Magistratura democratica

Il nuovo tempo della decisione giudiziaria: la nomometrica delle banche dati*

di Pasquale Liccardo

La pubblicazione di tutte le sentenze rese priverà il giudice della necessità di riconoscere nella sola “motivazione dotta” la qualità del suo operare, che potrà essere costruito all’interno di una pluralità di decisioni, in un processo di “accumulazione quotidiana” capace di rendere il senso di una nuova e diversa completezza motivazionale. Gli uffici giudiziari diventano in questo modo laboratori di idee, di prassi censite, di pensamenti e ripensamenti collettivi. Nell’era della diffusione informativa, non vi può essere alcuno spazio per l’«“intelligenza” incapace di connessione».

1. Introduzione /2. Polis e il processo civile telematico / 3. Il tempo dell’eccedenza tecnologica /4. La scrittura digitale, l’unità documentale e la banca dati / 5. Dalla banca dati alla nomo-metrica

 

1. Introduzione

La “riforma Cartabia” del processo civile prevede una rimodulazione del comparto amministrativo dell’organizzazione giudiziaria per il tramite dell’introduzione dell’«ufficio per il processo».

Dalla lettura delle mansioni assolte dal personale in via di assunzione, si tratta all’evidenza di una struttura organizzativa votata a supportare direttamente il magistrato per il tramite dell’attività esplicata dagli assistenti del giudice: i loro compiti sono per la maggior parte incentrati nell’ausilio alla gestione delle udienze, nella classificazione dei casi, nelle ricerche di precedenti e dottrina, nella predisposizione di bozze di provvedimenti[1].

Già all’atto della formulazione complessiva del processo civile telematico, si era evidenziato come l’introduzione delle nuove tecnologie avrebbe necessariamente mostrato i limiti di un apparato organizzativo votato alla sola e routinaria manipolazione del fascicolo cartaceo[2], attività in gran parte devolvibile ai sistemi informativi, laddove solo la riqualificazione delle funzioni a supporto della decisione nelle varie fasi del processo avrebbe consentito un avanzamento complessivo della qualità della giurisdizione esercitata dagli uffici giudiziari.

In queste brevi note si porrà l’accento sulle funzioni che dovranno essere demandate alle banche dati, come alimentate dall’ufficio del processo, mirando a delineare lo scenario di fondo in cui l’azione esercitata dagli archivi giurisprudenziali si colloca e, soprattutto, i tratti distintivi che la stessa dovrà avere rispetto alla moltitudine di banche dati oggi esistenti.

 

2. Polis e il processo civile telematico

Nell’Introduzione al «Manuale Utente del Programma Polis» del 2001, con il compianto Carlo M. Verardi osservavamo:

«Nella sua postfazione a Diritto civile e commerciale, F. Galgano osserva che “la nostra non è più l’epoca della legislatio; l’era postindustriale, nella quale ormai viviamo, è sulla scena del diritto l’era della iurisdictio (…). Ma mai come nell’era della iurisdictio, gli Uffici risultano privi di ogni strumento che assicuri la circolazione interna ed esterna dei propri elaborati: se si esclude la Corte di Cassazione, dove opera l’Ufficio del massimario e la Corte Costituzionale che gode del trattamento riservato agli atti normativi statali, non esiste un sistema di pubblicità ufficiale per i Tribunali e per le Corti di Appello».

E, più avanti: «La predisposizione di un sistema di “editing” della produzione giurisprudenziale degli Uffici muove dalle osservazioni di Gorla per il quale “i mezzi di informazione sono una condizione essenziale del valore della giurisprudenza come fattore del diritto, cosi come di ogni altro fattore del diritto stesso”».

La necessità di un formante giudiziario coerente con il contesto istituzionale del terzo millennio appariva già allora nitida, richiedendo la realizzazione di sistemi informativi capaci di restituire costantemente agli attori sociali del processo rappresentazioni cognitive all’altezza delle decisioni necessarie al governo dei conflitti in un contesto istituzionale fortemente mutato. Si è in più sedi autorevolmente osservato come il diritto, nell’era della globalizzazione, sia mutato in diritto giurisprudenziale, in diritto del presente e al presente[3] in quanto tende ad esprimersi per il solo tramite delle istituzioni giudiziarie, che, da luogo di affermazione della prescrittività autosufficiente propria della legge, mutano in luogo di traduzione e lettura del contingente e della sua pos-moderna mutevolezza.

