Ancora una volta i tribunali per i minorenni messi al margine della giurisdizione*
Nella riforma del processo civile emerge una scarsa considerazione dei temi e delle particolari modalità operative della giustizia minorile che, nell’esperienza concreta del Tribunale per i minorenni, all’urgente messa in protezione del minore vede far seguito, con l’adozione di provvedimenti provvisori, la costante attenzione all’evolversi della sua vicenda esistenziale e di quella dei suoi genitori, fino a individuare in via definitiva la soluzione più confacente al soggetto minorenne. Le prerogative di specifica multidisciplinarietà e la relazione anche personale del giudice specializzato (togato e onorario) con le persone, propria dell’attuale tribunale minorile, finiscono per essere svalutate dalla riforma.
1. Le fasi della riforma / 1.1. La prima fase: le norme immediatamente precettive / 1.2. La seconda fase: unificazione del rito / 1.3. La terza fase: il «Tribunale unico» / 2. Ricordare il passato per dare un senso al presente con qualche possibile spiegazione sulle ragioni di certe scelte / 2.1. La storia / 2.2. Le ragioni di una scelta / 2.3. Tutto questo come avviene? / 2.4. Le proposte antiche e le nuove / 3. Il contenuto del maxi-emendamento all’art. 15-bis nel dettaglio relativamente alle norme immediatamente precettive, ossia la prima fase della riforma / 3.1. La modifica dell’art. 403 cc / 3.2. La modifica dell’art. 38 disp. att. cc e il ruolo del pubblico ministero / 3.3. La modifica degli artt. 78, 80 cpc e 336 cc / 3.4. Quale curatore speciale? / 4. La costituzione di un «Tribunale unico per le persone, i minori e le famiglie» /4.1. La delusione / 4.2. Il contenuto della riforma quanto al «Tribunale unico»: aspetti negativi e positivi / 4.3. I costi economici della riforma / 5. Conclusioni
1. Le fasi della riforma
Come è noto, con riferimento al disegno di legge delega n. 1662 relativo alla riforma del processo civile, la Commissione ministeriale istituita dalla Ministra Cartabia e presieduta da Francesco Paolo Luiso, composta da illustri giuristi, cattedratici, avvocati e da magistrati ordinari, dopo un intenso lavoro a tempi contingentati in ragione della necessità di dare concretezza alle richieste dell’Unione europea e partecipare al PNRR, ha depositato la relazione illustrativa e le proposte di riforma a cui è pervenuta.
Le proposte presentate, integrate in limine rispetto alla valutazione in aula della riforma anche con l’introduzione da parte delle relatrici di un sub-emendamento che prevede i principi di delega relativi all’istituzione di un «Tribunale unico per le persone, i minori e le famiglie» (da realizzarsi entro il 2024), sono state approvate dalla Commissione giustizia del Senato lo scorso 9 settembre 2021 all’unanimità, senza il tempo di alcuna riflessione o dibattito sul contenuto.
1.1. La prima fase: le norme immediatamente precettive
Nell’art. 15-bis del citato disegno di legge delega vengono introdotte riguardo alla materia familiare e minorile modifiche relative a una prima fase, da considerare immediatamente precettive, tese:
a) alla puntuale scansione temporale delle prassi legate alla conferma o meno, da parte dell’autorità giudiziaria, degli interventi di allontanamento urgente di minori da parte dell’autorità amministrativa ai sensi dell’art. 403 cc;
b) al superamento della frammentazione degli interventi a tutela dei soggetti minori di età da parte delle autorità giudiziarie a vario titolo coinvolte e pertanto alla modifica dell’art. 38 disp. att. cc (concernente le competenze dei tribunali per i minorenni e dei tribunali ordinari);
c) alla previsione di una opportuna difesa del minore all’interno del processo, che dovrebbe vederlo al centro degli interessi della giurisdizione, mediante la nomina di un curatore speciale;
d) all’estensione anche ai figli dei non coniugati della disciplina sulla negoziazione assistita.
Di queste modifiche urgenti immediatamente precettive si parlerà in dettaglio al paragrafo 3.
1.2. La seconda fase: unificazione del rito
Superata questa prima fase, è prevista un’ulteriore attività riformatrice finalizzata a dare vita a un unico rito processuale per tutti i procedimenti relativi alle persone, ai minorenni e alle famiglie. Secondo i riformatori, l’unificazione dei riti favorirebbe una maggiore omogeneità di interventi in situazioni analoghe con il ricorso a orientamenti uniformi e un’ adeguata risposta alle richieste sempre sollevate dagli operatori del diritto.
Per quanto l’intenzione sia lodevole, purtroppo la modalità prevista è stata costruita avendo in mente solo le caratteristiche dei procedimenti in materia di famiglia, nei quali l’obiettivo è di gestire un conflitto fra parti e comporre un contenzioso fra due adulti, solo occasionalmente genitori di soggetti minorenni, contenzioso nel quale per comune esperienza grande spazio è dato agli interventi di natura patrimoniale. La proposta della Commissione, passata senza ulteriori discussioni in Commissione giustizia del Senato, prevedendo l’adozione di un unico rito per tutte le tipologie di procedure, minorili e familiari, non pare avere tenuto in considerazione la specificità di tutti gli interventi del giudice minorile a tutela di soggetti minorenni. Infatti, a differenza che avanti al tribunale ordinario, ove il pregiudizio in danno del soggetto minore di età è solo eventuale, in quanto non tutti i figli di chi si separa vengono maltrattati, avanti al tribunale per i minorenni la riparazione del pregiudizio al soggetto minorenne cagionato dai suoi genitori è la “mission” dell’attività giudiziaria, indipendentemente dall’esistenza o meno di una lite fra i genitori. In queste situazioni, per comprendere, valutare in modo appropriato e predisporre rimedi che riparino il minore dai danni causatigli dalla propria famiglia disfunzionale, è indispensabile la collegialità e la multidisciplinarietà di un organo giudicante che sia dotato di flessibilità e della possibilità di intervenire in modo realmente tempestivo a protezione di minori maltrattati e vittime di gravissime trascuratezze, abusi, abbandoni, che per lo più poco o nulla hanno a che vedere con il conflitto di coppia. Inoltre, le decisioni del giudice minorile di primo grado vengono assunte rebus sic stantibus con modalità provvisorie, seguendo l’evoluzione del percorso posto in essere dalla famiglia di origine: si tratta di scelte che devono di volta in volta coordinarsi con i tempi del minore e dei suoi genitori, e possono radicalmente mutare nei contenuti nell’arco di alcuni mesi, fino a intervenire in via definitiva una volta reperita una soluzione protettiva stabile nell’interesse del soggetto minorenne.
