Magistratura democratica

La ADR nella delega per la riforma del processo civile

di Alberto Maria Tedoldi

Il contributo si sofferma sulle novità in materia di ADR contenute nel ddl delega approvato dal Senato nel settembre 2021 per la riforma del processo civile. Molte sono le novità che riguardano la mediazione, ampliando gli incentivi fiscali e le ipotesi di mediazione obbligatoria, valorizzando la mediazione demandata dal giudice e la formazione dei mediatori, introducendo l’attività istruttoria stragiudiziale nel contesto della negoziazione assistita da avvocati e prevedendo la possibilità di comporre anche controversie di lavoro con tale strumento, nonché l’emanazione di un «Testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione» (Tusc) per coordinare tutte le numerose leggi speciali sulle varie forme di ADR.

1. Il processo civile come il “campo di Agramante” / 2. «Nolite iudicare»: la follia del giudizio e lo spirito della mediazione / 3. Le novità in materia di mediazione civile e commerciale / 4. Le novità in materia di negoziazione assistita da avvocati

 

1. Il processo civile come il “campo di Agramante”

Nel maggio 2021 sono stati pubblicati corposi emendamenti governativi al ddl delega AS 1662/XVIII, presentato dal precedente Governo al Senato il 9 gennaio 2020. A fine maggio 2021 sono state rese pubbliche le proposte formulate dalla Commissione ministeriale presieduta da Francesco Paolo Luiso e a giugno gli emendamenti governativi sono stati presentati al Senato, il quale, nel mese di settembre 2021, ha approvato con il voto di fiducia il testo uscito dai lavori della Commissione giustizia, largamente emendato, accompagnato da altro ddl, n. 311-A («Istituzione e funzionamento delle camere arbitrali dell’avvocatura»), e passato ora alla Camera dei deputati per l’approvazione, sempre – v’è da attendersi, secondo ormai consolidata metodologia legiferante governativa, anziché parlamentare – ponendo la questione di fiducia.

Proposte ed emendamenti sono stati rapidamente concepiti, forgiati e approvati, onde ottenere i fondi europei previsti dal Recovery Plan (o Next Generation Plan), il cd. «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza» (PNRR). È questa la novità più saliente, dopo decenni di riforme processuali a costo zero mercé clausole di “invarianza finanziaria” per le esauste casse erariali, salvo trasferire e far pesare sugli utenti costi e formalismi, soprattutto telematici, sempre più onerosi e time consuming. Si pensi, exempli gratia, all’“insostenibile leggerezza” del PCT, che costringe non soltanto a depositare atti e documenti in forma telematica, ma a duplicarli mediante copie cartacee (“analogiche”, si dice ora) entro più o meno eleganti “fascicoli di cortesia”, per consentire a chi non sia nativo digitale di studiare ed evidenziare “le sudate carte”, come sempre è stato abituato a fare lungo il cursus studiorum et honorum, senza deteriorarsi la vista sul monitor

Ubiquità, non luoghi, “distanziamento sociale” e burocratizzazione nella giurisdizione civile sono realtà da tempo endemiche, e lo sono diventate viepiù con la pandemia e la legislazione d’emergenza. Del che abbiamo scritto altrove, in un pamphlet dedicato a «Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia», auspicando che si torni a quella phrònesis dialogica in corpore vili, che è il lievito di ogni metodo di soluzione della controversia, giudiziale o stragiudiziale che sia[1].

Se le progettate novelle al rito civile non promettono alcunché di buono – restringendo ulteriormente l’accesso alla giustizia entro preclusioni e formalismi sempre più intollerabilmente rigidi e precostituiti, anziché attuare un case management che adatti le forme procedurali alla variabile complessità delle controversie[2] –, va salutata con favore la parte del ddl e degli emendamenti dedicata al potenziamento delle ADR, in particolare alla mediazione demandata dal giudice (cfr. art. 2, lett. o), la cui attività dovrebbe essere riorganizzata, coordinata e valorizzata nel contesto dell’ufficio del processo, con adeguati e ben formati ausili di personale e giovani tirocinanti (vds. art. 16), in un circolo virtuoso tra uffici giudiziari, università, avvocatura, organismi di mediazione, enti e associazioni professionali, che si conforma alfine al paradigma del «multidoor courthouse», forgiato da Frank Sander nell’ormai risalente Pound Conference del 1976. 

Se tutto ciò verrà poco a poco a realizzarsi, proseguendo con pazienza e tenacia nell’alacre opera seguita all’ingresso della mediazione in Italia con il d.lgs n. 28/2010, pur dopo la forzosa pausa imposta dalla Consulta tra l’autunno del 2012 e quello del 2013, sarà un’autentica svolta culturale per il servizio giustizia, usualmente ingessato nel “tran tran” di solipsistiche attività scritturali, cartacee e ora telematiche, così distanti dai bisogni delle persone che bussano alle porte del tribunale e attendono invano senza ricever risposta – come il contadino tenuto sempre sulla soglia delle porte della Legge, nel celebre apologo di Kafka «Vor dem Gesetz» – o che, dopo aver affrontato infinite chicanes processuali e atteso per anni una pronuncia sul merito, subiscono dinieghi formalistici o provvedimenti ex auctoritate che nulla hanno da spartire con l’accurata ricostruzione della fattispecie e con la sua sussunzione nell’appropriata regula iuris, canoni fondamentali del cd. “giusto processo” che si connota oggidì quale servizio pubblico, non già e non più, per fortuna, quale pars summi imperii, secondo vetuste concezioni dello Stato e dell’ordinamento, che dovremmo alfine abbandonare una volta per tutte.