Nella concezione dello Stato di diritto propria del secolo ormai passato, l’aspirazione propria della norma era quella di presiedere al governo del futuro per il tramite di una dinamica predittiva tutta insita nel valore regolativo della fattispecie generale e astratta: a norma dell’art 15 delle preleggi, la norma dispone per il futuro guardando comunque al passato come al tempo della misurazione della sua stessa azione performativa sul presente, in una relazione di rimandi coercitivi sempre più evidenti nell’azione esplicata dalla giurisdizione[4].

Eppure, la crisi della legge propria della pos-modernità, lo sguardo breve della normatività globalizzata ci consegnano una dinamica regolativa esausta, che nella rincorsa al futuro realizza un dominio precario del concreto che si arresta al presente senza alcuna aspirazione alla stabilità[5]. È stato così osservato che quanto più risulti fallace l’opera del legislatore nel disporre del reale, tanto più l’interprete e in genere la giurisdizione sono chiamati a un opera di ricostruzione della certezza normativa oramai dispersa nell’iperproduzione legislativa. La diffusione e, al contempo, la diffidenza nel giuridificare fenomeni come la buona fede, i contratti relazionali, la reintroduzione di nuovi elementi istituzionalisti nelle organizzazioni sia private che pubbliche si insinuano all’interno della razionalità moderna come innesti di nuovi percorsi della normazione sempre più necessitati e indispensabili al governo dell’economia dei rapporti[6].

Non è questa la sede per una considerazione sulla creatività o meno del processo di ricomposizione del significato normativo della disposizione[7], quanto piuttosto deve provvedersi a considerarne la relazione necessaria con i sistemi informativi del settore e le potenzialità di ricomposizione ermeneutica insite nella loro consapevole introduzione.

Pure in settori connotati da una tipicità forte e costituzionalmente garantita, si è detto che «al fatto tipico in senso puramente legale si affianca, così, un fatto tipico in senso ermeneutico che ne costituisce il riflesso o risultato»[8]

Il giudiziario che nello Stato di diritto è chiamato a un’operazione di regolazione del passato ovverosia dell’accaduto, assume nel pos-moderno una dinamica predittiva inevitabile: la giustizia predittiva non è solo un ossimoro in quanto, demandando alla decisione del caso presente una sua capacità di normazione futura ad esso estranea, inevitabilmente riduce lo spazio di azione della norma che proprio dalla regolazione del futuro traeva la sua legittimazione fondativa. E invero, calcolabilità giuridica e affidamento hanno sempre costituito la ragione fondativa della norma, capace di astrarsi dal presente per proporsi quale regolazione stabile dell’imprevedibile futuro: «il diritto calcolabile è un diritto su cui fare affidamento, su cui riporre aspettative»[9]. Oggi più che mai, il diritto giuridicamente calcolabile, capace di predire il futuro, pone le aspettative della sua futura affermazione nell’estensione temporale della sua applicazione nel continuo presente delle pronunce giudiziarie.

Il diritto al presente che oggi noi quotidianamente amministriamo ricerca una calcolabilità che deriva, più che dalla sua relazione con la norma, dalla sua relazione con il passato deciso, con il dictum già concretizzato: la banca dati che si mira a realizzare con l’ufficio del processo non può essere solo il luogo di un’archiviazione accumulativa del passato deciso, ma deve proporsi come strumento per “rappresentazioni cognitive” capaci di contestualizzare l’azione della giurisdizione, quantomeno nell’immediato futuro.

 

3. Il tempo dell’eccedenza tecnologica

Si è stimato che l’umanità abbia prodotto nella sua storia approssimativamente 12 esabyte di dati prima della diffusione dei computer, dati che, già a fine 2006, ammontavano a 180 esabyte: oggi si stima che si sia superato lo zettabyte (1000 esabyte). Nessuno ha mai stimato quanti di questi dati siano prodotti dai sistemi giudiziari, dalla loro recente riscrittura informatica, dalla loro accumulazione insignificante nelle banche dati sia istituzionali che editoriali.

