” tratteggiata tra la magistratura e gli istituti di mediazione – questi ultimi decisamente irrobustiti nel loro raggio di azione e nelle competenze – attinge all’assunto che sappiano operare con specifiche attitudini e in tempi molto più ragionevoli di quelli impiegati in media dalla giustizia ordinaria nello sciogliere i nodi dei conflitti.

La nuova partita è iniziata e sarà vinta solamente se saranno attrezzati tutti gli operatori di giustizia – tanto quelli che tradizionalmente gestiscono le liti nelle aule di udienza quanto coloro che si apprestano ad acquisire le abilità alternative alla sentenza – con il giusto spirito per assecondare le radicali trasformazioni, dando loro le dotazioni occorrende, prime fra tutte quelle per una concreta conversione nelle metodiche di lavoro.

 

3. Il modello francese di mediazione 

La discussione avviata sul maxiemendamento presentato dalla guardasigilli Cartabia per l’approvazione dei princìpi di legge delega su cui prederà corpo, entro il prossimo anno, la seconda riforma della mediazione, pone un nuovo traguardo culturale per il nostro Paese.

Nel panorama europeo non mancano posizioni più avanzate.

All’incirca un anno fa, presso la Suprema corte francese, ha visto la luce un gruppo di lavoro[6], «La médiation devant la Cour de cassation», nato per riflettere sull’opportunità e sulla possibilità di introdurre la mediazione dinanzi alla Cassazione. La relazione finale («Rapport 2021»), presentata innanzi ai giudici della medesima Corte nella seduta della gran camera del 25 giugno 2021, esplica le ragguardevoli potenzialità che la mediazione può dischiudere nella fase del ricorso in Cassazione, indicando come sia possibile avviarla in base alla normativa vigente e previo un opportuno adattamento da compiersi con modalità attuative, facendo ricorso soltanto a norme regolamentari per certificare la sostenibilità di quell’istituto dinanzi alla Suprema corte. 

I lavori si sono mossi intorno all’interrogativo di fondo – ossia se possono intravedersi incompatibilità fra mediazione e rito in Cassazione – per approfondire l’analisi del quadro normativo vigente e individuare eventuali ostacoli in questa direzione, fino all’elaborazione di proposte sul piano attuativo tese a modificare la legislazione, tenendo conto delle specificità procedurali proprie della Cassazione e finanche dell’idea di procedere a una certificata lista nazionale di mediatori. 

Numerose le questioni debitamente affrontate dal gruppo di lavoro, per raggiungere la constatazione che non si frappongono ostacoli di sorta alla mediazione presso la Corte suprema, e con cui si sono addirittura rilanciate le modalità attuative di tale pratica dinanzi alla stessa Corte.

Meritano di essere appuntate, in particolare, le proposte avanzate in quella sede con lo scopo di rendere altamente efficace la mediazione innanzi alla Cassazione, proposte destinate alla maggiore diffusione delle forme di giustizia alternativa, già in corso di sperimentazione davanti ai giudici del merito, strutturandone il procedimento in modo da evitare irrigidimenti e da preservarne la giusta “flessibilità”[7]

Decisiva è la proposta di istituire un comitato (comité de pilotage) per valutare regolarmente lo sviluppo della mediazione dinanzi alla Corte suprema.

Al sempre più crescente interesse dell’ordinamento francese per la composizione amichevole delle controversie concorre sia la riflessione avviata affinché la mediazione abbia accesso nella fase del giudizio di cassazione, sia uno specifico emendamento al progetto di legge per la fiducia nell’istituzione giudiziaria, adottato il 6 maggio 2021, e completata dalla legge 95-125 dell’8 febbraio 1995 (relativa all’organizzazione delle giurisdizioni e alla procedura civile, penale e amministrativa) con gli articoli 21-6 e 21-7, istituendo un Consiglio nazionale della mediazione presso il Ministero della giustizia.

Il Conseil national de la médiation, con la funzione di formulare pareri nel settore della mediazione, funge da organo propositivo al servizio dei poteri pubblici, nel dichiarato obiettivo di migliorare le misure che potenzino la mediazione. Una funzione che vedrà il Consiglio nazionale raccogliere ed elaborare tutte le informazioni sulla mediazione, di segno quantitativo e qualitativo, e infine proporre un codice etico applicabile alla pratica della mediazione, nonché norme nazionali da dedicare alla formazione dei mediatori.

La visione di lungo periodo è quella che attribuisce alla mediazione un ruolo sociale fondamentale: favorire la pacificazione delle relazioni, salvaguardando al contempo le loro proiezioni future. E non è una visione semplicistica, se solo ci si sofferma a meditare su quanto spesso un processo, ottenuta una sentenza di appello, sia destinato a proseguire costringendo i litiganti a sostenere un peso, economico ed emotivo, dietro una sola certezza faticosamente raggiunta negli anni: una pronuncia che li condurrà a una decisione di rinvio al giudice del merito. Senza dimenticare il rischio, pure questo frequente, che nel corso del processo siano emesse pronunce contrastanti nei gradi del merito.

In questa prospettiva la médiation judiciaire (mediazione demandata dal giudice con il consenso delle parti), qualora intervenisse nella fase del ricorso in Cassazione, potrebbe risolversi in una più che valida occasione per le parti di riappropriarsi della lite e ristabilire fra loro un dialogo fecondo di soluzioni.

La scelta del governo francese è una scelta di fiducia nelle potenzialità delle tecniche di risoluzione amichevole delle contese.

 

4. La magistratura italiana e le buone prassi sui temi della media-conciliazione

La magistratura italiana negli ultimi anni ha dato prova di non rimanere indifferente ai temi della media-conciliazione.

Negli uffici giudiziari fiorentini e in quelli baresi, ad esempio, sono state da tempo sperimentate buone prassi protese alla composizione delle controversie civili in forma alternativa alle sentenze. Esse, corredate ciascuna dai propri protocolli e linee guida, offrono un contributo solido e in più direzioni.

