Magistratura democratica

Perché ancora riforme della giustizia?*

di Giorgio Costantino

Nella premessa sono indicati i temi del dibattito in corso sulla giustizia e le questioni considerate urgenti. Si segnala l’esigenza di aggiungere, o di anteporre a queste, quella relativa all’organizzazione dell’amministrazione della giustizia e alla circolazione delle informazioni e sulle criticità degli strumenti predisposti a questo fine. Si richiama, quindi, l’esigenza di orientare l’attenzione su una revisione complessiva della normativa vuoi per ricondurla a sistema, liberandola dalle incrostazioni di disposizioni frammentarie e contraddittorie, vuoi per adeguarne il contenuto al processo telematico. In questa prospettiva, è considerata la struttura dei processi a cognizione e a contraddittorio pieni e sono ricordate le rationes tradizionalmente richiamate a fondamento della tutela a cognizione sommaria. Si accenna, poi, alla funzione delle impugnazioni.

1. Una nuova stagione di riforme / 2. La circolazione delle informazioni / 3. (Segue) Le fonti delle informazioni sui precedenti / 4. (Segue) Le “nomofilachie di settore” / 5. La pulizia della legislazione e la frenesia legislativa / 6. I processi di cognizione / 7. La tutela sommaria / 8. Cenni alla disciplina delle impugnazioni / 9. Conclusioni

 

1. Una nuova stagione di riforme

L’amministrazione della giustizia sta vivendo una nuova, concitata, stagione di riforme.

L’emergenza sanitaria ha fatto esplodere contraddizioni da tempo latenti, ma ha anche stimolato l’assunzione di iniziative per superare la crisi nella speranza di un mondo migliore.

L’elaborazione di «Un libro bianco per la Giustizia ed il suo futuro»[1], avviato ad aprile 2020, nel pieno dalla pandemia, e presentato a febbraio 2021, si colloca in questa prospettiva.

Il dibattito che questa iniziativa avrebbe voluto aprire si è intrecciato con la elaborazione del «Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza» (PNRR), diretto ad acquisire risorse per superare i devastanti effetti economici dell’epidemia. Nell’ambito del Piano, più volte rivisto, presentato alle istituzioni europee e da queste, nella sua ultima versione del 5 maggio 2021, approvato, un ruolo centrale hanno assunto le questioni relative all’amministrazione della giustizia.

L’esigenza prevalente è stata quella di mostrare alle istituzioni europee l’assunzione di iniziative, al fine di acquisire fondi per superare l’emergenza economica. Al momento, sembra che sia stata soddisfatta: il PNRR ha ricevuto il consenso delle istituzioni europee. 

Occorre, tuttavia, darvi attuazione.

Il nuovo Governo ha giurato nelle mani del Presidente della Repubblica il 13 febbraio 2021.

La nuova Ministra della giustizia, Marta Cartabia, ha istituito commissioni[2] sulle diverse questioni aperte e ha attribuito a ciascuna il compito di elaborare emendamenti alle proposte all’esame del Parlamento. Alla Commissione presieduta da Francesco Paolo Luiso è stato affidato il processo civile; a quella presieduta da Giorgio Lattanzi il processo penale; a quella presieduta da Massimo Luciani l’ordinamento giudiziario; a quella presieduta da Claudio Castelli la magistratura onoraria; a quella presieduta da Giacinto della Cananea la giustizia tributaria; a quella presieduta da Ilaria Pagni la normativa sulla crisi d’impresa. È stata anche istituita una Commissione interministeriale «per la giustizia nel Mezzogiorno»[3], presieduta da Maria Rosaria Covelli.

La prima delle commissioni indicate ha concluso i suoi lavori e ha presentato la sua relazione. Il Governo ne ha tratto emendamenti, che ha presentato al ddl n. 1662/S/XVIII[4]. La Commissione giustizia del Senato ha fissato al 2 luglio 2021 il termine per la presentazione di sub-emendamenti.

Il 3 giugno 2021 sono state depositate presso la Corte di cassazione sei proposte di referendum sulla giustizia.

Il dibattito sul tema è diventato concitato. Si sono moltiplicati gli incontri e i dibattiti vuoi sugli specifici aspetti oggetto delle proposte di riforma, vuoi su temi generali.

Appare opportuno tenere distinti gli obiettivi e tentare di porre ordine tra le questioni.

Per quanto riguarda la giustizia civile, appare preliminare, come è stato messo in evidenza anche su questa Rivista, l’analisi dell’arretrato[5].

Se questo è diverso da ufficio ad ufficio, probabilmente i nodi da sciogliere riguardano solo in parte la disciplina processuale. Se questa consente di realizzare risultati soddisfacenti in alcuni luoghi e non in altri, appare ragionevole ritenere che la questione risieda nell’allocazione delle risorse, nel loro impiego, nell’organizzazione.

L’analisi dell’arretrato, peraltro, implica anche un esame dei flussi di contenzioso. Nell’ambito delle concitate discussioni sulla giustizia, è stato ripetutamente messo in evidenza il ruolo delle pubbliche amministrazioni, nonché l’assorbimento delle risorse della giustizia civile da parte di quella penale. 

Le iniziative delle pubbliche amministrazioni, la resistenza di queste ultime alle azioni proposte dai privati, la difficoltà a conciliare o a transigere controversie prive di oggettivo fondamento traggono sovente origine dal timore, non sempre giustificato, di azioni per danno erariale delle procure contabili. Si tratta di comportamenti deresponsabilizzanti che inflazionano la giustizia civile e tributaria e, spesso, determinano oneri maggiori di quelli che un’assunzione di responsabilità potrebbe evitare.

In una passata e ormai lontana stagione, si è tentato di orientare l’attenzione sulla tutela giurisdizionale preventiva, anche al fine di rendere marginale il ricorso alla tutela repressiva, civile e penale. Il dibattito sulla tutela collettiva di cinquant’anni addietro era in questa direzione. Sennonché, quell’aspirazione non ha avuto esiti positivi. Una ragione può essere indicata nella circostanza che la tutela preventiva non è remunerativa: la tutela preventiva della salute, dell’ambiente, della concorrenza, dei consumatori è una cosa bellissima, ma non paga chi la invoca; quella repressiva consente, anche ai professionisti che se ne fanno portatori, di essere remunerati. Tutto ciò è terribile, ma occorre prenderne atto.

Le indagini penali attirano l’attenzione dei media. Ma la percentuale di quelle che si concludono con esiti positivi per l’accusa è ridotta. L’obbligatorietà dell’azione penale non implica l’esercizio di quelle prive di fondamento ovvero prive di ragionevoli possibilità di successo. Il ruolo e la collocazione del pubblico ministero è un tema trasversale, che attraversa tutto il dibattito sulla giustizia, non riguarda soltanto la questione della separazione delle carriere, ma coinvolge profili inerenti la professionalità e la responsabilità, in termini analoghi a quelli ricordati in riferimento alle pubbliche amministrazioni.

I processi, civili, penali, contabili, tributari, amministrativi, non dovrebbero essere instaurati all’esclusivo fine di sottrarsi alla responsabilità di operare una scelta e di attribuire quest’ultima ad un giudice.

Ancora più a monte dei profili inerenti l’arretrato e le sue cause, è la questione del personale.

Questa coinvolge tre aspetti: la magistratura ordinaria, quella onoraria e il personale di cancelleria. In riferimento al primo aspetto, sono stati annunciati nuovi concorsi. Sul secondo è stata costituita una commissione ad hoc. Sul terzo, l’art. 11 del dl 9 giugno 2021, n. 80, all’esame del Parlamento per la conversione in legge[6], ha previsto il reclutamento di «un contingente massimo di 16.500 unità di addetti all’ufficio per il processo».

Pur prescindendo da ogni rilievo sui tempi necessari per l’effettiva presa di servizio del nuovo personale, si potrebbe dubitare della utilità dell’acquisizione di nuove risorse in un contesto non adeguatamente organizzato.

Le questioni delle quali si è dato sinteticamente conto in questa premessa indicano il quadro nel quale si colloca il dibattito sulle riforme della giustizia: l’allocazione delle risorse e l’organizzazione complessiva dell’amministrazione giudiziaria, l’individuazione dell’arretrato, della sua collocazione e delle sue cause e i profili relativi al personale. 

Ciascuna di esse merita specifica attenzione e le soluzioni non possono imputarsi a slogan. Ad esse si è accennato, perché non se ne può prescindere, ma non costituiscono oggetto di specifica analisi in questa sede.

Appare, invece, opportuno orientare l’attenzione su altri aspetti che sembra ragionevole ritenere manifestino analoghi profili di urgenza, e ricordare il quadro nell’ambito del quale si collocano le proposte sulla riforma della disciplina processuale.

In particolare, in riferimento alla prima e fondamentale questione urgente, che assorbe tutte le altre, relativa alla organizzazione della amministrazione giudiziaria e dei singoli uffici, per andare oltre gli obiettivi indicati nel PNRR[7], si vuole richiamare l’importanza della circolazione delle informazioni.

In relazione alle plurime soluzioni prospettate per un aggiornamento della disciplina processuale, si vuole anche richiamare l’attenzione sulla pregiudiziale esigenza di una pulizia della legislazione, vuoi in riferimento alla attuale previsione di atti e provvedimenti in forma cartacea, incompatibile con la struttura del processo telematico, vuoi in riferimento alle contraddizioni generate dalla frenesia legislativa. Sulla scorta di questa premessa, si vuole richiamare la memoria sull’impianto delle tutele di cognizione e sulla intollerabilità della loro frammentazione. Non sono esaminate, invece, le questioni relative ai processi esecutivi, che meritano autonoma considerazione.

