Brevi note sul nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione
La necessità di rendere compatibile la vincolatività nel processo del principio di diritto enunciato in sede di rinvio pregiudiziale con la tendenza evolutiva della giurisprudenza impone di affidare la decisione sul rinvio alle sezioni unite. Ai fini dell’inerenza del rinvio pregiudiziale all’oggetto del processo, devono essere esposte nell’ordinanza di rinvio le circostanze di fatto che rendono necessario il rinvio e il primo presidente della Corte di cassazione deve avere il potere di dichiarare inammissibile il rinvio pregiudiziale quando risulti manifesto che la detta necessità non ricorre.
1. Una sfida da accogliere / 2. Il significato deflattivo del rinvio pregiudiziale in cassazione / 3. Cosa intendiamo per giurisprudenza e nomofilachia? / 4. Affidare il rinvio pregiudiziale alle sezioni unite / 5. Rinvio pregiudiziale e giudizio di fatto
1. Una sfida da accogliere
C’è un imperativo categorico al cuore della riforma del processo civile in gestazione, ed è quello della restituzione di efficienza al processo civile. Si tratta di un veicolo, fra gli altri, per dare competitività al cd. sistema-Paese nel quadro degli obblighi assunti nei confronti dell’Unione europea ai fini dell’erogazione dei sostegni economici imposti dalla crisi epocale innescata dalla pandemia. Nel linguaggio della giustizia civile le categorie economiche di efficienza e competitività diventano effettività della tutela dei diritti, della quale è predicato essenziale, come è noto, il principio ormai costituzionale della ragionevole durata del processo. È con questi occhi che si deve guardare al disegno riformatore, per come emerge dal disegno di legge, così come da ultimo emendato, recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie». È naturalmente legittimo dubitare che possa essere un’ennesima novella del processo civile uno dei volani addirittura della restituzione di competitività ed efficienza al Paese. Può, tuttavia, replicarsi che alla riforma della procedura si accompagnano due dispositivi non da poco: l’accelerazione della digitalizzazione e l’introduzione dell’Ufficio del processo, profili dunque non di mera procedura, ma di diversa dotazione e organizzazione di uomini e mezzi. Su tutto campeggia il contesto di sfida per i giudici italiani in cui tutto questo cade. Ogni singolo giudice civile dovrebbe sentirsi protagonista del passaggio d’epoca che stiamo vivendo. C’è una sfida che chiama in prima persona le donne e gli uomini che fanno la giustizia civile italiana, e alla quale non è possibile sottrarsi. Sono quelle donne e quegli uomini che devono impossessarsi dei nuovi strumenti, processuali e organizzativi, e provare a fare l’impresa.
2. Il significato deflattivo del rinvio pregiudiziale in cassazione
Il nuovo istituto del rinvio pregiudiziale in cassazione sorge così con il marchio d’origine dello spirito acceleratorio e deflattivo. Il disegno di legge delega prevede al riguardo, nell’art. 6-bis («Giudizio innanzi alla Corte di cassazione»), quanto segue:
«g) introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto, prevedendo che:
1) l’esercizio del potere di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione è subordinato alla sussistenza dei seguenti presupposti:
aa) la questione è esclusivamente di diritto, non ancora affrontata dalla Corte di cassazione e di particolare importanza;
bb) presenta gravi difficoltà interpretative;
cc) è suscettibile di porsi in numerose controversie;
2) ricevuta l’ordinanza con la quale il giudice sottopone la questione, il primo presidente, entro novanta giorni, dichiara inammissibile la richiesta qualora risultino insussistenti i presupposti di cui al numero 1 della presente lettera;
3) nel caso in cui non provvede a dichiarare la inammissibilità, il primo presidente assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice tabellarmente competente;
4) la Corte di cassazione decide enunciando il principio di diritto in esito ad un procedimento da svolgersi mediante pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie entro un termine assegnato dalla Corte stessa;
5) il rinvio pregiudiziale in cassazione sospende il giudizio di merito ove è sorta la questione oggetto di rinvio;
6) il provvedimento con il quale la Cassazione decide sulla questione è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e conserva tale effetto, ove il processo si estingua, anche nel nuovo processo che è instaurato con la riproposizione della medesima domanda nei confronti delle medesime parti».
