Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Dialogando con Questione Giustizia sulle REMS

di Pietro Pellegrini
Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

Lettera di uno psichiatra, convitato di pietra nel dibattito sulle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS)

Gentile Direttore,

ho letto con molto interesse su Questione Giustizia i recenti interventi dell’avvocato Antonella Calcaterra e dei magistrati Beatrice Secchi e Marco Patarnello relativi ai pazienti psichiatrici autori di reato e alle Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS). Mi permetto di scriverLe perché ho l’impressione che lo psichiatra sia un convitato di pietra nel dibattito. Questo tende a svilupparsi negli ambiti disciplinari ma, a mio avviso, sarebbe necessario e fecondo un confronto tra competenze e professioni diverse.

L’applicazione della legge 81/2014 richiede una proficua collaborazione interistituzionale, per altro sollecitata da Consiglio Superiore della Magistratura, Comitato Nazionale per la Bioetica e dalla Corte Costituzionale. Devono interagire sistemi molto complessi e spesso reciprocamente poco noti. Accomuna tutti l’essere al servizio del sistema pubblico e ciò, oltre alla leale collaborazione rende necessario un utilizzo appropriato, efficace ed efficiente delle risorse messe a disposizione dalle Istituzioni e in ultima analisi dai cittadini.

L’esperienza di questi ormai 8 anni ha dimostrato che si può fare a meno degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG).  Questi sono stati chiusi ma sono realmente scomparsi dalle rappresentazioni mentali? Persiste l’idea di un luogo dal quale non si possa fuggire per curare le persone con disturbi mentali, specie se disturbanti? Dove l’accoglienza sia immediata e senza condizioni, se non quelle giuridiche?

Quel luogo in Italia esiste? Non è l’istituto di pena dove c’è sempre posto anche in sovrannumero? Sono le REMS, aumentate di numero e posti, regionali o nazionali? Devono organizzarsi i Dipartimenti di Salute Mentale (DSM)? Vi è nostalgia dell’OPG? Ci siamo dimenticati in che condizioni fossero, che Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano li definì “indegni di un paese appena civile”?

Insieme alla soddisfazione per un risultato storico, chiudere gli OPG non era né facile né scontato, si registrano anche le difficoltà e le critiche di magistrati, avvocati, amministrazione penitenziaria e della stessa psichiatria per liste di attesa, situazione detentiva, carico crescente dei servizi territoriali. La riforma è incompleta e il nuovo sistema ancora acerbo.  In quale direzione si sta andando?

Per la Corte Costituzionale con la sentenza 22/2022, le misure di sicurezza detentive hanno natura “ancipite” e, contemporaneamente, vedono la persona privata della libertà e obbligata coercitivamente alle cure. Tuttavia precisa che sia la privazione della libertà sia la cura obbligatoria e coattiva debbono essere regolate dalla legge che definisca “modi” e “casi”.  In attesa di quanto deciderà il legislatore, appare tuttavia chiaro che la via individuata dalla Corte Costituzionale, richiede una riforma del sistema di cura per le persone con disturbi mentali autrici di reato in quanto i DSM sono inadeguati e impreparati a svolgere nel lungo termine funzioni di custodia e coercizione alle cure. Dovrebbero essere create nuove strutture (simil-OPG?) il che potrebbe aprire la via ad una grande nuova istituzionalizzazione non solo dei pazienti psichiatrici autori di reato ma anche di tutti gli altri. Si realizzerebbe di fatto un ritorno alla legge 36/1904 che d’altra parte è in armonia con il Codice Rocco.

Sarebbe una soluzione sbagliata, costosa e dannosa. Al contrario la nuova legislazione dovrebbe cambiare il codice penale del 1930 relativamente ad imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza superando il “doppio binario”.

In attesa di nuove leggi, fin da subito, nelle prassi si dovrebbe riconoscere dignità e autonomia da un lato alla misura giudiziaria e dall’altro alla cura, ispirata all’art. 32 della Costituzione e alle leggi 180/1978, 18/2009 (diritti delle persone con disabilità) e 219/2017 (consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento).