La progettualità virtuosa fiorentina ha promosso un impiego sistematico della mediazione demandata, inserendolo all’interno di un’ampia visione collaborativa fra istituzioni (organismi di mediazione, ordini professionali, Camera di commercio, università, etc.), uffici del giudice e tirocinanti, e attingendo a procedure concordate che hanno permesso traguardi definitori consistenti[8]

Sotto un altro profilo, il progetto nato negli uffici giudiziari baresi ha provato la sua “sostenibilità” sugli aspetti organizzativi del sistema giustizia, testando principalmente come, innovando le tecnologie a disposizione dei nostri uffici fino al punto da “intercettare” la cd. “scia digitale” delle ordinanze ex 185-bis e di mediazione delegata, e concederle visibilità nei sistemi informatici e statistici ministeriali, si possa far lievitare la performance giudiziaria.

Se si è finora compreso come, nel misurare l’efficienza degli uffici giudicanti civili, il loro stato di “salute” e la loro produttività richieda uno screening preliminare e accurato su quelli che, a fianco degli obiettivi assegnati, debbano soprattutto intendersi gli “indicatori” performanti, il tempo di definizione dei procedimenti rimane uno fra gli indicatori maggiormente utilizzati per misurare l’efficienza giudiziaria, assieme alla percentuale di procedimenti pendenti da più di tre anni, al tasso di ricambio (cd. “clearance rate”) che rapporta il numero dei procedimenti definiti al numero di procedimenti sopravvenuti e al tasso di smaltimento che rapporta i definiti al carico di lavoro, ovvero alla somma delle pendenze di inizio periodo e delle sopravvenienze.

Se le numerose riforme di settore incoraggiano le definizioni dei giudizi civili in forma diversa dalla sentenza, a siffatte definizioni allora va coerentemente dato uno spazio nel censimento ufficiale centralizzato dei cd. flussi deflattivi dei giudizi civili e, di conseguenza, nella ricognizione statistica del lavoro giudiziario.

Se i sistemi informatici ministeriali e le statistiche ministeriali sono calibrati per rilevare e misurare i dati delle definizioni, quando le definizioni sono indotte dalle competenze del magistrato nell’adoperare ordinanze ex 185-bis e di mediazione delegata – agendo in positivo su tutti i marcatori di efficienza (contenimento tempi di risposta giudiziaria, prevenzione del cd. contenzioso a catena ovvero delle impugnazioni e dell’esecuzione forzata; contrazione delle liti fra le stesse parti anche extra-giudizio, etc.) – non potranno non emergere quali indicatori performanti.

Quei dati devono essere distinguibili nel sistema informatico e in quello statistico, così da poter entrare nel censimento dei flussi di lavoro.

A margine degli sforzi e dell’impegno assunti nei singoli uffici giudiziari per tracciare una linea di maggiore efficienza, è lo stesso legislatore a suggerire ai giudici – nella prospettiva fin qui eletta – l’impiego delle ordinanze ex art. 185-bis cpc (introdotto dall’art. 77 dl 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella l. 9 agosto 2013, n. 98) e della mediazione delegata (emesse ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.lgs n. 28/2010), perché strumenti ritenuti capaci di accompagnare i giudizi civili pendenti verso un più rapido epilogo processuale[9]

Ciò in ragione della loro propensione a definire le liti con metodiche diverse, abilità “altre” rispetto a quelle richieste dalla pronuncia di una sentenza.

I due istituti, la mediazione e la proposta conciliativa consentita dall’art 185-bis cpc, continuano a coesistere nelle idee del legislatore anche all’indomani della legge 9 agosto 2013, n. 98 (di conversione del dl n. 69/2013), che ha apportato modifiche sia al testo originario del d.lgs 4 marzo 2010, n. 28, sia al nuovo art. 185-bis cpc, intitolato «proposta di conciliazione del giudice».

Il nostro legislatore, insomma, crede fortemente che i metodi di risoluzione delle controversie adoperati in forma alternativa alla sentenza scoraggino gli abusi del processo, agevolino soluzioni di giustizia per gli interessi investiti dalle parti nel conflitto, e ancor di più asciughino i tempi di definizione, con un effetto finale di complessiva accelerazione nelle velocità medie dei processi civili.

V’è un dato normativo che si inserisce in assoluta organicità con quanto finora argomentato, lasciando percepire, più di tutti gli altri, la rilevanza strategica assegnata a questi istituti nella promozione della ragionevole durata nei giudizi civili.

La proposta conciliativa di cui all’art. 185-bis cpc, specie nei processi la cui durata ha superato il termine ragionevole di tre anni (previsto per il giudizio di primo grado, dall’art. 55, comma 2-bis, dl 22 giugno 2012, n.83 - cd. “decreto sviluppo” - convertito dalla l. 7 agosto 2012, n. 83) – se anche non servisse a definire la lite –, potrebbe conseguire l’effetto di escludere la possibilità per le parti che l’avessero rifiutata di richiedere l’indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il disposto dell’art. 2, comma 2-quinquies, l. 24 marzo 2001, n. 89 (“legge Pinto”), come sostituito dall’art. 55 dl n. 83/2012, convertito nella l. n. 134/2012, che testualmente prevede: «Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) b) nel caso di cui all’articolo 91, primo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile;» cioè quando la domanda è accolta in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa.

Simile al principio sancito dall’art. 91, comma 1, secondo periodo, cpc, come novellato dalla l. n. 69/2009 (in forza del quale la parte vittoriosa che rifiuta immotivatamente una proposta conciliativa di un importo pari o maggiore a quello poi accertato della sentenza, ai sensi, va condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente dal momento della formulazione della proposta in poi, e salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92) è quello contenuto nell’art. 13 d.lgs n. 28/2010 e riferito allo specifico rapporto fra la mediazione e il principio generale della causalità nelle spese di lite.

 

5. La promozione dei modelli di giustizia partecipata nei moduli organizzativi del processo

Nell’ambito delle riforme legislative vale la pena, per più motivi, fare spazio agli “accomodamenti” apportati – nelle diverse realtà giudiziarie – dalle cd. “buone prassi”.

