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Politica, giustizia e dibattito sullo statuto del Pubblico Ministero in Francia e in Italia

presentazione e traduzione dell'articolo di Rémy Heitz "La confiance dans la justice est un pilier pour les jours de tempête" a cura di Edmondo Bruti Liberati **
già procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

Edmondo Bruti Liberati introduce uno scritto di Rémy Heitz, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, apparso su Le Monde il 12 aprile 2025 e riflette sul ruolo e sulla configurazione istituzionale del pubblico ministero in Italia e in Francia

Il Tribunale di Parigi con sentenza del 31 marzo 2025 ha condannato Marine Le Pen, leader del partito Rassemblement National, per peculato per distrazione alla pena di quattro anni di reclusione, di cui due condizionalmente sospesi e gli altri due eseguibili con la misura alternativa al carcere del braccialetto elettronico. E’ stata altresì disposta la ineleggibilità a cariche pubbliche per cinque anni, pena accessoria questa dichiarata immediatamente eseguibile, anche in pendenza dell’appello preannunciato dalla difesa.

Nel dibattito che si è aperto in Francia è intervenuto su Le Monde il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Rémy Heitz. Si tratta di un contributo di particolare rilievo, per l’autorevolezza dell’A. e per gli spunti di riflessione che offre sia sul rapporto politica/giustizia sia su ruolo e statuto del pubblico ministero.

Quando la giustizia è “bersaglio di attacchi di inedita intensità” si rammenta che “non ci può essere democrazia senza giustizia indipendente, né autorità giudiziaria senza la fiducia del popolo, nel cui nome è resa giustizia. Minare questa fiducia significa attaccare al cuore il patto democratico e indebolire la società nel suo insieme”. Le espressioni con cui si apre l’intervento del Procuratore Generale francese sono del tutto pertinenti anche nella situazione del nostro paese. Non meno interessanti le riflessioni sullo statuto del pubblico ministero, questione oggetto di dibattito in Francia come in Italia ed in realtà in tutti gli ordinamenti democratici[1].

 In Francia il pubblico ministero non può più essere inteso nei termini del titolo VIII della legge 24 agosto 1790 come agent du pouvoir exécutif auprès des tribunaux, ma rimane una struttura gerarchica che vede al vertice il Ministro della Giustizia. 

Quello che in Francia viene chiamato le cordon ombylical tra Ministro della Giustizia e magistratura del pubblico ministero, non è stato troncato, nonostante una serie di riforme abbiano delimitato fortemente la possibilità di influenza del governo sul pubblico ministero attraverso le direttive impartite ai Procuratori Generali presso le Corti di Appello e diffuse per via gerarchica. La possibilità per il Ministro di impartire direttive sui singoli casi è stata dapprima assoggetta alla forma scritta, con atto che deve essere inserito nel fascicolo; successivamente ammessa solo come indicazione in positivo sul procedere, ma non come prescrizione di non procedere (in regime di discrezionalità dell’azione penale); infine con legge del 25 luglio 2013 preclusa con riferimento al singolo caso e mantenuta solo come direttiva di carattere generale sulla politica penale.

Tuttavia lo statuto di indipendenza del pubblico ministero rimane meno garantito rispetto a quello dei giudici. Attualmente il Consiglio Superiore della Magistratura francese è competente per le nomine per gli incarichi direttivi giudicanti, mentre per gli incarichi direttivi dei pubblici ministeri emette solo un parere, obbligatorio, ma non vincolante, sulla proposta avanzata dal Ministro. Occorre rammentare che, fino a non molti anni addietro, la nomina dei Procuratori Generali presso le Corti di Appello era deliberata direttamente in Consiglio dei Ministri. Il P. G. Heinz richiama la prassi, seguita ormai da quindici anni dai vari governi che si sono succeduti, di adeguarsi, per le nomine, al parere del Csm, ma sottolinea che le prassi possono sempre mutare e questa sola possibilità genera sfiducia. Anche per quanto riguarda la giustizia disciplinare, attualmente il Csm decide per i giudici, ma per il Pm emette una proposta diretta al Ministro, che è competente per la decisione.