 

2. La circolazione delle informazioni

La pluralità di fonti concorrenti, la frenesia legislativa, la mutevolezza e l’opacità dei testi normativi richiamano l’attenzione sul ruolo della giurisprudenza e sulle tecniche interpretative.

In base alla distinzione tra testo e norma, le regole del processo sono quelle interpretate e applicate dalla giurisprudenza. 

Si è soliti distinguere la giurisprudenza sulle questioni processuali, rispetto alle quali prevale l’esigenza della certezza, da quella sulle questioni sostanziali, che implica un continuo adeguamento alla realtà sociale ed economica: mentre sul piano sostanziale è fisiologica e doverosa l’evoluzione giurisprudenziale e l’adeguamento ai valori sociali ed economici, sul piano processuale i valori prevalenti consistono della certezza e della uniformità della interpretazione. La stabilità delle regole del processo soddisfa l’interesse alla predeterminazione dei rischi e dei costi, contribuisce alla deflazione del contenzioso e, soprattutto, garantisce il principio di uguaglianza.

Alla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost., nonché dell’art. 65 ord. giud., sono attribuiti i compiti di garantire il rispetto della legalità nei provvedimenti giurisdizionali e di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» e di regolare «i conflitti di competenza e di attribuzioni». 

Le decisioni della Corte vincolano il giudice di rinvio, che, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cpc, «deve uniformarsi al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla Corte»; la Corte, ai sensi dell’art. 382, comma 2, cpc, «quando cassa per violazione delle norme sulla competenza, statuisce su questa» e, ai sensi dell’art. 310, comma 2, cpc, la decisione sopravvive all’estinzione del processo; la stessa regola opera per i provvedimenti in tema di giurisdizione, ai sensi dell’art. 382, comma 1, cpc. Le sezioni semplici, ai sensi dell’art. 374, comma 3, cpc, se dissentono dalle sezioni unite, dovrebbero astenersi dal decidere e rimettere la decisione a queste ultime. 

Effetti vincolanti delle decisioni della Corte sono anche deducibili dagli artt. 420-bis cpc e 64 d.lgs 30 marzo 2001, n. 165, sull’accertamento pregiudiziale dell’efficacia, della validità o dell’interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale.

Al di fuori di queste limitate ipotesi, opera il principio generale di cui all’art. 101, comma 2 Cost., per il quale «i giudici sono soggetti soltanto alla legge». L’interpretazione di quest’ultima e la valutazione dei fatti non sono, conseguentemente, fonte né di responsabilità disciplinare, ai sensi dell’art. 2, comma 2, d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109, né di responsabilità civile, ai sensi dell’art. 2, comma 2, l. 13 aprile 1988, n. 117 (novellata dalla l. 27 febbraio 2015, n. 18).

Sennonché, se, nei sistemi di civil law, nei quali non opera il principio dello stare decisis, un provvedimento non può essere censurato sol perché difforme dalla giurisprudenza, esso può comunque essere impugnato, riformato o cassato perché contrario a orientamenti consolidati. Il vizio non risiede, come nei sistemi di common law, nei quali opera il vincolo ai precedenti, soltanto nella inosservanza di questi ultimi; il provvedimento difforme può essere riformato o cassato, perché l’interpretazione difforme dalla giurisprudenza è considerata errata. Non è, pertanto, sanzionata la violazione del precedente, ma la violazione di legge. In base alla richiamata distinzione tra norma e testo, la legge, infatti, è quella interpretata dalla giurisprudenza. 

Alla fine, il risultato non cambia; esso implica comunque un’indagine sul valore del precedente, attraverso l’analisi delle fattispecie decise e la distinzione tra obiter dicta ed effettivo decisum.

Sembra, quindi, corretto leggere le disposizioni, quali gli artt. 118, comma 1, disp. att. cpc e 348-ter, comma 1, cpc, che espressamente prevedono che la motivazione contenga «il riferimento a precedenti conformi» in base a questo ovvio e scontato rilievo. Queste disposizioni, infatti, non implicano un vincolo formale, ma, se il «riferimento» è corretto, induce a ragionevolmente prevedere che il provvedimento di merito sia confermato in sede di impugnazione e che quello di legittimità sia esente da critiche.

Le pronunce “devianti” o gli improvvisi e ingiustificati revirement o l’overruling delle corti superiori e, in particolare, della Cassazione sono fenomeni patologici e, come tali, devono essere considerati. Possono essere prevenuti: in questa direzione è l’esperienza dei Dialogoi, della quale è traccia nel sito della Corte[8].

Il dibattito sugli effetti dei mutamenti di giurisprudenza, repentini e imprevedibili, e l’elaborazione dei principi in tema di affidamento incolpevole costituiscono un indice della consapevolezza della Corte del proprio ruolo.

 

3. (Segue) Le fonti delle informazioni sui precedenti

Prevedibilità delle decisioni implica e presuppone la circolazione delle informazioni.

Significa assoluta trasparenza delle decisioni.

È un obiettivo che appare meritevole di essere perseguito con urgenza.

Richiede consapevolezza dell’uso dei mezzi e chiarezza del risultato che si vuole raggiungere.

Il 18 luglio 2014, il primo presidente, Giorgio Santacroce, ha presentato il nuovo sito della Corte: «conoscere appieno la giurisprudenza della Cassazione è uno degli elementi che concorrono al rafforzamento dei valori della stabilità e della certezza del diritto e, dunque, alla costruzione di una società migliore».

Il nuovo sito e le sue funzionalità avrebbero dovuto contribuire a una migliore conoscenza della giurisprudenza della Corte, talvolta oggetto di travisamenti mediatici, a favorire il dialogo con i cittadini, con gli operatori della giustizia e con la dottrina. 

Se, tuttavia, si confronta il sito della corte nomofilattica[9], il risultato non è confortante. 

Appare molto maggiore la quantità e la qualità delle informazioni reperibili nel sito della Corte costituzionale, in quello della giustizia amministrativa, e di quella contabile[10]. Se, poi, il confronto si estende ai siti delle corti internazionali e a quelli di corti straniere, il risultato è ancora meno confortante: basti aprire il sito della Corte europea dei diritti dell’uomo, della Corte europea di giustizia, della Corte internazionale di giustizia[11]; ovvero della Cassazione francese, del Bundesgerichtshof o del Bundesverfassunggericht, della Corte suprema del Regno Unito, del Tribunal Supremo spagnolo, del Supremo Tribunal de Justiça portoghese, dell’Oberster gerichtshof austriaco[12]; o della Corte suprema degli Stati Uniti[13].

La Corte di cassazione produce quasi quarantamila decisioni civili all’anno. Potrebbe apparire ingeneroso il confronto con la Corte costituzionale, che ne produce meno di mille, e che offre al pubblico non solo tutti i provvedimenti da quando ha cominciato a funzionare, nel 1956, ma anche le note a sentenza pubblicate sulle riviste.

Sennonché, in primo luogo, come si è ricordato, alla Corte di cassazione è attribuito il compito di nomofilachia; le decisioni della Corte costituiscono un riferimento essenziale per la giurisprudenza di merito, per gli operatori e per gli studiosi. In secondo luogo, non appare ragionevole la restrizione temporale ai provvedimenti successivi al 2019, recentemente sopravvenuta. In terzo luogo, appare ancor meno ragionevole la selezione dei provvedimenti reperibili nel sito e l’«oscuramento» di alcuni di essi, quali, ad esempio, quelli sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, tra i quali è anche la sentenza 15 gennaio 2020, n. 741, sull’uso del trojan a fini probatori, che è questione che trascende la responsabilità disciplinare. In quarto, decisivo ed assorbente luogo, tutti i provvedimenti della Corte di cassazione pubblicati dopo il 1980, compresa la decisione appena richiamata, sono reperibili nei siti privati, per l’accesso ai quali è previsto un abbonamento.

L’accesso a ItalgiureWeb (“www.italgiure.giustizia.it”), che offre un servizio di alta qualità, è riservato ai magistrati o richiede un abbonamento e non è pubblico. Né sembra assuma rilievo la convenzione[14] stipulata dalla Corte con la Cassa forense, vuoi perché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla sua sottoscrizione, essa non è ancora pienamente operativa, vuoi, soprattutto, perché essa consente innanzi tutto l’accesso[15] alle “massime”, ma, per un verso, da tempo si è rilevato che “le massime costituiscono una falsa rappresentazione della realtà” e, per altro verso, soltanto una parte dei provvedimenti della Corte è massimata.

Tutti i provvedimenti sono pubblici. Come tali, essi dovrebbero essere accessibili al pubblico, al pari delle disposizioni legali, come avviene per la Gazzetta ufficiale e grazie al sito “www.normattiva.it”. Non appare giustificata l’esistenza di siti privati per la mera raccolta delle informazioni. Questi dovrebbero fornire servizi supplementari, quali raffinati motori di ricerca, selezione dei provvedimenti per materia, raccolta dei precedenti e commenti. 

