Magistratura democratica

L’esecuzione forzata nella riforma che ci attende

di Giuseppe Miccolis

L’Autore, muovendo dalla ricognizione delle riforme del processo esecutivo susseguitesi negli ultimi anni, passa in rassegna le principali modifiche che il disegno di legge delega predisposto dall’ufficio legislativo del Ministero della giustizia preannuncia, apprezzandole perché correttive e di assestamento di una disciplina ben strutturata.

1. Premessa / 2. Le problematiche del processo esecutivo / 3. Cenni sulle riforme del processo esecutivo /4. Il “fattore tempo” nel processo esecutivo / 5. (Segue) La crisi della pubblica amministrazione e l’incidenza sul “fattore tempo” del processo esecutivo / 6. La riforma del processo esecutivo che si preannuncia. La delega al governo / 7. (Segue) La modifica diretta / 8. Considerazioni conclusive

 

1. Premessa

Il disegno di legge delega predisposto dall’ufficio legislativo del Ministero della giustizia recante «Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie», approdato alla Camera dopo l’approvazione del Senato, si propone ambiziosamente, come tutte le precedenti riforme, di risolvere la crisi della giustizia civile, mettendo al centro, in attuazione del PNRR, il “fattore tempo”.

In tale contesto il ddl delega incide principalmente sul processo di cognizione in tutti i suoi gradi, preannunciando interventi epocali, quali l’introduzione della incomprensibile ordinanza provvisoria di accoglimento o di rigetto della domanda, l’introduzione del rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione e, dopo il passaggio in Senato, la cancellazione dell’udienza ex art. 183 cpc, ma non delle memorie, ancorché alternate, del comma 6, con la conseguente riesumazione della “salma” di una sottospecie di rito commerciale. Per fortuna il Senato ha cassato le conseguenze della contumacia volontaria del convenuto sull’effetto non contestazione dei fatti a fondamento della domanda e l’introduzione nel rito ordinario di un sistema di preclusioni modellato sulla falsariga del rito speciale cd. del lavoro. Ciononostante, è facile intuire che queste modifiche difficilmente saranno idonee a incidere sulla durata dei processi civili (altri sono gli interventi necessari, peraltro previsti, per lo più, nel PNRR).

Il ddl, con l’art. 10 per la delega al Governo e con l’art. 22, commi 4 e 7, per la modifica diretta, interviene ancora una volta sul processo esecutivo, più in via correttiva e di assestamento di una disciplina ben strutturata che con modifiche epocali, salvo che per la vendita diretta. 

 

2. Le problematiche del processo esecutivo

Il processo esecutivo, come tutti sanno, ha la funzione di dare concreta attuazione ai diritti accertati giudizialmente o rappresentati da un atto stragiudiziale a cui la legge attribuisce natura di titolo esecutivo. In altre parole, il processo esecutivo costituisce l’ultima fase della tutela giurisdizionale sancita dall’art. 24, comma 1, Cost. 

Il core business dell’esecuzione forzata è costituito dall’espropriazione, la cui complessa disciplina detta regole per lo svolgimento di un’attività tipicamente economica in quanto diretta alla trasformazione di un bene in danaro per il soddisfacimento dei creditori. Il limite “genetico” dell’espropriazione forzata è nel fatto che le regole giuridiche da questa dettate e i tempi del processo, unitamente alla disponibilità, per il carico di lavoro, e competenza di giudice e ausiliari (professionisti delegati) nell’espletamento di tale attività, non sempre si conciliano con le regole economiche e del mercato. 

Le riforme susseguitesi in questi anni hanno compiuto passi da gigante per ridurre i tempi del processo esecutivo e, allo stesso tempo, per cercare di avvicinare per quanto possibile, sempre all’interno del limite “genetico”, la vendita forzata alla vendita al mercato libero. 

Ma non solo. La crisi economica in cui costantemente viviamo è causa, da un lato, di una forte svalutazione del mercato immobiliare, fatte salve alcune “pregiate” eccezioni difficilmente attinte da procedure esecutive; dall’altro, di una profonda crisi sociale e abitativa per i debitori meno abbienti, giacché gran parte delle procedure espropriative hanno ad oggetto “prime e uniche case”. Le riforme del processo esecutivo hanno cercato, non certamente di risolvere, ma quanto meno di attenuare tali problematiche, esplose con la recente emergenza sanitaria che ha indotto il legislatore a prendere alcuni drastici e temporanei provvedimenti. 

 

3. Cenni sulle riforme del processo esecutivo

Il processo esecutivo ha, per un lungo periodo, vissuto ai margini dell’interesse del legislatore (la grande riforma del 1990, se si eccettua l’intervento sull’art. 495 cpc, ha del tutto ignorato il processo esecutivo) e dei giudici (soprattutto al Sud, la priorità era data al penale, poi al civile di cognizione e, solo in caso di esubero, si copriva l’esecuzione). Il che rese la situazione dell’esecuzione forzata, in particolare dell’espropriazione immobiliare, insostenibile in termini di durata e di efficienza. A partire dal 1990, grazie all’operato di alcuni giudici pionieri, iniziarono a diffondersi in alcuni tribunali le cd. “prassi virtuose”, che ebbero il merito di costituire una sorta di banco di prova di quelle che sarebbero state le successive riforme. 

La prima timida riforma del processo esecutivo risale alla l. n. 302/1998, che ha introdotto il notaio nella espropriazione immobiliare, vuoi quale pubblico ufficiale per il rilascio delle certificazioni ipocatastali (in alternativa a quelle rilasciate dall’Agenzia del territorio), vuoi quale delegato dal giudice alla vendita. Questa normativa, peraltro, contestuale all’informatizzazione degli uffici del catasto e delle conservatorie dei registri immobiliari, ebbe l’enorme pregio di ridurre di almeno tre anni i tempi di acquisizione delle certificazioni ipocatastali, di alleggerire l’enorme carico delle vendite gravante sui pochi giudici destinati all’esecuzione forzata e di migliorare il risultato dell’espropriazione affidando la vendita a un professionista di certo più esperto del giudice. 

Successivamente, la grande riforma del 2005-2006[1] ha “rivoltato come un calzino” il processo esecutivo, partendo da un riordino dei titoli esecutivi sino all’introduzione vuoi della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo a seguito di opposizione a precetto, vuoi del reclamo avverso il provvedimento di sospensione dell’esecuzione[2]. Con questa riforma, da alcuni definita il “Principe azzurro” dell’espropriazione forzata, sino ad allora “Cenerentola” della giustizia civile, le prassi virtuose sulla vendita e sulla gestione dell’immobile iniziarono a entrare nella disciplina positiva. 