L’attribuzione di competenze relative a materie già appannaggio di un organo giudiziario collegiale come il tribunale per i minorenni, composto per il 50 per cento di giudici onorari esperti nelle materie umane, a un giudice monocratico, privo del supporto nella decisione del giudice onorario esperto, stride con la delicatezza delle scelte protettive che si impongono nell’attività minorile e che possono cagionare veri e propri stravolgimenti nella vita dei minori e delle loro famiglie. Tali scelte, psicologicamente assai pesanti da assumere, non certo meno gravi della privazione della libertà per un indagato di reato, peraltro basate su interpretazioni delle realtà umane che inevitabilmente risentono di una quota di soggettività e del proprio personale concetto di “famiglia”, presentano il rischio di pericolose identificazioni da parte del giudice e possono comportare, nella solitudine decisionale del singolo, o un esagerato interventismo o scelte poco incisive solo formalmente corrette: nell’un caso e nell’altro, a scapito della reale tutela del minore.
1.3. La terza fase: il «Tribunale unico»
Viene riservata poi ad una terza fase, con previsione dell’attuazione entro il 2024, l’istituzione di un «Tribunale unico per i minori, la famiglia e le persone», dal titolo certamente evocativo e assai suggestivo, ma che nella sostanza, alla luce dell’impianto repentinamente e inaspettatamente approvato all’unanimità nel giro di un giorno, produrrà un severo ridimensionamento dell’attività dei tribunali per i minorenni, in futuro tribunali distrettuali, a composizione multidisciplinare; ridimensionamento, peraltro, iniziato sin dalla riformulazione dell’immediatamente precettivo nuovo articolo 38 disp. att. cc, che, ove approvato in via definitiva senza modificazioni, traccerà una strada senza ritorno che non pare sintonica con la reale tutela dei soggetti minorenni in situazioni di grave pregiudizio, quanto piuttosto con esigenze di altra natura.
2. Ricordare il passato per dare un senso al presente con qualche possibile spiegazione sulle ragioni di certe scelte
2.1. La storia
La lettura della relazione illustrativa al maxi-emendamento al ddl AS 1662 predisposta dalla Commissione Luiso, nella parte che ci interessa, non può non evocare, in chi ha avuto l’occasione di viverle, le battaglie contro la soppressione dei tribunali per i minorenni, cui diede inizio nel 2003 l’allora Ministro Castelli, con una proposta di riforma caduta per incostituzionalità, seguita dal tentativo promosso dal Ministro Orlando nel 2015, ben supportato sul piano politico e sostenuto da una parte della magistratura ordinaria – che sperava, sopprimendo gli uffici giudiziari minorili, di recuperare forza lavoro –, fortunatamente non andato in porto.
Questo ultimo progetto di riforma non fu portato a compimento, nonostante la positiva valutazione delle forze politiche e di una parte delle organizzazioni forensi, anche in ragione della unanime e contraria valutazione espressa da moltissimi illustri rappresentanti del mondo accademico, dal terzo settore nella sua interezza, da importanti ambienti del mondo del sociale, del sanitario e della cultura in senso ampio. Va detto, inoltre, che sia il Consiglio superiore della magistratura che l’Associazione nazionale magistrati espressero all’epoca un parere fermamente contrario, con il risultato di ottenere uno stralcio di quelle norme così avversate e pericolose per i minorenni italiani.
Oggi non si parla di soppressione degli uffici minorili; tuttavia, leggendo la relazione illustrativa alla proposta del maxi-emendamento, ci si accorge che il centro di interesse dei relatori è la procedura separativa/divorzile/minorile in senso ampio. I relatori, probabilmente come è comprensibile condizionati dalle specifiche esperienze lavorative di ognuno, individuano come unica forma di violenza in danno dei minori quella assistita, conseguente al conflitto di coppia e alla violenza di genere, senza mai riferirsi ad altre forme di maltrattamento potenzialmente subite dai soggetti minorenni. In particolare, la relazione sottolinea la necessità che, sin da subito, si affermi la competenza del tribunale ordinario quando si verifichi la contemporanea pendenza di procedure ex art. 330 e 333 cc, limitative e ablative della responsabilità genitoriale avanti al tribunale per i minorenni e di procedure prettamente familiari (separazione o divorzio o altro) avanti al tribunale ordinario, indipendentemente dal fatto che il ricorrente avanti al tribunale per i minorenni sia il pubblico ministero minorile nella sua veste di parte pubblica e non la parte, indipendentemente dal tempo di inizio della procedura e indipendentemente dalla natura, conflittuale o meno, delle vicende in gioco.
Emerge dalla lettura della relazione – ancora una volta – una carente attenzione nei confronti degli interventi posti in essere dai tribunali per i minorenni, che non paiono essere stati affrontati nella loro concretezza, forse perché non conosciuti. Non è un caso peraltro che, come si è detto, la maggiore difesa rispetto alla prospettata soppressione dei tribunali per i minorenni prevista nel 2015 venne dagli ambienti della cura, dal mondo del welfare, del sanitario, del privato sociale, della cultura in senso lato, dal mondo che parla una lingua non soltanto giuridica, perché un bambino, i suoi genitori, la sua famiglia allargata sono prima di tutto persone da ascoltare e comprendere nella loro faticosa umanità, adottando una visione prognostica, e non soltanto parti da inquadrare in una strategia processuale vincente nel qui ed ora.
2.2. Le ragioni di una scelta
Ci siamo chiesti tante volte perché il lavoro delle autorità giudiziarie minorili (includendo nella categoria le indispensabili e specializzate procure della Repubblica per i minorenni e la loro numericamente enorme e del tutto ignorata attività civile), acutamente definito da una collega quello di un “pronto soccorso per minori traumatizzati nell’anima” – lavoro che, se ben svolto, produce nella collettività prevenzione del disagio, educazione, benessere alle persone, ricostruisce famiglie, rende la comunità partecipe di percorsi riparativi, stimolando sentimenti positivi come la solidarietà sociale, la condivisione dei problemi, il farsi carico del dolore altrui – venga sistematicamente posto ai margini, valutato come di poco momento, di poco valore al punto che, in luogo di introdurre correttivi opportuni alle pur esistenti criticità, ogni tanto si pensi di poterlo sostituire con una tipologia differente e, a parere di molti giudici minorili, inadatta di intervento.
Una risposta sola non c’è, le ragioni che ho immaginato sono tante, ma sono solo ipotesi. Provo a evidenziarne alcune, ben consapevole di essere suscettibile di errore e di possibili fraintendimenti.