Già in altra sede si è evidenziato come l’eccedenza delle tecnologie del terzo millennio abbia mutato non poco lo scenario di fondo in cui l’azione giudiziaria va concretamente a esplicarsi e i riflessi sempre più pervasivi che questa mutazione ha silenziosamente indotto sull’azione del formante giudiziario.

Ad oggi, si registrano con sempre più allarmante diffusione letture aggregate di dati giudiziari, spesso operate a fini particolari in settori ad alta rilevanza sociale, innescando anche sulla stampa generalista interpretazioni spesso improprie, se non fuorvianti.

Le stesse statistiche giudiziarie sono inerti rispetto a tali fenomeni, in quanto il calcolo numerico – pure necessario – dell’efficienza di un ufficio non regge il confronto con le letture immediatamente fruibili per il tramite delle nuove tecnologie, capaci di provvedere a letture immediate su un numero illimitato di dati e informazioni presenti anche nei nostri archivi giurisprudenziali: la ricerca testuale e ipertestuale si avvale massivamente di motori di ricerca capaci di processare in tempo reale una serie pressoché illimitata di documenti, con innesco di logiche algoritmiche e di machine learning, superando la lettura statica oggi assicurata dagli archivi di giurisprudenza in forza di un’analisi massiva del dato giudiziario mai prima realizzata.

Lo spazzolamento di un numero pressoché illimitato di informazioni contenute nei data base costituisce un elemento di contesto che va opportunamente considerato se si vuole che l’azione esercitata dalla giurisdizione nel pos-moderno possa essere oggetto di una rappresentazione cognitiva autonoma e indipendente, adeguata alle esigenze di una società civile sempre più attenta al valore assegnato ai diritti e alle aspettative dagli stessi veicolate.

La riconfigurazione dello spazio informativo interessato dalla creazione degli archivi deve necessariamente muovere dalla scrittura digitale e dalle mutazioni da essa introdotte nell’atto giudiziario: la pervasività delle nuove tecnologie scritturali ha mutato profondamente il contesto tecnologico in cui gli attori professionali (magistrati e avvocati) procedono alla stesura dei propri elaborati che superano la fissità propria.

 

4. La scrittura digitale, l’unità documentale e la banca dati 

L’analisi della moderna scrittura digitale appare importante se si vuole effettivamente assegnare all’atto giudiziario (sia esso dell’avvocato o sia del magistrato) quale “unità documentale”, il valore propulsivo delle informazioni rilevanti sia nella singola vicenda giudiziaria che nell’aggregazione conoscitiva che si reputa necessaria per il formante giudiziario con la creazione di una banca dati.

Il testo elettronico, la sua esistenza sullo schermo, costruiscono una relazione profondamente diversa con la scrittura manuale, in quanto:

a) «il testo elettronico, nella sua pulizia formale, nasconde ogni iniziale impurità del pensiero scritto, ogni sua imperfezione argomentativa: non è più possibile risalire al primo testo, alla prima scrittura, se non archiviata in un altro documento. Scrittura e revisione, per lungo tempo fasi accuratamente distinte nel lavoro di stesura del provvedimento, procedono di pari passo, diventano una modalità di scrittura»[10];

b) il testo scritto si propone come contenuto informativo scomponibile e rintracciabile sia per il tramite di strumenti di “selezione del dato” come operati dai sistemi di taggatura tecnica, sia per il tramite di ricerche massive operabili sulla moltitudine dei testi attraverso anche sistemi di IA e Machine Learning (ML). Il testo si compone così di altri testi, di altre documentalità quali immagini, trascrizioni, video, capaci di assicurare visibilità alla decisione per il tramite della loro compiacenza argomentativa.

c) i software di scrittura giungono all’autocomposizione di testi, alla moltiplicazione di scritture in relazione a “campi di dati” sui quali la loro azione viene chiamata a incidere con la capacità selettiva di un sistema di rilevazione intelligente dei significati ad essi assegnati dal suo redattore.

Del pari, la diffusione di banche dati ha inciso fortemente sulla relazione intessuta nella motivazione con il precedente.