All’interno del progetto conciliativo – definito con l’acronimo “Progetto BDDC” e registrato come buona prassi sub n. 2526 sin dalla prima manualistica introdotta dalla delibera Csm 7 luglio 2016 (manuale dei “modelli”) per selezionare le pratiche di organizzazione più diffuse negli uffici giudiziari, nonché riconosciuto quale modello esportabile fra gli uffici nel successivo aggiornamento compiuto dalla delibera Csm 18 giugno 2018[10] – le metodiche adoperate hanno reso possibile seguire accurati monitoraggi su tutte le ordinanze ex art. 185-bis cpc emesse nel distretto di Corte di appello di Bari a far data dal 1° gennaio 2016 ad oggi. 

Si è censito il numero di simili ordinanze adottate da ciascun ufficio del distretto, numeri poi processati per affinare analisi statistiche sulle materie (macro-aree) del contenzioso civile raggiunte in particolare dalle proposte conciliative del giudice, estraendo per la prima volta tutti gli esiti definitori così prodotti. Un risultato nuovo è affiorato, non ancora intercettato dai sistemi informativi ministeriali, per essere stati questi ultimi concepiti sulla misurazione del numero di sentenze emesse in ufficio e sui tempi della loro emissione.

Il metodo sperimentato, per giunta, soddisfa per le ordinanze ex art. 185-bis cpc – come pure lo potrebbe per quelle di mediazione delegata – l’esigenza parimenti già avvertita e ufficialmente evasa nelle procedure di mediazione obbligatoria, sottoposte queste ultime, in virtù dell’art. 4, comma 1-bis, d.lgs n. 28/2010, introdotto dal cd. “decreto del fare”, ad apposito e mirato monitoraggio statistico.

Seguendo questo obiettivo attraverso le linee guida del cd. “Protocollo BDDC”[11] – che al punto 4) prevedono testualmente: «rilevazioni statistiche per analisi flussi (quantità e tempi) di definizioni dell’arretrato in forza degli sforzi conciliativo/transattivi e ciò per monitorare non solo la velocità ed incidenza in percentuale della spinta conciliativa nello smaltimento dell’arretrato, ma altresì per saggiare le capacità del singolo magistrato nel favorire le soluzioni bonarie della lite impiegando i nuovi strumenti di media-conciliazione (185, 185 bis, mediazione iussu iudicis, 696 bis etc etc). Elementi questi che permetteranno non solo di esprimere, in sede di valutazione delle professionalità dei magistrati, giudizi più dettagliati e di spessore, ma anche di monitorare i tempi di ragionevole durata del processo, come favoriti dalla buona prassi conciliativa» –, la prima criticità da affrontare è dunque l’assenza nel SICID[12], ad oggi, di un evento tipizzato appropriato, quale “evento 185-bis”. 

Analoga mancanza si avverte sul fronte delle ordinanze di mediazione delegata.

I provvedimenti definitori diversi dalla sentenza finiscono, cioè, per confluire nella cartella archivio di consolle “definiti in altro modo” e non sono da lì recuperabili, nelle loro variegate tipologie, se non tramite una minuziosa e defatigante ricerca fascicolo per fascicolo.

A loro volta, i registri informatici non annoverano ad oggi, tra le opzioni disponibili, eventi di definizione del fascicolo specifici ed esaustivi rispetto alla varietà delle tipologie esistenti.

Il che penalizza sia il magistrato in valutazione, per la complessità di poter rappresentare in modo esaustivo e attendibile la quantità e qualità di tutto il suo lavoro svolto sui tavoli del dialogo e della mediazione, sia i dirigenti degli uffici e tutti i soggetti istituzionalmente deputati alla valutazione dei flussi definitori, per la difficoltà di poter disporre di una statistica esaustiva e ragionata da utilizzare sul piano della rendicontazione dei risultati e della programmazione degli obiettivi.

Sono ragioni che hanno spinto il Progetto pilota BDDC ad agire in questi anni su due versanti: quello dell’innovazione informatica e quello della formazione.

In attesa di una più compiuta catalogazione degli eventi nei sistemi ministeriali informatici – che, come si è constatato nel paragrafo che precede, non includono un evento tipico come “ordinanza 185-bis” e neppure come “mediazione demandata” – è stato incrementato, in primis, il dialogo fra le competenze informatiche del personale CISIA, gli uffici della magistratura informatica e le cancellerie per trovare una soluzione idonea a fornire una traccia informatica dell’attività conciliativa dei giudici.

Il gruppo di lavoro – per effetto della sua spiccata composizione mista con cui si è potuto mettere a fuoco, in tutte le sue implicazioni, la questione ritenuta prioritaria – ha predisposto un sistema che, nel far leva sull’annotazione manuale a cura della cancelleria e dietro indicazione del giudice che ha pronunciato l’ordinanza ex art. 185-bis cpc nella singola causa, censisce, sotto la supervisione del CISIA, i fascicoli in cui è stata emessa e indi annotata dalla cancelleria l’ordinanza conciliativa, nonché disvela lo stato del fascicolo al momento della rilevazione, se ancora pendente oppure se in altro stato definitorio.

Il monitoraggio, progressivamente esteso fra le sedi sperimentali[13], ha potuto tecnicamente basarsi sull’associazione compiuta dal gruppo di lavoro (RID, magistrati, funzionari informatici e cancellieri) fra la proposta conciliativa e gli eventi di definizioni del fascicolo non contenziosi, per ciò stesso indicativi del successo della proposta conciliativa, comprese le formule di estinzione, cancellazione, non luogo a provvedere, archiviazione e abbandono della causa, tutte indipendenti dalla sottoscrizione in udienza di un verbale di conciliazione[14].

I dati raccolti sono confluiti in un report statistico, periodicamente predisposto in modo da associare l’ordinanza contenente la proposta conciliativa allo stato del fascicolo.