Come già detto, il tribunale per i minorenni non regola un conflitto fra parti, ma interviene, raramente su istanza di parte privata, molto più di frequente su ricorso del pubblico ministero, in qualità di parte pubblica investita dalle forze dell’ordine, dalla scuola, dai servizi sociali, etc., nella vicenda di pericolo psico-fisico generato al minorenne dalle carenze della famiglia di origine, ed emette i più convenienti provvedimenti di messa in protezione di quel soggetto minore, prescrivendo al contempo ai genitori idonei percorsi di recupero. È scontato che si adottino provvedimenti anche incisivi previo adeguato approfondimento e nell’assoluto rispetto delle regole del contraddittorio, previste tassativamente dalle norme che regolano l’accertamento della sussistenza dello stato di abbandono (legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 149 del 2001) e, dopo la riforma dell’art. 111 della Costituzione (legge cost. n. 2 del 1999), entrate definitivamente nella prassi operativa di ogni tribunale per i minorenni anche quanto alle procedure limitative della responsabilità genitoriale (artt. 330 e 333 cc). Il tribunale per i minorenni regola un processo che non attribuisce torti o ragioni, non gestisce questioni patrimoniali, ma persegue il migliore interesse o benessere del minore, con finalità di protezione e tutela, attivando in primis la ripresa delle capacità genitoriali carenti. Il giudice in composizione collegiale e multidisciplinare, attraverso il contatto umano con le parti e con il minore nel corso di udienze “educative” assolutamente non sostituibili con modalità cartolari o da remoto, pone in essere mezzi di sostegno e stimolo al genitore affinché provi a correggere il tiro di esistenze ab origine connotate da trascuratezza, dal momento che l’esperienza ci insegna che un genitore inadeguato è stato anch’esso a suo tempo un bambino poco amato e trascurato. Il tribunale per i minorenni persegue, in sostanza, il recupero della capacità genitoriale, utilizzando gli strumenti di cui il territorio dispone, collaborando con i servizi socio-sanitari e stimolando prassi virtuose e capacità di investire risorse di mezzi e di pensiero. Solo in casi davvero gravi, dispone l’allontanamento dei minori dalla famiglia e il loro inserimento etero-familiare per il tempo necessario ai genitori al recupero di competenze genitoriali sufficienti.
2.3. Tutto questo come avviene?
La formazione dei magistrati togati è ovviamente solo di natura giuridica e non consente di conoscere approfonditamente senza apporti di specializzazione la personalità dei protagonisti della vicenda processuale in esame, la possibilità reale di investire in percorsi di recupero, la qualità delle relazioni fra un genitore e un figlio. Ecco perché, data la tipologia della materia, un legislatore avveduto nella prima metà del secolo scorso stabilì che l’organo giudicante fosse a composizione multidisciplinare, formato anche da giudici onorari esperti nelle scienze umane. La convivenza quotidiana fra togati ed onorari, la comune passione e professionalità volta all’aiuto delle persone fragili e vulnerabili, il confronto arricchente della camera di consiglio fra le varie componenti, portano di norma a una significativa integrazione dei saperi e a una reciproca crescita culturale, che è assai utile per l’individuazione di scelte progettuali nella gestione delle terribili situazioni che troviamo ogni giorno sui nostri tavoli. Conseguenza è che lo stile comunicativo che appartiene ai tribunali per i minorenni non può non risentire di questa imprescindibile integrazione, e da ciò scaturisce molte volte una non facilmente superabile differenza di linguaggio fra tecnici del diritto e “minorili”. Tale difficoltà a intendersi deriva anche dal diverso contesto attraverso il quale si procede all’acquisizione degli elementi di giudizio che, nella materia minorile, non possono trascurare situazioni legate al quotidiano e agli effetti sulla vita di relazione determinati dalle emozioni e dalle reazioni soggettive di ciascuno di fronte alle sorti della propria vita familiare, per loro natura mutevoli e in continua evoluzione e trasformazione, che richiedono strumenti interpretativi indicati dalle scienze umane, indispensabili per costruire percorsi di cambiamento e di responsabilità da parte degli adulti verso i soggetti minorenni.
Il rito flessibile, la velocità negli interventi, l’abitudine a confrontarsi in modo costruttivo e non autoreferenziale con i servizi, sono caratteristiche precipue dello stile operativo degli uffici giudiziari minorili, stile che non appartiene agli uffici ordinari e che può essere percepito come una fuga dalla forma o dal rispetto delle regole processuali. Al contrario, nei procedimenti minorili le regole processuali non vengono tralasciate, quanto piuttosto applicate in maniera corrispondente alla garanzia di tutte le parti, compresi i minorenni, allo scopo di rendere esigibili i loro diritti anche nella complessità delle relazioni familiari per il recupero delle quali, molto spesso, l’iter processuale impone aperture e sperimentazioni non previste dai riti separativi.
2.4. Le proposte antiche e le nuove
Ovviamente siamo consapevoli che ci sono situazioni critiche della funzione minorile che vanno riformate e che, in assenza di norme processuali, la diversità di prassi da tribunale a tribunale provoca disagio e confusione nell’utenza, ma per riformare in modo costruttivo occorre approfondire nella sua complessa e diversificata realtà il sistema che ci si appresta a riformare, con l’acquisizione di informazioni e dati sulle prassi virtuose da valorizzare, soprattutto senza fare riferimento soltanto a negative esperienze personali spesso legate alle situazioni contingenti di un certo ufficio giudiziario in un certo periodo. A questo scopo, l’Associazione italiana magistrati per i minorenni e per la famiglia (Aimmf), all’esito di un tavolo di lavoro cui parteciparono organizzazioni di avvocati specializzati e membri della Associazione nazionale magistrati, sin dal 2015 propose a quel legislatore alcune modifiche processuali, proprio in relazione alla precisazione dell’art. 403 cc, alla nomina del curatore speciale in ossequio alle indicazioni della Cedu e una proposta di riforma processuale tesa a rendere il rito minorile camerale del tutto rispettoso del contraddittorio. Accanto a questa proposta di riforma facilmente realizzabile ed economicamente poco costosa, Aimmf, sin da epoche lontane, ha proposto l’istituzione di un «Tribunale unico per la famiglia, i minori e le persone», che si occupi di tutte le vicende processuali civili che attengono al disagio di un minore, organizzato sulla falsariga del tribunale di sorveglianza e con la possibilità di sezioni distaccate che garantiscano la prossimità, ma che al contempo mantengano l’appartenenza del giudice della sezione distaccata al tribunale distrettuale, con la presenza irrinunciabile di giudici onorari esperti nelle scienze umane e con la necessaria collegialità nelle decisioni più gravi di forte limitazione della responsabilità genitoriale. Con gli opportuni correttivi e aggiornamenti legati alle più recenti pronunzie della Cassazione, le proposte e il materiale di studio sono state recentemente inviate da Aimmf al Ministero di giustizia. In sede di valutazione politica, quanto a un paio di norme immediatamente precettive i suggerimenti sono stati accolti, ma solo limitatamente ad alcuni aspetti che non possono essere ritenuti esaustivi.