Con la l. n. 69/2009 di riforma del processo civile, il legislatore ha introdotto alcune correzioni e assestamenti alla precedente riforma, anche abrogando modifiche introdotte solo tre anni prima[3]. La più importante novità messa a segno con la l. n.69/2009 in tema di esecuzione non riguarda l’espropriazione forzata, bensì l’esecuzione in forma specifica: l’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 614-bis cpc, inizialmente intitolato «Attuazione degli obblighi di fare infungibile e di non fare» e oggi – dopo la modifica introdotta dalla riforma del 2015[4], che ne ha esteso l’applicazione a tutti i provvedimenti «di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di danaro», prescindendo, dunque, dalla infungibilità dell’obbligo – «Misure di coercizione indiretta».

Con la legge di stabilità n. 228/2012 il legislatore ha ridisegnato il procedimento di espropriazione presso terzi, che precedentemente scontava, in caso di contestazione sulla dichiarazione del terzo, l’infinita parentesi del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo[5]. Tale semplificazione, necessaria ai fini del “fattore tempo”, ha però la controindicazione di un maggiore coinvolgimento nel processo esecutivo del terzo debitor debitoris che, invece, dovrebbe rimanere ad esso totalmente estraneo senza subirne alcun pregiudizio[6]. A ciò si aggiunge la modifica della competenza territoriale, che la riforma del 2014[7] ha trasferito, a eccezione dei casi in cui il debitore sia una p.a., dal luogo dove ha la sede/residenza, etc. il terzo a quello del debitore (art. 26-bis cpc). 

Con la riforma del 2014, il legislatore ha cercato di semplificare le attività processuali e ridurne i costi, attribuendo all’ufficiale giudiziario la legittimazione ad accedere alle banche dati per individuare i beni del debitore, prevedendo l’iscrizione a ruolo anche nel processo esecutivo nel quale aveva fatto ingresso il processo telematico, ridimensionando fortemente la vendita con incanto nell’espropriazione immobiliare giacché la riforma del 2005 aveva determinato un pasticcio tra vendita con e senza incanto, introducendo la chiusura anticipata del processo per infruttuosità, soprattutto in un periodo di forte crisi del mercato immobiliare, intensificando gli obblighi informativi del custode e del delegato alla vendita, semplificando la liberazione dell’immobile nell’esecuzione per rilascio; ha inoltre introdotto una specifica disciplina per l’espropriazione degli autoveicoli. 

Con la riforma del 2015, il legislatore ha “messo a punto” le novità introdotte l’anno prima, in tema di accesso dell’ufficiale giudiziario alle banche dati, di iscrizione a ruolo e di espropriazione degli autoveicoli; con riferimento al “fattore tempo” ha ridotto tutti i termini dell’espropriazione immobiliare ove peraltro ha quasi totalmente accantonato la vendita con incanto, introducendo la vendita telematica; per favorire e accelerare le vendite in un periodo di crisi del mercato immobiliare, ha ulteriormente esternalizzato le operazioni di vendita prevedendo in ogni caso la delega al professionista, salvo casi eccezionali, ha introdotto il pagamento rateale, ha legittimato le offerte inferiori al prezzo base (con riduzione non superiore al 25%) e ha legittimato l’assegnazione dell’immobile al prezzo base dopo i ribassi; ha adeguato il sistema di pubblicità alla nuove tecnologie; per la riduzione dei costi e per evitare valutazioni spropositate ha fissato il compenso dell’estimatore sul valore del prezzo realizzato anziché su quello stimato dal medesimo. La grande novità di questa riforma, oltre – come detto – alla estensione della misura coercitiva indiretta a tutti i provvedimenti di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di una somma di danaro, è stato il bypass (come l’ha definito Bruno Capponi) dell’art. 2929-bis cc, in virtù del quale il creditore munito di titolo esecutivo può pignorare, bypassando, appunto, l’azione revocatoria, il bene del debitore alienato al terzo a titolo gratuito entro l’anno precedente.

Con la riforma del 2016[8], il legislatore, oltre ad assestare la disciplina del pignoramento diretto ai sensi dell’art. 2929-bis cc, è ancora una volta intervenuto sulla efficienza dell’espropriazione immobiliare, implementando la vendita telematica, semplificando la procedura di liberazione dell’immobile prima della vendita, selezionando meglio i professionisti delegati, incrementando gli obblighi informativi, legittimando l’assegnazione in favore di un terzo, consentendo l’aumento del ribasso, sino al 50%, dopo la terza vendita infruttuosa, favorendo i riparti parziali sino al 90%. Le novità più significative sono sostanzialmente due. La prima, scarsamente impiegata, è costituita dall’art. 2 del dl, che al d.lgs n. 385/1993 ha introdotto l’art. 48-bis, in virtù del quale le banche possono erogare finanziamenti in favore dell’imprenditore per acquisto di immobili garantiti dal “trasferimento” dell’immobile medesimo in favore della banca o di una sua controllata, sospensivamente condizionato all’inadempimento dell’imprenditore: anche in questo caso una sorta di bypass dell’espropriazione forzata (o della liquidazione giudiziale). La seconda è costituita dall’anticipazione del termine per proporre l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 cpc entro l’udienza per la vendita o l’assegnazione (di cui agli artt. 530, 552 e 569 cpc) per i fatti antecedenti ad essa.

Il legislatore è intervenuto anche successivamente, nel 2018 e 2019, con piccole modifiche in tema di custodia dei beni immobili, per cercare di contemperare, da un lato, l’interesse economico del creditore alla proficua trasformazione del bene in danaro, che implica, oltre a una efficiente vendita, una efficiente gestione dell’immobile prima della vendita; dall’altro, l’interesse sociale del debitore che subisce l’espropriazione forzata sull’unico bene di sua proprietà impiegato quale casa di abitazione sua e della sua famiglia.

 

4. Il “fattore tempo” nel processo esecutivo

In tale contesto, una ulteriore riforma del processo esecutivo, se non per correggere, ancora una volta, alcune piccole “sbavature” sopravvissute, avrebbe ben poco senso; di certo nessun senso avrebbe una riforma sulle regole giuridiche per cercare di accorciare ulteriormente i tempi del processo, obiettivo primario del PNRR e della riforma in itinere.