I passaggi necessari per la rilevazione informatica delle ordinanze ex art. 185-bis e degli esiti definitori rimangono cristallizzati in un apposito Vademecum, con lo scopo di esplicare e poi replicare in ogni ufficio, in modo omogeneo nonostante la distanza dalle sedi pilota, gli accorgimenti da adottare per rendere una rilevazione che, in quanto condotta attraverso i sistemi informatici ministeriali, sia primariamente attendibile. La comprensione del Vademecum fra le cancellerie e i magistrati è stata assolta all’interno degli uffici attraverso l’impiego di screenshot e la pianificazione di riunioni periodiche.

L’azione compiuta dalla base degli uffici nel rispondere alla domanda su come motivare i magistrati ad adoperare i nuovi strumenti per comporre le controversie in forma alternativa alla sentenza non è da poco, visto che nei tradizionali prospetti statistici ministeriali viene presentato il dato non disaggregato degli “altrimenti definiti”.

Il risultato dell’innovazione nei metodi di lavoro e il peso dell’impegno e del tempo a ciò dedicato dai magistrati – quelli pronti a investire nella conversione – diventa un dato strategico da monitorare e collocare nelle statistiche ufficiali se si vuole motivare la magistratura nel cambiamento e spingerla a cercare il “binario alternativo” alla calendarizzazione della fase decisoria dei processi ricorrendo all’innesto degli altri strumenti di composizione dei giudizi. 

 

6. Dalle rilevazioni informatiche all’innovazione nella rete della formazione: il radicamento di nuovi metodi conciliativi 

Non deve sfuggire come il “binocolo” informatico, implementato dalle innovazioni tecnologiche oggetto della sperimentazione in esame, sia puntato sulla qualità della giustizia.

Il monitoraggio sull’utilizzo dello strumento conciliativo da parte dei magistrati – alfine edotti sugli effetti definitori del loro impegno nella gestione del contenzioso in forma alternativa alla sentenza – ne ha reso palese l’incremento del suo impiego negli anni, con un effetto altamente gratificante per i colleghi che hanno contribuito, durante le fasi sperimentali, a veicolare la metodica conciliativa. Incremento avvalorato dall’allestimento periodico di eventi sul solco della formazione, centrale e territoriale, della Scuola superiore della magistratura.

Una giustizia che si vuole accelerata non è, solo per questo, affrettata.

Un percorso formativo itinerante, allorquando strutturato secondo la logica di seminari-laboratori, può invero essere un supporto essenziale per formare un linguaggio più evoluto nella gestione (mite) del conflitto.

Il taglio innovativo di un’esperienza formativa e multidisciplinare, con accessi simulati sulle utilità estraibili dalla banca dati digitale tematicamente incentrata a classificare, secondo aree di interesse, i documenti a matrice conciliativa (ordinanze ex 185-bis, ordinanze di mediazione demandata e verbali di conciliazione), recuperati negli uffici giudiziari e selezionati per il loro valore di studio, può facilitare: a) una metodologia congiunta per raggiungere quella fantasia pragmatica nell’impiego degli istituti giuridici propria della tradizione anglosassone e che tanto può servire agli accordi transattivi/conciliativi; b) una convergente deontologia fra tutti gli operatori di diritto quando seduti al tavolo della risoluzione collaborativa della lite; c) nuovi equilibri fra gli interessi dei litiganti.

Si è riscontrato come la formazione specifica, in uno alla consultazione della banca dati digitale tematica sui temi della conciliazione, siano iniziative capaci di veicolare fra i giudici i precedenti conciliativi, rendendone più rapido e sicuro il reperimento, oltre che lo scambio fra uffici delle migliori tecniche per gestire il contenzioso civile pendente con le ordinanze di media-conciliazione.

Una metodica che poggia le sue fondamenta sulla condivisa consapevolezza di come sia più alta la probabilità di successo di una proposta conciliativa allorquando venga emessa in modalità “dialogata” e “ragionata” e, conseguentemente, corredata da una motivazione visibile alle parti in lite.

L’inserimento nella banca dati conciliativa di nuovi documenti è in costante crescita, includendo gli apporti forniti dai tribunali aderenti al progetto[15]. Operazioni che hanno sapientemente messo a frutto la collaborazione prestata al Progetto BDDC dai tirocinanti ex art. 73 dl 21 giugno 2013, n. 69 (conv. con modificazioni in l. 9 agosto 2013, n. 98).

La possibilità, all’interno e all’esterno dei nostri uffici, di attingere a precedenti conciliativi (non diversamente consultabili in altre banche dati né reperibili nei sistemi dell’informatica giudiziaria, per i limiti lato SICID e consolle, non programmati per tempo a intercettare questi provvedimenti), di sicura provenienza (generati in ambiente giudiziario), di contenuto scientifico e in veste digitale, è di estrema utilità. 

La teca digitale vuol essere un supporto non solo nell’affinamento delle tecniche di motivazione delle ordinanze ex art. 185-bis e di mediazione delegata, ma prima ancora nella valorizzazione, a questi fini, del materiale probatorio a disposizione nelle controversie distinte per macro-aree del settore civile, incluso il settore del giudice del lavoro.

Da una selezione di verbali di conciliazione, inoltre, si è ricavato un elenco di clausole su cui forgiare soluzioni conciliative ripetibili in fattispecie analoghe.

La circostanza che le leve conciliative non soffrano barriere territoriali, calibrate come sono prevalentemente sui bisogni attuali delle parti in lite, fa sì che la BDDC, nella sua unitaria struttura, accresca le sue potenzialità scientifiche con i successi conciliativi recuperati senza i limiti distrettuali cui soggiacciono le altre banche dati della giurisprudenza di merito.

Rafforzare lo scambio di queste conoscenze fra distretti, in presenza spesso di materie e precedenti giurisprudenziali maggiormente trattati in un ufficio giudiziario piuttosto che in altri, è una risorsa per l’esercizio della giurisdizione, aprendo a comparazioni organizzative e, prima ancora, a impegni definitori per il tramite dell’uso combinato delle rilevazioni statistiche, dei grafici forniti all’interno del Progetto e della navigazione online nelle specifiche macro-aree della BDDC.

