Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

La “sindrome della madre malevola” tra “tatertyp” e complesso di Medea. Brevi considerazioni a margine di una sentenza della Cassazione sulla cosiddetta “PAS”

di Antonio Scalera
consigliere della Corte d'appello di Catanzaro

Prosegue il dibattito in rivista sul tema della PAS dopo l’ordinanza Cass. Civ., Sez. I, 17.5.2021, n. 13217 con cui la Suprema Corte suggerisce un approccio alla questione per così dire “dal basso”, prescindendo, cioè, da disquisizioni astratte sul fondamento scientifico della sindrome e ponendo, piuttosto, l’attenzione sull’agito del soggetto ritenuto “alienante”, al fine di verificare se – attraverso una valutazione ampia ed equilibrata, di valenza olistica – possa essere, comunque, intrapreso un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali.

CORO 
Uccidere le tue creature: ne avrai il coraggio? 

MEDEA 
È il modo più sicuro per spezzare il cuore a mio marito.

(Euripide, Medea)

 

 

1. Il caso 

Nell’ambito di una controversia sull’esercizio della responsabilità genitoriale, il Tribunale di Treviso dispone l’affidamento esclusivo della figlia minore della coppia al padre, regolamentando le visite con la madre e fissando, tra le varie altre prescrizioni, il divieto di incontri con la nonna materna.

Il provvedimento viene impugnato dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia che, sulla scorta di due C.T.U., stabilisce l’affido “super-esclusivo” della minore al padre.

Nel giudizio di merito i consulenti tecnici avevano evidenziato come, a fronte del comportamento della madre, era sorto il rischio di alienazione della minore rispetto al padre e come la madre sembrasse affetta dalla cosiddetta “sindrome della madre malevola”[1].

Inoltre, la madre, pur mantenendo con la figlia, almeno in apparenza, un sufficiente rapporto di accudimento, esercitava nei confronti dell'ex partner una condotta tendente ad impedirgli un normale ed affettuoso rapporto con la minore, mirando ad estraniarlo da ogni scelta che la riguardasse; aveva, altresì, indotto due pediatri a non seguire più la minore a seguito della sua richiesta di alcuni certificati fasulli finalizzati ad impedire l'accesso al padre; aveva, infine, costretto la figlia a numerose assenze scolastiche, al fine di evitarne il prelevamento a scuola da parte del padre.

Il decreto della Corte d’Appello – che recepisce questi rilievi dei consulenti – viene impugnato, con ricorso per cassazione, dalla madre, la quale, in particolare, con il secondo motivo, denunzia la mancata verifica dell'attendibilità scientifica della teoria posta a base della diagnosi di "sindrome della madre malevola".

In particolare, la ricorrente si duole che le risultanze peritali non siano fondate su dati clinici e che la Corte territoriale non abbia effettuato una valutazione comparativa degli effetti sulla minore tra il trauma dell'allontanamento dalla casa familiare e il beneficio atteso; secondo la ricorrente, il provvedimento impugnato non appariva ispirato al superiore interesse del minore in quanto il dolore della forzata separazione della minore dalla madre era rimasto sullo sfondo rispetto alla ritenuta prevalenza dell'interesse all'attuazione coattiva del diritto alla bigenitorialità.

 

2. La decisione della Cassazione

I Giudici di legittimità prendono le mosse da due precedenti giurisprudenziali, entrambi accomunati dal riferimento alla cosiddetta Sindrome da Alienazione Parentale (PAS – Parental Alienation Syndrome).

Nel primo precedente (Cass. n. 6919/2016[2]) la Cassazione censura la decisione dei giudici di merito che, aderendo acriticamente alle conclusioni del C.T.U., non si erano fatti carico di indagare le reali cause del rifiuto della figura paterna da parte della minore.

In quella sentenza la Suprema Corte afferma chiaramente di non volere prendere posizione sulla questione relativa al fondamento scientifico della PAS.

L’approccio seguito è di tipo pragmatico, per così dire “dal basso”, e muove dalla considerazione che tra i requisiti di idoneità genitoriale, ai fini dell'affidamento o anche del collocamento di un figlio minore presso uno dei genitori, rileva la capacità di questi di riconoscere le esigenze affettive del figlio, che si individuano anche nella capacità di preservargli la continuità delle relazioni parentali attraverso il mantenimento della trama familiare, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa sull'altro genitore.

Questo il principio di diritto enunciato dai Giudici di legittimità: «in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena».

Nel secondo precedente (Cass. n. 7041/2013[3]) la linea argomentativa è di tipo diverso.

Il decreto impugnato, condividendo le conclusioni del C.T.U., aveva disposto l’allontanamento del minore dal contesto “alienante” materno ed il suo affidamento al padre, con inserimento in una struttura residenziale educativa.