Del resto, le regole giuridiche devono garantire che il processo, anche quello esecutivo, non torni indietro per evitare che l’attività del giudice sia duplicata e comunque risulti inutile (come lo era, ad esempio, prima della riforma del 2005-2006, l’udienza fissata soltanto per il giuramento dell’esperto estimatore). In tale contesto, se le regole processuali sono idonee a garantire il rispetto di tale finalità e quindi il giudice non compie attività duplicata o comunque inutile, per incidere ulteriormente sul “fattore tempo” del processo l’unica soluzione efficace è quella di incidere sul “fattore tempo” del giudice. 

Per incidere sul “fattore tempo” del giudice, considerato che il tempo da questo dedicato al suo lavoro è sempre lo stesso prescindendo dalle regole giuridiche, l’unica soluzione resta sempre quella di ridurre, anche nel processo esecutivo, il rapporto tra giudizi pendenti e giudici chiamati a regolarli.

Ciò può avvenire o aumentando il “denominatore” (ossia l’organico dei magistrati, insieme a quello del personale amministrativo) o diminuendo il “numeratore” (ossia i giudizi pendenti). 

L’aumento del “denominatore”, nonostante gli sforzi già compiuti e i buoni propositi del PNRR (vds. p. 53), è impresa assai ardua per varie ragioni, non soltanto economiche: per l’accesso alla magistratura, il numero dei vincitori è oramai sempre inferiore al numero dei posti messi a concorso; non ci si può affidare, “a cuor leggero”, più di tanto alla magistratura onoraria, per la quale è in itinere una riforma; il rientro in servizio attivo dei magistrati impegnati presso i vari ministeri è, spesso, da questi strenuamente ostacolato.

La riduzione del “numeratore” è gravata da un fardello che oggi appare insormontabile: la crisi della pubblica amministrazione e l’enorme debito pubblico.

 

5. (Segue) La crisi della pubblica amministrazione e l’incidenza sul “fattore tempo” del processo esecutivo

L’incremento del numeratore negli ultimi cinquant’anni è in parte giustificato dallo sviluppo esponenziale dell’economia mondiale. Ciononostante, oggi l’ostacolo per certi versi insormontabile per una riduzione del “numeratore” tale da incidere in modo determinante sul “fattore tempo” del processo è, non solo e non tanto, la crisi economica che stiamo vivendo, ma anche (e soprattutto) la crisi della pubblica amministrazione, la cui inefficienza e disorganizzazione da un lato e l’enorme debito pubblico dall’altro hanno letteralmente mandato in default molti aziende ed enti pubblici. 

In conseguenza di ciò, il legislatore ha iniziato a soccorrere la p.a. in deficit non solo finanziario, ma anche strutturale e organizzativo, con l’introduzione di una normativa speciale che privilegia il debitore pubblico, dettando regole sulla impignorabilità relativa e assoluta che va ben al di là dei limiti generali disciplinati dagli artt. 822 ss. e, in particolare, dagli artt. 828 e 830 cc in tema di indisponibilità dei beni pubblici. 

Tra gli interventi normativi più significativi meritano di essere menzionate le norme finalizzate a destinare le scarse (anzi scarsissime) risorse finanziarie alla gestione dei servizi pubblici essenziali.

Con due contestuali decreti-legge risalenti al 1993, uno per gli enti territoriali (regioni, provincie, comuni, comunità montane e consorzi tra enti locali)[9] e l’altro per le unità sanitarie locali[10], antecedenti delle attuali asl, e per gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, il legislatore ha previsto una disciplina diretta, mediante un atto amministrativo di vincolo (delibera), a “segregare” e sottrarre alla espropriazione forzata somme destinate al soddisfacimento degli stipendi e dei costi per i servizi pubblici essenziali, purché l’ente rispetti l’ordine cronologico dei pagamenti.

Questa disciplina si è rivelata insufficiente soprattutto per le aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche con un enorme dissesto finanziario e un gravissimo deficit organizzativo[11], tanto da indurre il legislatore a interventi – definiti temporanei – ben più drastici, che prevedevano l’impignorabilità assoluta, previa nomina del commissario ad acta, per l’attuazione del piano di rientro concordato dalla regione interessata con lo Stato. Tra queste merita una particolare menzione la vicenda della Regione Campania, per la quale la pressione delle procedure esecutive, in un sistema, oltre che finanziariamente dissestato, inefficace e disorganizzato, era comunque insostenibile[12]. L’impignorabilità assoluta aveva una durata annuale, ripetutamente reiterata sino a quando la Corte costituzionale[13], nel censurare i ripetuti rinvii della disciplina “temporanea”, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1, comma 51, l. n. 220/2010[14].

L’impignorabilità assoluta “temporanea”, considerato il “lieto fine” della sentenza della Corte costituzionale, sembrerebbe appartenere al passato, alla storia del diritto. In realtà non è così. Il virus Sars-CoV2, meglio noto come “Covid-19”, si è inconsapevolmente portato dietro il “virus” dell’impignorabilità a beneficio delle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche di tutto il territorio nazionale, non soltanto di quelle il cui dissesto è conclamato da un piano di rientro in accordo con lo Stato e dal conseguente commissariamento[15]. Questa disciplina, giustificata dalla pandemia, è un vero e proprio “controsenso”; anzi, un atto predatorio dello Stato che, da un lato, con i vari decreti rilancio, prevede ristori per le aziende in crisi a causa dell’emergenza sanitaria; dall’altro, manda in crisi finanziaria le aziende che operano nel campo della sanità, le quali devono farsi carico delle problematiche, sempre finanziarie, che l’emergenza sanitaria determina in capo alle aziende sanitarie e ospedaliere pubbliche[16].

L’inadempimento della p.a., unitamente a questa “odiosa” normativa di protezione, sono la ragione principale dell’intasamento dei ruoli giudiziari e, conseguentemente, della crisi della giustizia civile. A riprova di ciò, è sufficiente “affacciarsi” in un’aula in cui si tiene udienza ex art. 548 cpc[17] per rendersi conto della percentuale di cause in cui è parte debitrice la p.a.; oppure considerare gli innumerevoli arresti della Corte di cassazione sulla pignorabilità del danaro della p.a. Il che implica il contenzioso diretto all’acquisizione del titolo esecutivo, l’espropriazione presso terzi, l’opposizione all’esecuzione, poi l’appello e infine il ricorso per Cassazione, con spese legali e interessi moratori a carico del debito pubblico. 

L’assurdità di tutto ciò – giova ribadirlo – consiste nel fatto che in tale contenzioso si discute non già sulla prestazione resa dal creditore o sulla quantificazione del credito, che sono pacifici, ma soltanto sulla pignorabilità del saldo attivo del conto corrente presso la banca tesoriere/cassiere. 