Il ciclo di studio cd. comparativo sulle expertise offre un paradigma operativo efficiente nei contenziosi seriali (in cui l’«Ufficio» si è dotato di sentenze pilota) ovvero nelle materie latamente predittive (quali quelle del risarcimento dei danni non patrimoniali).

Si tratta di strategie strutturate con cui rimane soddisfatta l’esigenza di coerenza e prevedibilità del diritto anche nel suo livello applicativo.

I box-cases adoperati nel Progetto[16] (abstract sul fatto ricavato dal documento conciliativo e schede per l’esame congiunto della fase processuale di ingresso della proposta 185-bis e delle leve applicate) sono il nucleo della giustizia partecipata: la calcolabilità, la prevedibilità e la flessibilità della forma definitoria della disputa – in quanto desunte dalla corrente esperienza giudiziaria – finiscono per rendere i tempi e i pesi del lavoro giudiziario nonché i rischi della decisione più sostenibili.

Si modella un metodo di lavoro per invertire la classica tendenza a definire il contenzioso mediante la calendarizzazione delle udienze di precisazione delle conclusioni ovvero di discussione, innescando negli uffici l’abitudine a consultare i documenti di matrice conciliativa formatisi nelle aule di giustizia e conformando la sensibilità/capacità degli operatori di diritto nel filtrare le liti da spingere nell’area della mediabilità.

Aggiornare e consultare correttamente le banche dati di giurisprudenza è un concetto entrato di pieno diritto nella organizzazione dell’ufficio del processo[17].

La BDDC, connotata per rispondere al quadro normativo e regolamentare sulle banche dati giurisprudenziali, trasla quei principi, finora cesellati sulla visione della giurisdizione retta principalmente dalle sentenze, nel mondo delle risoluzioni alternative delle controversie civili, sostenendo gli operatori nell’uso consapevole e motivato degli strumenti ADR. Le proposte ex art. 185-bis cpc e le ordinanze di mediazione delegata, scremate fra quelle che testimoniano utili tecniche conciliative, sono replicabili quali geometrie capaci di tenere in equilibrio gli interessi delle parti della lite.

Il modello, gemmato localmente, si presta così a essere seguito fra uffici pronti ad assimilarne ogni sua componente con l’impiego di protocolli di adesione.

 

7. L’approccio predittivo: il modello di ufficio del processo conciliativo

Si stima che la progettualità custodita dall’«Ufficio per il processo» (d’ora innanzi: UPP) sia capace di far bene alla nostra giustizia. Nessuno più solleva il dubbio che le banche dati ragionate, archivi organizzati di precedenti giurisprudenziali legati a un determinato territorio, provvisti di innovative connotazioni digitali, non possano innalzare la qualità del servizio giustizia, contribuendo a salvaguardare la certezza del diritto.

Gli archivi elettronici, classificatori di cospicue pronunce emesse dalla giurisprudenza nelle varie materie e nei vari ambiti del contenzioso civile, permettono la conoscibilità della decisione – la sua prevedibilità – per la rapida e sicura rintracciabilità del precedente giurisprudenziale. Accrescendo i numeri e contenuti delle banche dati, più capillare diventa la circolazione degli orientamenti giurisprudenziali e, di conseguenza, si semplificano le motivazioni e si flettono i tempi necessari a renderle.

La prevedibilità e la stabilità della giurisprudenza funzionano come fattori di garanzia per l’eguale trattamento dei cittadini davanti alla legge: la prevedibilità e la stabilità del diritto sono la precondizione di un giusto processo di durata ragionevole[18].

Tutti canoni essenziali per introdurre gli innovativi modelli di gestione negli uffici del giudice, mentre avanzano all’orizzonte la giustizia predittiva, in uno ai primi applicativi dell’intelligenza artificiale.

In ambito europeo, si va sperimentando l’intelligenza artificiale applicata all’anonimizzazione dei provvedimenti, per epurarli in automatico da nome, cognome e contesto di riferimento (operazione che andrebbe altrimenti fatta a mano). Una prima sperimentazione vede impegnata la Francia, peraltro in consorzio con il nostro Paese. 

Una seconda linea applicativa dell’intelligenza artificiale nel settore giustizia si propone di elaborare gli abstract, quale sunto dei provvedimenti giurisdizionali per l’organizzazione della giurisprudenza, un formidabile patrimonio conoscitivo, ai fini della sua riutilizzabilità. Step evolutivi imposti, in stretta conseguenza dell’informatizzazione del processo civile, dalla produzione di una quantità di “materiale” non più umanamente gestibile in modo intelligente se non ricorrendo a supporti di questo genere.

La coscienza che il quadro normativo e processuale stia rapidamente mutando convalida, nel nostro ordinamento, l’idea di un UPP dove risorse umane destinate agli uffici giudiziari si integrano in una logica di lavoro di squadra e si sviluppano grazie alle innovazioni tecnologiche e all’assistenza permanente del personale informatico.

Il Ministero della giustizia ha recentemente programmato l’emissione di bandi per il reclutamento di giovani giuristi da inserire in un rinnovato ufficio del processo.

In questo contesto, ha valore andare a rinforzare una scelta organizzativa già sagomata sulla metodica conciliativa, assegnando il nuovo personale nelle singole sezioni, con l’affiancamento di uno o due magistrati – così come si è proceduto già per gli stagisti del “decreto del fare” –, includendo nella progettualità anche i giudici onorari e il personale di cancelleria, e stimolare poi il gruppo di lavoro – sotto il coordinamento del presidente di sezione, coadiuvato da un magistrato togato da lui eventualmente delegato (come previsto dall’art. 2, comma 4, dm 1° ottobre 2015) – nella creazione di “focus[19] per il prelievo anticipato, dai ruoli d’udienza, di talune tipologie di cause ritenute maggiormente ricettive alle soluzioni condivise.