 Per due volte nel 1998 e nel 2016, lo ricorda il P.G., il Parlamento ha votato una riforma che allinea su questi due aspetti, competenza per la nomina agli incarichi direttivi e sistema disciplinare, lo statuto del Pm a quello del giudice. Ma la riforma votata dalla Assemblea Nazionale non è stata mai sottoposta al Congresso, il quale, formato dalle due Camere del Parlamento riunite Assemblea Nazionale e Senato, è competente per l’approvazione delle riforme costituzionali. L’auspicio oggi espresso con forza dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione si inserisce in una linea costante: nello stesso senso erano intervenuti sempre sul quotidiano Le Monde il 2 settembre 2020 François Molins, all’epoca procuratore generale presso la Corte di Cassazione e il suo predecessore Jean- Louis Nadal[2].

Si è fatto riferimento più sopra alla modifica legislativa del 2013. Per le analogie con questioni oggetto di dibattito nel nostro paese si ritiene utile riportarne alcune disposizioni in traduzione italiana. 

«Legge n° 2013-669 del 25 luglio 2013 relativa alle attribuzioni del Guardasigilli e dei magistrati del pubblico ministero in materia di politica penale e dell’esercizio dell’azione penale. 
Art.1
L'articolo 30 del codice di procedura penale è così modificato:
"Art. 30 - Il Ministro della Giustizia applica la politica penale determinata dal Governo. Ne assicura la coerenza dell’applicazione nel territorio della Repubblica. 
A tal fine, egli indirizza istruzioni generali ai magistrati del pubblico ministero. 
Non può dare alcuna direttiva su casi individuali. 
Ogni anno pubblica un Rapporto sull'applicazione della politica penale stabilita dal Governo, specificando le condizioni dell'attuazione di tale politica e le istruzioni generali emanate ai sensi del secondo comma. La relazione è trasmessa al Parlamento. Può dar luogo a un dibattito all'Assemblea nazionale e al Senato”.

Art. 3
All’articolo 31 del medesimo Codice sono aggiunte le parole: "nel rispetto del principio di imparzialità cui è tenuto"». [A seguito dell’emendamento aggiuntivo il testo dell’art. 31 del Codice di procedura penale ora dispone: «Il pubblico ministero esercita l’azione penale e assicura l’applicazione della legge, nel rispetto del principio di imparzialità a cui è tenuto»].

Entrambe le innovazioni francesi ci rimandano a questioni dibattute anche nel nostro paese. In Francia le direttive di politica penale del Governo tradotte dal Ministro della Giustizia in “istruzioni generali” indirizzate ai Procuratori generali si inseriscono in un sistema che prevede la discrezionalità dell’azione penale.  Nel nostro sistema vigente il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale il dibattito da tempo si è appuntato sui “criteri di priorità” adottati dalle Procure. Dopo diverse proposte legislative, un punto fermo è stato posto nel giugno 2022 con una norma contenuta in una delle “Leggi Cartabia”, dal nome della ministra Marta Cartabia: «Art. 13 L. 17 giugno 2022 n. 71 - Il Procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai principi generali definiti dal Consiglio Superiore della Magistratura, il progetto organizzativo dell’ufficio con il quale determina: […] b) i criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali fissati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili».

Questa nuova articolata disciplina dovrebbe indurre ad abbandonare le posizioni semplicisticamente liquidatorie del principio costituzionale dell’obbligatorietà per misurarsi con i non pochi problemi posti dall’applicazione pratica. Sono chiamati in causa tre attori: il Parlamento, il Consiglio Superiore della Magistratura e il Procuratore della Repubblica. Si utilizza l’espressione “criteri di priorità”, ma non è certo una formula magica: il Procuratore nel determinarli deve fare riferimento ai “criteri generali” fissati dal Parlamento e dai “principi generali” definiti dal Csm.

Il Parlamento non ha finora adottato la prevista legge e non vi è alcun preannuncio al riguardo. Ma nel frattempo si è fatta grande confusione tra criteri di priorità e politica penale, questa sì di competenza del Governo, sotto il controllo del Parlamento, che è tutt’altra cosa.