Ma non è tutto. L’inadempimento della p.a. implica un innumerevole contenzioso indiretto. Infatti, il creditore/fornitore della p.a., oltre a dover sostenere i costi dell’inevitabile contenzioso conseguente al mancato pagamento e alla impignorabilità, il più delle volte è, a sua volta, inadempiente verso i propri creditori e così via. 

Giova comunque considerare che il PNRR (pp. 44 ss.) pone tra gli obiettivi primari la riforma della p.a., collocata prima della riforma della giustizia.

 

6. La riforma del processo esecutivo che si preannuncia. La delega al Governo

Il ddl delega dedica al processo esecutivo l’art. 10, in virtù del quale il legislatore delegato deve prevedere: 

a) l’abolizione della formula esecutiva e della spedizione in forma esecutiva. Ai sensi dell’art. 475 cpc, le sentenze e gli altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, devono essere muniti della formula esecutiva, mediante la spedizione in forma esecutiva. La riforma prevede l’abrogazione di tale formalità, ritenendo sufficiente la sola attestazione di conformità all’originale. Del resto, la natura di titolo esecutivo è conferita all’atto dalla legge, non certamente dalla formula esecutiva. Infatti, la giurisprudenza di legittimità ha sempre differenziato la fattispecie in cui l’atto costituisce ex lege titolo esecutivo, ma sia privo della formula esecutiva, da quella in cui l’atto non costituisce ex lege titolo esecutivo, ma, semmai, sia munito della formula esecutiva. Nel primo caso, il vizio meramente formale è censurabile dal debitore con l’opposizione agli atti esecutivi; nel secondo caso, invece, il vizio determina una grave illegittimità sostanziale censurabile, quindi, con l’opposizione all’esecuzione. Addirittura, nell’ipotesi del vizio formale, la Cassazione recentemente, con un intervento nomofilattico ai sensi dell’art. 363, comma 3, cpc, pur illustrando l’utilità dell’istituto della formula esecutiva e della spedizione in forma esecutiva, ha subordinato la legittimazione all’opposizione agli atti esecutivi alla sussistenza del concreto interesse dell’opponente debitore a promuoverla[18]. In tale contesto, considerando anche la legittimazione del debitore a proporre opposizione al precetto (qualora l’atto presupposto dell’esecuzione non costituisca titolo esecutivo) e a chiedere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (ma in realtà, in questo caso, del precetto)[19], si può serenamente dedurre che, dopo l’entrata in vigore della riforma, non si sentirà affatto il “vuoto” per l’abrogazione della formula esecutiva e della spedizione in forma esecutiva. Il legislatore ha dato prevalenza alla sostanza sulla forma; 

b) nel caso in cui venga disposta la ricerca dei beni del debitore in modalità telematica, la sospensione del termine di efficacia del precetto sino alla conclusione di detta ricerca. C’è poco da commentare per questa necessaria previsione. Oggi, poiché, salvo il caso di pericolo del ritardo, il creditore può avviare l’iter disciplinato dall’art. 492-bis cpc non solo dopo la notificazione del precetto, ma addirittura dopo la scadenza del termine dilatorio di dieci giorni previsto dall’art. 482 cpc, accade frequentemente che l’ufficiale giudiziario non riesca ad ottenere le informazioni (soprattutto dall’amministrazione finanziaria) in tempo utile per evitare la decorrenza del termine di efficacia del precetto. Tanto che alcuni hanno anche sostenuto che la semplice istanza al presidente del tribunale proposta dal creditore costituisca inizio dell’espropriazione forzata[20];

c) l’anticipazione del termine per il deposito delle certificazioni ipocatastali parificato al termine per proporre l’istanza di vendita. In questa previsione fa capolino il “fattore tempo”. Il termine per il deposito delle certificazioni ipocatastali oggi è di sessanta giorni, salvo proroga di ulteriori sessanta giorni, decorrenti dalla proposizione dell’istanza di vendita; dopo l’entrata in vigore della riforma, sarà di quarantacinque giorni, salvo proroga di ulteriori quarantacinque giorni decorrenti non più dalla proposizione dell’istanza di vendita, bensì dal pignoramento. Considerato quanto rilevato in precedenza a proposito dell’incidenza sulla durata del processo del “fattore tempo” del giudice più che delle regole giuridiche, è assai probabile che questa ulteriore riduzione dei termini rischi di creare disagi al creditore procedente in caso di espropriazione immobiliare complessa con innumerevoli particelle catastali (ossia immobili) da ricostruire nel tempo, senza ridurre significativamente i tempi del processo; e ciò nonostante la completa informatizzazione degli uffici amministrativi. Infatti, l’impegno del giudice non cambia. Se la fissazione dell’udienza per l’autorizzazione alla vendita è condizionata, nonostante il termine posto dall’art. 569, comma 1, cpc, al ruolo e al carico di lavoro del giudice, è assai improbabile che tale modifica possa anticiparne la data; 

d) la collaborazione tra il custode nominato ai sensi dell’art. 559 cpc e l’esperto nominato ai sensi dell’art. 569 cpc sull’attività di controllo della documentazione di cui all’art. 567 cpc. Introduzione opportuna per l’approfondita “lettura” della documentazione di cui all’art. 567 cpc, considerando le diverse professionalità delle due figure: avvocato, commercialista o notaio il custode (che, solitamente, in seguito è nominato delegato alla vendita), ingegnere o architetto l’esperto;

e) l’anticipazione, in sostituzione del debitore nominato custode al momento del pignoramento, della nomina del custode giudiziario entro 15 giorni dal deposito dei documenti indicati dall’art. 567 cpc, unitamente alla nomina dell’esperto per la valutazione dell’immobile. Questa previsione, oltre a coordinarsi con quella della lettera precedente, trasforma in regola giuridica una prassi oramai molto diffusa nei tribunali, ossia quella di nominare il custode giudiziario (a cui successivamente, semmai, affidare anche la delega alla vendita) con lo stesso provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione nomina, ai sensi dell’art. 569, comma 1, cpc, l’esperto per la valutazione dell’immobile. Peraltro, l’anticipazione di tale nomina, sempre che il valore dell’immobile giustifichi tali costi, pone chiarezza in una disciplina (art. 559 cpc) alquanto contorta. Il custode è, come è facile intuire, il vero amministratore dell’azienda che svolge l’attività economica di trasformazione del bene in danaro, per quanto attiene sia ai frutti prodotti dal bene durante l’espropriazione forzata destinati anch’essi ai creditori, sia al corrispettivo (o prezzo di aggiudicazione) della vendita. Pertanto, è inopportuno che tale attività venga svolta dal debitore, il quale è pur vero che astrattamente ha un interesse economico coincidente con quello dei creditori, e quindi della procedura, ma concretamente ha quasi sempre un interesse contrario. Altro discorso è per l’interesse sociale – anch’esso tutelato – del debitore ad occupare, sino al trasferimento, l’immobile adibito a casa di abitazione sua e della sua famiglia di cui si occupa la successiva previsione;