Il metodo latamente predittivo estraibile dall’approfondimento condotto, in scala comparativa e con approccio scientifico, su una serie di documenti aventi analoghe caratteristiche e suddivisi per macro-materie, si erge a strumento di lavoro.

Un archivio digitale a matrice conciliativa rinforza la logica che sottende le banche dati giurisprudenziali, qualificandosi tuttavia con l’esclusiva di sdoganare, per primo in Italia, l’equazione “conoscibilità = prevedibilità” nell’area delle abilità conciliative, area in cui l’ascolto dell’utenza e dei suoi reali bisogni, e la capacità di persuaderla a tenere fede agli impegni bonari assunti, sono e rimangono sempre di appannaggio di un giudice umano[20]

Il “processo riformatore” indotto dalla raccolta e classificazione dei precedenti a matrice conciliativa, dall’osservazione e comparazione dei dati estratti in fattispecie similari, agevola una più rapida discovery del principio di diritto e porta soluzioni definitorie della lite cercate negli ambiti della media-conciliazione.

Tanto più la sentenza è prevedibile, tanto più le parti saranno indotte a trovare soluzioni alternative che prendano le mosse dalla possibile sentenza come “base per l’accordo o la decisione”.

Nella sfera della predittività si indica la nuova strada della certezza del diritto, strada da intraprendersi nella direzione di offrire all’interprete un modello di approccio scientifico e di calcolo per il cui tramite la raccolta di dati significativi e la loro combinazione in chiave normativa rende possibile prevedere l’esito del giudizio.

Una rete articolata di informazioni per il mezzo delle quali l’ingrandimento predittivo può guidare le operazioni di prelievo anticipato dai ruoli del giudice di quelle cause che rispondano a determinati “range” o “campi”, prelievo semplificato dalla possibilità, introdotta dal PCT e dagli applicativi della consolle del magistrato, di uno studio da compiersi direttamente sui fascicoli informatici.

Gli obiettivi sensibili verranno rimessi alla valutazione scrupolosa dei capi ufficio, in ragione della vetustà di iscrizione a ruolo delle cause e dei criteri della legge Pinto, ovvero perché riguardano controversie che intercettano – per esempio, nelle analisi statistiche avanzate condotte con la metodica sperimentata nei monitoraggi sui successi deflattivi delle ordinanze ex 185-bis fra i vari uffici – aree di contenzioso rivelatesi particolarmente ricettive alla stimolazione conciliativa.

I tirocinanti, coordinati dai magistrati affidatari all’interno dell’UPP, andranno a scremare i ruoli d’udienza con l’estrazione dei fascicoli sussumibili nei cd. “obiettivi sensibili”, studiandone in prima battuta gli atti processuali e la documentazione, indi approntando sintesi giurisprudenziali e schemi di massima sulle questioni ricorrenti, armonizzate con gli orientamenti assunti dall’Ufficio, questioni “nevralgiche” nella definizione della lite. Sarà demandata, infine, al giudice la valutazione della percorribilità di una fra le vie endoprocessuali di composizione bonaria, fermo restando che a coadiuvarlo nella stesura di uno dei provvedimenti a ciò ritenuti idonei saranno i tirocinanti, abbozzando un’ordinanza di conciliazione integrata (ex art. 185 cpc), una proposta conciliativa ex art 185-bis o ex art 420 cpc, ovvero la prescrizione della mediazione delegata. Nell’elaborazione delle bozze si potrà attingere ai modelli digitali di riferimento contenuti nella BDDC.

Metodica conciliativa che va assimilata e gestita, con altrettanta padronanza, dai magistrati onorari assegnati allo smaltimento di interi segmenti di contenzioso civile, finanche nei nuovi confini assunti dall’ufficio del processo con la «Riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace». L’art. 10, punto n. 11, d.lgs 31 luglio 2017, n. 116, con riguardo a ciascun procedimento civile e al fine di assicurarne la ragionevole durata, abilita il giudice professionale a delegare al giudice onorario di pace, ove inserito nell’ufficio per il processo, compiti e attività – pure nei procedimenti del tribunale a riserva collegiale – non di particolare complessità (ivi compresa l’assunzione dei testimoni), affidandogli addirittura con preferenza il compimento dei tentativi di conciliazione.

La soluzione praticata con l’UPP conciliativo, non da ultimo, concede alla macchina della giustizia l’opportunità di un significativo recupero di efficienza, un risparmio di risorse e di tempi.

E seppure le parti, una volta informate e stimolate a una riflessione conciliativa, non intendano opzionare la strada della composizione amichevole del conflitto e persistano nella logica che le vuole contrapposte nel processo, il lavoro destinato dal giudice a motivare un’ordinanza ex art. 185-bis cpc o di mediazione demandata non sarà impegno o tempo perso, potendo adattarsi rapidamente in fase decisoria alla struttura più asciutta di una pronuncia con motivazione contestuale a mente dell’art 281-sexies cpc.

L’adozione di metodiche uniformi e trasparenti nella conduzione del tentativo di conciliazione costituiscono la premessa per ottimizzare le probabilità di successo della cultura delle ADR, secondo il paradigma cooperativo del negoziato diretto fra i litiganti, favorito dal ruolo, neutro e altamente qualificato, del conciliatore.

Quello descritto è un metodo che, mettendo a frutto la expertise conseguita sull’analisi dei trend giurisprudenziali registrati da ciascun ufficio in un determinato ambito del contenzioso, combinata a un apprezzamento della prova emersa in concreto, restituisce al contraddittorio delle parti un giusto momento per riattivare o agevolare il negoziato transattivo.

L’apprezzamento della prova dovrà avvenire con la prudenza propria del giudice, come testualmente riporta l’art 116 cpc, con la possibilità, per di più, di soppesare tutto il materiale istruttorio disponibile attraverso il leale dialogo attivato fra le parti in esito all’emissione delle ordinanze di media-conciliazione, strumenti questi che possono addirittura mettere al riparo da valutazioni che in sentenza andrebbero ricondotte a uno standard probatorio, generalizzato dalla formula del “più probabile che non” e ritenuto un criterio non sempre giusto[21].