Un servizio importante e gratuito è fornito dall’Ufficio del massimario, con le periodiche relazioni, anche tematiche, sulla giurisprudenza della Corte. Chi non accede quotidianamente al sito della Corte deve cercare queste relazioni nel sito del Portale del massimario. Ma qui tutti i contributi sono riversati come in una discarica di rifiuti, senza alcuna classificazione né temporale né per materia. Anche il lavoro degli autori è così sminuito e avvilito. 

L’intenso dibattito sul valore del precedente, sul ruolo della giurisprudenza e sulle tecniche ha quale presupposto la conoscenza delle decisioni della Corte nomofilattica, di tutte le decisioni, non soltanto di quelle non “oscurate” o di quelle selezionate per trarne massime. Se la conoscenza della giurisprudenza è affidata al mercato e, comunque, non è completa e, quindi, non è trasparente e non è accessibile, l’incertezza sui precedenti contrasta ogni ambizione deflattiva, perché illude la parte soccombente con la speranza di trovare una risposta favorevole. 

 

4. (Segue) Le “nomofilachie di settore”

Ad analoghi rilievi si presta la ricognizione della giurisprudenza di merito, in base all’ossimoro “nomofilachie di settore”.

La conoscenza dei precedenti, infatti, assume rilievo anche per i provvedimenti sottratti al controllo di legittimità della Cassazione. E ciò non è limitato ai provvedimenti secondo equità del giudice di pace e a quelli del Consiglio di Stato e della Corte dei conti nelle materie sottratte al ricorso per cassazione, ai sensi degli artt. 108 Cost. e 362 cpc. Può essere esteso a tutti i provvedimenti insindacabili dalla Corte nomofilattica.

In alcuni casi, l’esigenza di assicurare «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge» è perseguita dalla Procura generale della Corte di cassazione mediante la proposizione di ricorsi nell’interesse della legge[16], ai sensi dell’art. 363 cpc. Nel sito dedicato all’argomento, vi è una pagina, denominata «istanze esterne», dalla quale è possibile segnalare provvedimenti, non impugnati né impugnabili, «che rendono necessaria od opportuna la proposizione di un ricorso nell’interesse della legge, in funzione della eliminazione di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di merito o per la formulazione di principi generali in materie non ancora pervenute all’esame della Corte di cassazione».

Tutto ciò, tuttavia, non appare sufficiente per un corretto funzionamento della giustizia. Gli utenti e gli operatori dovrebbero essere in grado di conoscere preventivamente gli orientamenti dei giudici di merito, anche al fine di valutare l’opportunità di assumere una iniziativa giudiziaria. I giudici, a loro volta, dovrebbero avere accesso a tutte le informazioni sulla sorte delle decisioni in sede di impugnazione, al fine di valutare l’opportunità di insistere nelle soluzioni non condivise dai giudici superiori ovvero se uniformarsi alle indicazioni fornite da questi ultimi.

In riferimento a questo aspetto, è esemplare la vicenda del programma “Sirfind”: esso consente non solo la conoscenza di tutti i provvedimenti del Tribunale di Roma, ma anche la loro sorte in sede di impugnazione. Fino a qualche anno addietro esso era aperto al pubblico dal sito del Tribunale[17]. Poi è stato chiuso. Attualmente, lo stesso programma[18] è gestito da privati e richiede un abbonamento. La pagina per l’accesso al pubblico esiste ancora, ma non consente alcun accesso ai dati.

Le iniziative per la diffusione della conoscenza sono numerose e si moltiplicano. Basti ricordare il sito della giurisprudenza delle imprese (“www.giurisprudenzadelleimprese.it”), nel quale si richiede una donazione per la meritevole opera gratuita. 

La terza sezione della Cassazione ha avviato il “Progetto esecuzioni”. Analoga iniziativa è stata assunta dalla sezione lavoro. Il collegamento della Corte nomofilattica con la giurisprudenza di merito ha frenato lo sviluppo di contenziosi seriali e ha consentito la soluzione di questioni oggetto di contrasto e di disorientamenti.

Alcuni uffici di merito hanno avviato progetti per la raccolta degli orientamenti in materie specifiche. Nella stessa direzione operano gli Osservatori della giustizia civile. Tra i numerosi, basti ricordare quelli del Tribunale di Roma e della Corte di appello di Bari[19].

Sennonché, la circolazione delle informazioni sulla giurisprudenza, come non può essere affidata al mercato, neppure può essere affidata all’impegno e alla buona volontà di alcuni operatori.

Si ripete che tutti i provvedimenti pubblici dovrebbero essere accessibili al pubblico, al pari delle disposizioni legali. Da tempo, ormai, tutti i provvedimenti di merito sono in formato digitale. Dal 1° aprile 2021, lo sono anche quelli di legittimità. 

La realizzazione di un archivio integrato e interattivo costituisce, forse, un progetto troppo ambizioso. Ma garantire l’accesso in rete a tutti i provvedimenti, dei quali tutti potevano e possono chiedere il rilascio di copie alle cancellerie, appare un risultato al quale appare doveroso tendere anche nel breve periodo, anche senza impegnare le risorse del PNRR.

 

5. La pulizia della legislazione e la frenesia legislativa

L’obiettivo di garantire una completa circolazione delle informazioni sulla giurisprudenza appare doveroso e urgente al cospetto della frenesia legislativa.

Anche la giustizia civile è stata investita dalla normativa sull’emergenza sanitaria[20].

Questa ha determinato tre fasi: dal 9 marzo all’11 maggio 2020 sono state rinviate le “udienze” e sono stati sospesi tutti i termini processuali; dal 12 maggio al 30 giugno 2020, la trattazione dei processi civili è stata affidata a provvedimenti organizzativi dei capi degli uffici; dal 30 giugno 2020 al 31 luglio 2021, le “udienze” dei processi civili possono svolgersi in presenza, essere sostituite dalla trattazione scritta o da remoto. La probabile proroga del termine finale ha aperto un intenso dibattito, nell’ambito del quale sono invocati con energia i principi del giusto processo, compresa la pubblicità delle udienze, e della oralità, concentrazione e immediatezza. Ogni ragionevole soluzione, invece, implica una paziente analisi delle attività previste per ciascuna tipologia di udienza, comprese quelle camerali, al fine di determinare quelle che è opportuno si svolgano in presenza, quelle che possono svolgersi anche da remoto e quelle che possono essere sostituite dalla trattazione scritta.

Questa normativa, tuttavia, si è inserita in un tessuto già profondamente lacerato. La disciplina processuale è ormai da tempo un tessuto patchwork o un vestito di Arlecchino, nell’ambito del quale l’incubo degli interpreti e degli operatori consiste nello scioglimento delle contraddizioni in funzione di una necessaria opera di coordinamento.

La questione non è nuova. Già nella inaugurazione dell’anno giudiziario del 1913, Lodovico Mortara rilevava: «Le determinazioni di un codice nuovo non sono creazioni o invenzioni, ma adattamenti pratici chiedevano essere guidati da meditazione serena e consapevole circa le esigenze particolari del tempo, del costume, dello stato economico e morale del paese, delle particolari qualità e condizioni degli organi concorrenti all’applicazione della norma giuridica. E ciascuna parte della complicata struttura legislativa deve essere pazientemente studiata in relazione con ciascuna altra parte e con l’insieme»[21].

È opportuno ricordare che, nel testo del codice, convivono norme del 1940-42, del 1950, del 1973, del 1984, del 1990, del 1995, del 1998, del 2001, del 2005, del 2006, del 2008, del 2009, del 2010, del 2011, del 2012, del 2014, del 2015, del 2016, del 2017, del 2019, del 2020 e del 2021, e che quindi, attualmente, il codice è l’insieme di tessere di un mosaico, le figure del quale l’interprete è chiamato a individuare.

Il codice di procedura civile, approvato con il rd 28 ottobre 1940, n. 1443, infatti, è stato modificato già con il rd 18 dicembre 1941, n. 1368, che introdusse norme non meramente di attuazione, ma integrative della disciplina processuale. E altre non secondarie modifiche sono contenute nel rd 20 aprile 1942, n. 504, emanato un giorno prima dell’entrata in vigore.

La l. 14 luglio 1950, n. 581, e il dPR 17 ottobre 1950, n. 857, noti come la “novella del 1950”, contengono la prima, radicale riforma del codice.

La l. 11 agosto 1973, n. 533, nota come la “novella del 1973” ha riformato il processo del lavoro, sul quale, dopo una sterminata serie di interventi legislativi, sono intervenute la l. 4 novembre 2010, n. 183, e la l. 28 giugno 2012, n. 92, fino al cd. Job’s Act, avviato con la l. 10 dicembre 2014, n. 183, e attuato con i decreti legislativi 4 marzo 2015, n. 23, 15 giugno 2015, nn. 80 e 81, 14 settembre 2015, nn. 148, 149, 150, 151.

La l. 30 luglio 1984, n. 399 tentò di rivitalizzare il giudice conciliatore, sostituito, con la l. l. 21 novembre 1991, n. 374, dal giudice di pace.

La l. 13 aprile 1988, n. 117, novellata dalla l. 27 febbraio 2015, n. 18, ha regolato la responsabilità civile dei magistrati.