Nella postmodernità liquida, traversando mari in perenne tempesta, si è approdati su lidi diametralmente opposti a quelli che informavano l’utopia illuministica prima e giuspositivistica poi. Il diritto e le sue fonti sono in frantumi; le leggi sono frenetiche e alluvionali, colme di frasi prolisse, parole inesatte e imprecise, clausole generali e concetti giuridici indeterminati o tecnicismi esoterici ignoti ai più. Il metodo stesso del positivismo giuridico, incentrato sull’analisi degli elementi della fattispecie astratta, è in mille pezzi, di fronte all’incapacità di costruire e di esprimere con parole semplici e comprensibili idee e precetti cartesianamente chiari e distinti. Prevalgono l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni normative in base a principi e valori, che si prestano, nella loro naturale generalità e per insolubile indeterminatezza, a esser tratti alla bisogna del singolo interprete, ponendoli sul proverbiale letto di Procuste, prendendo così il sopravvento la soggettiva incertezza del judge made law[3].

Per altri versi, ci troviamo immersi in un sistema di totale squilibrio tra poteri, che incide sui meccanismi di checks and balances propri dello Stato di diritto e del due process of law, superati e resi vani dall’imperversare dello stato di eccezione e di emergenza imposto da ricorrenti e ormai endemiche crisi, da molti anni a questa parte assurte a permanenti dispositivi di governo della res publica: del che abbiamo scritto in altro pamphlet di prossima pubblicazione, al quale ci permettiamo di rinviare il paziente lettore[4].

Le continue, insistite e moleste riforme dei riti processuali alle quali si è assistito negli ultimi trent’anni, quasi tutte soltanto in nome della durata ragionevole del “giusto processo” civile, perseguendo l’efficienza economica con metodi aziendalistici, hanno trasformato e continuano a ridurre il processo in terra incognita e perniciosa, segnato da mille insidie e pericoli. Complicate sequenze procedurali, trappole e trabocchetti a ogni angolo, specialmente nei gradi di impugnazione, formalità scritte molteplici e inutili, assenza e incapacità di dialogo tra giudici e avvocati consegnano le parti alla completa mercé di un apparato fatto di meccanicismi goffamente consequenziari, incomprensibili e funesti per i singoli e per la comunità intera[5].

I metodi aziendalistici LIFO e FIFO (“Last In First Out”, “First In First Out”) vengono continuamente evocati[6], anche nel PNRR, secondo un’ottica che lascia oltremodo perplessi, dacché manifesta un approccio esclusivamente economicistico ai problemi della giustizia civile, come se la tutela dei diritti soggettivi, spesso indisponibili, possa essere ridotta alla “performance” degli uffici giudiziari e alla durata dei processi in termini puramente statistici e quantitativi, senza badare alla qualità e al contenuto dei provvedimenti, alle ricostruzioni dei fatti in essi operate e alle soluzioni giuridiche che ai singoli casi, attentamente chiariti, meglio si attaglino, rivelando come si insista nel fare del giudice un’asettica macchina burocratica e degli uffici giudiziari inumani “sentenzifici”, nei quali la lite tra persone che il giudice è chiamato a risolvere ha un valore puramente cartaceo o telematico e freddamente statistico. Uno scenario incubico degno di Metropolis di Fritz Lang o, più lievemente, del poetico Modern Times di Charlie Chaplin, da rivedere oggi aggiornandoli alla temperie socio-economica postmoderna da terziario avanzato, interamente imperniata su logiche performative che coinvolgono l’intero essere umano, nel corpo, nella mente e nell’anima. Tutto, a cominciare dal nuovo verbo propalato attraverso le classifiche Doing Business[7] – truccate alla bisogna, come apprendiamo da recenti inchieste giornalistiche – cospira a far sì che il fascicolo della causa civile venga letteralmente “smaltito” al più presto, per rispettare i fatidici tempi dettati per legge.

Il processo civile non è e non può essere il luogo in cui si pensa soltanto a liberarsi al più presto del fascicolo per passare ad altro. La controversia è un vulnus che colpisce non soltanto i singoli, ma l’intera comunità nella sua più intima essenza, in quanto garante della pace sociale attraverso gli organi deputati ad assicurarla «in nome del popolo» (art. 101 Cost.): una pace destinata a esser gravemente compromessa senza la costante ricerca di una giusta ed equa composizione dei conflitti, per lasciar posto, in mancanza, al ritorno alla barbarie dell’autotutela, con il completo venir meno delle basi fiduciarie sulle quali si regge il patto tra concives

L’auspicio è, dunque, quello che non si faccia dei dati statistici, degli effetti economici delle riforme e delle più o meno virtuose prassi processuali un feticcio, come si legge in plurimi passi del PNRR e nelle relazioni al ddl e agli emendamenti del maggio 2021: sono soltanto strumenti di analisi e di intervento, più o meno utili in base al modo in cui vengono adoperati. La durata ragionevole del processo, prestabilita ex lege in termini astrattamente matematici, non è che uno dei valori del «giusto processo», neppure il più importante. Il processo civile, storicamente, ne persegue ben altri, di gran lunga preponderanti, che s’assidono sulla giustizia del caso singolo, ricercata e sperabilmente ottenuta attraverso l’attenta analisi dei fatti e l’accurata individuazione, interpretazione e applicazione delle norme e dei principii giuridici che a quei fatti meglio si adattino, mediante il metodo dialettico tra difensori innanzi a giudice terzo e imparziale. A questo serve il processo e a questo si spera che continui a servire, perché possa chiamarsi «giusto», come prescrive l’art. 111 Cost.[8]

 