f) la liberazione dell’immobile non abitato dal debitore od occupato senza titolo, al più tardi, al momento dell’autorizzazione alla vendita o della delega delle operazioni di vendita, e dell’immobile abitato dal debitore e dal suo nucleo familiare al momento dell’aggiudicazione, salvo che il medesimo compia attività ostruzionistiche e non collaborative con il custode o il delegato alla vendita. Ancora una volta, il legislatore interviene sull’art. 560 cpc. Come si è detto in precedenza, l’espropriazione immobiliare vive una profonda crisi sociale determinata dal numero delle procedure che attingono gli immobili adibiti a casa di abitazione del debitore e del suo nucleo familiare[21]. Per cui, da un lato, vi è l’esigenza “economica” di vendere un immobile “libero”, certamente più appetibile per il mercato di un immobile “occupato”; dall’altro, quella di consentire al debitore di abitare con la sua famiglia l’immobile il più a lungo possibile, sempre che il medesimo sia collaborativo con il custode e/o il professionista delegato alla vendita. Di qui le ripetute modifiche apportate all’art. 560 cpc, in cui si sono alternate le due anime, quella più “economista” e quella più “sociale”, che hanno prodotto una norma caotica. La modifica, oltre a mettere un punto fermo a un principio già acquisito nella disciplina positiva, ha la funzione di mettere ordine nella disciplina contenuta nell’art. 560 cpc;

g) l’introduzione di schemi standardizzati per la redazione della relazione di stima e degli avvisi di vendita. La funzione di tale previsione è, ovviamente, quella di rispettare una elementare regola di mercato: uniformare e, soprattutto, semplificare, per l’agevole lettura e comprensione degli interessati all’acquisto, la redazione dei due atti fondamentali per la vendita del bene oggetto di espropriazione;

h) l’attuazione da parte del custode del provvedimento di liberazione dell’immobile pignorato nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario. Attualmente l’art. 560, comma 6, cpc prevede che il custode, senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. cpc, attui l’ordine di liberazione dell’immobile dopo il decreto di trasferimento, non precedentemente liberato, solo se richiesto dall’aggiudicatario; dopo l’entrata in vigore della riforma, il custode deve attuare l’ordine di liberazione in ogni caso, salvo che l’aggiudicatario o l’assegnatario lo esentino; 

i) la fissazione del termine di un anno per la delega delle operazioni di vendita, entro il quale il delegato deve compiere almeno tre tentativi e relazionare tempestivamente sull’esito di ciascuno di essi, nonché l’introduzione dell’obbligo per il giudice di sostituzione del professionista delegato in caso di mancato o tardivo adempimento. Attualmente il termine, prorogabile, per la delega delle operazioni di vendita è deciso dal giudice dell’esecuzione. La modifica prevede non solo che tale termine sia di un anno, ma anche che in tale anno il professionista debba espletare almeno tre tentativi. È una disposizione che mira a incidere non soltanto sul “fattore tempo”, ma anche sulla dedizione dei professionisti all’incarico ricevuto dal giudice dell’esecuzione. La riforma prevede «che il giudice dell’esecuzione debba esercitare una diligente vigilanza sull’esecuzione delle attività delegate e sul rispetto dei tempi». Non si comprende quale sia la novità/modifica. Infatti, il giudice dell’esecuzione oggi è dotato di tale potere/dovere di vigilanza sull’attività del professionista delegato. Per cui questa previsione appare più una raccomandazione/auspicio ai giudici dell’esecuzione che un delega al governo;

j) la fissazione del termine di venti giorni per proporre reclamo al giudice dell’esecuzione avverso gli atti del professionista e l’assoggettamento del provvedimento conseguente all’opposizione agli atti. Questa previsione cerca di mettere un po’ di ordine e razionalità all’art. 591-ter cpc, che tra l’altro prevede anche il reclamo al giudice dell’esecuzione avverso il decreto dello stesso giudice dell’esecuzione. La disciplina attuale, nel caso in cui sorgano questioni nel corso delle operazioni di vendita dinnanzi al professionista delegato, prevede due ipotesi. Il professionista delegato può rimettere la risoluzione delle questioni insorte direttamente al giudice dell’esecuzione, che decide con decreto, o deciderla lui direttamente. Il decreto del giudice dell’esecuzione (nella prima ipotesi) e il provvedimento del professionista (nella seconda ipotesi) sono reclamabili innanzi al giudice dell’esecuzione. Per questo reclamo non è previsto alcun termine per la proponibilità. Il giudice dell’esecuzione decide con ordinanza reclamabile al collegio ai sensi dell’art. 696-terdecies cpc. Prima della modifica apportata dal dl n. 83/2015, il provvedimento del giudice dell’esecuzione era assoggettato ad opposizione agli atti esecutivi. In realtà, ciò si deduceva da un inciso alquanto singolare e bislacco: «restano ferme le disposizioni di cui all’art. 617». Letta al contrario, questa norma sembrerebbe preoccuparsi della circostanza che, “solitamente”, le disposizioni di cui all’art 617 cpc “si possano “muovere”. La Cassazione ritiene, anche alla luce della modifica introdotta nel 2015 e della mancanza di un termine per il primo reclamo, che i provvedimenti del giudice dell’esecuzione prima e, in sede di reclamo, del collegio dopo siano meramente ordinatori e non suscettibili di “stabilità”; conseguentemente il provvedimento del collegio pronunciato in sede di reclamo non è ricorribile ai sensi dell’art. 111 Cost.[22]. Il legislatore, con la riforma, proprio per dare “stabilità” soprattutto all’aggiudicazione e al decreto di trasferimento, da un lato pone alle parti e agli interessati il termine di venti giorni per impugnare innanzi al giudice dell’esecuzione l’atto del professionista delegato, dall’altro ripristina la disciplina ante 2015, assoggettando il provvedimento conseguente all’opposizione agli atti e, dunque, al successivo controllo della Corte suprema. In tale contesto, ha anche assoggettato direttamente all’opposizione agli atti il provvedimento del giudice dell’esecuzione pronunciato sulla questione rimessagli dal professionista delegato, eliminando così il singolare (primo) reclamo allo stesso giudice;