La “novella del 1990” è contenuta nella l. 26 novembre 1990, n. 353, e nella l. 21 novembre 1991, n. 374, modificate e integrate dai decreti legge 16 dicembre 1993, n. 521, 14 febbraio 1994, n. 105, 14 aprile 1994, n. 235, 18 giugno 1994, n. 380, 8 agosto 1994, n. 493, non convertiti in legge, e dal dl 7 ottobre 1994, n. 571, quest’ultimo convertito in l. 6 dicembre 1994, n. 673, nonché dai decreti legge 21 aprile 1995, n. 121, 21 giugno 1995, n. 238, 9 agosto 1995, n. 347, non convertiti in legge, e dal dl 18 ottobre 1995, n. 432, convertito in l. 20 dicembre 1995, n. 534.

In attuazione della legge delega prevista dalla l. 16 luglio 1997, n. 254, il d.lgs 19 febbraio 1998, n. 51 ha soppresso l’ufficio del pretore ed ha istituito il giudice unico di primo grado.

L’art. 281 bis-cpc ha stabilito che «nel procedimento innanzi al tribunale in composizione monocratica si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi precedenti, ove non derogate dalle disposizioni del presente capo»; ha, quindi, attribuito all’interprete il compito di determinare, di volta in volta, la portata precettiva dei riferimenti al «collegio».

La l. 24 marzo 2001, n. 89 (ancora novellata dall’art. 1, comma 777, l. 28 dicembre 2015, n. 208) ha regolato l’equo indennizzo per durata irragionevole del processo, attribuendo la relativa competenza alla corte di appello, quale giudice di unico grado; ha anche modificato la disciplina del procedimento innanzi alla Corte di cassazione, oggetto di ulteriori successive riforme. L’art. 55, comma 1, lett. c-f, dl 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, ha modificato gli artt. 3 ss. l. 24 marzo 2001, n. 89; ha previsto un procedimento di ingiunzione attribuito, per quanto riguarda la fase sommaria, al presidente della corte d’appello competente ai sensi dell’art. 11 cpp o, comunque, a un giudice monocratico. La legge segna i confini dell’equa riparazione sulla traccia segnata dalla giurisprudenza della Cassazione e da quella della Corte Edu. 

Il d.lgs 17 gennaio 2003, n. 5, ha introdotto il “processo commerciale”, poi abrogato dall’art. 54, comma 4, l. 18 giugno 2009, n. 69.

Diverse disposizioni riguardano il processo civile telematico (pct).

Il primo regolamento sull’uso «di strumenti informatici e telematici nel processo civile» è stato emanato con il dm 13 febbraio 2001, n. 123; con il dpcm 1° aprile 2008 e con il dpcm 13 novembre 2014 sono state dettate le regole tecniche in riferimento al «Codice dell’amministrazione digitale»; l’art. 51 dl 25 giugno 2008, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133, ha introdotto le notifiche in forma telematica secondo le tecniche previste per il pct: la posta elettronica certificata (pec), infine, è indicata quale strumento unico per le comunicazioni anche nel processo civile telematico (pct). L’art. 4 dl 29 dicembre 2009, conv. in l. 22 febbraio 2010, n. 24, ha esteso agli uffici giudiziari poi individuati con disposizioni di produzione secondaria quanto stabilito dall’art. 51 dl 25 giugno 2008, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133; ha aggiunto l’art. 149-bis cpc, sulle notificazioni per posta elettronica certificata (pec); il comma 3-bis ha modificato l’art. 16 rdl 27 novembre 1933, n. 1578 (già modificato dall’art. 51 dl 25 giugno 2008, conv. in l. 6 agosto 2008, n. 133) e ha stabilito che negli albi degli avvocati «è indicato, oltre al codice fiscale, l’indirizzo di posta elettronica certificata». L’art. 2 dl 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con l. 17 dicembre 2012, n. 221, ha istituito l’«Anagrafe nazionale della popolazione residente» (ANPR); l’art. 4 il «domicilio digitale»; l’art. 5 «il pubblico elenco denominato Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti». Un ulteriore impulso all’applicazione del pct è stato dato dal dl 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 2014, n. 114, in base al quale il processo telematico è diventato la regola generale. La normativa sulla emergenza sanitaria ha dato un ulteriore impulso all’applicazione del pct, che, dal 31 marzo 2021, è operativo anche innanzi alla Corte di cassazione.

I limiti internazionali della giurisdizione sono regolati dalla l. 31 maggio 1995, n. 218, nonché da numerose convenzioni internazionali. Il reg. UE n. 1215/2012, del 12 dicembre 2012, regola la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Ha sostituito il reg. CE n. 44/2001 e prevede, tra l’altro, l’abolizione di ogni passaggio intermedio per il riconoscimento dell’esecuzione dei provvedimenti, l’estensione dei criteri di giurisdizione alle controversie nelle quali siano coinvolti soggetti estranei alla Ue, il rafforzamento del principio di effettività, il miglioramento dei rapporti concernenti le discipline sull’arbitrato, un generale migliore coordinamento dei procedimenti innanzi ai giudici degli Stati membri, il miglioramento dell’accesso alla giustizia per particolari specie di controversie e il chiarimento delle condizioni per la circolazione dei provvedimenti cautelari nello spazio giuridico europeo.

Il reg. CE n. 1393/2007, del 13 novembre 2007, regola le notificazioni e le comunicazioni; il reg. CE n. 1896/2006, del 12 dicembre 2006, ha istituito un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento; il reg. CE n. 805/2004, del 21 aprile 2004, ha istituito il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati; il reg. CE n. 1346/2000, del 22 maggio 2000, regola le procedure d’insolvenza transfrontaliere; il reg. CE n. 2201/2003, del 27 novembre 2003, regola la competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale; il reg. CE n. 1259/2010, del 20 dicembre 2010, attua la «cooperazione rafforzata» in materia di divorzio e di separazione personale dei coniugi.

Tra il 2005 e il 2006, sulla giustizia civile italiana si è scatenato uno tsunami di riforme.

L’ondata riformatrice è stata avviata dal dl 14 marzo 2005, n. 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n. 80, al quale hanno fatto seguito la l. 28 dicembre 2005, n. 263, il dl 30 dicembre 2005, n. 271, non convertito in legge, il dl 30 dicembre 2005, n. 273, convertito in l. 23 febbraio 2006, n. 51, e la l. 28 febbraio 2006, n. 52.

Il d.lgs 2 febbraio 2006, n. 40 ha riformato la disciplina dell’arbitrato e il procedimento innanzi alla Corte di cassazione.

Lo tsunami è stato, in parte, “corretto” dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, che costituisce un’ulteriore, rilevante “novella”.

Il d.lgs 1° settembre 2011, n. 150, ha attuato la delega sulla «riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione» di cui all’art. 54 l. 18 giugno 2009, n. 69.

Il capo I contiene le disposizioni generali, tra le quali l’art. 4 sul mutamento di rito e l’art. 5 sulla «sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato»; nel capo II sono comprese le controversie regolate dal rito di cui agli artt. 414 ss. cpc; nel capo III quelle regolate dal procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc; nel capo IV quelle regolate dal processo ordinario di cognizione di cui agli artt. 163 ss. cpc; il capo V contiene le abrogazioni e le modifiche delle disposizioni anteriori.

Appare opportuno ricordare che, al di fuori delle ipotesi menzionate nel capo III del d.lgs 1° settembre 2011, n. 150, l’utilizzazione del procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc è rimessa alla scelta della parte o al potere discrezionale del giudice: ai sensi dell’art. 702-bis, comma 1, cpc, infatti, «la domanda può essere proposta» e, ai sensi dell’art. 183-bis cpc (aggiunto dall’art. 14 dl 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162), «il giudice (…) può disporre» (c.vo aggiunto). Il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc costituisce, invece, l’unica forma di tutela esperibile in ciascuna delle fattispecie indicate nel capo III del d.lgs 1° settembre 2011, n. 150. Anche la legge sulla responsabilità medica (l. 8 marzo 2017, n. 24) ha imposto il procedimento sommario di cui agli artt. 702-bis ss. cpc, ma non ha vietato il mutamento di rito.

Con la l. 25 luglio 2005, n. 150, è stata approvata la riforma dell’ordinamento giudiziario, attuata con diversi decreti legislativi, modificati dalla l. 24 ottobre 2006, n. 269 e dalla l. 30 luglio 2007, n. 111: il d.lgs 16 gennaio 2006, n. 20 regola il conferimento degli incarichi direttivi; il d.lgs 23 gennaio 2006, n. 24 ha modificato l’organico della Corte di cassazione; il d.lgs 27 gennaio 2006, n. 25, novellato dal d.lgs 28 febbraio 2008, n. 35, ha istituito il Consiglio direttivo della Corte di cassazione e ha riformato i consigli giudiziari; il d.lgs 30 gennaio 2006, n. 26 riguarda la Scuola della magistratura e il tirocinio degli uditori giudiziari; il d.lgs 2 febbraio 2006, n. 35 regola la pubblicità degli incarichi extragiudiziari; il d.lgs 20 febbraio 2006, n. 106, detta l’organizzazione degli uffici del pubblico ministero; il d.lgs 23 febbraio 2006, n. 109 contiene le disposizioni sulla disciplina dei magistrati; il d.lgs 5 aprile 2006, n. 160 regola l’accesso in magistratura e la carriera dei magistrati; il d.lgs 25 luglio 2006, n. 240 contiene le regole sulla dirigenza degli uffici e sul decentramento del Ministero della giustizia. Sopravvive, tuttavia, il rd 30 gennaio 1941, n. 12, che contiene numerose disposizioni anche di immediata rilevanza processuale.