Nella relazione della Commissione Luiso si fa espresso riferimento al precedente dell’ordinamento francese della saisine pour avis, la cui capacità deflattiva è peraltro quasi insignificante, alla luce del modestissimo uso del mezzo che quell’ordinamento conosce. L’incidente interpretativo nella versione italiana ha, però, una caratteristica che manca nell’istituto d’Oltralpe e che può risultare decisiva per la buona riuscita dello strumento dal punto di vista deflattivo: la vincolatività del principio di diritto nel procedimento in cui l’incidente è stato sollevato. Vedremo più avanti quale può essere la criticità proprio dell’effetto di vincolo del provvedimento della Corte di cassazione. La restituzione di efficienza al processo non è affidata però solo alla definizione, da subito nella lite, della corretta interpretazione della legge, la quale per un verso potrebbe agevolare la chiusura transattiva del processo, per l’altro sottrae alle impugnazioni la questione di diritto, sul punto rilevando solo il mancato rispetto da parte del giudice del principio di diritto enunciato dal giudice di legittimità. L’istituto introduce infatti una nuova questione pregiudiziale, a fianco di quelle ordinarie di rito e di merito. La pregiudiziale interpretativa mira all’enunciazione della regola di giudizio, peraltro limitata all’astratto contenuto precettivo della norma senza vincoli per quanto riguarda l’applicazione alla fattispecie concreta, e la relativa pronuncia non ha così la caratteristica del giudicato. La vincolatività nel processo può pertanto conseguire solo a uno specifico effetto di legge, che opportunamente risulta previsto dalla disposizione prefigurata.
Come si diceva, nell’ottica deflazionistica che accompagna l’istituto non c’è solo il vincolo endoprocessuale, ma anche un compito di “nomofilachia preventiva”, posto che fra i requisiti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale c’è anche che la questione di diritto sia «suscettibile di porsi in numerose controversie». Il chiaro intento è quello di prevenire l’instaurazione dei contenziosi. A questo proposito, di grande interesse è il suggerimento, contenuto nel parere del Consiglio superiore della magistratura del 15 settembre 2021, di dare adeguata pubblicità della pendenza del rinvio pregiudiziale (anche soltanto sul sito web della Corte di cassazione). Naturalmente l’effetto deflattivo in discorso risente delle caratteristiche proprie della funzione nomofilattica. Sul punto, è opportuno aprire una parentesi nel nostro esame dell’istituto.
3. Cosa intendiamo per giurisprudenza e nomofilachia?
La funzione nomofilattica che la Corte di cassazione svolge rinvia a una particolare concezione del diritto. Cerchiamo di capire di cosa parliamo, quando parliamo di nomofilachia. Cosa differenzia la nozione di giurisprudenza da quella di precedente vincolante?
Il compito della Suprema corte è quello, come recita l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario italiano, di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» nonché «l’unità del diritto obiettivo nazionale». La giurisprudenza quale uniforme interpretazione della legge non costituisce un vincolo giuridico per i giudici. Nel campo di applicazione della legge, la sentenza non può assurgere a fonte del diritto. Le conseguenze giuridiche del singolo episodio di vita dipendono sempre dalla legge e non da un precedente giudiziario. Una norma che, per ipotesi, renda vincolante la sentenza della Corte di cassazione per i successivi casi ad essa riconducibili non trasformerebbe la sentenza in fonte del diritto alla cui stregua collegare al fatto gli effetti giuridici. Questi resterebbero infatti imputabili alla fattispecie legale, e non al precedente giudiziale, sia perché la norma ipotetica che si sta considerando sarebbe indirizzata ai giudici e non ai consociati, sia perché criterio di validità in sede di legittimità delle sentenze di merito non sarebbe il precedente, ma la norma che lo rende vincolante, e dunque sarebbe questa la fonte di diritto eventualmente violata. In un ordinamento dominato dalla fattispecie legale, a parte il vincolo costituzionale per il giudice di soggezione soltanto alla legge, non si può concettualmente accedere alla sentenza fonte di diritto.