k) la disciplina specifica per l’affidamento in via esclusiva al professionista delegato del progetto di distribuzione e delle attività conseguenti. La disciplina attuale prevede una sorta di collaborazione tra giudice dell’esecuzione e professionista delegato nell’attività di formazione del progetto e nelle attività conseguenti, il che determina anche una certa confusione. Basti considerare che ai sensi dell’art. 596, comma 1, cpc il professionista delegato “fissa l’udienza”: «il giudice delegato o il professionista delegato (…) provvede a formare il progetto di distribuzione (…) fissando l’udienza». La riforma prevede che il professionista delegato predispone il progetto di distribuzione secondo le direttive impartite dal giudice dell’esecuzione, lo deposita in cancelleria e convoca le parti innanzi a sé per l’“audizione”, non già per l’“udienza”; se le parti non compaiono o non vi sono contestazioni (silenzio assenso), rende esecutivo il progetto e procede con i pagamenti entro sette giorni;

l) la vendita immobiliare privata. La cd. “vente privée”, ispirata al modello francese[23], ha la finalità, da un lato, di “addolcire la pillola” al debitore, dall’altro di favorire quell’avvicinamento della vendita coatta alla vendita al mercato libero gestita dallo stesso debitore, senza che ciò possa determinare ritardo nella procedura e danno ai creditori. In sintesi: il debitore può chiedere al giudice dell’esecuzione, entro dieci giorni prima della udienza di cui all’art. 569 cpc, di essere autorizzato a vendere il bene pignorato privatamente, purché il prezzo sia almeno pari al valore di stima, l’istanza sia corredata della proposta irrevocabile di acquisto e la cauzione pari almeno al 10% del prezzo proposto; deve essere data adeguata pubblicità a tale proposta, affinché altri interessati possano offrire secondo le regole ordinarie; si procede come per la vendita senza incanto, con termini più ridotti; l’attività è delegabile al professionista; l’istanza può essere proposta una sola volta. Giova rilevare che in questa ipotesi non si terrebbe l’udienza ex art. 569 cpc, che, come sappiamo, costituisce una sorta di spartiacque, per l’intervento dei creditori non titolati, per l’intervento dei creditori chirografari, per la conversione del pignoramento (che, però, è sempre una iniziativa del debitore), per le opposizioni agli atti esecutivi e (dopo la modifica del 2016) all’esecuzione. Il chiarimento di questi punti sarà compito del legislatore delegato;

m) la possibilità che la misura coercitiva indiretta sia applicata anche dal giudice dell’esecuzione e l’introduzione di «criteri per la determinazione dell’ammontare, nonché del termine di durata». La misura coercitiva indiretta è stata introdotta, come detto, con l’art. 614-bis cpc dalla l. n. 59/2009, per far fronte alla ineseguibilità delle obbligazioni infungibili. È stata estesa, dopo la modifica del 2015, a tutti i provvedimenti di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di una somma di danaro, quindi, anche agli obblighi eseguibili coattivamente in forma specifica. La misura coercitiva, pur avendo natura esecutiva, può essere pronunciata solo unitamente al provvedimento di condanna. Pertanto, qualora il titolo esecutivo sia diverso dal provvedimento di condanna (si ritiene comunque applicabile al provvedimento d’urgenza), come ad esempio nel caso del verbale di conciliazione e di qualsiasi altro titolo stragiudiziale, il creditore non potrebbe beneficiare della misura coercitiva. Prima del 2015 si poteva porre anche il problema qualora il giudice della cognizione, ritenendo l’obbligazione eseguibile, rigettasse l’istanza, mentre quello dell’esecuzione, ritenendo al contrario l’obbligazione infungibile, rigettasse la domanda esecutiva. Con la riforma il giudice dell’esecuzione potrà pronunciare la misura coercitiva vuoi quando il titolo è diverso dal provvedimento di condanna, vuoi quando la parte ha omesso (semmai dimenticandosene) di chiederla al giudice che ha pronunciato il provvedimento di condanna. Il secondo comma della norma affida al giudice la determinazione dell’ammontare della somma, che, come noto, non costituisce un risarcimento del danno, ancorché il danno quantificato o prevedibile sia uno degli elementi di cui il giudice deve tenere conto; in tale determinazione non v’è dubbio che rientri anche l’eventuale durata dell’applicazione della misura coercitiva. Orbene, la riforma dovrà introdurre criteri per la determinazione dell’ammontare e un termine di durata, cercando di ridurre la discrezionalità, oggi totale, del giudice. In realtà questi criteri predeterminati (al di là di quelli indicati nel comma 2 dell’art. 614-bis cpc) non sono stati precedentemente introdotti (anche nelle misure coercitive del tipo astreinte specifiche) forse perché, considerata la funzione (indurre il debitore allo spontaneo adempimento), la specificità del caso concreto costituisce l’aspetto, più che determinante, addirittura esclusivo per l’indicazione di ammontare e durata. Per cui è estremamente complicato, se non impossibile, ingabbiare la discrezionalità e il buon senso del giudice;

n) l’estensione delle norme in tema di “antiriciclaggio” anche alle operazioni di vendita nell’ambito di procedure esecutive individuali e concorsuali;

o) l’istituzione presso il Ministero della giustizia di banche dati necessarie per il controllo ed il monitoraggio dell’applicazione anche nell’ambito di procedure esecutive individuali e concorsuali della normativa in tema di “antiriciclaggio”. Una doverosa estensione nel mondo del “Grande Fratello”. 

 

7. (Segue) La modifica diretta

Fin qui le direttive che saranno impartite, con la legge delega, al governo. Sennonché, come detto, alcune modifiche del processo esecutivo sono contenute anche nell’art. 22 e, precisamente, ai nn. 4 e 7. La diversa collocazione è dovuta al fatto che, in questo caso, il legislatore non delega al governo, dando le direttive, ma modifica direttamente la disciplina vigente.