3. Il contenuto del maxi-emendamento all’art. 15-bis nel dettaglio relativamente alle norme immediatamente precettive, ossia alla prima fase della riforma
3.1. La modifica dell’art. 403 cc
Prima di formulare osservazioni rispetto alla proposta di modifica dell’art. 403 cc, va ricordato che l’intervento di protezione del minore attuato ai sensi dell’articolo in esame ha natura squisitamente amministrativa e trova la sua ragion d’essere nei principi costituzionali di cui agli artt. 30 e 31 Cost., nonché nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Viene realizzato dalle autorità amministrative, forze dell’ordine e servizi sociali, in situazioni assolutamente emergenziali, allorché non vi sia il tempo per incardinare un procedimento giurisdizionale, pena un gravissimo pericolo per l’incolumità del minorenne. Si tratta di situazioni estreme, impreviste e imprevedibili, come il rintraccio di un bimbo in tenera età da solo in ambienti degradati in orario notturno o in giorno festivo, in compagnia di adulti alterati da alcool o sostanze, o come la segnalazione di minorenni che affermino di essere sistematicamente percossi o maltrattati dai genitori, segregati in casa, o inseriti in ambienti dediti alla prostituzione. Da ultimo, frequente è l’attuazione da parte dell’autorità amministrativa dell’art. 403 cc con l’allontanamento di madre e figli nell’ambito di una situazione familiare connotata da violenza di genere e violenza assistita, spesso gestita dai centri antiviolenza in autonomia, senza il vaglio di alcuna autorità giudiziaria, potenzialmente foriera perciò di cadute di garanzia per il genitore accusato di essere un maltrattante.
Di regola, la segnalazione dell’avvenuto allontanamento arriva per via telefonica in tempo reale al pubblico ministero minorile di turno, che indirizza gli interventi e, una volta ricevuta la successiva segnalazione cartacea, effettuati necessari e rapidi approfondimenti e se la pericolosità è confermata, inoltra ricorso al tribunale chiedendo provvedimenti urgenti a tutela del minore con le limitazioni della responsabilità dei genitori. Il tribunale, a stretto giro, adotta i provvedimenti convenienti e fissa una veloce udienza per la convocazione dei genitori, provvedendo poi alla conferma o alla revoca di quanto stabilito sull’urgenza. Questa è la prassi comune alla maggioranza degli uffici minorili: tuttavia, è certamente accaduto, anche per le endemiche pesanti carenze di organico in determinati contesti, che le segnalazioni restassero sui tavoli dei pubblici ministeri minorili per un tempo non breve, o che alcuni tribunali abbiano avuto tempi di decisione e di convocazione troppo lunghi, con mancate garanzie difensive dei genitori. Da ciò è derivata la necessità di dare una scansione temporale che contemperasse l’esigenza di protezione del minore con la possibilità di difesa dei genitori. Aimmf aveva proposto sin dal 2015 l’immediata comunicazione, dapprima orale e immediatamente anche scritta, dell’avvenuto allontanamento al pubblico ministero di turno, quindi un termine di 5 giorni per l’organo requirente per effettuare approfondimenti e decidere di non ricorrere al tribunale, se il 403 cc fosse stato adottato in modo inopportuno o frettoloso, facendolo quindi decadere, oppure per inoltrare al tribunale il necessario ricorso sia quanto alla ratifica dell’allontanamento che per l’adozione di altri provvedimenti. Il tribunale, entro 15 giorni, avrebbe dovuto provvedere sulla richiesta fissando tempestiva convocazione dei genitori, ed entro 30 giorni avrebbe dovuto confermare o revocare i provvedimenti urgenti eventualmente assunti.
La scansione temporale proposta da Aimmf ha il pregio di considerare la necessità di limitare interventi puramente formali e porre in essere interventi di senso che consentano una conoscenza almeno sommaria della delicata vicenda che ha comportato l’allontanamento del minore, sia da parte del pubblico ministero minorile che poi del tribunale, tenuto conto dell’obiettivo da perseguire, che è la messa in protezione di un minore in pericolo e non già la limitazione della libertà di qualcuno.
Al contrario, la proposta iniziale di riforma formulata dalla Commissione ministeriale ha previsto termini davvero esageratamente rigidi e ha suscitato le osservazioni critiche dei giudici minorili e non solo: anche i correttivi più di recente approvati, che estendono a 72 ore il tempo a disposizione del pubblico ministero dalla segnalazione dell’avvenuto allontanamento per revocarlo e non esercitare l’iniziativa processuale, oppure inoltrare il ricorso al tribunale, non è in linea con la effettiva possibilità di un minimo approfondimento da parte del pubblico ministero. Inoltre, purtroppo, sono stati mantenuti i termini rigidi quanto alla convalida dell’allontanamento da parte del tribunale investito del ricorso: il presidente o un giudice delegato con decreto monocratico, da adottare tassativamente entro le 48 ore dal ricevimento del ricorso, devono convalidare o revocare la messa in protezione del minore, fissando al contempo udienza per i genitori e per l’ascolto del minore entro 15 giorni e provvedendo con decreto collegiale entro i successivi 15 giorni alla conferma o meno del provvedimento monocratico emesso in via di urgenza. Il provvedimento amministrativo di allontanamento perde efficacia in caso di mancato rispetto della tempistica prevista; tuttavia, giustamente, per non far ricadere sul minore maltrattato le conseguenze di un possibile disservizio delle istituzioni, si consente al tribunale di adottare provvedimenti urgenti a sua tutela ai sensi dell’art. 336 cc.
Valutando gli aspetti pratici dell’attuazione di questa tempistica, non si può non osservare come per chi lavora con organici insufficienti e una mole di lavoro civile spropositata, come moltissimi uffici giudiziari minorili, così come per i servizi sociali – negli anni costantemente depauperati, che non hanno turni nel fine settimana e saranno chiamati di urgenza a reperire una collocazione idonea per un minore in pericolo e a relazionare nelle 24 ore alla procura –, il rispetto dei tempi non sarà un percorso semplice. La convalida monocratica del tribunale nelle 48 ore, nell’impossibilità di effettuare approfondimenti, rischia di trasformarsi in un timbro o un modulo prestampato. Tutti convalideranno il 403 cc nell’impossibilità di formulare in 48 ore possibili diverse prospettazioni fondate su rapide acquisizioni di dati.
Altro aspetto critico è la ristrettezza dei termini per la comparizione delle parti, vista la sempre sperimentata difficoltà delle notifiche, e il necessario ascolto del minore, il quale non sempre è in grado, subito dopo l’allontanamento, anche se ultra-dodicenne, di avere proprie opinioni libere sulla sua situazione familiare, che – non si deve dimenticare – è l’unica che conosce non avendo mai avuto altre famiglie con cui confrontarla, cosicché l’ascolto, in luogo di essere un momento di verità e garanzia, può trasformarsi in un’ulteriore sofferenza. Meglio sarebbe stato lasciare al giudice specializzato la possibilità, motivando la scelta, di stabilire quando disporre l’ascolto in relazione alla tipologia della situazione in esame e alle particolari fragilità del soggetto da tutelare. Nella materia minorile, ogni rigidità rischia di trasformarsi in un boomerang ove la scelta non sia contestualizzata.
3.2. La modifica dell’art. 38 disp. att. cc e il ruolo del pubblico ministero
Permane, purtroppo, una forte perplessità in ordine alla modifica dell’art. 38 disp. att. cc, immediatamente precettiva.