La giurisprudenza è perciò estranea alla concezione del diritto che soggiace al principio anglosassone dello stare decisis, e questo lo si evince già dalla conformazione del principio di diritto che la Corte di cassazione enuncia. Quest’ultimo ha carattere astratto e generale, non solo quando è interpretazione della norma, ma anche quando è identificazione della classe di fatti cui questa è applicabile, perché riflette la stessa struttura astratta e generale del diritto in un sistema imperniato sulla figura della fattispecie legale. Il cd. “precedente”, nel civil law, rispecchia la generalità e astrattezza della norma.
Nel common law la ratio decidendi ha struttura concreta e particolare in quanto non è svincolabile dalle circostanze del caso concreto. Essa è inferita dalle circostanze del caso concreto e da queste non è separabile. Il giudice non procede alla sussunzione del caso entro uno schema astratto e generale, come è nella logica della fattispecie, ma identifica nel precedente la norma concreta di diritto alla stregua della quale risolvere la singola controversia sulla base delle circostanze. Non può adoperarsi nel case law l’espressione “fattispecie concreta”, perché la species facti rinvia a uno schema, mentre qui intervengono semplicemente due casi concreti, i quali nel mondo reale non si presentano mai perfettamente identici, il che spiega le tecniche del giudice anglosassone del distinguishing e del limiting. L’applicazione del precedente è dunque essenzialmente un confronto fra material facts. Il precedente viene applicato fino a una certa soglia mediante il gioco dell’uniformazione e distinzione, modellando e rimodellando la regola del caso concreto attraverso l’adeguamento del precedente al nuovo episodio di vita.
Diritto per fattispecie legale e diritto per aggiudicazione giudiziaria nel caso concreto rinviano a concezioni diverse del fenomeno giuridico. Il diritto per fattispecie legale esiste dal momento in cui è stato posto dal legislatore e opera mediante giudizi di validità. La regola giuridica è precostituita al fatto e si applica mediante un giudizio di corrispondenza dello stato di fatto allo stato di diritto, al quale consegue il giudizio di validità in termini di produzione degli effetti previsti dalla fattispecie in termini generali e astratti. Il diritto per aggiudicazione giudiziaria non esiste prima che sorga un’occasione per la sua pratica applicazione perché non è precostituito al fatto. La regola si forma empiricamente in relazione alle circostanze di fatto e mediante la comparazione con i precedenti casi concreti. La regola non è identificabile prima dell’uso in relazione al caso particolare e non è dunque enunciabile, in forma astratta e generale, prima della sua applicazione. Il diritto si forma evolutivamente in modo cumulativo e progressivo, attraverso il gioco di similitudini e differenze fra casi concreti.
La nozione di giurisprudenza cui rinvia la nozione di nomofilachia è estranea, come è evidente, anche alla concezione del diritto che presiede alla fattispecie legale. Essa è così distante sia dal diritto quale criterio di validità cui è preposta la fattispecie legale, sia dal diritto per aggiudicazione quale evoluzione cumulativa governata dal vincolo dello stare decisis. L’estraneità a queste concezioni del diritto non fa però della giurisprudenza un concetto irrilevante per il diritto, quasi che si trattasse di una generica categoria della sociologia o della politica del diritto. Un complesso di norme del codice processuale civile italiano predispone una serie di mezzi tecnici a garanzia della preservazione dell’uniformità della giurisprudenza quale uniforme interpretazione della legge: il ricorso per cassazione è inammissibile se non offre elementi per mutare la giurisprudenza della Corte di cassazione cui è conforme la sentenza impugnata (art. 360-bis, n. 1); su richiesta del procuratore generale presso la Corte di cassazione o d’ufficio, la Suprema corte può enunciare un principio di diritto nell’interesse della legge anche per l’ipotesi di inammissibilità del ricorso o di rinuncia delle parti (art. 363); se la sezione semplice della Corte di cassazione non condivide il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime la decisione del ricorso (art. 374); la Corte di cassazione enuncia il principio di diritto non solo quando accoglie il ricorso per violazione di legge, in funzione di regola del caso concreto cui il giudice di rinvio deve attenersi, ma in ogni caso in cui decide un ricorso proposto per violazione di legge o comunque risolve una questione di particolare importanza (art. 384).