2. «Nolite iudicare»: la follia del giudizio e lo spirito della mediazione

Affermatosi l’assolutismo politico e giuridico, mentre i giudici venivano trasformandosi in funzionari dello Stato e, nell’utopia illuministica, in mera bouche de la loi, dettata dal sovrano o dalla dea Ragione, Voltaire non mancava di lodare da par suo l’opera di pacificazione svolta dai faiseurs de paix olandesi[9]: «La meilleure loi, le plus excellent usage, le plus utile que j’aie jamais vu, c’est en Hollande. Quand deux hommes veulent plaider l’un contre l’autre, ils sont obligés d’aller d’abord au tribunal des conciliateurs, appelés faiseurs de paix. Si les parties arrivent avec un avocat et un procureur, on fait d’abord retirer ces derniers, comme on ôte le bois d’un feu qu’on veut éteindre. Les faiseurs de paix disent aux parties: Vous êtes de grands fous de vouloir manger votre argent à vous rendre mutuellement malheureux; nous allons vous accommoder sans qu’il vous en coûte rien. Si la rage de la chicane est trop forte dans ces plaideurs, on les remet à un autre jour, afin que le temps adoucisse les symptômes de leur maladie. Ensuite les juges les envoient chercher une seconde, une troisième fois. Si leur folie est incurable, on leur permet de plaider, comme on abandonne au fer des chirurgiens des membres gangrenés: alors la justice fait sa main».

Andare in giudizio è segno di «follia incurabile», una malattia di cui neppure il trascorrere del tempo allevia i sintomi. Se le parti si presentano al conciliatore con avvocati o procuratori, a questi viene chiesto di allontanarsi, come si rimuove la legna da un fuoco che si vuole spegnere. «Siete dei pazzi a mangiarvi il danaro per rendervi l’un l’altro infelici», dicono i conciliatori alle parti. Se queste non placano i bollenti spiriti e le accuse reciproche, le rinviano a un secondo e poi a un terzo incontro, affinché il tempo addolcisca i sintomi della malattia. Se la follia è incurabile, si consentirà loro di andare in giudizio, come si abbandonano ai ferri del chirurgo le membra in cancrena: allora la giustizia farà il suo corso.

Non si potrebbe immaginare una rappresentazione più efficace della “malattia del processo”, quel labirinto incomprensibile, misterioso e oscuro dal quale, una volta entrati, non è dato uscire, se non con la sentenza finale che, lungi dal dicere ius (dire le droit), decide la lite (trancher le litige) come si recide l’erba zizzania, troncando ogni velleità di umana e terrena giustizia[10].

Parole e metafore analoghe si trovano non molto tempo prima, ben lungi dall’Europa dell’illuminismo, nell’editto dell’imperatore cinese Kang-he del XVII secolo, ispirato all’ortodossia confuciana[11]: «Le controversie giudiziarie tenderebbero a moltiplicarsi smisuratamente, se il popolo non avesse timore dei tribunali e confidasse di trovare in essi una rapida e perfetta giustizia. L’uomo sarebbe indotto a farsi delle illusioni su ciò che è bene per lui e in questo modo le contestazioni non avrebbero fine, al punto che la metà degli uomini del nostro impero non basterebbe a risolvere i litigi dell’altra metà. Pertanto, io desidero che quanti si rivolgono ai tribunali siano trattati senza pietà e in modo da sentire avversione verso la legge e tremino al pensiero di comparire davanti a un giudice. Così il male sarà tagliato alle radici. I buoni cittadini che abbiano controversie tra loro le comporranno come fratelli, ricorrendo all’arbitrato di un uomo anziano o del capo del villaggio. Per quanto riguarda i turbolenti, gli ostinati e i litigiosi, lasciate che si rovinino nei tribunali: questa è la giustizia che si meritano».

Anche nella concezione cristiana la giustizia appartiene a Dio, non agli uomini, i quali non debbono giudicare per non essere giudicati: «Nolite iudicare ut non iudicemini» (Mt., 7, 2). «Se tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!» (Mt., 5.23-26).

Processo e procedura, frutto del razionalismo moderno, della logica e del metodo del positivismo giuridico, sono tramontati con la crisi della legge, dello Stato e del rapporto tra i poteri di questo. Non è più il tempo della legislazione, non è più il tempo del processo, non è più il tempo del giudizio. È giunto un tempo nuovo, da affrontare e vivere con spirito nuovo, che faccia nuove tutte le cose: l’esprit de la médiation[12].

 

3. Le novità in materia di mediazione civile e commerciale

L’art. 2 del ddl delega, rubricato «Strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», include novelle attinenti alla mediazione e alla negoziazione assistita.

La relazione agli emendamenti governativi presentati al Parlamento nel giugno del 2021 svolge ampie considerazioni, che riprenderemo nel commentare le novelle proposte.

Il conditor legis sottolinea come, nell’ambito degli interventi volti a garantire effettività all’accesso alla giustizia, si riveli «decisiva una riforma degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie che si ponga nel solco della riconosciuta coesistenza e complementarietà delle due vie, giudiziale e stragiudiziale, quale strumento di ampliamento della risposta di giustizia a beneficio dei singoli interessati e della collettività», assegnando un ruolo rilevante agli strumenti di gestione negoziale delle liti, «per la loro idoneità a contribuire al perseguimento degli obiettivi di efficienza del sistema e di risposta adeguata e tempestiva delle richieste di risoluzione dei conflitti tra privati». Si valorizza, in tal modo, l’esercizio dell’autonomia privata anche a scopi conciliativi e si persegue anche «l’obiettivo di indurre un mutamento culturale di approccio alla risoluzione stragiudiziale dei conflitti, incentivando i privati, le imprese e i professionisti a utilizzare tali strumenti avvalendosi dell’assistenza da parte di professionisti dotati di specifiche competenze e adeguatamente formati».