La fruizione oggi sempre più massiva di precedenti giurisprudenziali rende evidente una mutazione silenziosa intervenuta nell’argomentazione giudiziaria delle sentenze e nel valore assegnato dall’editoria giuridica alla produzione provvedimentale degli uffici. E invero, al tempo dei repertori, il richiamo al precedente nelle decisioni tanto di legittimità quanto di merito era numericamente limitato e fortemente selettivo in quanto la stessa repertoriazione aveva cura di selezionare e assegnare valore alla decisione collocandola all’interno di una semantica fatta di grandi voci, voci, titoli e correlazioni, etc., in una graduazione cognitiva che ne permetteva la concettualizzazione tipologica e l’assegnazione di senso performativo al reale ivi normato. 

Diverso appare oggi il processo di relazione tra attualità e passato decisionale: se è vero che oggi la ricerca digitale del precedente si avvale sempre più dell’archivio potenzialmente illimitato delle banche dati e dei motori di ricerca generalisti, è altrettanto vero che proprio la qualità tecnologica dello strumento propone una ricerca che vive dell’immediatezza del dato reperito piuttosto che della verifica della sua collocazione nell’ontologia semantica delle grandi voci, dei titolari e dei neretti, che hanno ormai disperso ogni valore orientativo per l’interprete. Si assiste, così, a un fenomeno di ipertestualizzazione della decisione per la pluralità spesso polimorfa dei richiami operati al precedente senza alcuna verifica dell’architettura cognitiva che ne sorregge l’apparentamento e la condivisione: in altri termini, l’architettura cognitiva dei repertori non sorregge più la ricerca, che accede immediatamente al dato prodotto dai motori di ricerca sui nostri device senza alcuna mediazione cognitiva di sistema.

La novità che deve registrarsi è, pertanto, tutta interna al valore assegnato dalla giurisdizione al richiamo normativo: l’argomentazione giuridica, quand’anche correlata al caso deciso, richiama la norma solo come medium per correlarsi ad altra decisione, ovverosia come snodo per altri rimandi, dando così ingresso a un’argomentazione sequenziale diversa rispetto al passato. Il ruolo della scrittura sembra superare i limiti propri della singola decisione: si aggrega per significato, per rimandi diretti e indiretti, produce significato perché misura la relazione con la norma e il precedente in relazione di continuità o di discontinuità al di là della esplicita correlazione dei suoi autori – la scrittura digitale non è solo segno scritto significante ma si rappresenta e sempre più si propone come un corpo animato, come luogo di produzione ed azione di sistemi software interni alla stessa sua semantica. L’omogeneizzazione tra dati e programmi propone un’azione costante di interazione tra digitale e digitale[11].

La frantumazione di un tale universo cognitivo costituisce un dato rilevante del formante giudiziario che va opportunamente valutato e, nei suoi profili estremi, corretto.

Su altro fronte, l’esame del rapporto con l’editoria giuridica rende immediatamente evidente la diversità di relazione ormai intessuta con il formante giudiziario, non solo per la diffusione di un’editoria informatica sempre più invasiva e teoricamente destrutturata, quanto piuttosto per la continuità spesso confusiva dell’informazione giudiziaria oggi quotidianamente messaggiata sui nostri device dalle fonti più varie. La frantumazione insita nella messaggistica a contenuto giudiziario rende evidente la perdita di ogni collante sistematico con il capitale semantico di riferimento, l’atomizzarsi del dictum nella sua dinamica legittimante rispetto al contesto di riferimento: il dictum inevitabilmente degrada a notizia, a evento degli eventi, senza che ne sia possibile una lettura successiva e trascendente dello stesso perimetro decisionale in esso autonomamente definito.

Eppure la storia del processo telematico intercettava ben altro rispetto alla dimensione relazionale interno/esterno insita nella sua diffusione meramente trasmissiva: l’assunzione metodologica del formante giudiziario come formante di produzione qualificata di significato per l’ecosistema giudiziario impone una riformulazione complessiva del paradigma d’azione ad oggi strutturato nei sistemi informativi che, per quanto oggetto di esame in questo scritto, rimanda alla costruzione di un archivio di giurisprudenza coerente con la mobilità del contesto istituzionale prima richiamato.