Con il dl 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con l. 24 marzo 2012, n. 27, sono state istituite le «sezioni specializzate in materia di impresa». L’istituzione di questi uffici, operativi dal 20 settembre 2012, è stata disposta «senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato né incrementi di dotazioni organiche», indipendentemente da ogni valutazione sul tessuto economico e sui flussi di contenzioso, ma anche, banalmente, dal numero dei tribunali del distretto o della regione. Le sezioni specializzate sono mere articolazioni degli uffici presso i quali sono istituite e dovrebbero essere composte da «magistrati dotati di specifiche competenze». La portata precettiva della previsione sembra ridursi all’applicazione della regola per la quale la funzione sviluppa l’organo; in sede di prima applicazione, il significato della generica espressione legislativa è stato affidato all’organizzazione di ciascun ufficio.

L’art. 1, commi 1-5, dl 13 agosto 2011, n. 138, conv. in l. 14 settembre 2011, n. 148, ha realizzato la revisione delle circoscrizioni giudiziarie: i decreti legislativi 7 settembre 2012, nn. 155 e 156 hanno soppresso 33 tribunali, 220 sezioni distaccate di tribunale e 667 uffici del giudice di pace. La riforma ha superato il vaglio di costituzionalità in riferimento alle diverse questioni da più parti sollevate. Attualmente, i tribunali, senza sezioni distaccate, sono 135 e gli uffici del giudice di pace 179.

Il dl 17 febbraio 2017, n. 13, convertito dalla l. 13 aprile 2017, n. 46, ha istituito le «Sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’UE»; con la modifica dell’art. 35-bis d.lgs 28 gennaio 2008, n. 25, ha previsto l’applicazione del rito camerale in luogo del procedimento sommario di cognizione. La l. 7 aprile 2017, n. 7 ha introdotto «misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati». 

L’art. 54 dl 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, ha riformato la disciplina dell’appello e della cassazione.

Altre, non secondarie, modifiche della disciplina processuale sono contenute nel dl 21 giugno 2013, n. 69, conv. in l. 9 agosto 2013, n. 98.

Il dl 26 giugno 2014, n. 92, convertito dalla l. 11 agosto 2014, n. 117 ha aggiunto alla l. 26 luglio 1975, n. 354, l’art. 35-ter e ha introdotto un nuovo procedimento a tutela dei detenuti.

Sono stati, quindi, emanati il dl 24 giugno 2014, n. 90, conv. in l. 11 agosto 1990, n. 114, intitolato «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari» e il dl 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162, intitolato «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile».

Disposizioni di rilevanza processuale sono contenute anche nelle leggi di stabilità – l. 23 dicembre 2014, n. 190, e l. 28 dicembre 2015, n. 208 – nonché nei cd. decreti “mille proroghe” – dl 31 dicembre 2014, n. 192, conv. in l. 27 febbraio 2015, n. 11, e dl 30 dicembre 2015, n. 210, conv. in l. 25 febbraio 2016, n. 21.

La disciplina del procedimento di legittimità, di cui agli artt. 360 ss. cpc, è stata ancora riformata dal dl 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197; in particolare dall’art. 1-bis, aggiunto con la legge di conversione. L’art. 23, commi 8-bis e 9, dl 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in l. 18 dicembre 2020, n. 176, ha dettato ulteriori regole per il procedimento di legittimità, per la trattazione dei ricorsi e per la decisione in camera di consiglio.

La legge 22 maggio 2017, n. 81, in tema di lavoro autonomo, ha modificato gli artt. 409 e 634 cpc.

L’art. 27 d.lgs 13 luglio 2017, n. 116, che dovrebbe entrare in vigore, ai sensi del successivo art. 32 (nel testo modificato dall’art. 8-bis, comma 1, lett. b, dl 30 dicembre 2019, conv. in l. 28 febbraio 2020, n. 8), il 31 ottobre 2025, ha modificato la competenza del giudice di pace. La modifica è oggetto dell’analisi della apposita commissione.

La legge 12 aprile 2019, n. 31 ha istituito l’«azione di classe».

Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al d.lgs 12 gennaio 2019, n. 14, e già “corretto” dal d.lgs 26 ottobre 2020, n. 147, dovrebbe dare attuazione alla dir. UE 2019/1023, del 20 giugno 2019; l’entrata in vigore ed eventuali, ulteriori modifiche sono state demandate alla apposita commissione.

Su questa normativa, frammentata e contraddittoria, si è abbattuta la normativa sull’emergenza sanitaria.

Non appare ragionevole né produttivo immaginare una qualunque riforma diretta ad aggiungere altre “pezze”.

Non si tratta, infatti, soltanto di adeguare la disciplina, scritta in riferimento a un processo cartaceo, alla struttura del processo civile telematico, ma di procedere a una revisione dell’intera disciplina processuale.

A tal fine, una preventiva ricognizione dell’esistente si manifesta doverosa.

Ma il perseguimento di questo obiettivo, impegnativo e di non breve periodo, non offre immediati risultati di immagine e, soprattutto, non sembra avere alcun committente. 

Appare, tuttavia, doveroso segnalarne la necessità e l’urgenza.

 

6. I processi di cognizione

L’esigenza di una preliminare ricognizione dell’esistente si manifesta non solo in generale, ma anche in relazione alla struttura dei processi di cognizione.

Ogni processo di cognizione, quale che sia la disciplina, si snoda attraverso una serie di passaggi obbligati, che non possono essere pretermessi. La normativa può fissare diversi tempi e scadenze, può concentrare o diluire le diverse attività; non può ignorarle.

Ancora nella inaugurazione dell’anno giudiziario del 1913, Lodovico Mortara metteva in evidenza che «non vi è lite in cui la controversia di diritto sostanziale possa essere istruita, trattata e decisa senza che uno sciame di moleste questioni di diritto formale venga a deviare e quindi a ritardare il cammino della giustizia. Chiunque vive la vita giudiziaria sa come la percentuale delle sentenze pronunciate su dispute relative alla procedura sia in Italia indicibilmente superiore a quella delle sentenze che risolvono in modo schietto e semplice una pura contesa sul diritto»[22]; e che «la forma processuale riesce ad essere garanzia di valida difesa del diritto quando offre ai cittadini regole semplici, chiare, razionali, di facile e sicura osservanza. Quel che debba dirsi delle regole scritte nel nostro codice di procedura civile, in siffatto aspetto, lo sa chi sia costretto a famigliarità con la giurisprudenza nazionale, straricca di decisioni che, rincorrendosi come fuochi fatui, si ripetono a migliaia, e assiduamente si contraddicono, elevando a non meritata importanza le più futili questioni»[23].

Nei processi di cognizione, il primo passaggio consiste in alcune verifiche formali. 

Quanto previsto dall’art. 183, comma 1, cpc nel processo ordinario di cognizione riflette esigenze generali, operanti in tutti i processi. In ogni processo, anche in quelli cautelari e nei procedimenti camerali, il giudice è tenuto a verificare la regolarità del contraddittorio e, se occorre, a disporne l’integrazione, a rilevare la nullità degli atti introduttivi, a ordinare la regolarizzazione della costituzione in giudizio e a dichiarare la contumacia delle parti non costituite.

Compiute queste attività, che non richiedono un autonomo e specifico spatium deliberandi, il passaggio successivo consiste nella definizione del thema decidendum, ossia nella individuazione dei fatti rilevanti ai fini del decidere, ovvero dei termini della controversia. 

Tale attività presuppone la tradizionale opera di ricognizione della fattispecie. 

A seconda del rapporto dedotto in giudizio o della pretesa fatta valere, tale attività può essere più o meno complessa, perché implica una analisi degli elementi costitutivi del diritto dedotto in giudizio. Si tratta, comunque, di un’attività fisiologica, diretta a scomporre la fattispecie per individuarne i singoli elementi costitutivi. 

Un primo momento valutativo è, quindi, possibile già in base alla mera prospettazione dell’attore; indipendentemente dalla strategia difensiva del convenuto, il giudice è tenuto a verificare la sufficienza o l’idoneità dei fatti costitutivi allegati dall’attore a fondare la pretesa dedotta in giudizio. 

Le strategie di difesa del convenuto possono consistere nella negazione dei fatti costitutivi allegati dall’attore ovvero nella contestazione della idoneità di essi a fondare il diritto fatto valere; nell’allegazione di fatti estintivi, modificativi ed impeditivi e nella proposizione di domande riconvenzionali. 

La prima attività consiste nelle mere difese e assume rilevanza, in relazione alle conseguenze collegate all’inosservanza dell’onere di contestazione, soprattutto in riferimento alla pianificazione dell’istruzione probatoria. 

La seconda implica l’allegazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi: talvolta è sufficiente l’allegazione del fatto, altre volte occorre una espressa dichiarazione di volontà di avvalersene, cosicché soltanto la parte, non anche il giudice, può rilevarli.

Il terzo momento valutativo, relativo all’idoneità dei fatti costitutivi a fondare il diritto affermato e alla rilevanza dei fatti estintivi, modificativi e impeditivi, è quello più complesso e delicato nella gestione delle attività processuali e nella direzione del processo. 

L’attività istruttoria è meramente eventuale: è possibile omettere l’accertamento dei fatti costitutivi, allorché questi non siano comunque idonei a costituire fondamento del diritto o allorché sussistano fatti estintivi, modificativi e impeditivi, non contestati o di facile accertamento.

