Magistratura democratica

Giustizia 2030. Un libro bianco per la giustizia e il suo futuro

di Claudio Castelli

Di fronte ai gravi problemi della giustizia, resi più acuti dall’emergenza sanitaria, è quanto mai urgente l’elaborazione di un progetto di largo respiro, capace di andare oltre la fase contingente e di guardare al futuro legando le diverse proposte e la molteplicità degli obiettivi in un disegno organico e coerente, che abbia come arco temporale gli anni, e non i mesi o i giorni.

1. Cos’è Giustizia 2030: una prospettiva e un metodo / 2. Gli obiettivi e i pilastri / 2.1. La digitalizzazione / 2.2. La governance. I poli territoriali: autonomia e responsabilità / 2.3. Un rito telematico, unitario e flessibile / 2.4. Il capitale umano

 

1. Cos’è Giustizia 2030: una prospettiva e un metodo

L’idea di Giustizia 2030 nasce nel pieno della pandemia come lavoro collettivo comune di oltre 60 professionisti che operano o comunque sono interessati alla giustizia, per individuare le prospettive future che dovevano essere messe in campo in un’ottica post-Covid, con l’idea che il ritorno alla normalità precedente fosse impossibile o comunque non auspicabile, assumendo questa tragedia come occasione per imporre una radicale accelerazione alla modernizzazione della giustizia. Questo nella consapevolezza che l’emergenza senza precedenti che aveva colpito la giustizia aveva anche rivelato molti dei limiti e delle criticità in cui ci eravamo dibattuti per anni, spesso senza esserne coscienti. La crisi aveva evidenziato ed esaltato questi limiti. Da un lato, l’evidente arretratezza tecnologica; dall’altro, la nostra arretratezza organizzativa e culturale e, infine, un deficit di governance a tutti i livelli.

Un lavoro di confronto protrattosi per mesi da remoto ma che, al di là dei contenuti, ha già prodotto due grandi risultati di metodo. In primis, la consapevolezza della necessità di un approccio sistemico e multidisciplinare che valorizza e utilizza saperi, professionalità e punti di vista diversi che vanno, necessariamente, anche oltre il giuridico.

In secondo luogo, il riscontro come da persone con esperienze, provenienze professionali e idee molto diverse siano emerse proposte e soluzioni fortemente condivise, omogenee e con direttrici di sviluppo comuni. Un ulteriore elemento che dimostra come la giustizia possa essere un grande fattore di coesione e di innovazione del nostro Paese e un segno di speranza di cui tutti abbiamo bisogno e che dobbiamo coltivare.

Oggi abbiamo urgenza di un grande progetto – per questo parliamo di Giustizia 2030 – che vada oltre il contingente, nella consapevolezza che i paradigmi sono cambiati e che la stessa evoluzione della società costringe a un’accelerazione impressionante. Occorre cercare soluzioni e dare una visione di prospettiva su quale giustizia sogniamo o pensiamo per la ricostruzione. Una prospettiva per una volta non momentanea, imposta dall’emergenza dell’oggi, ma capace di guardare al futuro e capace di inserire le proposte da realizzare nell’immediato in un disegno complessivo che abbia come arco temporale gli anni e non i mesi o i giorni. Sarà importante sviluppare prospettive e obiettivi su più dimensioni (tecnologiche, organizzative, professionali e di ruolo, giurisprudenziali) armoniche e coerenti l’un l’altra, in una visione comune di sviluppo. Chi pensa che la fine di questa fase drammatica possa risolversi con un semplice ritorno alla normalità crediamo abbia capito ben poco di quanto è successo e sta succedendo. Dobbiamo pensare a come ricostruire una giustizia che sia più giusta, più fruibile, più comoda ed efficiente per i cittadini da un lato e gli operatori dall’altro, proponendo e perseguendo direttrici di sviluppo che superino le numerose situazioni di “stallo” e resistenza che hanno caratterizzato il governo e la gestione della giustizia in questi ultimi anni.