Secondo il principio di economia processuale, del resto, e non appena se ne presenti l’occasione processuale, persuadere le parti sulla convenienza a preferire al giudizio una sua definizione alternativa è una manovra con cui il giudice può muoversi spedito, abituato com’è ad applicare, nella sede decisoria, il principio della ragione più liquida. Un principio, sebbene non codificato dal legislatore italiano, molto utilizzato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, in forza del quale il giudice ha il potere di pronunciarsi immediatamente su una questione che appaia ictu oculi di evidente e agevole risoluzione, idonea cioè a dirimere l’intera controversia, al punto da rendere completamente inutile l’analisi di tutte le altre questioni[22].

Nelle mani del giudice istruttore, cui spetta la direzione dell’udienza, è affidata la possibilità di esercitare tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del processo, come recita l’art 175 cpc, e sì da restituire alle parti la garanzia costituzionale di un giusto processo – e ciò anche quando si debba negare la tutela giurisdizionale richiesta con una tempistica più snella[23]. Si riassumono nel brocardo «nihil fit plura quod fieri potest per pauciora»[24] massime di logica giuridica quali «se anche il diritto esistesse, mancherebbe la lesione dello stesso» e «se anche il diritto fosse esistito, esso sarebbe adesso prescritto».

 

8. Conclusioni

Trasformare la struttura del rito al punto da permettere il miglior utilizzo degli strumenti digitali è la svolta cruciale lanciata di recente nel contesto della giustizia civile dalla stessa azione di riorganizzazione varata dal PNRR, virando in direzione opposta a quella finora battuta, così da evitate le forzature cui il processo, pensato nell’età della carta, ha dovuto piegarsi nei primi tentativi di adattarlo all’era della digitalizzazione[25]

Potenziare le infrastrutture digitali con la revisione e diffusione dei sistemi telematici di gestione delle attività processuali e di trasmissione di atti e provvedimenti, e rafforzare le capacità amministrative del sistema per valorizzare le risorse umane, integrare il personale delle cancellerie e sopperire alla carenza di professionalità tecniche (informatiche, ingegneristiche e statistiche), diverse da quella di natura giuridica ma essenziali per compiere l’innovazione organizzativa e monitorarne i risultati, sono i primi passi verso la piena attuazione dell’ufficio del processo che si vuole rinnovato nelle intenzioni del Governo e come proposto dalla Ministra della giustizia Marta Cartabia.

L’azione di riorganizzazione della macchina giudiziaria amministrativa dovrà procedere secondo un modello sistemico – e non frammentario o discontinuo –, coinvolgendo alcune macro-quantità:

- integrare risorse umane (magistrati, cancellieri, funzionari informatici) con l’hardware in dotazione e sistemi informatici di gestione delle attività giudiziarie;

- affinare il tracciamento e l’analisi statistica in entrata e uscita dei processi;

- elaborare il rapporto fra costi e benefici collettivi pubblicando documenti valutativi e previsioni programmatiche, per riconoscere, nella sequenza dei dati, la bontà di un metodo di lavoro e diffonderlo; 

- velocizzare le interlocuzioni propositive fra uffici territoriali e stanze apicali (Csm, compartimenti ministeriali, istituzioni europee) con piattaforme digitali e programmi interattivi, rendendo oggettivi e visibili i risultati delle spinte innovatrici, da incentivare con “premi performance” e avanzamenti professionali.

Eliminare i tempi morti è una costante della “digitalizzazione” della giustizia.

Dovrà dotarsi ogni ufficio di un rafforzato servizio di assistenza informatica in loco – con personale preferibilmente permanente e interno – assicurandosi una continua capacità dialogante dei magistrati con il sistema informatico.

Per i più, appare un punto di non ritorno nella trasformazione digitale dei processi il potenziamento della presenza del personale addetto al CISIA nei distretti e al servizio di tutti i singoli uffici giudiziari.

La più affidabile delle logiche vorrebbe che, a fronte delle assunzioni di personale di recente programmate nel comparto giustizia e del potenziamento di metodi di lavoro propri del team, integrando e coordinando le diverse capacità relazionali e professionali dei singoli membri, si assicuri alla risorsa principale della macchina della giustizia – il capitale umano – un messaggio formativo omogeneo e trasversale, idoneo a radicare approcci proattivi fra i soggetti (attori) professionisti della giurisdizione e garantire ovunque la penetrazione di modelli di gestione del contenzioso valutati come performanti.

I nuovi ausiliari del giudice, anche se a tempo determinato, planano verso la messa a terra della nuova versione dell’ufficio del processo, per attendere a funzioni ancillari e interagire con alcune attività richieste al magistrato, cioè preparare i fascicoli, effettuare ricerche giurisprudenziali, predisporre bozze per i provvedimenti meno complicati.

Si è ben oltre l’obsoleto privilegio: il magistrato non deve più lavorare come una monade isolata, che da solo studia, riflette e scrive. La digitalizzazione deve supportare l’innovazione degli uffici giudiziari e il processo di lavoro dei giudici, fornendo gli strumenti moderni di studio e analisi, per compiere una lettura performante della litigiosità e delle modalità da adottare in concreto per contenerla, incluse quelle ispirate dalle ADR.

Un supporto esperto di ausilio per il lavoro dell’avvocato, come di qualsiasi operatore del diritto. 

 

 

1. Cfr. M.R. Covelli e D. Salari, Il PNRR e le politiche di genere. Prime riflessioni, in Giudicedonna.it, n. 1/2021 (www.giudicedonna.it/articoli/Il_PNRR_e_le_politiche_di_genere.pdf).

2. Cfr. M. Marinaro, Il PNRR e il piano straordinario per la giustizia, in Costozero.it, 4 maggio 2021 (www.costozero.it/il-pnnr-e-il-piano-straordinario-per-la-giustizia/).