Peraltro è già da tempo previsto uno strumento: la Relazione del Ministro della Giustizia presentata al Parlamento nel gennaio di ogni anno sull’amministrazione della giustizia nell’anno precedente. Finora nessun Ministro ha utilizzato questa Relazione annuale per presentare al Parlamento e all’opinione pubblica, oltre a utili statistiche e resoconti su aspetti specifici,, le linee di politica penale del suo governo. Una occasione finora perduta.

Un secondo spunto ci è fornito dall’esplicito riferimento del “principio di imparzialità” al pubblico ministero contenuto nella nuova formulazione dell’art. 31 del codice di procedura penale francese. La tradizionale qualificazione del nostro Pm come “parte imparziale” è oggetto di critiche, un “ossimoro”, si dice. Tale è se si pretendesse di equiparare la “imparzialità” del Pm a quella del giudice terzo. Ma se a “parte imparziale” si aggiunge il qualificativo di “pubblica”, allora non è più un ossimoro: l’imparzialità è, per la parte pubblica, imperativo che risulta dalle esigenze di posizione istituzionale, di professionalità e deontologia.

Piero Calamandrei, grande giurista e padre costituente, non usa l’“ossimoro”, ma efficacemente descrive la peculiare posizione del Pm: «Fra tutti gli uffici giudiziari il più arduo mi sembra quello del pubblico accusatore: il quale, come sostenitore dell’accusa, dovrebb’essere parziale come un avvocato: e come custode della legge, dovrebb’essere imparziale al pari di un giudice. Avvocato senza passione, giudice senza imparzialità: questo è l’assurdo psicologico nel quale il pubblico ministero, se non ha uno squisito senso di equilibrio, rischia ad ogni istante di perdere per amor di serenità la generosa combattività del difensore, o per amore di polemica la spassionata oggettività del magistrato. […] Nel processo penale, dove l’interesse di parte si sarebbe appagato da un avvocato solo, lo Stato ha sentito la necessità, nell’interesse pubblico di mettercene due; per contrapporre alla naturale parzialità del difensore una specie di parzialità artificiale, destinata ad alimentare disinteressatamente la polemica, di cui il giudice ha bisogno per sentirsene al di sopra[3]».

Che il Pm sia parte è pacifico in qualunque sistema, accusatorio, inquisitorio o misto. Ma nessuno in Europa e nel mondo assumerebbe un atteggiamento liquidatorio di fronte al concetto di imparzialità riferito alla “parte” della pubblica accusa. Chi volesse anche solo per un attimo allargare lo sguardo oltre i nostri confini nazionali coglierebbe che l’imparzialità è declinata come carattere essenziale della pubblica accusa anche in molti ordinamenti in cui questa funzione è attribuita a figure che non sono magistrati e che non godono neppure di piena garanzia di indipendenza rispetto al potere politico. Il tema dell’imparzialità ovunque è visto come nodo centrale nella definizione della figura del Pm, sotto il profilo della collocazione istituzionale, della professionalità e della deontologia.

Non è un caso che negli ultimi decenni vi sia stata una straordinaria proliferazione, a livello nazionale, europeo e internazionale di testi che pongono il principio dell’imparzialità del Pm (declinata talora con il termine “obbiettività” in lingua inglese)[4].

Da ultimo il regolamento istitutivo della Procura europea (Eppo) richiama il principio di imparzialità all’art. 5.4: «L’Eppo svolge le indagini in maniera imparziale e raccoglie tutte le prove pertinenti, sia a carico che a discarico»[5].

 

[1] La questione del “rafforzamento dell’indipendenza statutaria del Pm”, pur nella diversità degli ordinamenti giudiziari europei era stata posta come ineludibile da M. Delmas-Marty, Evoluzione del pubblico ministero e principi direttivi del processo penale nelle democrazie europee, in questa Rivista (editore Franco Angeli), n. 1, 1997, p. 201 ss.