La moderna terapia dei disturbi mentali prevede il passaggio dall’approccio riduzionista biologico e psicofarmacologico a quello biopsicosociale, ambientale e culturale, fondato sulle relazioni e i diritti/doveri e orientato alla recovery. Un sistema basato su intensità di cura e specializzazione che fa riferimento al modello olistico di salute (One health). Percorsi e progetti da costruire insieme e non posti dove collocare e chiudere le persone.

Occorre tenere conto che la cura non s’impone coercitivamente se non per brevi periodi. La terapia richiede consenso, partecipazione, responsabilità, motivazione (“nulla su di me senza di me”). Deve essere libera anche per chi è sottoposto a misure giudiziarie.    

Va precisato quali contenuti debbano avere le misure di sicurezza e come assicurarne l’esecuzione. Per questo non servono strutture dedicate in modo esclusivo. Occorre prendere atto che le leggi 9/2012 e 81/2014 nell’affidare la gestione delle REMS (residuali e temporanee) ai sanitari, hanno profondamente cambiato paradigma facendo prevalere il mandato di cura ponendo al centro del sistema i Dipartimenti di Salute Mentale. I principi di territorialità, di numero chiuso, di assenza di coercizione si sono affermati ed è possibile andare oltre le REMS. La privazione della libertà è un rischio per la salute ed oggi sappiamo che cura e misure giudiziarie possono essere realizzate in modo diverso, più responsabilizzante ed efficace.

Veniamo all’oggi e andiamo al cuore del disagio. Nelle prassi quotidiane constato che misure di sicurezza detentive e detenzione sono considerate identiche. Ma non si tratta di due misure diverse? Ciò è rilevante ai fini della loro applicazione e gestione delle violazioni. La psichiatria dell’obbedienza giudiziaria non è efficace ma formale e difensiva. Né è utile una “giustizia terapeutica”. Sono l’autonomia e la dialettica che rendono proficua l’azione di entrambi gli ambiti.

Se per il soggetto altamente pericoloso socialmente è necessaria la custodia, la privazione della libertà a chi fare riferimento? La REMS? L’Istituto di Pena e le Articolazioni Tutela Salute Mentale? Quindi mi permetto di suggerire di procedere con molta cautela e con i necessari contatti con i DSM, valutando necessità di cura e di custodia prima di adottare provvedimenti che rendano la persona incompatibile con la detenzione. Evitando di collocarla, per mere esigenze custodiali, magari piantonata in un servizio per l’emergenza-urgenza.

Nel territorio, ai Centri di Salute Mentale, vengono “affidate” persone con misure giudiziarie (sono stimate in circa 6 mila), con ambigue aspettative, di cura e controllo dimenticando che la cura non è una mera prescrizione e collocazione in un luogo sanitario ma è un percorso, che la persona deve scegliere, accettare, costruire.

Specie quando si tratta di consentire al terapeuta, di agire sul corpo e ancor più di entrare nel proprio mondo interno, nell’intimità dei vissuti, di prendere contatto con parti di sé sconosciute, magari inquietanti. Occorre cercare di comprendere e tollerare il dolore mentale sapendo che la sua cura implica sofferenze, rischi, incertezze.  Affrontare le condizioni come l’abuso di sostanze e le dipendenze richiede motivazione senza la quale nessuna terapia è possibile. Spesso molta parte del percorso è costituito dalla costruzione, lenta, incerta e faticosa di una motivazione al cambiamento. Su questa base relazionale si possono costruire i Piani Terapeutico Riabilitativi Individuali (PTRI). Le concezioni di rischio/beneficio, di sicurezza/violazioni e ricomposizioni del rapporto di cura trovano una chiave di lettura molto diversa in psichiatria rispetto a quella in uso nella giustizia e negli Istituti di Pena.

Certi tratti e comportamenti, come nei disturbi gravi della personalità e la psicopatia, possono beneficiare di approcci terapeutici e psicosociali che hanno bisogno di tempo e non possono prescindere dalla collaborazione e dalla responsabilizzazione della persona. La via della non imputabilità, ampliata dalla sentenza Raso e perseguita da molti legali, sta indirizzando in psichiatria, persone mal tollerate nelle carceri, ma spesso non idonei per le REMS. Sul piano terapeutico vi è la necessità di percorsi innovativi, secondo indirizzi tecnici precisi (mentalizzazione, terapia incentrata sul transfert, Terapia dialettico comportamentale, Modello ecclettico) e non necessariamente residenziali. A volte sono molto più efficaci percorsi territoriali e domiciliari.