(i) Modifica della competenza nell’espropriazione presso terzi in danno di una p.a. (n. 4). Nell’espropriazione presso terzi, sino al 2014 la competenza era del giudice dove ha la sede/residenza/domicilio/dimora il terzo debitor debitoris. Ciò in quanto il terzo, appunto perché terzo, doveva avere il minimo disagio in conseguenza della partecipazione al processo esecutivo. Per contro, il disagio poteva determinarsi nel caso in cui il debitore avesse una pluralità di rapporti creditori sparsi in Italia e il creditore pignorasse tali plurimi crediti presso più tribunali. Per ovviare a tale inconveniente, e considerando che la sostituzione della dichiarazione in udienza del terzo con l’inoltro della dichiarazione a mezzo raccomandata/pec avesse alleggerito il disagio di questo determinato dalla partecipazione all’udienza, il legislatore, nel 2014, ha modificato il criterio di competenza fissandolo in relazione alla residenza/domicilio/dimora del debitore. Sennonché, l’inconveniente della competenza shopping è stato risolto, ma a scapito del disagio del terzo debitor debitoris, il quale, nonostante la dichiarazione inviata a mezzo pec e l’inciso inserito nel 2015 alla fine della prima parte dell’art. 549 cpc (ossia in caso di contestata dichiarazione del terzo gli accertamenti del giudice sono compiuti «nel contraddittorio tra le parti e con il terzo»), è bene che partecipi sempre all’udienza, ancorché “lontano da casa”. L’intervento del 2014 non ha modificato il criterio di competenza nel caso in cui il debitore sia una p.a. Infatti, il criterio della tesoreria unica azzera il rischio della competenza shopping. Dopo la riforma, per le procedure esecutive in cui il debitore è una p.a. sarà competente «il giudice del luogo dove ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto il creditore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede». Quindi, per il debitore p.a. la procedura esecutiva presso terzi si incardina innanzi al Tribunale del capoluogo dove il creditore ha la sede, la residenza, etc. Ciò, evidentemente, per alleggerire il ruolo delle procedure esecutive innanzi al Tribunale di Roma.

(ii) Nel pignoramento presso terzi, notificazione al debitore e al terzo, a pena di inefficacia del pignoramento, dell’avvenuta iscrizione a ruolo (n. 7). L’art. 164-ter disp. att. cpc prevede che il creditore, nel caso in cui non iscriva a ruolo entro cinque giorni dalla scadenza del termine ne deve fare comunicazione al debitore ed eventualmente al terzo con atto notificato. Ciò in quanto, giacché con la mancata iscrizione a ruolo ogni obbligo del debitore ed eventualmente del debitor debitoris cessa, quest’ultimo possa liberare le somme in favore del debitore, suo creditore, prescindendo dalla dichiarazione di estinzione del processo esecutivo. La norma, in caso di omissione da parte del creditore, non prevede alcuna sanzione. Per cui oggi si può verificare che, nel caso in cui il creditore ometta di iscrivere a ruolo nel termine per negligenza, il terzo, in assenza della notificazione, non liberi le somme pignorate senza la dichiarazione di estinzione del processo esecutivo, che, semmai, interviene dopo il secondo pignoramento del creditore. Di qui l’intervento del legislatore con l’integrazione dell’art. 543, comma 4, cpc, in virtù del quale il creditore, entro la data dell’udienza indicata nell’atto di pignoramento, ha l’onere, a pena di inefficacia del pignoramento medesimo, non solo di notificare al terzo e al debitore l’avvenuta iscrizione a ruolo, ma anche di depositare l’avviso notificato nel fascicolo. Ne consegue che, anche in caso di inottemperanza a quanto disposto dall’art. 164-ter, comma 1, disp. att. cpc, il terzo, se non riceve la notifica dell’avviso di iscrizione a ruolo quanto meno alla data di udienza, può serenamente liberare le somme. In realtà potrà accadere, soprattutto in caso di negligenza del creditore, che quest’ultimo notifichi l’avviso di avvenuta iscrizione in una determinata data, ancorché tardiva; in tale ipotesi, il terzo non può conoscere la data da cui è iniziato a decorre il termine (ossia quella in cui l’ufficiale giudiziario si è reso disponibile a restituire gli atti al creditore). Pertanto, malgrado la riforma, vi saranno casi in cui, nonostante la mancata o tardiva iscrizione a ruolo, per liberare le somme occorrerà sempre attendere la dichiarazione di estinzione da parte del giudice dell’esecuzione. 

 

8. Considerazioni conclusive

Come detto, le modifiche al processo esecutivo che il ddl delega preannuncia costituiscono degli “aggiustamenti” a una disciplina ben strutturata. Forse soltanto la vendita privata costituisce una novità significativa, salvo a verificarne successivamente la concreta applicazione, considerato il mercato immobiliare ancora particolarmente debole e che tale vendita può avvenire al prezzo almeno pari al valore dato dall’esperto. 

Le modifiche che si preannunciano sono più che apprezzabili e comunque non particolarmente invasive, anche laddove cerchino di incidere sul “fattore tempo” riducendo i termini del creditore, come nel caso del termine per il deposito della documentazione indicata dall’art. 567 cpc. 

Ad ogni modo, l’intervento del legislatore sul processo esecutivo, appunto in quanto “non epocale”, sarà di sicuro più efficace e realistico, anche perché senza alcuna grande aspettativa, di quello sul processo di cognizione.

 

 

1. Dl 14 marzo 2005, n. 35, conv. in l. 14 maggio 2005, n. 80, poi la l. correttiva del 28 dicembre 2005, n. 263 e, prima dell’entrata in vigore il 1° marzo 2006, la l. 24 febbraio 2006, n. 52, che conteneva anche – ma non solo – la riforma dell’espropriazione mobiliare.

2. Cass., sez. unite, 23 luglio 2019, n. 19889, (pres. Mammone, rel. De Stefano), in Rass. E.F., 2019, pp. 729, su iniziativa del procuratore generale ai sensi dell’art. 363, comma 1, cpc, si è pronunciata nel senso dell’ammissibilità sulla questione, fortemente dibattuta in dottrina e nella giurisprudenza di merito (non potendo le materia accedere in Cassazione), relativa all’ammissibilità del reclamo, previsto espressamente per il provvedimento sulla sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624 cpc., anche avverso quello sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto ai sensi dell’art. 615, comma 1, cpc.

3. Basti considerare gli aggiustamenti sugli effetti della sospensione del processo esecutivo in caso di mancato avvio del giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 624, comma 2, cpc e la soppressione dell’inciso finale dell’art. 616 cpc introdotto solo tre anni prima, che aveva sancito l’inappellabilità anche della sentenza di opposizione all’esecuzione ex art. 615 cpc.