La giurisprudenza non appartiene all’ordine della validità, tant’è che all’inottemperanza della sezione semplice all’obbligo di rimessione del ricorso alle sezioni unite previsto dall’art. 374 non consegue alcuna sanzione giuridica. Inoltre, l’inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1 non consegue alla mera conformità della sentenza alla giurisprudenza ma alla circostanza che il ricorrente non abbia fornito elementi per il mutamento di quest’ultima. Ciò nondimeno la giurisprudenza è una categoria contemplata dalla disciplina del processo di cassazione e ha dunque rilevanza giuridica. Di quale concezione del diritto si fa portatrice la giurisprudenza?
La giurisprudenza è un fatto, è il fatto dell’uniforme interpretazione e applicazione della legge. Il comportamento dei giudici, nella misura in cui è partecipazione all’universo della giurisprudenza, è connotato dall’uniforme interpretazione delle fattispecie legali. Non si tratta di un bruto fatto, è un fatto corrispondente all’uso di regole. È un comportamento conformato dalle regole che costituiscono la giurisprudenza quale uniforme interpretazione e applicazione della legge. È un “fatto istituzionale”, per dirla con John R. Searle, un fatto cioè che, alla stessa stregua del gioco degli scacchi, esiste perché vi è un sistema di regole che lo costituisce. Come muovere in diagonale un cavallo vuol dire smettere di giocare a scacchi, così non seguire l’uniforme interpretazione della legge non implica giudizi di invalidità (le sentenze della Corte di cassazione non sono fonte di diritto), ma vuol dire più semplicemente agire all’esterno di quell’istituzione che chiamiamo giurisprudenza e non partecipare a una comune pratica interpretativa. Emerge qui una terza concezione del diritto, diversa da quella legalistica e da quella aggiudicatrice, che possiamo definire istituzionalistica, in quanto coerente alla tradizione teorica dell’istituzionalismo giuridico.
Il principio di diritto che la Corte di cassazione enuncia quando accoglie il ricorso per violazione di legge ha una duplice valenza: per un verso, è diritto quale criterio di validità della sentenza impugnata e regola di giudizio per il giudice di merito cui viene rinviato il processo; per l’altro, è diritto quale istituzione perché è elaborazione dell’uniforme interpretazione della legge. Il dovere giuridico di rispettare la giurisprudenza attiene perciò non al piano della validità, ma a quello dell’esercizio della funzione giudiziaria. Si tratta di un dovere costitutivo della funzione perché ne modella le modalità di estrinsecazione. Dire il diritto non significa solo risolvere una lite, ma anche contribuire alla edificazione e preservazione di una istituzione.
4. Affidare il rinvio pregiudiziale alle sezioni unite
Torniamo, dopo questa lunga parentesi, al nostro nuovo istituto processuale. La duplice valenza, di cui si è appena detto, la rinveniamo anche nel provvedimento con il quale la Corte definisce la questione di diritto: per un verso è criterio alla cui stregua valutare la validità della (futura) sentenza di merito; per l’altro, stante la potenziale (o attuale) serialità della questione di diritto, è costruzione di quella istituzione cui diamo il nome di giurisprudenza e alla quale tutti i giudici sono chiamati a partecipare. Se il mezzo del rinvio pregiudiziale sarà in grado di deflazionare i processi dipende anche dalla partecipazione dei giudici a una comune pratica interpretativa. Ma qui si annida quella che forse è la vera criticità dell’istituto.