Le tecnologie ad oggi disponibili devono essere animate da una visione fortemente innovativa del dato per consentirne una sua articolazione cognitiva che supera la singola vicenda giudiziaria, assicurando per il tramite di banche dati l’autenticità e integrità delle informazioni veicolate.

Non è possibile, in questa sede, esplorare del tutto il valore significativo dei dati enucleabile con la corretta predisposizione di un sistema informativo votato all’aggregazione cognitiva di rappresentazioni votate a orientare le decisioni assunte da tutti gli attori sociali della giurisdizione.

Rimandando alle analisi operate per il sistema Polis, l’unità documentale del settore giudiziario normalmente veicola le seguenti informazioni:

▪ anagrafiche delle parti del processo, correttamente identificate per codice fiscale;

▪ anagrafiche degli attori professionali del processo: giudice, avvocati, consulenti di parte e d’ufficio;

▪ anagrafiche degli attori episodici del processo: testimoni;

▪ riferimenti normativi;

▪ riferimenti giurisprudenziali di merito e di legittimità;

▪ quantificazioni economiche. 

Ognuna delle informazioni veicolate assume significato sia all’interno della singola vicenda processuale che in aggregazione, per le vicende processuali introdotte nel singolo ufficio giudiziario, permettendo una rappresentazione cognitiva capace di assicurare una visione più articolata del contenzioso presente nei ruoli dell’ufficio giudiziario.

La sola rappresentazione della giurisprudenza di legittimità e di merito maggiormente richiamata nelle scritture difensive delle parti sia a livello del singolo ufficio che a livello nazionale permette un consolidamento delle ipotesi di normazione del concreto domandate dalle parti in causa, prima ancora che la stessa domanda trovi accoglimento nella singola decisione. 

Del pari, la lettura aggregata per giurisprudenza di legittimità e merito (sia interna che esterna all’ufficio) richiamata nelle sentenze dell’ufficio permette di costruire un analogo universo informativo capace di assicurare stabilità ai processi di contestualizzazione dei saperi interessati, di misurare il valore assegnato a ogni decisione di merito e di legittimità richiamata sia a livello del singolo ufficio che a livello nazionale, permettendo operazioni profonde sul significato assicurato alla normazione del concreto dall’azione giudiziaria.

La strutturazione di una banca dati all’altezza dell’attuale contesto tecnologico deve consentire processi continui e innovativi votati:

a) all’analisi: identificazione delle aree di conoscenza rilevanti e identificazione delle conoscenze critiche assenti;

b) alla codifica: classificazione della conoscenza e produzione di archivi strutturati; 

c) all’accesso: distribuzione tempestiva della conoscenza e relativa gestione consapevole;

d) all’organizzazione: approccio integrato e collaborativo della conoscenza e accumulazione senza soluzione di continuità;

e) alla valorizzazione: arricchimento della conoscenza; favorire l’apprendimento continuo.

 

Un esempio rende maggiormente chiara la finalità perseguita con la costruzione di una banca dati tecnologicamente avanzata.

In particolare, si pensi al valore che può assegnarsi alla visione aggregata delle informazioni presenti nelle difese nel contenzioso in materia di appalto, ai richiami normativi come articolati in relazione alla natura del vizio rilevante ai fini degli artt. 1667 e 1669 cc, ai richiami giurisprudenziali di merito (sia interni sia esterni all’ufficio) e di legittimità, alla relazione intessuta con il precedente (conformità, difformità o distinguishing), al valore delle pretese economiche azionate per singola responsabilità.

Matrice dei vizi del costruito e tassonomia delle qualificazioni operate nelle decisioni. 

La raccolta, studio, analisi dei vizi e difetti delle costruzioni oggetto del contenzioso, così come lo sviluppo di una relativa tassonomia, consentono di:

▪ creare una conoscenza organizzata e integrata del contenzioso, indirizzata a tutti gli attori coinvolti;

▪ sviluppare un linguaggio comune tra giurisprudenza e tecnica, che favorisce le relazioni tra i tecnici, i giudici e le parti;

▪ sviluppare linee di riferimento per lo svolgimento di consulenze tecniche così da stabilire un protocollo “comune”;

▪ uniformare i giudizi, sia tecnici che giuridici, sulle problematiche simili;