4. Dl 27 giugno 2015, n. 83, conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132.

5. Peraltro, la Cassazione riteneva che fino al passaggio in giudicato della sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo, il pignoramento non poteva ritenersi perfezionato, con la conseguenza che fino a tale momento tutti i crediti maturati dal debitore nei confronti del terzo dopo la dichiarazione contestata fossero gravati dal pignoramento, fatto salvo il limite posto dall’art. 546 cpc, modificato con la l. n. 80/2005. 

6. Cfr. B. Capponi, Dieci anni di riforme sull’esecuzione forzata, par. 3, in questa Rivista trimestrale, n. 4/2015, www.questionegiustizia.it/rivista/articolo/dieci-anni-di-riforme-sull-esecuzione-forzata_292.php.

7. Dl 12 settembre 2014, n. 132, conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162.

8. Dl 3 maggio 2016, n. 59, conv. in l. 30 giugno 2016, n. 119.

9. Art. 11, comma 1, dl 18 gennaio 1993, n. 8, conv. in l. 19 marzo 1993, n. 68, poi confluito nell’art. 159 Tuel, approvato con d.lgs 18 agosto 2000, n. 267. Lo stesso dl 18 gennaio 1993, n. 8, con l’art. 21, ha istituito la procedura di dissesto degli enti territoriali, mentre con gli artt. 242 ss. d.lgs 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico sugli enti locali) ha disciplinato tale procedura di dissesto.

10. Art. 1, comma 5, dl 18 gennaio 1993, n. 9, conv. in l. 18 marzo 1993, n. 67.

11. Per le quali la legge finanziaria del 2005 (approvata con l. 30 dicembre 2004, n. 311), all’art. 1, comma 180, aveva previsto che «La regione interessata, nelle ipotesi indicate ai commi 174 e 176, anche avvalendosi del supporto tecnico dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, procede ad una ricognizione delle cause ed elabora un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio. I Ministri della salute e dell’economia e delle finanze e la singola regione stipulano apposito accordo che individui gli interventi necessari per il perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza e degli adempimenti di cui alla intesa prevista dal comma 173. La sottoscrizione dell’accordo è condizione necessaria per la riattribuzione alla regione interessata del maggiore finanziamento anche in maniera parziale e graduale, subordinatamente alla verifica della effettiva attuazione del programma».

12. Da alcune notizie di stampa risulterebbe che la confusione creata dalle migliaia di pignoramenti pendenti in danno della Asl napoletana aveva mandato in “tilt” il sistema dei controlli, con la conseguenza che, talvolta, il creditore pignorante, intervenendo con lo stesso titolo esecutivo anche nelle procedure da altri promosse, era pagato più volte.

13. Corte cost., 12 luglio 2013, n. 186, in Giust. civ., 2013, I, p. 2284.

14. Su tale questioni vds. il mio Pubblica amministrazione e crisi della giustizia civile, in D. Dalfino e A.D. De Santis (a cura di), L’esecuzione forzata nei confronti della pubblica amministrazione, Giuffrè, Milano, 2021, pp. 3 ss.

15. L’impignorabilità assoluta è sancita dall’art. 117, comma 4, dl 19 maggio 2020, n. 34, conv. in l. 17 luglio 2020, n. 77 sino al 31 dicembre 2020; termine prorogato al 31 dicembre 2021 dall’art. 3, comma 8, dl 31 dicembre 2020, n. 183. 

16. Trib. Napoli, 20 dicembre 2020, giud. Colandrea, in questa Rivista online, 28 gennaio 2021, con nota di G. Cataldi, Alla Corte costituzionale l’improcedibilità delle azioni esecutive contro enti del S.S.N., (www.questionegiustizia.it/articolo/alla-corte-costituzionale-l-improcedibilita-delle-azioni-esecutive-contro-enti-del-s-s-n), ha rimesso la questione alla Corte costituzionale.

17. La l. 29 ottobre 1984, n. 720, concludendo un lungo iter normativo, ha istituito il sistema di tesoreria unica; inoltre l’art. 1-bis della medesima legge, con le modifiche introdotte dal dl 31 agosto 1987, n. 359, conv. in l. 29 ottobre 1987, n. 440 e dal dl 18 gennaio 1993, n. 8, conv. in l. 19 marzo 1993, n. 68, ha sancito che i pignoramenti e i sequestri in danno degli enti od organismi pubblici si eseguono nelle forme del pignoramento o sequestro presso terzi, con atto notificato, oltre che all’ente od organismo debitore, all’azienda o istituto cassiere o tesoriere di quest’ultimo. Ne consegue che sono pignorabili in danno del soggetto pubblico (ente od organismo) soltanto i crediti da questo vantati nei confronti della banca cassiere o tesoriere.

18. Cass., 12 febbraio 2019, n. 3967. V.F. Auletta, Sulla dubbia «opportunità» e i limiti certi della pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. («ovvero quali siano le conseguenze della mancata apposizione della formula esecutiva sul titolo notificato al debitore»), in Judicium on line, 8 luglio 2019; S. Rusciano - F. Auletta - B. Capponi - M. Farina, A più voci sui principi di diritto pronunciati d’ufficio in tema di spedizione in forma esecutiva e interesse all’opposizione, in Rass. E.F., 2019, pp. 397 ss.

19. A. Tedoldi, Gli emendamenti in materia di esecuzione forzata al d.d.l. delega AS 1662/XVIII, in Giustizia insieme, 23 giugno 2021. 

20. D. Longo, La ricerca telematica dei beni da pignorare e l’efficacia nel tempo dell’atto di precetto, in Riv. dir. proc., n. 2/2016, pp. 454 ss., part. pp. 458 ss.

21. L’art. 54-ter dl 17 marzo 2020, n. 18, convertito in l. 24 aprile 2020, n.27, in considerazione dell’emergenza sanitaria tutt’ora in corso, aveva sospeso le procedure espropriative immobiliari aventi ad oggetto la casa principale del debitore. Questa disposizione era stata prorogata sino al 30 giugno 2021 dall’art. 13, comma 14, dl 31 dicembre 2020, n. 180 (cd. “milleproroghe”), convertito in l. 26 febbraio 2021, n. 21, dichiarato incostituzionale da Corte cost., 22 giugno 2021, n. 128.

22. Cass., 9 maggio 2019, n. 12238, in Rass. E.F., 2019, p. 1179, con nota di M.L. Guarnieri, L’ordinanza collegiale emessa a norma dell’art. 591 ter c.p.c. e la sua impugnabilità.

23. Vds. A. Tedoldi, Gli emendamenti, op. cit., par. 10.