Quando, nel 2012, entrò in vigore la predetta norma, la vita dei magistrati minorili e della famiglia si complicò assai per la incomprensibilità e l’oscurità del nuovo testo normativo. Ma poiché l’uomo è un essere che si adatta alle situazioni, negli anni l’iniziale sconcerto è stato superato con l’adozione di prassi fra uffici giudiziari, spesso transitate in protocolli, che hanno consentito di superare le maggiori criticità legate alla individuazione delle rispettive competenze fra tribunali per i minorenni e tribunali ordinari e di raggiungere una situazione piuttosto governabile. Di tutto questo lavoro sul campo, però, non vi è traccia in sede di riforma. La riforma attuale prevede allo stato il riparto di competenze fra tribunale per i minorenni e tribunale ordinario, lasciando al primo la competenza sulle procedure limitative della responsabilità genitoriale ex artt. 330 e 333 cc. La grave criticità, tuttavia, risiede nella disposizione per cui, in caso di contemporanea pendenza avanti all’ufficio minorile di una procedura per la decadenza dalla responsabilità genitoriale, aperta su ricorso del pubblico ministero per gravi inadeguatezze genitoriali e comportamenti fortemente pregiudizievoli ai figli, e di una procedura separativa, divorzile, o relativa all’affidamento dei figli ex artt. 250, comma 4, 268 e 277, comma 2, cc avanti al tribunale ordinario, indipendentemente dall’epoca di apertura della procedura al tribunale per i minorenni e dalla natura della criticità genitoriale oggetto della stessa, nonché dai provvedimenti eventualmente già assunti (per esempio, inserimento del bimbo in affido etero-familiare), l’ufficio minorile, avuta notizia della pendenza di una causa fra i genitori del minore avanti al giudice ordinario, deve immediatamente spogliarsi del procedimento e trasmetterlo d’ufficio al tribunale ordinario nel brevissimo termine di dieci giorni. Si ritiene che debba essere necessariamente il tribunale ordinario l’ufficio avanti al quale concentrare sin da ora tutte le competenze: mi pare si tratti di una scelta che non ha tenuto in considerazione lo stato di avanzamento lavori della procedura per la decadenza dalla responsabilità genitoriale avanti al tribunale per i minorenni, il loro impatto nella vita del bambino, oltre che le conseguenze anche pratiche di una simile scelta.
Pacifico è infatti che la categoria del grave pregiudizio al minore non coincida necessariamente con il conflitto di coppia, potendo esistere genitori litigiosi e da separare che siano entrambi in accordo sulla incuria e trascuratezza da riservare al figlio, legata alle loro comuni abitudini malsane, che quindi necessitano di pronunzie di decadenza dalla responsabilità rapide e da attuare a tutela del figlio, prescindendo dai tempi della vicenda separativa e dalle domande accessorie proposte. Con il trasferimento di competenza della procedura ex art. 330 cc pendente, dal tribunale per i minorenni al tribunale ordinario, si otterrà un rallentamento dei tempi di attuazione della tutela, la mancata specializzazione del giudice competente e, di fatto, una denegata protezione al minore.
Potrà certamente accadere che si verifichino situazioni di forum shopping: chi è fornito di una difesa più spregiudicata, di fronte a imminenti provvedimenti incisivi del tribunale minorile, presenterà al giudice della famiglia una domanda anche pretestuosa e magari da non più coltivare, al solo fine di spostare così la competenza e allontanare le paventate decisioni di possibile allontanamento dei figli.
Va poi sottolineato che attualmente, partendo dalle procedure de potestate senza che, nonostante gli aiuti profusi, si sia conseguito da parte dei genitori il recupero delle capacità genitoriali, quando si profilino situazioni di abbandono nei confronti del minore, il pubblico ministero minorile può inoltrare ricorso al tribunale corrispondente per apertura di una più grave procedura di adottabilità, essendo a conoscenza della vicenda sin dalla sua origine. In analoga situazione, quale pubblico ministero eserciterà avanti al tribunale ordinario il ruolo di parte pubblica civile con la medesima specializzazione? Quale pubblico ministero si farà parte diligente di segnalare al collega della procura minorile lo stato di abbandono morale o materiale di un bambino accertato nella procedura al tribunale ordinario? È esperienza comune che il pubblico ministero ordinario, che fra l’altro non ha poteri di impulso autonomo ex art. 70 cpc, intervenga nei procedimenti di famiglia solo con pareri di stile e modalità formali. Si tratta del resto di colleghi penalisti, con una ben differente formazione, che di solito non hanno interesse specifico alle vicende delle famiglie e dei minori. Peraltro, se la capacità dei tribunali ordinari di affrontare temi connessi al maltrattamento minorile può valere per alcune grandi sedi (Roma, Milano, Torino, etc.) dotate di sezioni famiglia esclusive con una particolare attenzione alla materia, non è altrettanto rinvenibile in piccoli e medi tribunali ordinari, dove al giudice non specializzato è assegnata la trattazione della materia familiare e al contempo anche di quella, ad esempio, delle locazioni o dei diritti reali e dove, in assenza di una componente onoraria, si troverà a gestire all’improvviso situazioni molto traumatiche e complesse, trasmesse dai tribunali per i minorenni diventati incompetenti. L’entrata in vigore di questa formulazione dell’art. 38 disp. att. cc senza un ripensamento attento legato alla esigenza di protezione competente dei minorenni vulnerabili, senza consentire, almeno nei casi più gravi e non collegati alle dinamiche disfunzionali di coppia, la possibilità al tribunale per i minorenni di definire nel modo più conveniente il suo intervento prima di investirne il collega ordinario, provocherà situazioni di denegata tutela ben più significative della possibile frammentazione degli interventi. A ciò si aggiungano le complessità pratiche e la diseconomia di un doppio studio della stessa situazione da parte di due differenti magistrati.
Credo fermamente che gli argomenti relativi alla possibile declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale di uno o di entrambi i genitori debbano necessariamente restare di competenza del tribunale per i minorenni: la tutela del superiore interesse del minore e del suo benessere supera in termini di valore qualsiasi problematica legata alla frammentazione delle procedure, che peraltro era in molte sedi ormai superata da accordi intervenuti fra uffici giudiziari.
3.3. La modifica degli artt. 78, 80 cpc e 336 cc
A valle delle ormai costanti pronunzie della Cassazione collegate alle indicazioni sovranazionali, la commissione ha giustamente recepito la necessità di fornire anche al minorenne coinvolto nella vicenda processuale che lo riguarda una difesa tecnica attraverso la nomina di un curatore speciale, e in tal senso propone la modifica degli artt. 78 e 80 cpc, modifica con cui sono state dettagliatamente previste tutte le situazioni nelle quali il giudice deve provvedere alla nomina di un curatore speciale. Allo stesso modo, nel caso in cui il giudice ai sensi dell’art. 336 cc adotti provvedimenti urgenti a tutela del minore, dovrà, ove necessario, nominare un curatore speciale del minore in ordine al quale si provvede. Alla mancata nomina consegue la nullità del provvedimento adottato. L’introduzione, all’interno dell’art. 78 cpc, dei casi nei quali la nomina deve necessariamente essere disposta appare di grande utilità al fine di evitare nomine indiscriminate, come accadeva da ultimo in ossequio ad alcune pronunce della Cassazione, nomine effettuate anche laddove non strettamente necessario, tali da comportare oneri economici imponenti per lo Stato, dal momento che il soggetto di minore età non ha per definizione alcuna capacità patrimoniale e dunque il suo difensore necessariamente ne chiederà l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
3.4. Quale curatore speciale?
Al curatore speciale sono assegnati compiti legati sia alla rappresentanza processuale, e in taluni casi anche sostanziale, sia all’ascolto del minore. Tale ultima previsione in particolare andrebbe considerata alla luce della delicatezza dell’incarico, dipendente dalla età più o meno tenera del bimbo, dalla tipologia di pregiudizio subito, dalle sue condizioni più o meno traumatizzate e dalla sua collocazione, tenendo presente la possibile mancata preparazione multidisciplinare del curatore speciale. Non è stato, infatti, previsto che gli avvocati aspiranti curatori speciali si formino in modo obbligatorio anche in ordine alle materie non giuridiche e psicologiche.