[2] Il testo in traduzione italiana con il titolo E’ urgente garantire lo statuto d’indipendenza dei magistrati del pubblico ministero è stato pubblicato in questa Rivista il 19 settembre 2020.

[3] P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, 4a ed. 1959, pp. 69, 122-123.

[4] Per ampi riferimenti mi permetto di rinviare a E. Bruti Liberati, Pubblico ministero. Un protagonista controverso della giustizia, Raffaello Cortina ed., Milano 2024, p.125 ss.

[5] Regolamento (ue) 2017/1939 del Consiglio del 12 ottobre 2017 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea (EPPO).

 

***

 

LA FIDUCIA NEL SISTEMA GIUDIZIARIO È UN PILASTRO PER I GIORNI DI TEMPESTA[*]

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione mette in guardia sui rischi posti dai ripetuti attacchi all’ istituzione giudiziaria

di Rémy Heitz, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione

Da diversi giorni la giustizia francese è bersaglio di attacchi di inedita intensità. Alle dichiarazioni di sfiducia di diversi esponenti politici si sono aggiunti attacchi diretti e minacce esplicite.  I magistrati sono chiamati in causa nominativamente, insultati, intimiditi sui social network e persino nella loro vita personale, che ne viene stravolta.

Queste derive sono inaccettabili e pericolose, non solo per i magistrati presi di mira, ma anche per la nostra stessa democrazia. Non ci può essere democrazia senza giustizia indipendente, né autorità giudiziaria senza la fiducia del popolo, nel cui nome è resa giustizia. Minare questa fiducia significa attaccare al cuore il patto democratico e indebolire la società nel suo insieme.

È imperativo che cessino le pressioni e le minacce di cui sono stati oggetto negli ultimi giorni magistrati che non hanno fatto altro che svolgere le loro funzioni. Si deve tornare al senso della misura, alla responsabilità e al rispetto delle nostre istituzioni, affinché si possa rendere giustizia nei confronti di tutti, in un clima sereno e tranquillo.  Si deve inoltre guardare al futuro e costruire una giustizia rafforzata, all’altezza delle aspettative delle Francesi e dei Francesi che la pongono, insieme all'istruzione e alla salute, tra le principali preoccupazioni.

Per fare questo, al di là delle risorse materiali e umane, bisogna impegnarsi per una vera e propria rifondazione della fiducia. Una fiducia che non è solo una virtù dei tempi calmi, ma anche un baluardo per i giorni di tempesta. Una fiducia che non si può imporre per decreto, ma che si costruisce, passo dopo passo.

Dialogo aperto

Ciò richiede anzitutto una migliore conoscenza dell'istituzione giudiziaria e un dialogo aperto tra i cittadini e la loro giustizia. Che ognuna e ognuno sappia che la giustizia non è il prodotto di una macchina disincarnata, ma l’opera quotidiana di donne e uomini, che agiscono esclusivamente al servizio dell'interesse generale. Che tutti vedano, assistendo ad esempio alle udienze pubbliche, come la giustizia è resa ogni giorno nei tribunali della Repubblica, ben diversa dalle caricature. Che i professionisti del diritto non smettano mai di comunicare meglio la realtà del loro compito e delle loro attività.  Affinché la fiducia nella giustizia non sia né cieca né fragile, ma illuminata e duratura.

Ripristinare la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario richiede anche riforme concrete che rafforzino lo Stato di diritto, che ormai sappiamo essere minacciato. Una di queste riforme si impone sin da ora. E’ ben conosciuta ed è a portata di mano: riguarda lo statuto dei pubblici ministeri. Questa riforma è oggi più che mai necessaria per garantire l'indipendenza dei magistrati del pubblico ministero. Un'indipendenza che non è né un privilegio né un agio, ma la garanzia per ogni persona che si confronti con la giustizia di avere a che fare con un procuratore imparziale, garante delle libertà individuali e dell’eguale applicazione della legge.  Questa indipendenza è tanto più cruciale in quanto negli ultimi anni i pubblici ministeri hanno visto le loro prerogative notevolmente ampliate, in particolare attraverso il ricorso ad alternative all'azione penale e lo sviluppo di una giustizia negoziata.