L’efficacia di vincolo per il processo ha la stessa natura dell’effetto della sentenza della Corte di cassazione nel giudizio di rinvio, la quale non costituisce giudicato ed esprime piuttosto la regola di giudizio a cui deve uniformarsi la decisione di merito suscettibile di divenire essa giudicato (Cass., 2 agosto 2012, n. 13873). Se il principio di diritto costituisse giudicato, dovrebbe resistere anche alla declaratoria d’incostituzionalità della norma. La regola operante per la cassazione con rinvio è invece la seguente: l’enunciazione del principio di diritto vincola il giudice di rinvio che ad esso deve uniformarsi, anche qualora, nel corso del processo, siano intervenuti mutamenti della giurisprudenza di legittimità, sicché anche la Corte di cassazione, nuovamente investita del ricorso avverso la sentenza pronunziata dal giudice di merito, deve giudicare sulla base del principio di diritto precedentemente enunciato, e applicato dal giudice di rinvio, senza possibilità di modificarlo, neppure sulla base di un nuovo orientamento giurisprudenziale della stessa Corte, salvo che la norma da applicare in relazione al principio di diritto enunciato risulti successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di jus superveniens, comprensivo sia dell’emanazione di una norma di interpretazione autentica, sia della dichiarazione di illegittimità costituzionale (fra le tante, si vedano Cass., 19 ottobre 2020, n. 22657; 15 novembre 2017, n. 27155; 17 marzo 2014, n. 6086). L’omogeneità dell’effetto vincolante del provvedimento sulla pregiudiziale interpretativa a quello della cassazione con rinvio comporta che anche al primo si applichi la regola appena richiamata. Sia nell’uno che nell’altro caso non ricorre un giudicato, ma l’effetto di vincolatività nel processo derivante dalla legge (l’art. 384, comma 2, cpc prevede che il giudice di merito «deve uniformarsi al principio di diritto» enunciato dalla Corte di cassazione). Tale è l’omogeneità dell’effetto del principio di diritto enunciato in sede di rinvio pregiudiziale a quello della cassazione con rinvio che, analogamente a quanto previsto dall’art. 393 cpc (nel caso di estinzione del processo, «la sentenza della Corte di cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda»), si prevede che il provvedimento conservi il suo effetto vincolante, «ove il processo si estingua, anche nel nuovo processo che è instaurato con la riproposizione della medesima domanda nei confronti delle medesime parti».
La vincolatività della risoluzione della questione di diritto impedisce che la Corte, successivamente adita dalle parti, possa seguire il nuovo orientamento giurisprudenziale che per ipotesi abbia preso piede. Emerge così una questione di compatibilità del rinvio pregiudiziale con il fisiologico mutamento della giurisprudenza che, se non è un problema per le controversie diverse da quella in cui la questione di diritto è insorta, lo è per il giudizio in cui il provvedimento della Corte è stato reso. Si tratta di una criticità che non ha senso individuare nel comune giudizio che segue alla cassazione con rinvio, perché il principio di diritto enunciato in sede di legittimità costituisce qui la regola di giudizio, cui il giudice di merito deve adeguarsi, anche per quanto concerne l’applicazione della norma alla fattispecie concreta. Il provvedimento in sede di rinvio pregiudiziale non corrisponde invece alla regola di giudizio della fattispecie concreta, ma è risoluzione della astratta questione interpretativa in funzione di immediata definizione di quale sia la corretta identificazione del contenuto della legge. L’incidente interpretativo, come vedremo subito, attiene al profilo esclusivamente ermeneutico e non a quello dell’applicazione della norma al caso concreto. È dunque la risoluzione dell’astratta questione di diritto a non essere più attuale una volta che si torni innanzi alla Corte di cassazione nel contesto di un mutamento di giurisprudenza.
Per la verità, una volta che la questione di diritto sia stata da subito risolta in modo vincolante per il processo, sono tutte da verificare le ipotesi che impongano alla Corte, una volta quando riconvocata dalle parti, di tornare alla medesima questione. Il più delle volte, il motivo di ricorso corrisponderà alla censura di mancata osservanza da parte del giudice di merito del principio di diritto enunciato in sede di rinvio pregiudiziale. E tuttavia non può essere sottaciuto che il problema esiste. Ad esso si può (tendenzialmente) porre rimedio solo prevedendo che sulla questione la Corte si pronunci a sezioni unite, sia per l’effetto di vincolo sulla sezione semplice, sia per la tendenziale maggiore stabilità del principio di diritto così enunciato. Del resto, i presupposti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale, che operano, come è evidente, congiuntamente e non in via alternativa (il rinvio pregiudiziale è inammissibile se mancano una o più delle condizioni previste), prefigurano la questione di massima di particolare importanza da affidare alle sezioni unite. Si consideri che, a proposito di serialità della questione, una motivazione che ha giustificato la rimessione al supremo collegio nomofilattico è stata anche quella secondo cui «si registra non solo un ampio dibattito in dottrina ma anche un tuttora non sopito contrasto nella giurisprudenza di merito, reso più acuto dalla frequenza delle questioni che in siffatta materia vengono sottoposte a giudizio» – Cass., 15 dicembre 2011, n. 27063; così anche Cass., 12 luglio 2019, n. 18741 (le rimessioni alle sezioni unite in tali ordinanze interlocutorie, rispettivamente per la questione del sindacato sulla fattibilità della proposta di concordato preventivo e per quella dell’identificazione del soggetto onerato della presentazione della domanda di mediazione nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, sono altamente esemplificative dei casi nei quali dovrebbe essere proposto il rinvio pregiudiziale). È significativo che nella relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria, che ha fatto seguito a quella della Commissione Luiso sul processo civile, si affermi che sul rinvio pregiudiziale la Corte di cassazione decide a sezioni unite.