Al momento solo alcuni consigli dell’Ordine degli avvocati particolarmente virtuosi hanno organizzato completi corsi preparatori prodromici all’iscrizione del curatore nell’albo.
Tuttavia tale formazione avviene solo in alcuni territori e, in ogni caso, andrebbero resi obbligatori costanti aggiornamenti. È infatti necessaria almeno una minima conoscenza delle scienze umane per intercettare la sofferenza di un minorenne senza cagionargli ulteriore vittimizzazione e rischiare di peggiorarne le condizioni con un intervento non misurato e non appropriato, in luogo di costituire un presidio a sua difesa. Occorre in particolare che si creino sinergie e modalità comunicative accettabili fra i curatori speciali e i servizi, che possono nascere solo dalla opportuna conoscenza dei diversi stili di lavoro, dalla fiducia, dal dialogo esente da pregiudizi, assolutamente evitando rigidità e sterili contrapposizioni. Sarebbe quindi oltremodo importante, a tutela dei soggetti vulnerabili, che il legale prima si specializzasse nelle materie minorili e familiari e, solo successivamente, chiedesse di esercitare la carica di curatore speciale.
4. La costituzione di un «Tribunale unico per le persone, i minori e le famiglie»
4.1. La delusione
La terza fase della riforma, solo abbozzata nei mesi scorsi e contraddistinta da un titolo che, nella sua suggestività, aveva fatto sperare, è stata delineata nella sua concretezza da un sub-emendamento depositato allo scadere dei termini e votato in Commissione giustizia del Senato, il 9 settembre scorso, all’unanimità da tutte le forze politiche senza alcuna discussione e – temo – senza alcuna comprensione.
Nonostante il nome evocativo e nonostante mai, significativamente, si sia parlato di “soppressione” come in passato, purtroppo il risultato che il sub-emendamento approvato, peraltro piuttosto oscuro in alcuni punti, raggiunge è quello della sparizione dell’organo giudiziario minorile collegiale e multidisciplinare esistente. Finora il tribunale per i minorenni, destinato per il riformatore a sparire, opera intervenendo a 360 gradi con riferimento alle situazioni dei minori fragili, che siano ad esempio imputati di reato e, come spesso accade, al contempo anche vittime di famiglie disfunzionali e quindi bisognosi di tutela; che siano minori gravemente maltrattati e pertanto inseriti in affidamento etero-familiare nel corso di procedure de potestate che, nell’evoluzione della procedura, possono poi essere dichiarati adottabili e magari restare nella famiglia affidataria in applicazione della legge sulla continuità degli affetti; che siano minori stranieri non accompagnati che vengono all’attenzione del tribunale per i minorenni in occasione dell’apertura di una tutela loro dedicata e poi, acquisite informazioni sul caso, si trasformano in protagonisti di una procedura adottiva una volta accertato il loro stato di abbandono; che, al contrario, siano minori già coinvolti in una procedura di adottabilità che il tribunale decide di chiudere, ma che, non essendosi risolte le carenze dei genitori, devono restare oggetto di una procedura de potestate che sarà fondamentale sia seguita nei suoi sviluppi dal medesimo giudice.
In sostanza, la ricchezza della flessibile modalità operativa minorile è data dal mettere il minore al centro e operare di volta in volta in base alle sue differenti esigenze, in differenti procedure, penali e civili, dedicate da parte del medesimo giudice, che può attuare la punizione del minorenne, ma anche la sua tutela, dal momento che ne conosce bene la storia ed è in grado di individuarne i rimedi. Proprio per garantire a tutti i minori il medesimo intervento protettivo qualificato, si era quindi sperato di poter estendere gli strumenti di cui ora il tribunale per i minorenni dispone anche alle procedure separative connotate dai conflitti di coppia più sanguinosi nei quali sono coinvolti, con grande sofferenza, i figli.
Purtroppo, nella previsione futura di cui alla legge delega non c’è traccia di queste considerazioni che gli addetti ai lavori ben conoscono; sembra, al contrario, prevalere la tutela della garanzia degli adulti, sembra che la velocità di un intervento potenzialmente inappropriato sia da preferire alla riflessione e al pensiero da dedicare a materie estremamente complesse e delicate.
4.2. Il contenuto della riforma quanto al «Tribunale unico»: aspetti negativi e positivi
La riforma prevede che si realizzi entro il 2024 la costituzione di un organismo denominato «Tribunale unico per le persone, i minorenni e la famiglia», composto da un tribunale distrettuale a composizione multidisciplinare, coincidente quanto a sede e competenza territoriale con l’odierno tribunale minorile, che si dovrà occupare però solo della materia penale e delle procedure di adottabilità o tese all’accertamento dello stato di abbandono, e che non avrà più, come invece accade ora, la competenza sulle procedure limitative della responsabilità genitoriale di cui agli artt. 330 e 333 cc, né sugli affidamenti etero-familiari decisi giudizialmente. Contestualmente all’istituzione della sezione distrettuale, in ogni circondario saranno costituite sezioni circondariali inserite nel tribunale unico, dotate di competenza esclusiva in materia di famiglia e minori, alle quali saranno attribuite, oltre alle competenze classiche in materia di famiglia e tutelare, le procedure limitative della responsabilità genitoriale, la competenza sugli allontanamenti urgenti ex art. 403 cc e sugli affidamenti familiari giudiziali di cui al titolo I e I-bis della legge sull’adozione n. 184 del 1983 modificata dalla legge n. 149 del 2001. Queste delicate materie saranno quindi trattate da un giudice ordinario monocratico appartenente alla sezione circondariale del tribunale unico, che dovrà intervenire da solo nei confronti di minorenni gravemente maltrattati all’interno delle loro famiglie, senza l’ausilio e il conforto della camera di consiglio collegiale e, tantomeno, della presenza esperta di un giudice onorario.
Tutti i provvedimenti adottati da questo giudice saranno reclamabili avanti al tribunale distrettuale, che fungerà pertanto da organo di secondo grado.
La presenza dei giudici onorari a comporre il collegio verrà mantenuta solo nell’organo distrettuale quanto ai processi penali e alle procedure di adottabilità e alle questioni relative alla valutazione delle coppie per l’adozione.