Costituisce principio generale, espressione di un orientamento consolidato, quello per il quale il giudice deve dare la precedenza alla “ragione più liquida”, cioè a quella che consenta la più rapida conclusione della vicenda processuale, anche in deroga all’ordine logico delle questioni. Questo orientamento fa assurgere a principio generale la regola espressa dall’art. 187, commi 2 e 3, cpc, per il quale il giudice, se ritiene presumibilmente fondata una questione pregiudiziale di rito avente carattere impediente ovvero una questione preliminare di merito avente carattere assorbente, dichiara la causa matura per la decisione e il processo viene definito prima di esaminare il merito della controversia.

Nello stabilire se la causa sia matura per la decisione prima dell’accertamento dei fatti costitutivi controversi, e indipendentemente dai risultati dell’istruzione probatoria ad essi relativa, il giudice è tenuto a una prognosi della presumibile e apparente infondatezza della domanda o della fondatezza delle eccezioni proposte, ossia della presumibile e apparente insussistenza dei fatti costitutivi o della loro inidoneità a fondare il diritto affermato, e della presumibile e apparente sussistenza dei fatti estintivi, impeditivi e modificativi allegati dal convenuto e, quindi, della sufficienza di questi ultimi a fondare il rigetto della domanda, indipendentemente dall’accertamento dei fatti costitutivi.

L’esperienza, tuttavia, indica che, sovente, tali possibilità non vengono colte. Non sono infrequenti i casi in cui, nonostante la manifesta infondatezza della domanda o la manifesta fondatezza delle eccezioni proposte dal convenuto, il processo prosegua per l’accertamento dei fatti costitutivi e addirittura si apra e si svolga l’istruzione probatoria su tali fatti e, al momento della decisione, tale attività si riveli affatto inutile. La possibilità di definire immediatamente le controversie nelle quali si pongano questioni preliminari di rito aventi carattere impediente, di rigettare subito le domande manifestamente infondate, di evitare l’accertamento dei fatti costitutivi in presenza di questioni preliminari di merito aventi carattere assorbente, costituisce un potere-dovere del giudicante in ciascun modello processuale, già in base alla disciplina vigente.

La disciplina dei processi a cognizione piena ha avuto diverse varianti: dal «procedimento sommario» del 1901, al codice del 1940, alle “novelle” del 1950, del 1973, del 1990/1995 e del 2005/2009.

Il codice del 1940, nel suo testo originario, imponeva uno sbarramento alla prima udienza, ma consentiva la costituzione del convenuto in quella occasione, cosicché quel sistema non avrebbe mai potuto funzionare, essendo necessario concedere all’attore uno spatium temporis per replicare alle difese del convenuto e a quest’ultimo un ulteriore termine per definire la propria posizione. 

Con la novella del 1950, le preclusioni furono previste in riferimento all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza alcuna distinzione tra attività diretta all’individuazione del thema decidendum e attività istruttoria, cosicché questa aveva un oggetto obiettivamente incerto e, sovente, si rivelava inutile.

Uno dei punti fermi dell’ampio dibattito sull’argomento, che precedette la riforma del 1990/1995, riguardava appunto la necessità di prevedere uno scambio di scritture preparatorie della trattazione della causa, anche semplicemente mediante la previsione della obbligatorietà della costituzione anticipata delle parti rispetto all’udienza: «ciò che conta veramente non è tanto l’accelerazione “in assoluto”, quanto il fatto che il processo, magari a costo di una pausa iniziale, sia posto in condizioni di non partire col “piede sbagliato” di una udienza di mero rinvio»[24].

Con le modifiche del 1995, è stata introdotta l’udienza di prima comparizione di cui all’art. 180 cpc.

Ai problemi e alle questioni suscitati da quella modifica ha tentato di porre rimedio la riforma del 2005/2006, che ha sostituito alla uggiosa cadenza 180-183-184 quella, altrettanto uggiosa, di 30+30+20. 

Recentemente si sono ripetuti i tentativi di rinunciare alla regolazione del processo e di attribuire ai giudici il potere di regolarne l’andamento «nel modo che ritengono più opportuno». 

Sennonché il processo «giusto», ai sensi dell’art. 111 Cost., è quello «regolato dalla legge». 

La distinzione tra controversie semplici e complesse, ovvero tra controversie in puro diritto o meramente documentali e controversie la cui definizione dipende da una consulenza tecnica o che implicano un’articolata fase istruttoria, richiama risalenti esperienze realizzate in alcuni tribunali italiani, nei quali le cause erano divise in tre gruppi: quelle di puro diritto o documentali, quelle la cui definizione dipendeva da una consulenza tecnica e quelle che richiedevano prove costituende; le prime erano indirizzate alla immediata decisione; nelle seconde, oggetto della discussione nella prima udienza, era la determinazione dei quesiti da sottoporre al consulente e si rinviava la compiuta definizione del thema decidendum all’esito della consulenza; soltanto nelle terze si fissavano termini per l’articolazione dei mezzi istruttori non richiesti negli atti introduttivi.

Già nella relazione al codice del 1940[25], firmata dal Ministro della giustizia, Dino Grandi, ma scritta da Piero Calamandrei, si era rilevato che «il codice si è ispirato al principio della adattabilità (o, come anche autorevolmente fu detto, della elasticità) del procedimento: ad ogni tappa del loro iter processuale le parti e il giudice trovano dinanzi a sé, proposte dalla legge alla loro scelta, molteplici strade e sta a loro scegliere, secondo i bisogni del caso, la via più lunga o le scorciatoie (…) la legge, invece di costruirlo tutto d’un pezzo, lo ha costruito come un congegno composto di pezzi smontabili e tra loro variamente combinabili, che sta alla sensibilità delle parti e alla saggezza del giudice rimontare caso per caso nel modo più conforme ai fini sostanziali della giustizia (…) il giudice istruttore deve per prima cosa eliminare dalla discussione il troppo e il vano, e se non riesce a conciliare le parti su tutti i punti, ridurre la controversia a quelle poche questioni essenziali che hanno veramente bisogno di esser decise».

Con le precisazioni prima indicate, questo è il modello adottato dal processo ordinario di cognizione, ma, in una serie di controversie ritenute più semplici, l’operatività delle preclusioni è anticipata al momento della costituzione in giudizio e al deposito degli atti introduttivi. Nelle controversie di lavoro, privato e pubblico, in quelle previdenziali, in quelle locatizie, in quelle agrarie, nelle opposizioni alle sanzioni amministrative e al recupero degli aiuti di Stato, nelle controversie in materia di protezione dei dati personali, nell’impugnazione dei provvedimenti in materia di registro dei protesti e nelle controversie sulla riabilitazione del debitore protestato, gli atti introduttivi devono contenere, a pena di decadenza, le richieste istruttorie. Sennonché, anche in questo contesto, l’art. 420, commi 5 e 6, cpc stabilisce che il giudice «ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti e quelli che le parti non abbiano potuto proporre prima» e che può concedere, «ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio per il deposito di note difensive». Anche nel rito di cui agli artt. 414 ss. cpc, dunque, le richieste istruttorie possono essere integrate e alle parti può essere concesso termine per il deposito di memorie.

In altre controversie, soprattutto in materia di famiglia, di minori e nell’ambito delle procedure concorsuali, è ammessa l’allegazione di nuovi fatti e l’articolazione di nuovi mezzi di prova: «in considerazione delle esigenze e finalità pubblicistiche di tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti, ed in virtù delle quali è fatto sempre salvo il potere del giudice di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari» (così, in motivazione, Cass., 24 agosto 2018, n. 21178).

Appare ragionevole ritenere che, se non occorre assumere prove costituende, vuoi perché non richieste, vuoi perché ritenute inammissibili o irrilevanti, ogni processo possa essere definito già nella prima udienza, come prevedono, sulla carta, il primo periodo dell’art. 183, comma 7, l’art. 420 e l’art. 737 cpc.

In alcuni casi, la definizione del thema decidendum e del thema probandum può essere affidata a memorie integrative. 

In altri, questa integrazione è subordinata alla valutazione della ricorrenza di «giusti motivi». 

In altri ancora, ogni questione è affidata all’esercizio dei poteri discrezionali del giudice. 

Se tutti i processi contenziosi possono essere definiti alla prima udienza e se le differenze sono quelle appena indicate, sulla traccia indicata dalla giurisprudenza, non appare difficile immaginare un unico modello processuale, strutturato quale telematico e non cartaceo, nell’ambito del quale possano operare le tre varianti indicate, e sottrarre così gli interpreti e gli operatori alle questioni di coordinamento tra diversi modelli processuali, la coesistenza dei quali appare priva di oggettiva giustificazione e incompatibile con la struttura del processo telematico.

 

7. La tutela sommaria

La previsione di forme più rapide e più semplici per l’attuazione del contraddittorio e per la cognizione del giudice non dovrebbe escludere la possibilità di accedere a un processo «regolato dalla legge», anche perché l’accelerazione dei processi non può dipendere dall’esercizio dei poteri discrezionali del giudice; un magistrato solerte opera per il «più sollecito e leale svolgimento del procedimento», come stabilisce l’art. 175 cpc, quale che sia il modello processuale; un magistrato meno solerte può approfittare degli ampi poteri discrezionali per rallentarne l’iter. L’uguaglianza degli utenti della giustizia civile, inoltre, presuppone regole uniformi e predeterminate; chi invoca giustizia ha il diritto di conoscere preventivamente le regole del gioco. 