La lettura dei presupposti di ammissibilità del rinvio pregiudiziale con l’occhio all’art. 374, comma 2, cpc consente anche, per un verso, di delimitare meglio (ed eventualmente restringere) l’ambito del rinvio pregiudiziale; per l’altro, di restituire agli orientamenti generali della giurisprudenza quel carattere evolutivo che li connota grazie all’essenziale contributo della giurisprudenza di merito, che deve dunque dire la sua prima della (e, in talune circostanze, anche a prescindere dalla) giurisprudenza di legittimità. Il rinvio pregiudiziale deve essere concepito in termini tali da lasciare piena e libera esplicazione al contributo che i giudici di merito possono e devono dare al progresso della giurisprudenza. Si richiede quindi un particolare rigore nel giudizio di ammissibilità del rinvio cui è deputato il primo presidente: dovrebbero essere trattati solo i rinvii pregiudiziali suscettibili di equiparazione per rilevanza alla questione di massima di particolare importanza di cui all’art. 374, comma 2, cpc, lasciando per il resto la giurisprudenza di merito responsabile della risoluzione delle nuove questioni di diritto.
5. Rinvio pregiudiziale e giudizio di fatto
Un’osservazione critica che è stata sollevata all’indirizzo del nuovo istituto processuale è il carattere aporetico della definizione della questione di diritto prima dell’accertamento del fatto: se il rinvio pregiudiziale viene disposto prima della definitiva fissazione del fatto, può accadere che sia formulato un principio di diritto che resta eccentrico rispetto al fatto come sarà definitivamente accertato all’esito della controversia. Si tratta di un’osservazione importante, che tuttavia non impedisce di guardare con favore all’ingresso dell’istituto nel nostro ordinamento.
È significativo che, nell’articolato proposto dalla Commissione Luiso (art. 362-bis del codice di procedura civile), il rinvio pregiudiziale venga disposto, in presenza delle condizioni di ammissibilità, «per la risoluzione di una questione di diritto necessaria per la definizione anche parziale della controversia». La necessità della risoluzione della questione di diritto ai fini della definizione della controversia presuppone l’inerenza della questione a ciò che, per il giudice di merito, corrisponde al fatto rilevante per il giudizio. Si tratta di un requisito che, senza particolari difficoltà, ricorda quello della rilevanza nell’incidente di legittimità costituzionale quale impossibilità per l’autorità giurisdizionale remittente di definire la controversia a quo indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità. Come nel caso del requisito previsto dall’art. 23, terzo comma della legge n. 87 del 1954, deve correre fra la controversia e la questione un nesso di pregiudizialità e, dunque, deve trattarsi di disposizione di cui il giudice debba fare applicazione nella controversia. Si può anche fare riferimento al rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Secondo la costante giurisprudenza di quest’ultima, se è vero che spetta ai giudici nazionali valutare sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopongono alla Corte, è anche vero che quest’ultima può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto unionale richiesta da quest’ultimo non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale (fra le tante, Cgue, 20 dicembre 2017, cause riunite C-504/16 e C-613/16, e 8 dicembre 2016, cause riunite C-532/15 e C-538/15).