3. Cfr. Cass., sez. III civ., sent. 27 marzo 2019, n. 8473 – la Corte si era già espressa sui limiti della delega.

4. Cfr. Cass., sez. VI civ., ord. 8 giugno 2020, n. 10846.

5. Cfr. C. Castelli, Giustizia: andare oltre il PNRR, in questa Rivista online, 5 maggio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/giustizia-andare-oltre-il-pnrr.

6. Il gruppo di lavoro, presieduto dal primo presidente della Suprema corte, è composto da magistrati della Cassazione e della Procura generale, dalla direttrice della cancelleria nonché dai rappresentanti degli avvocati patrocinanti dinanzi alla Cassazione e al Consiglio di Stato.

7. Cfr. M. Marinaro, La mediazione demandata dalla “Cour de cassation” e il “Conseil national de la médiation”. Nuove prospettive per la médiation judiciaire in Francia e spunti di riflessione per la riforma della mediazione italiana, in Giustizia insieme, 26 luglio 2021 (www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1887-spunti-di-riflessione-per-la-riforma-della-mediazione-italiana).

8. Il Laboratorio “Un Altro Modo”, del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università degli Studi di Firenze ha presentato al Tribunale di Firenze, alla Città metropolitana di Firenze, alla CCIAA, alla Fondazione CR, a OCF (Organismo conciliazione Firenze), all’Organismo di mediazione dei consulenti del lavoro, all’Organismo di mediazione dei geometri, un progetto scientifico per affiancare i giudici con neo-laureati borsisti di ricerca in possesso di conoscenze e competenze specifiche in mediazione. Il Laboratorio ha approntato un report del monitoraggio sulle attività svolte con il contribuito dei borsisti, nel rispetto della circolarità del percorso: dallo studio delle cause pendenti ai provvedimenti giudiziali di invio in mediazione, alle procedure di mediazione svolte presso gli organismi partner del progetto, alle udienze di verifica dei risultati delle procedure di mediazione (dati disponibili al link: www.unaltromodo.org/).

9. Cfr. M. Bove, La mediazione delegata, in Rivista dell’arbitrato, n. 3/2018, pp. 459 ss. 

10. Vds. p. 74 del menzionato manuale, sub «Macroarea 3-Modello 20».

11. Il Protocollo originario, nonché le successive fasi della sua implementazione fra gli uffici giudiziari aderenti, sono reperibili sul sito istituzionale della Corte di appello di Bari, nell’area dedicata “Buone Prassi”: www.giustizia.bari.it/buone_prassi_menu.aspx. 

12. È l’acronimo che indica il «Sistema Informatico Contenzioso Civile Distrettuale» e gestisce i registri informatici del contenzioso civile, della volontaria giurisdizione, delle controversie di lavoro, delle esecuzioni e delle procedure concorsuali. 

13. Dapprima il Tribunale di Bari, successivamente quelli di Foggia e di Trani.

14. Cfr. M. Delia, L’Ufficio del Processo e la BDDC, in A. Ciriello (a cura di), Il Processo Telematico. Civile, penale, amministrativo, tributario, contabile, Key, Milano, 2019.

15. Fra gli uffici aderenti, si annoverano anche la Corte di appello e il Tribunale di Salerno, la Corte di appello e il Tribunale di Napoli, le Corti di appello dell’Aquila e di Ancona, il Tribunale di Agrigento, il Tribunale di Cosenza e quello di Paola, il Tribunale di Castrovillari e quello di Catanzaro, il Tribunale di Lamezia Terme, la Corte di appello di Potenza e il Tribunale Matera, il Tribunale di Foggia, il Tribunale di Trani, il Tribunale di Taranto, il Tribunale di Brindisi, il Tribunale di Nocera Inferiore e il Tribunale di Vallo della Lucania.

16. Cfr. M. Delia, La Conciliazione fra organizzazione, formazione e tecnologia, in Quaderni di conciliazione (a cura di Carlo Pilia, Ed. AV, Cagliari), n. 10/2019, pp. 35 ss.

17. Lo conferma la nota emessa dal DGSIA sull’Archivio nazionale giurisprudenziale di merito (prot. Csm n. A-41163/2018 del 9 luglio 2018).

18. Per una disamina più approfondita sui temi degli algoritmi predittivi si rimanda ai contenuti del volume curato da L. Viola, Giustizia predittiva e interpretazione della legge con modelli matematici, atti del Convegno presso Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Ed. Diritto Avanzato, Milano, dicembre 2019.

19. I “focus” trovano una normale collocazione all’interno delle riunioni di sezione organizzate periodicamente ai sensi dell’art 47-quater dell’ordinamento giudiziario.

20. Cfr. M. Delia, L’ufficio del Processo: La Bddc fra conoscibilità delle decisioni e conciliazione, in L. Viola (a cura di), Giustizia predittiva, op. cit., pp. 103 ss.

21. Cfr. L. Viola, Valutazione delle prove secondo prudente apprezzamento, Diritto Avanzato, Milano, 2021 pp. 168 ss.

22. Cfr., ex multis, Cass., sez. lav., 20 maggio 2020, n. 9309, con riferimento – a tutela della celerità del processo – ad un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico-sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 cpc.

23. Cfr., S. Alunni, Principio della ragione più liquida: rito e merito nell’ordine di trattazione, in Giur. it., n. 12/2016, p. 2625; F.P. Luiso, Diritto processuale civile – II, 2017, Giuffrè, Milano, p. 67.

24. Il criterio metodologico in ambito giuridico fu espresso dal filosofo Guglielmo di Occam. Cfr. A. Arseni, Il rasoio di Occam: quando il principio della ragione più liquida prevale su quello dispositivo, in Persona e danno, 30 novembre 2015 (www.personaedanno.it/articolo/il-rasoio-di-occam-quando-il-principio-della-ragione-pi-liquida-prevale-su-quello-dispositivo-antonio-arseni).

25. Cfr. C. Castelli, Giustizia, op. cit.