Perciò, con la lett. a dell’art. 2 del ddl delega, si demanda al legislatore delegato il compito di incrementare e semplificare il regime degli incentivi fiscali di cui agli artt. 17 e 20 del d.lgs 4 marzo 2010, n. 28 per le parti che partecipano alle procedure di mediazione prevedendo, tra gli altri, interventi in ordine:

- alla misura dell’esenzione dall’imposta di registro di cui all’art. 17, comma 3, d.lgs 4 marzo 2010, n. 28; 

- alla semplificazione della procedura di riconoscimento del credito di imposta, estendendolo anche al compenso dell’avvocato nei limiti previsti dai parametri professionali, nonché al contributo unificato sostenuto dalle parti nel giudizio estinto a seguito della conclusione dell’accordo del procedimento di mediazione; 

- al patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione e di negoziazione assistita; 

- alla possibile previsione in favore degli organismi di mediazione di un credito di imposta per gli importi non esigibili dalla parte ammessa al gratuito patrocinio; 

- alla riforma delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti agli organismi di mediazione, monitorando i limiti di spesa.

La lett. b dell’art. 2 del ddl delega prospetta finalmente la necessità di raccogliere la disciplina sulle ADR in un «Testo unico degli strumenti complementari alla giurisdizione» (Tusc), che riordini le norme in subiecta materia (escluso l’arbitrato), sparse in varie leggi speciali accumulatesi con l’andare degli anni. E già la scelta del titolo del testo unico, dedicato agli «strumenti complementari alla giurisdizione», disvela il mutamento di prospettiva e la piena valorizzazione delle ADR, in osmosi con il processo civile.

L’auspicio, ça va sans dire, è che il legislatore delegato produca compiutamente ad consequentias tali principi e criteri direttivi, riconoscendo alfine e quoad effectum l’importanza della mediazione e la professionalità dei mediatori nella ricerca della soluzione più adeguata della controversia, pienamente partecipe e compiutamente rispettosa dell’autonomia delle parti.

La mediazione obbligatoria – lungi dal ridurne l’impiego, come proponeva il testo originario del ddl delega presentato nel gennaio 2020, abolendola in materia bancaria e finanziaria e di responsabilità sanitaria – viene estesa a materie individuate in modo specifico, secondo un criterio omogeneo ravvisabile nel rapporto contrattuale di durata, «essendo dimostrato che il valore della mediazione è superiore nelle ipotesi in cui la relazione tra le parti abbia almeno in potenza una estensione diacronica». 

La lett. c dell’art. 2 amplia, perciò, la mediazione obbligatoria ai rapporti nascenti da contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone, subfornitura, fermo restando il ricorso alle procedure di risoluzione alternativa delle controversie previsto da eventuali leggi speciali. «Considerata la rilevanza dell’estensione così proposta si ritiene necessario prevedere che dopo cinque anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo che attua tali previsioni si proceda a una verifica, alla luce delle risultanze statistiche, dell’opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità, anche tenuto conto dei più generali risultati di deflazione e diffusione della cultura della mediazione che si saranno conseguiti», aggiunge la relazione agli emendamenti.

Sempre la lett. c dell’art. 2, nel testo approvato dal Senato, ha cura di aggiungere che, «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale le parti devono essere necessariamente assistite da un difensore e la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo e che, in ogni caso, lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale. In conseguenza di questa estensione rivedere la formulazione del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28». Si tratta di aggiunte del tutto superflue e pleonastiche, posto che il d.lgs n. 28/2010 (nel testo riscritto nel 2013) già prevede tutto ciò, mentre non è dato comprendere come si pensi di valorizzare la partecipazione personale ed effettiva delle parti – come pure si legge nella lett. e dello stesso art. 2 ddl delega – scrivendo sic et simpliciter che «la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». Il problema, come noto, è semmai quello che il primo incontro non sia una semplice “scatola vuota”, destinata a dare tout court informazioni sulla mediazione e sui suoi vantaggi come un banale “punto informativo”, assicurando invece che in quella sede abbia inizio una mediazione effettiva: diversamente, il primo incontro rischierà di restare per molti solo un adempimento burocratico-formale, da soddisfare per rendere procedibile la causa in sede giudiziale, con grave nocumento non solo per lo strumento conciliativo in sé, che aspira a essere complementare alla giurisdizione, ma per la cultura della mediazione e per l’ordinamento nella sua interezza. Si dovrebbe dunque abolire il primo incontro informativo, giustapposto nel 2013 al d.lgs n. 28/2010, consentendo che la mediazione prenda abbrivio illico et immediate, nella pienezza delle attività negoziali, senza patemi né preoccupazioni che ciò possa ostacolare l’accesso alla giustizia.

Poco utili appaiono i principi della delega inseriti nelle lett. d e f dell’art. 2 ddl delega: «d) individuare, in caso di mediazione obbligatoria nei procedimenti di opposizione a decreto ingiuntivo, la parte che deve presentare la domanda di mediazione, nonché il regime del decreto ingiuntivo laddove la parte obbligata non abbia soddisfatto la condizione di procedibilità»; «f) prevedere la possibilità per le parti del procedimento di mediazione di delegare, in presenza di giustificati motivi, un proprio rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la soluzione della controversia e prevedere che le persone giuridiche e gli enti partecipano al procedimento di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la soluzione della controversia».

Quanto all’opposizione a decreto ingiuntivo (art. 2, lett. d), il problema è stato ormai risolto dalle sezioni unite nel senso auspicato dalla dottrina e da una parte della giurisprudenza di merito, onerando il creditore opposto, in quanto attore in senso sostanziale, a promuovere il procedimento di mediazione[13]. Si tratterà, dunque e al più, di tradurre in esplicita norma di legge e, così, di stabilizzare definitivamente la savia soluzione adottata dalle sezioni unite.