L’inerenza della logica del rinvio pregiudiziale all’oggetto del processo non può non influire, a questo punto, sulla valutazione di ammissibilità che il primo presidente della Corte di cassazione deve svolgere. Quest’ultimo acquista la particolare funzione di organo giurisdizionale dell’ammissibilità del rinvio pregiudiziale, funzione che trascende i compiti meramente organizzativi di cui il primo presidente è dotato, quale quello dell’assegnazione del ricorso alle sezioni unite (salvi i poteri quale comune presidente, come quello di provvedere sull’estinzione del processo per rinuncia al ricorso). L’inammissibilità è prevista «qualora risultino insussistenti i presupposti di cui al numero 1», ma è innegabile che la necessità per la definizione (anche parziale) della controversia costituisca la caratteristica distintiva del rinvio pregiudiziale. L’oggetto di quest’ultimo, come si evince dalla necessità che la questione di diritto presenti «gravi difficoltà interpretative» e sia «suscettibile di porsi in numerose controversie», è soltanto l’interpretazione e non anche l’applicazione della norma alla fattispecie. Ovviamente questione di diritto non è solo l’ermeneutica della singola disposizione, ma ogni questione interpretativa dell’ordinamento. La questione sussuntiva resta aperta all’esito dell’esaurimento del procedimento di rinvio pregiudiziale, per cui ben potrà porsi anche in sede di legittimità un problema di falsa applicazione della norma, previamente interpretata in sede di rinvio pregiudiziale. Rebus sic stantibus, nel senso del grado di accertamento dei fatti che la controversia propone nello stadio in cui si trova, presupposto del rinvio pregiudiziale non può non essere l’astratta possibilità di applicazione della disposizione interpretanda (si ricordi che Corte cost., 28 luglio 1987, n. 292 identificò il requisito della rilevanza della questione di legittimità costituzionale anche nell’astratta applicabilità della norma).
Riprendendo, quindi, proprio lo spunto della giurisprudenza unionale, può esigersi dal giudice del rinvio l’onere di esporre le circostanze di fatto che lo inducono a ritenere necessaria per la definizione (anche parziale) della controversia la risoluzione della questione di diritto e deve essere riconosciuto il potere del primo presidente di dichiarare inammissibile il rinvio pregiudiziale quando risulti manifesto che la detta necessità non ricorre alla stregua delle circostanze di fatto rappresentate nell’ordinanza di rinvio. Ciò che deve essere escluso è il potere del Collegio, cui il rinvio pregiudiziale sia stato trasmesso all’esito della ritenuta ammissibilità, di valutare la rilevanza della questione perché, una volta assegnato l’affare, «la Corte di cassazione decide enunciando il principio di diritto».
Resta fermo che il procedimento del rinvio pregiudiziale si svolge sulla base della sola astratta applicabilità della disposizione oggetto della questione di diritto. Come si è detto, la questione della sussumibilità della fattispecie nella disposizione interpretata resta aperta. Non ha effetti preclusivi rispetto al giudizio sussuntivo neanche il decreto del primo presidente di inammissibilità del rinvio pregiudiziale all’esito della valutazione prima facie dell’estraneità della questione di diritto alle circostanze di fatto esposte nell’ordinanza di rinvio. Un giudizio di fatto nella decisione di merito che sia estraneo alle circostanze di fatto presupposte dal rinvio pregiudiziale non è incompatibile con l’istituto. Come accade nel giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 392 cpc, la vincolatività del principio di diritto enunciato – sia per il giudice di merito sia per la Corte di cassazione nuovamente investita in sede di impugnazione – non dovrebbe operare con riguardo a un thema decidendum non presupposto dal rinvio pregiudiziale o quando sopravvenga un fatto, estintivo o modificativo del diritto fatto valere, afferente a un profilo non emerso in sede di ordinanza di rinvio pregiudiziale (cfr., in materia di giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 392 cpc, Cass., 19 ottobre 2018, n. 26521 e 26 maggio 2014, n. 11716).
Per concludere, e passando ad un altro aspetto dell’istituto, va accolto un ulteriore suggerimento contenuto nel parere del Consiglio superiore della magistratura sopra richiamato: è opportuno che al rinvio pregiudiziale non consegua l’effetto della sospensione necessaria del giudizio nel quale il rinvio è stato disposto perché non tutte le attività processuali possono dipendere dalla risoluzione della questione per la quale il rinvio è stato disposto. La sospensione dovrebbe avere carattere facoltativo o, in alternativa, nella trattazione del processo il giudice dovrebbe differire solo ciò (a parte, ovviamente, la decisione) per cui è strettamente necessario attendere l’esito del rinvio pregiudiziale.