Queste idee nascevano e venivano coltivate ben prima che spuntasse l’ipotesi dei fondi del PNRR e dell’opportunità di individuare come una delle missioni il rinnovamento della giustizia. Oggi il PNRR e i fondi che, per la prima volta, vengono messi a disposizione per un forte cambiamento della giustizia sono una grande possibilità, ma possono anche diventare una grande occasione perduta se non riusciremo a operare su tutti i livelli, a partire dall’organizzazione e dalla governance anche del forte mutamento strutturale e culturale che si impone.

 

2. Gli obiettivi e i pilastri

Gli obiettivi individuati e declinati nei diversi interventi di Giustizia 2030 sono ambiziosi: una giustizia più connessa, integrata, meglio organizzata e innovativa, più vicina semplice e sostenibile.

I pilastri che, a livello generale, orientano la proposta del libro bianco possono essere riassunti in quattro grandi scelte: la digitalizzazione come progetto e non come mera tecnica; la creazione di poli territoriali con spazi di autonomia decisionale e forte responsabilizzazione come arricchimento e avvicinamento al territorio della governance della giustizia, un rito telematico unitario flessibile, la valorizzazione del capitale umano esistente.

Se vogliamo davvero cambiare – e in meglio – la giustizia, occorre pensare a più interventi sinergici su diversi terreni nel quadro di un intervento di sistema complessivo. Nessuno si illude che questo possa essere fatto in una sola volta, ma quello di cui abbiamo bisogno è una visione all’interno della quale si situino le diverse azioni da muovere. L’illusione, che rimane e si perpetua, è che la riforma della giustizia significhi fondamentalmente una riforma dei processi. Idea falsa, che si scontra con la realtà: con lo stesso rito abbiamo diversità di tempi nei diversi tribunali in rapporto da 1 a 7 (da 342 a 2094 giorni)[1], oltre all’elementare constatazione che le molteplici modifiche processuali che hanno caratterizzato il processo civile non sono necessariamente un fattore positivo. Va sempre ricordato il severo giudizio, contenuto nel parere del Consiglio direttivo dell’Associazione italiana studiosi del processo civile (Aispc) del 18 novembre 2019, in relazione al disegno di legge di riforma del processo civile: si è messo in evidenza come «preliminarmente ad ogni altra valutazione, (…) sia inutile, per non dire dannoso, intervenire ancora sulle regole del processo, quando invece è noto che problemi che incidono sull’efficienza della macchina della giustizia civile emergono, quasi esclusivamente, sul piano strutturale e organizzativo. (…) L’incessante moto riformatore che ha interessato la giustizia civile nell’ultimo decennio, non solo non ha prodotto risultati positivi in termini di durata e di efficienza del processo, ma ha comportato un senso di diffuso disagio tra gli operatori, in quanto è principio pacificamente riconosciuto che la stabilità delle regole processuali costituisce fattore primario per la più virtuosa attività degli avvocati e del giudice»[2].

L’altra grande illusione che ci portiamo dietro come giuristi è l’illusione normativa, ovvero che cambiare le norme sia risolutivo e sufficiente, ignorando che spesso gli interventi più efficaci sono quelli organizzativi, tecnologici, amministrativi. E, infine, abbiamo la “deificazione” della parola “riforma”. Sembra quasi che non importino i contenuti, gli effetti e la valutazione di impatto, ma che l’unica cosa che conti è “riformare”. Che cosa e in che senso non importa, e chi si schiera contro o avanza delle critiche è di per sé da condannare. Per questo convince solo in parte l’impianto di riforma della giustizia civile avanzato con il PNRR, che si basa su due caposaldi – la riforma del rito e l’ufficio per il processo – e su di un’ipotesi di digitalizzazione che, per quanto riguarda la giustizia, nel PNRR è quanto mai generica e non articolata. Sulla riforma del rito si è detto. Quanto all’ufficio per il processo, può essere un intervento di importanza strategica, trattandosi di un massiccio investimento di risorse qualificate mai avutosi in precedenza, che può rappresentare un drastico cambiamento del modo di lavorare negli uffici giudiziari, passando dal giudice-monade isolata al magistrato che dirige un team di personale qualificato, riservando a sé il core business della sua attività, la decisione. Ipotesi di grande interesse e da coltivare, superando le enormi difficoltà di ordine logistico, formativo, culturale con cui si scontra, ma che da sola non è sufficiente.