▪ individuare e comprendere le maggiori criticità e insidie insite all’interno del processo edilizio, così da mettere in campo misure di prevenzione o comunque di mitigazione;

▪ migliorare il processo edilizio individuando le criticità delle diverse fasi: progettazione, realizzazione e gestione del bene;

▪ migliorare i procedimenti amministrativi pubblici: dall’appalto all’affidamento dei lavori, alla gestione dei beni immobili;

▪ individuare la localizzazione dei dissesti causati da eventi naturali, così da definire zone di vulnerabilità;

▪ individuare le criticità sia generali che specifiche in termini di sicurezza del costruito con finalità di protezione della popolazione.

Del pari, si pensi alle potenzialità di esame del contenzioso che veda partecipi i cosiddetti “grandi utenti” – banche, istituti previdenziali, grandi utility –, consentendo un’analisi qualificata del contenzioso seriale introdotto, della sua valenza economica e sociale, nonché una radiografia settoriale per aree del Paese tanto più indispensabile se si vuole assicurare il governo selettivo del contenzioso anche attraverso incentivi reputazionali quanto mai importanti nei settori interessati dall’attività di grandi operatori economici e istituzionali.

L’idea piramidale della conoscenza prodotta può essere riassunta nel seguente schema:

 

5. Dalla banca dati alla nomo-metrica

Non è questa la sede per un’analisi diffusa delle tendenze normalmente riconducibili alla cd. IA, alle mirabili sorti loro assegnate in ogni campo dell’azione umana per il tramite della predisposizione di algoritmi matematici[12].

Va qui solo ricordato come questi strumenti operino già da tempo nel nostro contesto tecnologico, analizzando una serie articolata di dati e di informazioni giudiziarie senza alcuna preventiva disciplina e senza che si esplicitino le finalità realmente perseguite: i sistemi IA processano sempre dati selezionati sulla base di formule matematiche che mirano ad assegnare ad alcune informazioni evidenza decisionale rispetto ad altre.

La decettività delle decisioni assunte per il tramite di algoritmi è stata evidenziata in più campi sensibili per le istituzioni democratiche come per settori più propriamente legati a logiche di mercato, quali ad esempio la selezione del personale, le ricerche di mercato, in cui la soluzione proposta dipende fortemente dalla qualità, dall’estensione e dalla ricorrenza selettiva dei dati e dalla neutralità computazionale dell’algoritmo di base, spesso forgiato sulla base delle esigenze del committente più che su quelle del consumatore.

Il problema, pertanto, è la strutturazione di un campo di informazioni estremamente ampio, non rigidamente preordinato, in cui le informazioni ivi prodotte si propongano come universo informativo, come nuvola di rappresentazioni cognitive capaci di fornire una visione del diritto vivente quanto mai attenta al valore dei conflitti normati e al posizionamento di contenuti dommatici e normativi ivi veicolati: solo una volta definito l’universo informativo, sarà possibile demandare agli algoritmi l’elaborazione di strati decisionali coerenti con il valore delle scelte quotidianamente operate nella decisione dei conflitti.

La certezza del diritto perseguita per il tramite di sistemi di intelligenza artificiale costituisce un’aspirazione ideologica prima che una dinamica computazionale, riproducendo ancora una volta un’idea infantile della relazione tra tecnologie e sistemi sociali, incapace di sostenere l’azione ancora (quand’anche diversamente) esercitata dai sistemi normativi sul dictum giudiziario.

Per questi motivi, si ritiene fuorviante ogni approccio parziale e settoriale, dovendo provvedersi alla costruzione di un sistema complessivo di misurazione della norma applicata (“nomo-metrica”) capace di avvalersi anche di algoritmi del due process in quanto forgiati su basi di dati certificate poiché condivise.

Come già osservato in altra sede, la nomo-metrica si propone una riformulazione del formante giuridico in relazione ad altri contesti, quali: 

1) il contesto delle organizzazioni del “diritto vivente”: l’ufficio giudiziario costituisce un luogo di astrazione processuale e di concretezza organizzativa, in cui la misurazione della prima dimensione passa inevitabilmente dalla ricognizione della seconda;

2) il contesto economico e sociale in cui si realizza l’azione giudiziaria, con una lettura delle interferenze esistenti nel tessuto relazionale proprio del decisum giuridico sia nel settore civile sia nel settore penale. Il territorio realizza una tessitura più ampia dell’organizzazione giudiziaria in quanto capace di una “ri-flessione” non episodica con il formate giudiziario chiamato a un’operazione di costante “ri-allineamento”.