Questi mutamenti, che conferiscono un ruolo centrale al pubblico ministero, sono legittimi e utili. Consentono di rispondere meglio alla diversità delle situazioni e di rendere più efficace la giustizia penale. Ma lo statuto dei magistrati del pubblico ministero non è stato modificato di conseguenza. L'indipendenza non si misura solamente per ciò che è, ma anche per ciò che viene percepito. E i sospetti – infondati ma persistenti – di dipendenza nei confronti del potere politico continuano a mettere in crisi la fiducia sia nella giustizia che nell'esecutivo, a sua volta sospettato talora di interferenza.

E' ora di porre fine a tutto ciò. La riforma è pronta. Votata dal Parlamento nel 1998 e nel 2016, ma non presentata poi all’esame del Congresso, si basa su due pilastri: la nomina dei magistrati del pubblico ministero su parere vincolante e non solo obbligatorio del Consiglio Superiore della Magistratura; l’attribuzione del potere disciplinare a questo stesso organo costituzionale indipendente, come già avviene per i giudici.

Evoluzione naturale

Paradossalmente, i rari oppositori di questa riforma vedono un rischio in questo rafforzamento democratico. Brandiscono il cliché del "governo dei giudici” – in questo caso dei pubblici ministeri – e paventano la messa in discussione della coerenza dell'azione penale sul territorio nazionale.

Tuttavia, non è così. Innanzitutto, perché i pubblici ministeri, così come i giudici, non fanno altro che applicare la legge, che è la stessa ovunque e per tutti. Inoltre, questa riforma non elimina né il potere del ministro della Giustizia di proporre fare proposte sulle nomine, né la sua missione di attuare la politica penale attraverso istruzioni generali rivolte ai magistrati del pubblico ministero. 

Non si tratta quindi di un allineamento totale dello statuto dei giudici e dei pubblici ministeri, ma di un’evoluzione naturale che garantisca che nessuna nomina, né alcuna sanzione disciplinare, possa essere adottata contro il parere di un organo indipendente dal governo, il Consiglio superiore della Magistratura, il quale, è bene ricordarlo, è composto in maggioranza da membri laici quando decide sulle proposte di nomina ad incarichi direttivi.

Non c'è nulla di rivoluzionario in questa riforma. Non farebbe altro che iscrivere nel marmo della nostra Costituzione una prassi, la quale, sebbene rispettata per più di quindici anni da tutti i governi, può essere rimessa in discussione in qualsiasi momento. Non sconvolgerebbe quindi il presente, ma garantirebbe il futuro. Rafforzerebbe la fiducia dei cittadini nei loro pubblici ministeri, nella loro giustizia. Erigerebbe una solida difesa contro ogni rischio di deriva. E tempo di mettere il Congresso in grado di fare questa scelta storica. La posta in gioco è notevole: si tratta di rafforzare la nostra democrazia, di cui la giustizia è un pilastro insostituibile. Per il bene di tutti.

 

[*] Traduzione a cura di Edmondo Bruti Liberati. L'articolo originale di Rémy Heitz, pubblicato con il titolo La confiance dans la justice est un pilier pour les jours de tempête, è stato pubblicato su Le Monde il 12 aprile 2025,  a p.16. Ringraziamo l’Autore e Le Monde per aver gentilmente concesso l'autorizzazione alla pubblicazione. L'articolo originale è disponibile a questo link: https://www.lemonde.fr/idees/article/2025/04/10/remy-heitz-procureur-general-la-confiance-dans-la-justice-n-est-pas-seulement-une-vertu-des-temps-calmes-mais-aussi-un-pilier-pour-les-jours-de-tempete_6593593_3232.html 

 


 

[**]

La pubblicazione su Questione giustizia dell’articolo di Rémy Heitz, procuratore generale presso la Corte di Cassazione francese, apparso su Le Monde il 12 aprile 2025 è stata autorizzata dall’autore con il consenso del quotidiano Le Monde.

02/05/2025
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