Con riguardo alla possibilità di nominare, per giustificati motivi, un delegato che sia a conoscenza dei fatti e che abbia il potere di conciliare la lite (art. 2, lett. f), anche oggi ciò avviene, secondo le usuali regole e i principi confermati anche dalla Suprema corte in assai puntuale arrêt[14], secondo cui le parti debbono partecipare personalmente alla mediazione, assistite dai rispettivi difensori, ma possono farsi sostituire da un rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura eventualmente rilasciata agli stessi difensori. Sarebbe semmai utile chiarire che codesta “procura sostanziale” potrà essere rilasciata nelle forme di cui all’art. 185 cpc, con firma autenticata dal difensore, anche nominando se stesso quale rappresentante abilitato a transigere e conciliare la controversia, non potendosi certo rendere le forme da adottare nel contesto della mediazione più gravose di quelle che s’adoprano nel processo.

Oltremodo utile, per non dir necessaria, è la disposizione introdotta nella lett. g dell’art. 2 ddl delega, che intende «prevedere per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 20 marzo 2001, n. 165, che la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti»: norma questa assolutamente indispensabile, specie in materia di responsabilità sanitaria degli ospedali pubblici, a evitare che il timor panico di inchieste della Procura presso la Corte dei conti freni le conciliazioni da parte dei funzionari della p.a. Opportunamente, il legislatore limita la colpa grave alla «negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti», in analogia con quanto prevede l’art. 2, comma 3, l. n. 117/1988 in materia di responsabilità civile dei magistrati, novellata nel 2015[15].

Assai utile è anche quanto prevede la lett. h dell’art. 2 ddl delega, stabilendo che «l’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi» e che «l’accordo di conciliazione riportato nel verbale o la proposta del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea che delibera con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile e che, in caso di mancata approvazione, la conciliazione si intende non conclusa o la proposta del mediatore non approvata». Si semplifica, in tal modo, la farraginosa procedura prevista nell’attuale art. 71-quater disp. att. cc, che impone una previa delibera assembleare per autorizzare l’amministratore ad attivare un procedimento di mediazione o ad aderirvi e parteciparvi, tornando poi in assemblea a riferire circa gli esiti della mediazione per deliberare nuovamente sull’eventuale proposta conciliativa sortita dalla negoziazione. La delibera assembleare riguarderà ora, ex necesse, soltanto la fase conciliativa e dovrà essere assunta con le maggioranze prescritte dall’art. 1136 cc, in base alla materia del contendere.

La lett. i dell’art. 2 introduce, «quando il mediatore procede ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, la possibilità per le parti di stabilire, al momento della nomina dell’esperto, che la sua relazione possa essere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice». La norma affronta il problema dell’acquisizione nel successivo processo della CTM («consulenza tecnica in mediazione») eventualmente esperita durante la procedura di mediazione, non conclusasi con la conciliazione della lite. Gli obblighi di riservatezza e il divieto di utilizzazione delle attività istruttorie svolte in seno alla mediazione ex artt. 9 e 10 d.lgs n. 28/2010 (ivi inclusa la CTM di cui all’art. 8, comma 4, d.lgs cit.) ostano all’acquisizione in giudizio dell’elaborato peritale, salvo che le parti non l’abbiano espressamente autorizzata. Si pone in tal modo un limite a una giurisprudenza di merito che, in nome del principio di durata ragionevole e di non dispersione della prova, non esitava a disporre l’acquisizione della CTM, senza troppo curarsi dei vantaggi che la riservatezza della mediazione trae seco nel contesto delle negoziazioni intese a conciliare la controversia, con il rischio di frenare il buon esito delle trattative e delle attività istruttorie disposte per favorire l’accordo conciliativo.

Le lett. l, m e n dell’art. 2 ddl delega perseguono il lodevole scopo di migliorare la preparazione professionale dei mediatori, la qualità, la trasparenza e l’efficienza del relativo servizio, prevedendo di: «l) procedere alla revisione della disciplina sulla formazione base e di aggiornamento dei mediatori, aumentando la durata della stessa e dei criteri di idoneità per l’accreditamento dei formatori teorici e pratici, prevedendo che coloro che non abbiano conseguito una laurea nelle discipline giuridiche possano essere abilitati a svolgere l’attività di mediatore dopo aver conseguito un’adeguata formazione tramite specifici percorsi di approfondimento giuridico, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; «m) potenziare i requisiti di qualità e trasparenza del procedimento di mediazione, anche riformando i criteri indicatori dei requisiti di serietà ed efficienza degli enti pubblici o privati per l’abilitazione a costituire gli organismi di mediazione di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2020, n. 28 e le modalità della loro documentazione per l’iscrizione nel registro previsto dalla medesima norma»; «n) riformare e razionalizzare i criteri di valutazione della idoneità del responsabile dell’organismo di mediazione, nonché degli obblighi del responsabile dell’organismo di mediazione e del responsabile scientifico dell’ente di formazione».

La lett. o dell’art. 2 ddl delega valorizza e incentiva «la mediazione demandata dal giudice di cui al comma 2 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010, in un regime di collaborazione necessaria fra gli uffici giudiziari, l’università, nel rispetto della loro autonomia, l’avvocatura, gli organismi di mediazione, gli enti e le associazioni professionali e di categoria sul territorio, che consegua stabilmente la formazione degli operatori, il monitoraggio delle esperienze e la tracciabilità dei provvedimenti giudiziali che demandano le parti alla mediazione». Il criterio della delega aggiunge la necessità di «prevedere l’istituzione di percorsi di formazione in mediazione per i magistrati e la valorizzazione di detta formazione e dei contenziosi definiti a seguito di mediazione o comunque mediante accordi conciliativi, ai fini della valutazione della carriera dei magistrati stessi», così come invita a fare la Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) in un documento del 9 dicembre 2019, denominato «Mediation Awareness Programme For Judges ensuring the efficiency of the Judicial Referral to mediation», nel quadro del «Mediation Development Toolkit Ensuring implementation of the CEPEJ Guidelines on mediation»: ragioni di spazio impediscono di darne compiuto conto nella presente sede, ma il documento è agevolmente reperibile sul web (“www.coe.int/en/web/cepej/mediation-tools”).