La nomo-metrica si propone, al contempo, un programma prospettico e un piano di azione sul presente, che non libera il passato dal valore della sua preminenza normativa e interpretativa, ma ne esamina la sua relazione con le dinamiche interne ed esterne del contesto sociale.

L’ontologia degli “oggetti normativi” e degli “oggetti sociali” rimanda a una tessitura di significati che muovono tutti da una rivisitazione della semantica di produzione delle informazioni da processo per renderne possibile una lettura sincronica costante.

Polis voleva intercettare la mutazione di quadro istituzionale descritta sulla base delle tecnologie esistenti e, con essa, l’esigenza di cambiamento sottesa: la domanda di un diritto giurisprudenziale non viene demandata in via esclusiva a una valutazione scientifica o editoriale esterna all’ufficio, ma soddisfatta in primis dal formante giudiziario in quanto capace di assicurare coerenza alle aspettative cognitive maturate dalla società civile rispetto ai conflitti quotidianamente introdotti.

Le conclusioni allora formulate con Carlo Verardi nell’introduzione al sistema di produzione e archiviazione provvedimentale Polis rispondono a una necessità improcrastinabile della moderna giurisdizione: 

«La pubblicazione di tutte le sentenze rese priverà il giudice della necessità di riconoscere nella sola “motivazione dotta” la qualità del suo operare, potendo questo costruirsi all’interno di una pluralità di decisioni oggi erroneamente considerate minori, in un processo di “accumulazione quotidiana” capace di rendere, nel suo “ripensamento” consecutivo, il senso di una nuova e diversa completezza motivazionale. Gli Uffici perdono ogni carattere di oscurantismo insito nel mutismo della loro produzione: diventano laboratori di idee, di prassi censite, di pensamenti e ripensamenti collettivi. E questo nella consapevolezza che nell’era della diffusione informativa, non vi può essere alcuno spazio per “l’intelligenza” incapace di connessione».

 

 

*  Questo scritto è dedicato a Sergio Brescia e Stefano Zan, recentemente scomparsi, innovatori rigorosi e appassionati del nostro mondo giudiziario.

1. Nel ddl delega approvato il 21 settembre 2021, all’art. 18 si ha cura di indicare le attribuzioni degli assistenti del giudice: «1) compiti di supporto ai magistrati comprendenti, tra le altre, le attività preparatorie per l’esercizio della funzione giurisdizionale quali lo studio dei fascicoli, l’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, la selezione dei presupposti di mediabilità della lite, la predisposizione di bozze di provvedimenti, il supporto nella verbalizzazione, la cooperazione per l’attuazione dei progetti organizzativi finalizzati a incrementare la capacità produttiva dell’ufficio, ad abbattere l’arretrato e a prevenirne la formazione; 2) compiti di supporto per l’ottimale utilizzo degli strumenti informatici; 3) compiti di coordinamento tra l’attività del magistrato e l’attività del cancelliere; 4) compiti di catalogazione, archiviazione e messa a disposizione di precedenti giurisprudenziali; 5) compiti di analisi e preparazione dei dati sui flussi di lavoro».

2. Parla di «medium organizzativo» S. Zan, in Id. (a cura di), Tecnologia, Organizzazione e Giustizia. L’evoluzione del processo Civile Telematico, Il Mulino, Bologna, 2004. Vds. anche M. Jacchia (a cura di), Il processo telematico, Il Mulino, Bologna, 2000.

3. Così, efficacemente, M.R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 197 ss. Sul rapporto tra diritto e contingente, vds. E. Resta, Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell’osservatore, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 129 ss. Sulla novità di ruolo delle istituzioni giudiziarie, con particolare riferimento anche alle corti sovranazionali, vds. A. Baldassarre, Globalizzazione contro democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2002, p. 91.