Già nella relazione al codice del 1940, si era messo in evidenza che «la chiarezza e la lealtà dei dibattiti sarebbe messa in pericolo se le parti e i loro patroni non potessero conoscere in anticipo con sicurezza quale sarà lo svolgimento del processo che si inizia; e troppo pericoloso sarebbe consentire alla discrezione del giudice la soppressione di qualsiasi forma di procedimento, perfino di quelle che sono state considerate in ogni tempo come garanzia essenziale o insopprimibile d’ogni giudizio»[26].

Tradizionalmente si ritiene che i procedimenti sommari abbiano la funzione di ripartire diversamente l’onere di sopportare i tempi e i costi del processo ordinario: normalmente tale onere incombe a chi lamenta la lesione di un diritto; l’anticipazione della tutela dovrebbe far sì che esso ricada sull’altra parte. Ma, in riferimento alla frenesia legislativa, questa spiegazione non si manifesta rispondente alla realtà.

Numerose controversie, infatti, sono interamente affidate all’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, mediante l’attribuzione a questo del potere di regolare il processo «nel modo che ritiene più opportuno».

Più numerose sono le controversie regolate dal rito camerale: ai diversi procedimenti camerali in materia di famiglia e di tutela dei minori e a quelli nell’ambito delle procedure concorsuali, si aggiungono quelli in tema di immigrazione e quelli relativi alla crisi da sovraindebitamento di cui alla l. 27 gennaio 2012, n. 3, modificata dal dl 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in l. 17 dicembre 2012, n. 221, dal dl 27 giugno 2015, n. 83, conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132, dal d.lgs 18 maggio 2018, n. 254, e dal dl 28 ottobre 2020, n. 137, conv. in l. 18 dicembre 2020, n. 176.

Ai sensi degli artt. 737 ss. cpc, il procedimento in camera di consiglio è introdotto con ricorso, il giudice può assumere informazioni e si conclude con decreto. Questa evanescente disciplina deve essere riempita di contenuti dall’interprete.

Nonostante quanto previsto dall’art. 111, comma 1, Cost., in tutte queste ipotesi, la regolazione del processo è affidata alla discrezione del giudicante, senza alcuna possibilità di accedere a un modello processuale con regole predeterminate, come avviene nelle altre ipotesi in cui è prevista la cognizione sommaria.

Nel procedimento arbitrale, l’attribuzione al giudicante del potere discrezionale di regolare il processo è rimessa alla scelta delle parti, che, consapevolmente, ai sensi dell’art. 816-bis cpc, possono omettere di stabilire «le norme che gli arbitri debbono osservare nel procedimento» e quindi possono, ancora consapevolmente, affidare agli arbitri la «facoltà di regolare lo svolgimento del giudizio (…) nel modo che ritengono più opportuno». Nell’arbitrato amministrato, ai sensi dell’art. 832 cpc, le regole del processo sono quelle del regolamento arbitrale. 

Nelle ipotesi nelle quali è imposto il procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc o è previsto il procedimento camerale di cui agli artt. 737 ss. cpc in materie contenziose, invece, la trattazione del processo è affidata all’estro del giudicante. Questi è tenuto comunque ad osservare le garanzie fondamentali, ma può farlo secondo la propria interpretazione; in assenza di regole predeterminate, non sono censurabili, o lo sono a maglie larghissime, gli errores in procedendo

In considerazione di ciò, in alcuni uffici giudiziari, la materia è oggetto di linee guida o di protocolli; l’efficacia vincolante di queste disposizioni di soft law è oggetto di attenzione. Dove sono state emanate o concordate, esse garantiscono almeno la trasparenza e la preventiva conoscenza delle regole del gioco.

In questa prospettiva, non appare meritevole di essere condivisa la qualificazione di tali ipotesi come casi di cognizione piena, confondendo il dover essere con l’essere ovvero affermare l’inammissibilità di deroghe al diritto alla prova ovvero la limitazione degli spazi per l’esercizio dei diritti di azione e di difesa. Lo svolgimento del processo, pur destinato a concludersi con un provvedimento idoneo al giudicato, è comunque affidato all’estro del giudicante, senza possibilità di accesso a un modello con regole predeterminate, nell’ambito del quale può essere contestata e censurata la violazione delle norme processuali.

Queste scelte legislative sono state ritenute legittime dal Giudice delle leggi e questo indirizzo è stato condiviso dalla Corte di cassazione.

L’una e l’altra Corte, tuttavia, nel dichiarare inammissibili, infondate o manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale, spesso non hanno mancato di richiamare all’osservanza delle garanzie fondamentali del processo, ma si tratta di mere esortazioni, con un’efficacia minore delle sentenze interpretative di rigetto. 

Un’accettabile prospettiva di riforma dovrebbe escludere la possibilità che la tutela giurisdizionale dei diritti sia affidata a modelli processuali non fondati su regole predeterminate ovvero che si rinunci ancora a una preventiva determinazione delle regole del gioco. 

L’esigenza della predeterminazione delle regole del processo è disattesa in tutte le ipotesi nelle quali è prevista l’applicazione del procedimento in camera di consiglio di cui agli artt. 737 ss. cpc nelle materie contenziose e in quelle regolate dal procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis ss. cpc, ma può convivere e convive con la previsione di modelli processuali a cognizione sommaria. 

La previsione di corsie preferenziali, ovvero di forme più rapide e più semplici per la definizione delle controversie, tradizionalmente è giustificata da ragioni di economia processuale, dalla mancanza di contestazioni della pretesa fatta valere, oppure in base alla natura del diritto affermato, ovvero dalla ragionevole presunzione che esso sia sempre esposto a un pregiudizio e quindi quest’ultimo non deve essere allegato e dimostrato caso per caso, oppure ancora dalla minore rilevanza economica e sociale delle controversie.

Al cospetto di queste tre rationes, tuttavia, la disciplina positiva offre una pluralità di procedimenti a cognizione sommaria.

Il procedimento per ingiunzione, di cui agli artt. 633 ss. cpc, cumula le tradizioni del procedimento monitorio puro e di quello documentale, e richiede quindi una serie di distinzioni, a seconda che il ricorso sia fondato su una effettiva prova scritta ovvero sulla mera affermazione di un creditore qualificato. Gli fa da contraltare l’ingiunzione europea di cui al reg. CE 12 dicembre 2006, n. 1896[27]. Ne richiamano la struttura, fondata su una fase sommaria e sulla – eventuale – opposizione, il procedimento per la tutela al mantenimento dei diritti dei minori nei confronti dei nonni di cui all’art. 316-bis cc, quello per la repressione della condotta antisindacale, di cui all’art. 28 l. 20 maggio 1970, n. 300, quello in materia di licenziamenti, di cui all’art. 1, commi 48 ss., l. 28 giugno 2012, n. 92. Appare ragionevole dubitare della sussistenza di ragioni oggettive, diverse dal desiderio di garantire ai diritti considerati una corsia preferenziale, che giustifichino la previsione del medesimo trattamento processuale nelle ipotesi indicate.

Al procedimento per la convalida della licenza o dello sfratto, di cui agli artt. 657 ss. cpc, si affianca quello per il rilascio degli immobili locati, di cui all’art. 30 l. 27 luglio 1978, n. 392; il rilascio dell’immobile locato può, tuttavia, essere ottenuto anche in base a titoli esecutivi stragiudiziali: ai sensi dell’art. 474 cpc, mediante atto pubblico, se il contratto di locazione è stipulato in questa forma; e ai sensi dell’art. 11, comma 13, dPR 30 dicembre 1972, n. 1035, se oggetto del rilascio è un alloggio di edilizia residenziale pubblica.

Alla tutela possessoria di cui agli artt. 703 ss. cpc si applica il procedimento cautelare uniforme.

Godono di autonoma disciplina, pur modellata sul procedimento cautelare, la consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 696-bis  cpc e, in materia previdenziale, quella di cui all’art. 445-bis cpc.

Alle small claims transfrontaliere si applica il reg. CE n. 861/2007 dell’11 luglio 2007[28].

Questo modello, per la sua estrema semplicità, si presta ad essere applicato alle controversie attribuite alla competenza del giudice di pace o, almeno, ad alcune di esse.

Il procedimento cautelare uniforme, di cui agli artt. 669-bis ss. cpc, aggiornato in base gli interventi della Corte costituzionale, potrebbe essere applicato in tutte le ipotesi nelle quali si ritiene che il pregiudizio sia in re ipsa e non debba essere allegato dalla parte e valutato dal giudice.

La struttura del procedimento monitorio puro potrebbe soddisfare tutte le esigenze di economia processuale. 

Queste soluzioni potrebbero essere anche estese a tutte le ipotesi nelle quali la previsione della tutela sommaria non consente l’accesso a un processo con regole predeterminate. Il che richiede, tuttavia, un paziente lavoro di ricognizione dell’esistente.

 

8. Cenni alla disciplina delle impugnazioni

La disciplina delle impugnazioni dovrebbe essere diretta a correggere gli errori del primo giudice, non a integrarne le omissioni, determinate dalle esigenze produttive, a scapito della qualità delle decisioni. 