Anche per realizzare appieno le sue potenzialità, occorrerebbe accompagnarlo con interventi di digitalizzazione e sulla governance

 

2.1. La digitalizzazione

La digitalizzazione non è mera tecnica, ma rappresenta un progetto di organizzazione, applicazione delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale e comunicazione su cui va recuperato un pieno dominio. La digitalizzazione è un’ipotesi strategica di supporto, ri-concettualizzazione e ridisegno della giustizia, nei suoi più diversi aspetti. “Digitalizzazione” non significa solo nuova strutturazione del processo, ma gestione complessiva: digitalizzazione degli edifici e della loro manutenzione, rito telematico, lettura della litigiosità e delle modalità di contenerla anche tramite le ADR, supporto del lavoro del magistrato, dell’avvocato e di qualsiasi operatore giuridico, previsione e predittività degli orientamenti, rapporto tra realtà territoriale e giustizia, controllo di gestione. Queste sono solo alcune delle possibilità di intervento che consentono lo sviluppo tecnologico e la disponibilità da parte della giustizia di un vero e proprio giacimento. Già oggi, dai dati ricavabili dall’attività giudiziaria potremmo individuare i settori e le cause del contenzioso oltre che i migliori canali e le migliori prassi di soluzione, verificare, confrontare e pubblicizzare i diversi orientamenti giurisprudenziali, per non parlare degli strumenti di analisi della realtà sociale ed economica che potremmo trarre. E questo limitatamente alle possibilità che siamo in grado di immaginare, ma con la consapevolezza che le potenzialità che i nuovi strumenti tecnologici prefigurano sono molto più ampie e si realizzeranno in tempi molto più rapidi di quanto noi stessi immaginiamo. Nel PNRR la digitalizzazione è la prima delle sei missioni su cui è incardinato il Piano, ma non riguarda se non indirettamente la giustizia. Così i disegni di legge di riforma dei codici processuali, pur operando una serie di passi in avanti significativi, non operano una radicale rilettura e un adeguamento del rito alla luce del telematico, ma si limitano a qualche iniezione, anche robusta, di informatizzazione, non a una complessiva ristrutturazione dei processi per fare il salto da un processo, sia nel civile che nel penale, pensato per carta e penna e continuamente forzato per renderlo compatibile con le applicazioni tecnologiche, a un vero e proprio rito telematico. Interventi significativi, ma ancora limitati e in un’ottica “conservativa”. Difatti, nel civile viene sancita l’obbligatorietà del telematico (art. 17, comma 1, lett. a), si cominciano a delineare soluzioni tecnologiche di deposito e comunicazione di atti diverse dalla posta elettronica certificata (art. 17, comma 1, lett. b), si prevede la strutturazione in atti e provvedimenti di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri (art. 17, comma 1, lett. d), si sancisce il divieto di sanzioni processuali in caso di mancato rispetto delle specifiche tecniche (art. 17, comma 1, lett. e), si incoraggia il pagamento in via telematica del contributo unificato (art. 17, comma 1, lett. f), si rende vincolante la notifica tramite pec, limitando ulteriormente le notifiche tramite ufficiale giudiziario (art. 20). Mentre nel settore penale il salto è più netto, tenuto conto che il cd. “processo penale telematico” è ancora in fasce, con solo alcuni pezzi realizzati, ed è ancora scarsamente utilizzato a livello nazionale. Si parte con l’espressa previsione della possibilità di formare e conservare atti in formato digitale, modalità sinora non prevista, essendo consentita, alla stregua del Cad, unicamente la copia digitale di atti formati in via analogica, e si prosegue con le comunicazioni e notificazioni effettuate con modalità telematiche (art. 2, comma 1, lett. a) sulla base di regole tecniche e con gradualità e coordinamento (art. 2, comma 1, lett. b). Si introduce, inoltre, la possibilità di elezione di domicilio presso un recapito telematico (art. 2-bis, lett. i-bis).