Non sembra che saranno presenti giudici onorari presso la corte d’appello che dovrà giudicare delle impugnazioni avverso le decisioni, penali e di adottabilità, assunte dai tribunali distrettuali.
Non saranno neppure presenti giudici onorari nella fase decisionale accanto al giudice monocratico del circondario, che saranno sostituiti da figure di “esperti” ai quali affidare alcune attività specifiche, ma privi di una propria responsabilità decisionale. Essi faranno parte dell’ufficio del processo con un ruolo di mera assistenza al giudice togato, ruolo piuttosto ambiguo e oscuro, dal momento che sono chiamati “giudici”, ma non decidono. Non è chiaro se gli stessi giudici onorari impegnati nel collegio in sede distrettuale formeranno, al contempo, l’ufficio del processo in sede circondariale – in questo caso, con evidenti e gravi problemi organizzativi legati alla vastità di molti distretti.
La perdita della collegialità e della componente onoraria in procedure che hanno al centro situazioni gravemente traumatiche e che comportano interventi coraggiosi e spesso impopolari, pare costituire un grave vulnus alla tutela del minorenne maltrattato, e una negativa riduzione degli strumenti a disposizione del giudice, utili a stemperare e condividere la fatica decisionale.
La solitudine del giudice porterà a frequenti decisioni di natura formale poco incisive, stante il peso emotivo di dover affrontare da soli scelte dolorose. L’ansia di certe scelte provocherà il ricorso frequente a consulenze tecniche di ufficio, il cui costo economico graverà sullo Stato, vista l’indigenza media dei nostri utenti.
L’assenza, poi, di collegamento fra chi tratta le procedure de potestate in sede circondariale e chi deve occuparsi, in sede distrettuale, di procedure di adottabilità nei confronti di uno stesso minore, o di processi penali nei confronti di minorenni che vanno anche protetti da famiglie inadeguate ex art. 330 cc, appare foriera di gravi disfunzioni e carenze di comunicazione che, inevitabilmente, si ritorceranno sul soggetto minorenne.
La frammentazione dei procedimenti in diversi sub-procedimenti, con il possibile reclamo al tribunale distrettuale avverso tutti i provvedimenti del giudice monocratico, renderà frequente al medesimo giudice del circondario la necessità di attendere la decisione di secondo grado prima di poter adeguare un provvedimento provvisorio impugnato a una situazione di fatto in continua evoluzione: ciò provocherà ritardi e inefficienze ben più gravi di quelle attuali.
Peraltro, non sono stati presi in considerazione dal riformatore i procedimenti non contenziosi trattati finora dal tribunale per i minorenni, come i procedimenti amministrativi nei confronti dei minori con condotta trasgressiva sempre in aumento e i procedimenti a tutela dei minori stranieri non accompagnati di cui alla “legge Zampa”, che richiedono ovviamente, per la loro natura, un approccio più psicologico che giuridico.
Certamente l’aver immaginato un giudice monocratico circondariale, affiancato da collaboratori, che si occupi in esclusiva e senza il limite della decennalità della materia della famiglia ora assegnata ai tribunali ordinari non è un fatto negativo; negativo è l’avergli attribuito competenze altre legate al pregiudizio grave che, come è stato descritto, devono essere trattate in modo attento, prudente e collegiale da un organo che abbia gli strumenti per farlo.
Altra nota positiva della riforma è certamente l’aver immaginato una procura specializzata distrettuale che alle competenze minorili aggiungerà le competenze oggi poco esercitate, come si è già detto, dai pubblici ministeri ordinari nelle cause di famiglia. Ma, pur nella positività dell’idea, permangono enormi difficoltà organizzative, di cui si dirà a breve.
La riforma, per la parte che riguarda il mondo della giustizia minorile, se portata a termine nel modo descritto dai principi di delega, che purtroppo non consentono ripensamenti su aspetti fondamentali come il ruolo dei giudici onorari e la distribuzione delle competenze, costituirà, al di là delle prospettazioni entusiastiche e poco informate di alcuni, una grave caduta di tutela per i soggetti di minore età, la perdita di prerogative che in Italia abbiamo da quasi un secolo e che all’estero ci invidiano.
Non possiamo nascondere la preoccupazione per un progetto che, ad onta del titolo, in realtà, perseguendo il solo valore della prossimità geografica, otterrà lo snaturamento e lo svuotamento della qualità umana dei tribunali per i minorenni (in futuro tribunali distrettuali), rapidamente trasformati in “sentenzifici” di secondo grado, e l’impoverimento del sistema che esercita la funzione di tutela dell’infanzia ferita.
Avremmo certamente auspicato da parte di un legislatore, attento ai diritti dei minorenni più che a quelli degli adulti, qualcosa di radicalmente diverso: la valorizzazione della positività data da interventi a tutela studiati a 360° che producono benessere, l’estensione delle buone prassi, la correzione delle modalità operative negative, il rinforzo dei nostri uffici con organici e risorse adeguate (il tribunale per i minorenni non è ancora dotato di processo civile telematico e utilizza un sistema informatico che era già vecchio quando ci fu fornito alla fine del secolo scorso, e rispetto al quale non si è mai ritenuto economico predisporre alcun investimento per il suo migliore utilizzo e per la formazione), avremmo auspicato preventive ricerche basate su dati, su situazioni riscontrate a livello nazionale, avremmo voluto essere ascoltati con la necessaria attenzione e non sentiti velocemente l’ultimo giorno prima del deposito dei lavori della Commissione ministeriale, avremmo desiderato che si entrasse negli uffici minorili per sentire l’aria che si respira, un’aria intrisa di quella speranza ricostruttiva che altrove ormai sembra essere sparita, per apprezzare come l’importanza e l’urgenza dei nostri interventi non ci abbia mai fermato nemmeno durante la peggior fase della pandemia.
4.3. I costi economici della riforma
Ovviamente, per realizzare quanto è stato descritto non è possibile che si parli di riforme a costo zero, come è accaduto negli anni passati.
La costruzione di un tribunale unico, come quello pensato dai riformatori e che si è cercato di descrivere sommariamente, comporta naturalmente una serie di importanti e dispendiose scelte organizzative legate alla ristrutturazione degli attuali uffici giudiziari, al rinforzo delle piante organiche, al reperimento di sedi idonee nei circondari, nelle quali organizzare l’attività dei giudici circondariali del tribunale unico anche al fine di collocare logisticamente gli ascolti dei minori in luoghi protetti e riservati, come peraltro è previsto, al di fuori dai circuiti dei tribunali ordinari. A ciò va aggiunto il costo vivo delle numerose consulenze tecniche che i giudici monocratici conferiranno per decidere questioni spinose in assenza del supporto dei colleghi onorari, nonché dei costi legati all’attività di curatori speciali dei minori, tutti costi che gravano direttamente sullo Stato, dal momento che il minore al centro della procedura è, per definizione, nullatenente e che le famiglie in cui è inserito sono mediamente in pessime condizioni finanziarie e sarà necessario il ricorso al patrocinio a spese dello Stato.