Quanto rilevato in relazione alla digitalizzazione e, soprattutto, alla circolazione delle informazioni dovrebbe contribuire a ridurre le impugnazioni, mentre la previsione di filtri attribuiti allo stesso giudice dell’impugnazione impone un doppio esame delle censure: in funzione dell’eventuale smistamento e in funzione della decisione. Ma è soltanto in questa sede che il giudice dell’impugnazione deve verificare i presupposti e le condizioni di ammissibilità del rimedio esperito.

Le pezze inserite nel tessuto patchwork della disciplina processuale non hanno risolto alcun problema. Ne hanno posti altri.

Basti, a tal fine, ricordare la struttura del giudizio innanzi alla Corte di cassazione.

I ricorsi, una volta notificati e depositati, possono essere assegnati alle sezioni unite o alla VI sezione.

La VI sezione può restituirli al presidente dopo un «sommario esame». Questo è compiuto dalla sezione, ma il legislatore non indica chi abbia il potere di compierlo: il presidente di questa, il relatore designato o il collegio; né indica come questo «sommario esame» debba essere compiuto. 

La VI sezione, se trattiene il ricorso, può definirlo per inammissibilità, per improcedibilità, per manifesta infondatezza o per manifesta fondatezza. Può anche rimetterlo «alla pubblica udienza della sezione semplice».

Le sezioni semplici tabellarmente competenti ricevono i ricorsi in base al «sommario esame» della VI sezione o all’esito del procedimento camerale innanzi alla medesima. In questo secondo caso, l’art. 375, comma 2, cpc prevede che siano trattati all’udienza pubblica. Nel primo, il relatore ha il compito di smistarli tra la camera di consiglio non partecipata e la pubblica udienza. Nell’una e nell’altra ipotesi, le sezioni semplici tabellarmente competenti, se intendono mutare giurisprudenza, devono rimettere la decisione alle sezioni unite.

Queste ultime, a loro volta, ai sensi dell’art. 142 disp. att. cpc, «se nel ricorso sono contenuti motivi di competenza delle sezioni semplici insieme a motivi di competenza delle sezioni unite», possono restituire il ricorso alla sezione semplice.

Ancora diverse modalità di svolgimento del procedimento sono previste per i procedimenti sui regolamenti di giurisdizione e di competenza, per la revocazione e per la correzione, per quelli per la rinuncia e per la decisione dei ricorsi contro le sentenze della sezione disciplinare del Csm.

Ne consegue che i ricorsi costituiscono oggetto di ripetute operazioni di smistamento. 

Essi possono essere trattati in camera di consiglio innanzi alla sez. VI, nelle forme previste dall’art. 380-bis cpc; ovvero, innanzi alle sezioni semplici, in quelle previste dall’art. 380-bis 1 cpc; ovvero ancora in quelle previste dall’art. 23, comma 8-bis, dl 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in l. 18 dicembre 2020, n. 176; un quarto procedimento camerale in sede di legittimità è quello previsto dall’art. 380-ter cpc per la trattazione dei regolamenti di giurisdizione e di competenza.

Nella prima ipotesi, l’avviso di cancelleria deve contenere l’indicazione della presumibile inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o manifesta infondatezza del ricorso e le parti possono depositare le memorie nel termine di cinque giorni prima dell’adunanza camerale.

Nella seconda, il pubblico ministero ha la facoltà di depositare le sue conclusioni venti giorni prima, il termine per il deposito delle memorie di parte è di dieci giorni e la Corte decide «senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti».

Nella terza, il pubblico ministero deve depositare le sue conclusioni quindici giorni prima, il termine per il deposito delle memorie di parte è di cinque giorni e la Corte decide «senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti».

Nella quarta, il presidente «richiede al pubblico ministero le sue conclusioni scritte», ma non è previsto se queste debbano o se possano essere depositate; il termine per il deposito delle memorie di parte è di cinque giorni e la Corte decide «senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti».

La varietà delle forme stimola giochi di pazienza, ma la previsione di percorsi diversi per il giudizio di legittimità appare priva di ogni base razionale.

 

9. Conclusioni

Nella concitata stagione di riforme in corso, l’attenzione è orientata sulle pezze da aggiungere al tessuto patchwork della normativa processuale.

Ciascuna pezza è oggetto di particolare attenzione e di dibattito.

Non è considerata l’opportunità di recuperare la sinopia di un mosaico lacerato per tentare di ricostituire un tessuto unitario.

È sembrato doveroso indicare il contesto nel quale si inserisce la discussione sui numerosi profili specifici e segnalare che, alle urgenze relative all’aggressione dell’arretrato e alle questioni relative all’incremento dei magistrati ordinari, alla collocazione e alle funzioni dei magistrati onorari, al personale di cancelleria e all’ufficio del processo, sarebbe da aggiungere, se non da anteporre, quella relativa alla circolazione delle informazioni.

Ed è anche sembrato doveroso ricordare l’esigenza di una revisione complessiva della disciplina e del suo adeguamento al processo civile telematico, al fine di sottrarre gli interpreti e gli operatori all’incubo delle questioni di coordinamento e a quello di determinare la portata precettiva di disposizioni dettate in riferimento a una struttura cartacea in un contesto interamente digitale.

Può, tuttavia, dubitarsi della rilevanza di queste considerazioni nell’ambito del dibattito in corso.

Le riforme annunciate aprono nuovi orizzonti all’editoria giuridica. Inoltre, il graduale e auspicato superamento dell’emergenza sanitaria e la ritrovata possibilità di spostarsi e di partecipare a dibattiti e convegni in presenza induce a sperare in un rilancio delle attività alberghiere e di ristorazione. 

Ma il dibattito sulla giustizia civile non ha quale unico, né prevalente obiettivo il rilancio dell’editoria giuridica e del turismo processuale per illustrare i tentativi di ricondurre a sistema una normativa frammentata e contraddittoria.

 

 

* Queste pagine sono dedicate, con commosso rimpianto, alla memoria di Stefano Zan.

1. Vds. il percorso Giustizia 2030 e la relativa proposta, come articolata nel documento citato, disponibile su www.giustizia2030.it.

2. Cfr. www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_36.page.

3. Vds. Ministro per il Sud e la Coesione territoriale - Giustizia più efficiente al Sud, una Commissione per le proposte.

4. Parlamento Italiano - Disegno di legge S. 1662 - 18ª Legislatura (senato.it).

5. Vds. L. Minniti e G. Telloli, Conoscere l’arretrato della giustizia civile: una necessità in vista delle imminenti scelte politiche, in questa Rivista online, 21 aprile 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/le-cause-civili-pendenti-e-l-arretrato-civile-nei-tribunali-italiani.

6. Parlamento Italiano - Disegno di legge S. 2272 - 18ª Legislatura (senato.it).

7. Vds. C. Castelli, Giustizia: andare oltre il PNRR, in questa Rivista online, 5 maggio 2021 www.questionegiustizia.it/articolo/giustizia-andare-oltre-il-pnrr.

8. Cfr. www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/eventi_convegni_seminari.page.

9. Vds. www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

10. Rispettivamente: Corte costituzionale - Prima pagina; Giustizia Amministrativa - Giustizia Amministrativa (giustizia-amministrativa.it); Corte dei conti (corteconti.it).

11. Rispettivamente: European Court of Human Rights - ECHR, CEDH, news, information, press releases (coe.int); CURIA - Pagina di presentazione - Corte di giustizia dell’Unione europea (europa.eu); Cour internationale de Justice - International Court of Justice | Cour internationale de Justice (icj-cij.org).

12. Rispettivamente: Accueil | Cour de cassation; Der Bundesgerichtshof - Startseite; Bundesverfassungsgericht - Startseite; The Supreme Court; C.G.P.J - Tribunal Supremo (poderjudicial.es); Início - Supremo Tribunal de Justiça (stj.pt); Início - Supremo Tribunal de Justiça (stj.pt). 

13. Home - Supreme Court of the United States.

14. Banca dati Italgiureweb gratis agli iscritti Cassa Forense | Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.

15. ItalgiureWeb - Corte di Cassazione (giustizia.it).

16. Vds. Procura Generale della Cassazione - Ricorsi ex art. 363 c.p.c. (procuracassazione.it).

17. Tribunale Ordinario di Roma.

18. SIRFIND.

19. Rispettivamente: Tribunale Ordinario di Roma (giustizia.it); Distretto della Corte d’Appello di Bari (giustizia.bari.it).

20. Vds. Coronavirus, la normativa vigente | www.governo.it.

21. L. Mortara, Discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario 1913-1914, Regia Corte di cassazione, assemblea generale del 6 novembre 1913, p. 10 (www.giustizia.it/resources/cms/documents/1913_14_Mortara_Procura_generale.pdf).

22. L. Mortara, Discorso, op. cit., p. 14.

23. Ibid.

24. Così la Risoluzione sul tema “misure per l’accelerazione dei tempi della giustizia civile”, con riferimento al d.d.l. governativo presentato sull’argomento nella decorsa legislatura e in vista di eventuali iniziative, approvata dal Csm il 18 maggio 1988, in Foro it., 1988, V, cc. 249 ss.

25. Vds. REGIO DECRETO 28 ottobre 1940, n. 1443 - Normattiva.

26. Ivi, § 15.

27. EUR-Lex - 32006R1896 - EN - EUR-Lex (europa.eu).

28. EUR-Lex - 32007R0861 - EN - EUR-Lex (europa.eu).