Quanto occorrerebbe cogliere è che la digitalizzazione comporta dei paradigmi diversi da quelli cui eravamo abituati e impone un riorientamento complessivo al fine di ridurre tempi e attività, adottando soluzioni in grado di favorire l’utilizzo di strumenti telematici, mettendo al centro i diritti del cittadino e andando incontro alle esigenze degli utenti del sistema. Registri, documenti, comunicazioni, notifiche, udienze, aule di tribunale sono strumenti e istituti da valutare in ottica funzionale e da considerare alla luce delle nuove opportunità date dalle tecnologie, senza confondere i mezzi – per quanto radicati e consolidati – con i fini (accesso alla giustizia, certezza del diritto, giusto processo, tempi ragionevoli).

Una partita comunque ancora aperta, e possibile da sviluppare anche con gli investimenti previsti dal PNRR per la digitalizzazione della p.a., che occorrerebbe coltivare e rilanciare.

 

2.2. La governance. I poli territoriali: autonomia e responsabilità

Pensare di continuare a gestire un mondo complesso e variegato come quello della giustizia unicamente con strutture nazionali centralizzate, tra l’altro spesso denotate da difficoltà di comunicazione tra le diverse articolazioni e prive di una visione condivisa, è illusorio e impossibile. Non si tratta di modificare la Costituzione e i compiti da essa affidati a Ministero della giustizia (art. 110) e Csm (art.105), ma di puntare su un allargamento della governance in un’ottica complementare di collaborazione capace di valorizzare i territori. Si tratta sia di assicurare una forte governance locale, che dia fondamento e ricchezza alla governance nazionale, sia di poter coinvolgere e “utilizzare” il rapporto con l’avvocatura, gli enti locali, l’economia del territorio. Occorre superare una visione solo centralizzata per puntare su poli territoriali con autonomia decisionale e forte responsabilizzazione in rapporto complementare e di sinergia con il centro (Ministero della giustizia e Csm). Non è un nuovo federalismo, ma una valorizzazione dei territori che arricchisca la governance con risorse e strutture responsabilizzate e (parzialmente) autonome come valore aggiunto, nel contempo evitando il sovraccarico di oneri di governo e di gestione, e dia al Ministero e al Csm un nuovo forte ruolo di propulsione, regolazione, coordinamento, supporto e diffusione. Il Ministero deve essere il centro nazionale di governo delle tecnologie. Ma nel contempo i poli territoriali (attualmente identificati, in linea di massima, con i distretti) significano apertura ai territori, responsabilità e rendicontazione, con un’attenzione particolare alle possibilità di finanziamento conseguente alla riallocazione di somme derivanti dal contributo unificato e dalle sanzioni pecuniarie. Con l’idea di una semplicità di accesso e di garantire una ricchezza di servizi ai cittadini.

 

2.3. Un rito telematico, unitario e flessibile

La riforma del rito non è la riforma della giustizia, non essendo questo terreno determinante ed esaustivo, ma ciò non esime da interventi di razionalizzazione e semplificazione. Superare la logica degli attuali modelli processuali, totalmente cartacei, per realizzare un unico rito di cognizione non solo coerente con le tecnologie oggi disponibili, ma anche trasparente, garantito, semplice, unitario e flessibile, lasciando agli attori professionisti del processo la responsabilità di scegliere il percorso più efficace. E realizzare un’unica piattaforma con regole identiche per tutti i riti, superando le diverse piattaforme e le diverse regole su cui operano e che caratterizzano i diversi riti: civile, penale, amministrativo, contabile, tributario. 

A tal fine, come si auspica invano da oltre un secolo con scarsi risultati imputabili alle tecniche di volta in volta adoperate, dovrebbe essere incentivata, grazie ai risultati realizzati dal primo obiettivo, ossia alla effettiva circolazione delle informazioni, la definizione di tutte le controversie in limine litis, in base alla individuazione dei termini della controversia, dei fatti e delle questioni in discussione; ciò al fine di evitare in radice il collo di bottiglia di un difficile processo decisionale conseguente all’ammassarsi incontrollato nel fascicolo di materiale assertivo e probatorio. Dovrebbe essere razionalizzata la disciplina delle impugnazioni, dirette a correggere gli errori del primo giudice, non a integrarne le omissioni, determinate dalle esigenze produttive, a scapito della qualità delle decisioni. Il procedimento di legittimità dovrebbe essere semplificato e unificato, anche mediante il superamento o la riduzione dell’impegno richiesto per lo smistamento dei ricorsi.