La lett. p dell’art. 2 ddl delega è inutile superfetazione: non solo l’emergenza pandemica e il “distanziamento sociale”, ma anche ragioni di comodità indotte da vorticoso progresso tecnologico-digitale hanno già spinto a consentire che «le procedure di mediazione e di negoziazione assistita possano essere svolte, su accordo delle parti, con modalità telematiche e che gli incontri possano svolgersi con collegamenti da remoto». Siamo nel campo degli strumenti di soluzione delle controversie tra privati su diritti disponibili, in cui tutto dipende naturaliter dalla volontà degli stessi, in ossequio al principium libertatis che dovrebbe informare generaliter lo Stato di diritto e le democrazie liberali. Anche per il processo civile coram iudice sarebbe bene che legislatore e operatori del diritto custodissero questo valore, senza assilli efficientisti né impulsi autoritari: la giustizia civile è servizio pubblico reso nell’interesse dei singoli e della collettività da civil servants, privata o pubblica che sia la scaturigine del munus demandato loro.

 

4. Le novità in materia di negoziazione assistita da avvocati

La negoziazione assistita da avvocati, da che è stata introdotta con dl n. 132/2014, ha dato buona prova di sé unicamente nell’ambito delle separazioni e dei divorzi ex art. 6 dl ult. cit., favorendo approcci di collaborative law assai più adatti a tale materia del contendere, in luogo di infinite controversie giudiziali destinate a produrre macerie su macerie. Al di fuori di tale ambito, la negoziazione assistita, anche quando costituisca condizione di procedibilità ex art. 3 dl n. 132/2014 (nelle cause di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti e di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 euro) ha dato risultati statisticamente irrilevanti.

La lett. q dell’art. 2 ddl delega prevede ora, «per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, senza che ciò costituisca condizione di procedibilità dell’azione, la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita, a condizione che ciascuna parte sia assistita dal proprio avvocato, nonché, ove le parti lo ritengano, anche dai rispettivi consulenti del lavoro, e prevedere altresì che al relativo accordo sia assicurato il regime di stabilità protetta di cui all’articolo 2113, quarto comma, del codice civile». In breve, l’accordo conciliativo cui pervengano lavoratore (subordinato e parasubordinato) e datore di lavoro, nel quadro di una procedura di negoziazione assistita da avvocati, avrà la stessa stabilità degli accordi stipulati in sede protetta con l’assistenza delle organizzazioni sindacali e datoriali. È novità che, ove prendesse effettivamente piede, riveste un rilievo notevole, confermando viepiù la proiezione dell’ordinamento verso un’ampia liberalizzazione privatistica delle forme di tutela, affidate ai professionisti del settore, avvocati e consulenti del lavoro, le cui condotte deontologiche dovranno essere particolarmente attente e rigorose, affinché le norme sostanziali di protezione ricevano piena applicazione, senza prestarsi a facili elusioni.

La lett. r dell’art. 2 ddl delega intende opportunamente «semplificare la procedura di negoziazione assistita, anche prevedendo che, salvo diverse intese tra le parti, sia utilizzato un modello di convenzione elaborato dal Consiglio nazionale forense», così conferendo lo stigma dell’ufficialità a una prassi già in uso.

Un’indecifrabile incognita appare, invece, la cd. «attività di istruzione stragiudiziale», prevista nelle lettere s e t dell’art. 2 ddl delega, quando la convenzione per la procedura di negoziazione assistita da avvocati di cui all’art. 2, comma 1, dl n. 132/2014 la preveda espressamente. Ivi si contempla «la possibilità di svolgere, nel rispetto del principio del contraddittorio e con la necessaria partecipazione di tutti gli avvocati che assistono le parti coinvolte, attività istruttoria, denominata “attività di istruzione stragiudiziale”, consistente nell’acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto, ai fini di cui all’articolo 2735 del codice civile, la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente». 

E s’intende prevedere, «in particolare:

1) garanzie per le parti e i terzi, anche per ciò che concerne le modalità di verbalizzazione delle dichiarazioni, compresa la possibilità per i terzi di non rendere le dichiarazioni, prevedendo in tal caso misure volte ad anticipare l’intervento del giudice al fine della loro acquisizione;

2) sanzioni penali per chi rende dichiarazioni false e conseguenze processuali per la parte che si sottrae all’interrogatorio, in particolar modo consentendo al giudice di tener conto della condotta ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, secondo comma, del codice di procedura civile;

3) l’utilizzabilità delle prove raccolte nell’ambito dell’attività di istruzione stragiudiziale nel successivo giudizio avente ad oggetto l’accertamento degli stessi fatti e iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della procedura di negoziazione assistita, fatta salva la possibilità per il giudice di disporne la rinnovazione, apportando le necessarie modifiche al codice di procedura civile;

4) con riguardo al successivo giudizio, una maggiorazione del compenso previsto per la fase istruttoria o di trattazione dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55, in misura non inferiore al 20 per cento, per gli avvocati che abbiano fatto ricorso all’istruttoria stragiudiziale, salvo che il giudice non rilevi il carattere abusivo o la manifesta inutilità dell’accesso all’istruzione stragiudiziale oppure non ne disponga l’integrale rinnovazione;

5) che il compimento di abusi nell’attività di acquisizione delle dichiarazioni costituisca per l’avvocato grave illecito disciplinare, indipendentemente dalla responsabilità prevista da altre norme». 