Il campo della psichiatria ha elementi di fondo fortemente resistenti ad ogni norma e imposizione. E’ questa una realtà fattuale che nessuna legge, sentenza può superare. Questa radicalità non può quindi essere rimossa, né aggirata facendo pensare alla custodia come forma di cura. Si tratta invece di affrontarla, nella sua profonda componente umana, tenendo conto che la persona ancor più se malata di mente, ha bisogno della parola della legge, di un rapporto diretto con il giudice per quanto ha fatto, di una relazione con la giustizia non mediata da altri, ma adeguatamente supportata dagli avvocati.

Contemporaneamente ha i bisogni di tutte le persone: identità, un luogo dove abitare, relazioni, affettività, sessualità, formazione-lavoro, casa e reddito. La persona deve avere diritti e doveri. Psichiatria e giustizia sono spesso il terminale di conflitti familiari, contraddizioni sociali, povertà, solitudine e abbandono. Storie che spesso vengono da lontano, da generazioni, dall’infanzia fatta di povertà e talora traumi e migrazioni.

Sono temi cruciali per la cura ma anche per ogni percorso di rieducazione, reinserimento sociale e prevenzione di nuovi reati. E’ questo il terreno di una nuova alleanza forte tra psichiatria e magistratura: i diritti/doveri e la motivazione al cambiamento come elementi centrali nei percorsi.

Quindi dobbiamo andare oltre situazioni nelle quali la misura giudiziaria si appiattisce su un programma di cura o nelle quali l’assegnazione alle REMS avviene per mere ragioni di custodia. Ciò stride fortemente con il mandato sanitario, e se dovesse prevalere la logica custodiale ciò finirà con il trasformarle in pericolosi e inaccettabili mini-OPG, facendo perdere ogni senso e competenza alla gestione sanitaria. Invece una giustizia che sa parlare alle persone, alle famiglie, alle vittime, al sociale, ai comuni, alla Comunità, può trovare sostegno nelle diverse forme associative, nei pazienti e loro famiglie, nonché nei Garanti.

Comprendo le difficoltà della magistratura di fronte alla persona con disturbi mentali, alla difficoltà di costruire soluzioni appropriate, tenendo conto di interessi contrastanti, compresa la tutela della comunità.

Mi addolora quando sento avvocati che non hanno risposte dai DSM per persone malate ingiustamente detenute. Ho sofferto nell’ascoltare pazienti abbandonati, difesi in modo approssimativo, angosciati per risposte che non arrivano…. Un clima kafkiano che agisce pericolosamente su menti sofferenti.

Ho la prova invece che tramite la conoscenza e il dialogo si possono costruire le soluzioni molto valide. Ogni sistema ha le sue regole e limiti. Questi possono diventare punti di partenza per evitare liste di attesa, costruire percorsi alternativi, affrontare le detenzioni “sine titulo” mediante una migliore concertazione dei tempi dei provvedimenti, ad esempio quando vengono applicate misure detentive provvisorie in sostituzione dell’arresto.  

Il progressivo utilizzo dei servizi dei DSM, in particolare delle Residenze, da parte di pazienti con misure giudiziarie, spesso di lungo termine, o prorogate sine die sta ponendo con forza il tema delle risorse umane e dei finanziamenti dei DSM come per altro ha segnalato la Corte Costituzionale con la sentenza n 22/2022.  Occorrono percorsi personalizzati in grado di coinvolgere tutti i soggetti sociali per costruire salute e benessere di comunità. Gli psichiatri, in qualità di periti e consulenti, possano con i DSM essere utili ai magistrati. Tutti insieme si possono servire meglio i cittadini. In questo spirito ai professionisti impegnati in questi difficili percorsi giudiziari e di cura va riconosciuta la complessità del compito e quindi va superata la “posizione di garanzia.”

Una consensus conference potrebbe identificare e promuovere le buone pratiche e la formazione congiunta.

Pietro Pellegrini, Direttore Dipartimento Assistenziale Integrato Salute Mentale Dipendenze Patologiche Ausl di Parma

22/02/2023
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