4. N. Irti, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 59: «La norma, come artificiale e meccanico congegno, determina le proprie modalità topografiche. La critica schmittiana al normativismo non ne coglie questo straordinario profilo: la potenza dell’artificialità».

5. P. Grossi, Introduzione al Novecento giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2012; Id., Ritorno al diritto, Laterza, Roma-Bari, 2015; P.G. Monateri, I confini della legge, Bollati Boringhieri, Torino, 2014.

6. Vds., per tutti, G. Teubner, La cultura del diritto nell’epoca della globalizzazione. L’emergere delle costituzioni civili, Armando, Roma, 2005, pp. 57 ss.
«La formula giuridica che oggi circola nel mondo, quella della nuova lex mercatoria, ha in sé il retaggio di antiche e moderne aspirazioni cosmopolite dell’umanità, ma le esprime senza l’enfasi predicatoria di una fratellanza universale. Disegna l’immagine di un futuro possibile, anche se non tutti sono disposti a considerarlo un futuro auspicabile»: così, incisivamente, F. Galgano, Lex mercatoria, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 235. Vds. anche Y. Dezalay, I mercanti del diritto, Giuffrè, Milano, 1997; G. Rossi, Il gioco delle regole, Adelphi, Milano, 2006, p. 62.

7. Vds. F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e interpretazione. Lineamenti di una teoria ermeneutica del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1999, pp. 300-307; A. Catania, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 14 ss.

8. G. Fiandaca, Il diritto penale giurisprudenziale e spunti di diritto comparato, in Id. (a cura di), Sistema penale in transizione e ruolo del diritto giurisprudenziale, Cedam, Padova, 1997, p. 15, secondo cui «l’interprete assume un ruolo “creativo”, nella misura in cui egli conforma o riempie ermeneuticamente le fattispecie penali nel diritto vivente, le integra, corregge, adatta, orienta ai casi concreti, ne propone interpretazioni restrittive o al contrario estensive (se non proprio analogiche “mascherate”) alla luce di valutazioni teleologiche non sempre univocamente desumibili dal testo scritto delle norme o dalla (non di rado polivalente) ratio legis»; per una visione aspramente critica, vds. L. Ferrajoli, Contro la giurisprudenza creativa, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2016, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/contro-la-giurisprudenza-creativa_395.php; sui profili del valore assunto dall’interpretazione in generale, con particolare riferimento al diritto penale, F. Viola e G. Zaccaria, Diritto e interpretazione, op. cit., pp. 300-307.

9. Si rinvia, in generale, ad A. Carleo (a cura di), Calcolabilità giuridica, Il Mulino, Bologna, 2017. Cfr. M. Weber, Economia e società [1922], a cura di P. Rossi, Edizioni di Comunità, Milano, 1974, laddove osserva che «Quanto più l’apparato del potere dei prìncipi e dei capi religiosi era un potere razionale mediato dai funzionari, tanto più la sua influenza si manifestava nel senso di conferire all’amministrazione della giustizia, un carattere razionale dal punto di vista del contenuto e della forma – naturalmente razionale in modo diverso – e inoltre nel senso di escludere i mezzi processuali irrazionali e di sistematizzare il diritto materiale, il che si traduceva sempre in qualche modo in una razionalizzazione»; vds. sul punto A. Catania, Metamorfosi del diritto, op. cit., pp. 56 e 57.

10. Manuale Utente del Programma Polis, Ministero della giustizia, Roma, 2001.

11. Sia consentito il rinvio al mio Gli algoritmi del processo penale telematico: logica e grammatica del post-moderno tecnologico, in Giustizia insieme, 28 aprile 2010 (www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/973-gli-algoritmi-del-processo-penale-telematico-logica-e-grammatica-del-pos-moderno-tecnologico-contributo-ad-una-riflessione-sulla-tecnologia-ai-tempi-del-covid-19). 

12. Il richiamo d’obbligo è agli studi di Gottfried Wilhelm von Leibniz (Dissertatio de arte combinatoria, 1666) e a quelli di Muḥammad ibn Mūsā al-Khwārizmī, dal nome del quale deriva appunto il termine “algoritmo”. Per un primo esame, vds. B. Giolito, Intelligenza Artificiale. Una guida filosofica, Carocci, Roma, 2007 (rist. 2015).