L’«attività di istruzione stragiudiziale», così delineata nell’ambito della negoziazione assistita da avvocati, s’ispira vagamente alla fase pre-trial dei processi anglosassoni, specialmente statunitensi, dove però ben altre regole informano l’acquisizione delle prove prima del trial, mercé stringenti duties of disclosure e formidabili poteri di discovery in capo alle parti, alla stregua di statements of truth sottoscritti anche dai difensori, protetti da severe sanzioni penali e disciplinari per contempt of court, secondo usus fori del tutto ignoti al nostro ordinamento nel quale, per risalente tradizione, si riflette e invera semmai l’opposto principio del nemo tenetur edere contra se

Sperare, dunque, che nel contesto della negoziazione assistita parti e difensori s’impegnino a “vuotare il sacco” e a ricostruire i fatti controversi, con puro metodo adversarial e senza alcun coordinamento di un soggetto terzo, consentendo che le prove formatesi e le dichiarazioni rese vengano poi acquisite nel successivo processo coram iudice in caso di mancata conciliazione, appare wishful thinking francamente utopistico e, per vero, assai poco coerente con le finalità conciliative della negoziazione assistita, cui dovrebbero rimanere tendenzialmente estranei l’apparato e l’armamentario retorico della dialettica processuale e che dovrebbe, semmai, restare protetta dai successivi svolgimenti contenziosi, esattamente come avviene per la mediazione, soggetta a riservatezza e a divieti di utilizzazione delle dichiarazioni e delle attività anche istruttorie svolte in seno alla stessa, a mente degli artt. 9 e 10 d.lgs n. 28/2010, come peraltro prevede anche l’art. 9 dl n. 32/2014 per la negoziazione assistita da avvocati, proprio allo scopo di agevolare un dialogo schietto e franco tra le parti, con incontri anche separati, senza il timore di esprimersi e, ancor meno, di rendere dichiarazioni con efficacia confessoria o di dare corso a prove contrarie ai propri interessi.

Semmai, codesta «attività di istruzione stragiudiziale», tratteggiata dal ddl delega, potrebbe virtuosamente innestarsi in alcuni passaggi delle ADR, non soltanto in seno alla negoziazione assistita, ma anche in sede di mediazione, quando occorra chiarire i fatti attraverso attività istruttorie, meglio se regolate da un terzo imparziale come il mediatore, onde favorire la soluzione conciliativa della lite: sempre, però, con la protezione della riservatezza e il divieto di successiva utilizzazione che connotano le ADR, perché possano produrre compiutamente ad consequentias le loro finalità conciliative.

Infine, la lett. u dell’art. 2 ddl delega vuole apportare modifiche all’art. 6 dl n. 132/2014 sulla negoziazione assistita da avvocati in materia di separazione, divorzio e scioglimento delle unioni civili, prevedendo che, «fermo il principio di cui al comma 3 del medesimo articolo 6, gli accordi raggiunti a seguito di negoziazione assistita possano contenere anche patti di trasferimenti immobiliari con effetti obbligatori; disponendo che nella convenzione di negoziazione assistita il giudizio di congruità previsto dall’articolo 5, ottavo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sia effettuato dai difensori con la certificazione dell’accordo delle parti; adeguando le disposizioni vigenti quanto alle modalità di trasmissione dell’accordo; prevedendo che gli accordi muniti di nulla osta o di autorizzazione siano conservati, in originale, in apposito archivio tenuto presso i Consigli dell’ordine degli avvocati di cui all’articolo 11 del citato decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, che rilasciano copia autentica dell’accordo alle parti, ai difensori che hanno sottoscritto l’accordo e ai terzi interessati al contenuto patrimoniale dell’accordo stesso; prevedendo l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria a carico dei difensori che violino l’obbligo di trasmissione degli originali ai Consigli dell’ordine degli avvocati, analoga a quella prevista dal comma 4 dell’articolo 6 del citato decreto-legge n. 132 del 2014».

In breve:

- gli accordi tra coniugi che si separino o divorzino o tra persone che sciolgano l’unione civile mediante negoziazione assistita da avvocati potranno prevedere anche trasferimenti immobiliari, con efficacia però meramente obbligatoria; sicché per conseguire l’effetto traslativo occorrerà comunque stipulare l’atto presso notaio o, in caso di inosservanza dell’obbligo, agire ex art. 2932 cc per ottenere il trasferimento della proprietà del bene immobile mediante sentenza costitutiva;

- al coniuge o al partner dell’unione civile sprovvisto di mezzi adeguati o che comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto di tutti i parametri di cui al comma 6 dell’art. 5 l. div., come riletti dalle sezioni unite a seguito di un recente e assai noto revirement[16], potrà essere riconosciuta una somma una tantum, da versare in unica soluzione e la cui congruità è asseverata dagli avvocati, che assistono le parti e sottoscrivono l’accordo, non potendosi in tal caso avanzare più alcuna successiva domanda di contenuto economico, a norma del comma 8 dello stesso art. 5 l. div.;

- fin troppo severe appaiono le sanzioni a carico dell’avvocato che ometta o ritardi, oltre i dieci giorni, la trasmissione di copia (autenticata dallo stesso difensore) dell’accordo munito di nulla osta o autorizzazione del pm e delle certificazioni di autografia delle sottoscrizioni e di conformità alle norme imperative rese dagli avvocati, all’ufficiale dello stato civile del Comune di iscrizione o trascrizione del matrimonio o dell’unione civile, nonché – come prevede ora la delega – anche di un originale al consiglio dell’ordine circondariale del luogo in cui l’accordo è stato raggiunto ovvero al consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati, affinché lo conservi in un apposito archivio, ai sensi dell’art. 11 dl n. 132/2014: la sanzione amministrativa pecuniaria va da un minimo edittale di euro 2000 a un massimo di euro 10.000, che non è poco per un duplice adempimento burocratico affidato a professionisti privati, ancorché investiti di un pubblico servizio.