Quanto agli organici del futuro, va detto che gli attuali tribunali per i minorenni sono costretti a ricorrere per molte istruttorie alla collaborazione dei colleghi onorari anche e soprattutto in ragione di organici del tutto insufficienti ad affrontare la mole del lavoro ordinario, organici spesso neppure coperti.
La previsione di una imponente attività di giudice di secondo grado con una mole di provvedimenti da scrivere, in unione con le competenze civili e penali residue, fa tristemente prevedere uno spostamento dei ritardi ora gravanti sulle corti d’appello al tribunale distrettuale e purtroppo l’avvento di una nuova era di giudici burocrati, a sostituire la dimensione umana di vicinanza emotiva all’utenza degli odierni uffici minorili, e al contempo la necessità di un rinforzo imponente degli organici in sede circondariale.
Anche la previsione della nuova attività allargata della procura minorile specializzata appare, al momento, assai poco praticabile: basta infatti verificare quale sia la modestia delle piante organiche delle procure minorili per rendersi conto che i numeri previsti non consentono di ulteriormente aumentare le loro già pesantissime e misconosciute competenze. Quasi nessuno, infatti, conosce il grande lavoro civile preventivo delle procure minorili che spesso non si conclude nella formulazione di alcun ricorso e non prevede pertanto la presenza di difensori, ma pur tuttavia esiste: si tratta di un lavoro prezioso di filtro e di costruzione di possibili percorsi sul consenso dei genitori con la collaborazione dei servizi, lavoro nel quale è inserito anche l’assai importante controllo alle comunità di accoglienza per minori ai sensi dell’art. 9 l. n. 184/1983 che, per essere efficiente, andrebbe implementato con organici almeno decorosi e con la istituzione di una componente di esperti (VPO) in affiancamento dei pubblici ministeri minorili per il lavoro civile.
In definitiva, la complessità dei problemi organizzativi e l’impegno di spesa conseguente appaiono di grande significato.
5. Conclusioni
A partire dalla sollecita entrata in vigore delle norme immediatamente precettive sino alle fasi successive, delle quali siamo stati messi a conoscenza ormai a votazione effettuata, non è possibile negare che importanti siano i profili di criticità di questa riforma, sui quali la magistratura minorile ha costantemente cercato una interlocuzione con i soggetti preposti, Ministero di giustizia in primis, producendo documenti e materiali di studio. Si è pervenuti ad alcuni minimi risultati migliorativi, certamente insufficienti. Resta soprattutto ferma la contrarietà alla modifica dell’art. 38 disp. att. cc, che costituirà un primo attacco del tutto ingiustificato a un sistema di protezione dell’infanzia che risulta nel complesso funzionante e produttivo di buoni risultati.
Altrettanto forte perplessità per quanto si è cercato di spiegare non si può non nutrire rispetto alla riforma ordinamentale costruita nel modo descritto, nonostante l’opinione prevalente dei giudici minorili vada in direzione contraria rispetto a tante voci plaudenti, forse non molto informate.
Vero è che scontiamo una sistematica, ripetitiva e ingiusta aggressione mediatica, basata su notizie frammentarie, parziali, spesso manipolate, che ci attribuiscono l’immagine, creata ad arte, di “ladri di bambini”, aggressione che ci riesce difficile arginare e rispetto alla quale restiamo troppo spesso senza voce.
Non è quindi fuori luogo qui ricordare che la squadra speciale costituita dal Ministro Bonafede in esito alle polemiche sul “caso Bibbiano”, che concluse i suoi lavori nel luglio 2019 esaminando gli allontanamenti di minori disposti dagli uffici giudiziari italiani in un periodo di 18 mesi, aveva accertato come gli allontanamenti effettuati in Italia siano percentualmente una inezia (l’1,4 per mille) rispetto agli allontanamenti di Francia (10,4 per mille), Germania (10,5 per mille), Regno Unito (6,1 per mille), Spagna (4,4 per mille), e che quei pochi sono disposti nel 70 per cento dei casi dai tribunali minorili e solo nel 30 per cento dai tribunali ordinari. Le basse percentuali accertate di allontanamenti, al contrario sempre sbandierati sui media come ingenti, individuano nei tribunali per i minorenni italiani una autorità giudiziaria equilibrata e seria, impegnata in prima linea nella protezione dei soggetti più vulnerabili e indifesi e delle loro famiglie.
La capacità di comprendere situazioni complesse con strumenti non soltanto giuridici è antica e radicata, va valorizzata ed estesa, non certo ridimensionata.
A questo proposito, mi preme aggiungere un cenno al recente risultato dei lavori della “Commissione femminicidio” istituita in Senato e presieduta dall’On. Valente, che ha depositato la propria relazione lo scorso 16 luglio 2021[1].
I componenti della Commissione hanno condotto un’ampia indagine in ambito giudiziario sul livello delle competenze dei magistrati ordinari (giudicanti e requirenti) in riferimento alle situazioni civili o penali attraversate dalla violenza di genere, con riferimento al rispetto del contenuto della Convenzione di Istanbul. Cito in particolare, a mero titolo esemplificativo, alcune osservazioni contenute nella relazione che vanno nella direzione che ho proposto con questo articolo: «l’analisi ha evidenziato una sostanziale invisibilità della violenza di genere e domestica nei tribunali civili (...) e una sostanziale sottovalutazione della materia (…) troppo poco il pubblico ministero viene informato dal giudice civile nei casi di violenza, e troppo poco il pubblico ministero si attiva intervenendo nella causa civile». È stata restituita, quindi, l’immagine di una magistratura ordinaria nel suo complesso impreparata ad affrontare il tema della violenza intra-familiare, priva di conoscenze adeguate a trattare argomenti che richiedono una formazione multidisciplinare e di strumenti adatti a comprendere, per provare a risolverle, problematiche complesse.
Si tratta di strumenti e di formazione che invece gli uffici minorili vantano da sempre, che costituiscono indispensabile attrezzatura mentale per una tutela sostanziale che metta realmente al centro la vita del soggetto minorenne, ma che la strada tracciata dal riformatore purtroppo non sembra voler né vedere, né riconoscere, né valorizzare.
Occorre quindi mantenere alta la guardia quanto alle fasi successive della riforma appena iniziata, per evitare che la nostra ricchezza venga demolita.
La speranza è che la disponibilità al confronto, la quotidiana e concreta esperienza di chi lavora sul campo, possano costituire un valore aggiunto e non essere vissute come fastidiose intromissioni, posto che l’unica grande passione che ci accomuna è la bellezza riparativa e ricostruttiva del nostro lavoro ben fatto.
* Il presente contributo è stato pubblicato, in anteprima, su questa Rivista online il 20 settembre 2021 (www.questionegiustizia.it/articolo/ancora-una-volta-i-tribunali-per-i-minorenni-messi-al-margine-della-giurisdizione).
1. Senato della Repubblica, «Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere», Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria, relazione approvata il 17 giugno 2021.