La realizzazione coattiva dei diritti implica la flessibilità delle scelte e la variabilità di esse in funzione dell’adozione di quella più conveniente, anche mediante una radicale ristrutturazione degli strumenti telematici di archiviazione, catalogazione e accesso alle informazioni patrimoniali.

Dovrebbe essere eliminata ogni interferenza tra mediazione e processo, al fine di lasciare alla prima il più ampio campo di azione.

Nella consapevolezza che la giurisdizione laica, non onoraria, è cruciale per far reggere il sistema, la realizzazione di una giustizia più integrata implica, per un verso, la definizione dei problemi contingenti, relativi al personale in servizio e più volte prorogato, e, per altro verso, una revisione delle forme di reclutamento e dell’affidamento dei compiti e delle mansioni.

A tal fine, si manifesta preliminare una radicale pulizia della legislazione, con la eliminazione e con il chiarimento delle disposizioni ambigue che hanno generato o che possono generare questioni interpretative non corrispondenti a reali conflitti di interessi, ma che sono o che possono essere fonte autonoma di controversie e di spreco di ingenti risorse.

Appare necessaria una digitalizzazione integrale obbligatoria, nell’ambito della quale siano previsti format obbligatori con dati caratterizzanti e qualificanti, con il trasferimento e l’archiviazione immediata di tutti gli atti e i provvedimenti in uno spazio virtuale accessibile alle parti.

 

2.4. Il capitale umano

Una base comune orienta tutta la proposta di Giustizia 2030: la convinzione che nel mondo della giustizia ci siano risorse, potenzialità e capacità perché essa possa diventare una leva di eccellenza amministrativa. Questa convinzione trova fondamento nella constatazione che il personale che opera nella giustizia costituisce un capitale umano di alto livello, compresso dal sistema, finalizzato a meri risultati numerici e quantitativi, cui va consentito di esprimersi appieno, che va valorizzato e accompagnato nelle trasformazioni, anche delle diverse professionalità che si imporranno. Trasformazioni che nel prossimo periodo saranno inevitabili, ma che possono diventare momento di crescita e di realizzazione di nuove professionalità se saremo in grado di prevederle, sostenerle, svilupparle, con la capacità di coinvolgere anche competenze non giuridiche in un’ottica sempre più multidisciplinare. Un capitale umano da cui pretendere e su cui investire, a partire dai giovani.

Le modalità con cui si sta cercando di realizzare gli obiettivi del PNRR, quantomeno in materia di giustizia, sono spesso faticose, non ben coordinate e parziali, ma quest’opera può darci un grande lascito. La formazione di oltre 16.000 giovani laureati in un’attività di lavoro e la formazione comune possono costruire la nuova classe dirigente del nostro settore. Si tratta di giovani che, da questa esperienza vissuta fianco a fianco, possono poi lanciarsi per diventare magistrati, avvocati, dirigenti, funzionari, con il grande privilegio di avere avuto una formazione qualificata comune, senza più contrapposizioni e corporativismi e con una stessa ottica di efficienza, di qualità e di servizio. Se ciò avverrà, sopperendo all’attuale mancanza di una formazione comune, avremo comunque un grande risultato che arricchirà e darà nuove prospettive alla giustizia per il futuro. 

 

 

1. F. Bartolomeo, Le performance dei tribunali italiani nel settore civile [2014-2016], Ministero della giustizia, 2017 (https://webstat.giustizia.it/Analisi%20e%20ricerche/Performance%20Tribunali%20settore%20Civile%202016.pdf). Vds. anche S. Giacomelli - S. Mocetti - G. Palumbo - G. Roma, La giustizia civile in Italia: le recenti evoluzioni, in Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza – Occasional Papers, n. 401, ottobre 2017, pp. 23-25 (www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2017-0401/index.html).

2. Vds. anche G. Costantino, Perché ancora riforme della giustizia?, già in questa Rivista online, 13 luglio 2021, www.questionegiustizia.it/articolo/perche-ancora-riforme-della-giustizia, ora in questo fascicolo.