Merita, infine, di essere ricordato che l’art. 22 del ddl in esame contiene «misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie», destinate a entrare in vigore immediatamente dopo l’approvazione della legge, senza dover attendere i decreti delegati. Il comma 10 dell’art. 22 del ddl opportunamente estende la negoziazione assistita da avvocati di cui all’art. 6 dl n. 132/2014 (procedimenti di modifica delle condizioni di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili) alle controversie in materia di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio e di alimenti.

 

1. A. Tedoldi, Il giusto processo (in)civile in tempo di pandemia, Pacini, Pisa (Quaderni di Judicium, n. 15), 2021.

2. Si vis, A. Tedoldi, Cultura delle preclusioni, «giusto processo» e accordi procedurali (forme processuali collaborative per un rinnovato «umanesimo forense»), in Giusto proc. civ., n. 2/2015, pp. 375 ss.

3. N. Irti, Un diritto incalcolabile, Giappichelli, Torino, 2016; N. Lipari, Diritto civile e ragione, Giuffrè, Milano, 2019; N. Picardi, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 155 ss.

4. A. Tedoldi, «Come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Il ‘Pater noster’ secondo Francesco Carnelutti e la responsabilità del debitore, Il Mulino, Bologna, 2021.

5. Vds. G. Verde, Il processo sotto l’incubo della ragionevole durata, in Riv. dir. proc., n. 3/2011, pp. 505 ss.; Id., Considerazioni inattuali su giudicato e poteri del giudice, ivi, n. 1/2017, pp. 13 ss.

6. LIFO e FIFO compaiono in un documento apparso l’11 maggio 2015 sul sito del Ministero della giustizia, intitolato «Misurare la performance dei tribunali», nell’ambito dei lavori dell’«Osservatorio per il monitoraggio degli effetti sull’economia delle riforme della giustizia», presieduto dall’ex Ministro della giustizia Paola Severino (www.giustizia.it/resources/cms/documents/Performance_tribunali_italiani_settore_civile.pdf).

7. Sulle quali vds., criticamente, R. Caponi, Doing Business come scopo della giustizia civile?, in Foro it., 2015, V, cc. 10 ss.

8. Consonanti considerazioni in L. Breggia, L’efficienza (in)significante, in questa Rivista, edizione cartacea, Franco Angeli, Milano, n. 1/2012, pp. 153 ss.; Ead., I tempi della giustizia e il tempo dei diritti, ivi, n. 4/2013, pp. 22 ss.; Ead., I tribunali al tempo della crisi – Realtà e prospettive di rilancio, ivi, n. 3/2010, pp. 75 ss.

9. Voltaire, Fragment d’une lettre sur un usage très utile établi en Hollande (1739), in Œuvres complètes de Voltaire, tomo 23, Garnier, Paris, 2003, pp. 127 ss.

10. B. Cavallone, La borsa di Miss Flite, Adelphi, Milano, 2016, pp. 23 ss.

11. Cfr. W. Milne, The Sacred Edict, containing sixteen maxims of the Emperor Kang-he, amplified by his son, the Emperor Yoong-ching; together with a paraphrase on the whole by a mandarin – Translated from the Chinese original, and illustrated with notes, Black - Kinsbury - Parbury - Allen, Londra, 1817, pp. 284 ss.

12. J. Morineau, L’esprit de la médiation, Érès, Paris, 1998 (trad. it.: Lo spirito della mediazione, Franco Angeli, Milano, 2000).

13. Cass., sez. unite, 18 settembre 2020, n. 19596, in Foro it., 2020, I, c. 3424, con note di D. Dalfino, La (persuasiva) soluzione delle sezioni unite in tema di mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo, e di A. Zanello, Sezioni unite 19596/20: la «joint venture» di processo e mediazione.

14. Cass., 27 marzo 2019, n. 8473, in Foro it., 2019, I, c. 3250, con note di D. Dalfino, «Primo incontro», comparizione personale delle parti, effettività della mediazione, e di A. Zanello, Cass. 8473/19: conciliazione delle controversie e mediazione in cerca di identità. Vds. anche Cass., 5 luglio 2019, n. 18068, in Corr. giur., 2019, p. 1533, con nota di M. Ruvolo.

15. Cfr., si vis, A. Tedoldi, Profili processuali della responsabilità civile del giudice. I - Il damnum re iudicata datum nella storia e nel diritto comparato, in Giusto proc. civ., n. 3/2019, pp. 645 ss.; Id., Profili processuali della responsabilità civile del giudice. II – La legge 117/1988: praticamente disapplicata, farisaicamente novellata, ivi, n. 4/2019, pp. 983 ss.

16. Cass., sez. unite, 11 luglio 2018, n. 18287, in Foro it., 2018, I, c. 2671, con note di G. Casaburi, L’assegno divorzile secondo le sezioni unite della Cassazione: una problematica «terza via», e di M. Bianca, Le sezioni unite e i corsi e ricorsi giuridici in tema di assegno divorzile: una storia compiuta?, e in Foro it., 2018, I, c. 3605 (m), con note di F. Macario, Una decisione anomala e restauratrice delle sezioni unite nell’attribuzione (e determinazione) dell’assegno di divorzio, e di A. Morace Pinelli, L’assegno divorzile dopo l’intervento delle sezioni unite