Questi gli esiti delle indagini peritali poste a fondamento del provvedimento di affido: «L'attento accertamento commissionato dalla Corte di appello di Venezia, Sezione per i Minorenni porta inequivocabilmente a confermare, nella vicenda in attenzione di causa, la sussistenza di PAS, disfunzione ad intensa connotazione psicopatologica, che deve essere al più presto delimitata e interrotta al fine di tutelare il processo evolutivo del minore in attenzione, oggi già compromesso e prodromico, sic stantibus rebus, di futuro sviluppo psicopatologico».  

La sentenza citata contiene interessanti affermazioni di carattere generale sulla PAS.

I Giudici di legittimità definiscono la PAS come «una teoria non ancora consolidata sul piano scientifico, ed anzi, molto controversa».

Osservano ancora i Supremi Giudici che il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM[4]) non la riconosce come sindrome o malattia.

Viene sottolineata l’importanza che il giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche ovvero avvalendosi di idonei esperti, verifichi il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale.

Si esclude, ancora, che, in ambito giudiziario, possano adottarsi delle soluzioni prive del necessario conforto scientifico, come tali potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che le teorie ad esse sottese, non prudentemente e rigorosamente verificate, pretendono di scongiurare.

In questa cornice giurisprudenziale si inserisce l’ordinanza in rassegna, nella quale i Giudici di legittimità pongono l’attenzione, da un lato, sulle carenze motivazionali del provvedimento impugnato in ordine alle capacità genitoriali della ricorrente e, dall’altro, sull’acritico riferimento contenuto nelle C.T.U. espletate al «controverso fondamento scientifico della sindrome PAS” e all’ “effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche».

In sostanza, le critiche mosse dalla Suprema Corte al provvedimento della Corte d’Appello si sviluppano su un duplice piano e seguono una direttrice ascendente, dal “basso” verso l’“alto”.

Partendo dal livello inferiore, si rileva, anzitutto, l’omessa indicazione e specificazione da parte della Corte territoriale delle “condotte scellerate” che dovrebbero addebitarsi alla “madre malevola” nonché degli «specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore» che ne sarebbero conseguiti; piuttosto – osservano i Supremi Giudici – il «positivo rapporto di accudimento intrattenuto con la minore” avrebbe dovuto essere valorizzato onde effettuare una “valutazione più ampia ed equilibrata di valenza olistica, che consideri cioè ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero delle capacità genitoriali della ricorrente».

Passando al secondo piano argomentativo, le critiche si condensano nell’affermazione secondo cui la pronuncia impugnata è espressione di una «inammissibile valutazione di “tatertyp”» (autore tipo) [5].

Con questo giudizio – sintetico ma, al contempo, efficace – i Giudici di legittimità prendono le distanze dal percorso motivazionale  seguito dalla Corte territoriale che, aderendo alle conclusioni dei C.T.U., a) postula l’esistenza della PAS; b) riconduce a questa sindrome talune condotte della madre; c) ne fa discendere, con «implausibile sillogismo», l’inadeguatezza, in termini di capacità genitoriale, della madre e il riferimento al padre quale unico genitore «in grado di dare equilibrio e serenità alla bambina».

 

3. La PAS 

La PAS o Parental Alienation Syndrome (tradotta come Sindrome di alienazione genitoriale o parentale) è - nella definizione del suo principale teorizzatore[6] – un disturbo dell’età evolutiva.

L'Alienazione parentale è una dinamica psicologica disadattiva che, secondo Gardner, si attiva in alcune situazioni di separazione e divorzio conflittuali ed è collegata a due fattori concomitanti: 1) la programmazione o indottrinamento da parte di un genitore, preda di odio patologico ai danni dell'altro, definito comportamento alienante; 2) l'allineamento del minore che si coinvolge attivamente in una campagna di denigrazione, priva di giustificazioni e non sostenuta da elementi realistici, nei confronti dell'altro genitore che viene platealmente "odiato" e denigrato, (cosiddetto «fenomeno del pensatore indipendente»).

Da un punto di vista nosografico, la PAS, nel DSM-IV (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell'American Psychological Association) rientrava, oltre che nei Disturbi d'ansia di separazione, anche nei Codici Diagnostici V: V61.20 Problema relazionale genitore-bambino.

Nell'attuale DSM-5 la condizione che Gardner rubricava come PAS ricade sempre sia nei Disturbi d'ansia da separazione: "Separation Anxiety Disorder" (come sottotipo almeno in parte "iurigeno" cioè causato dal coinvolgimento nel procedimento giudiziario in senso lato) sia tra i Problemi legati all'Educazione Genitoriale.

Il documento redatto, nel Maggio 2013, dalla SINPIA (Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza)[7] permette di fissare utilmente alcuni punti fermi in merito alla qualificazione della condizione qui discussa dal punto di vista neuropsichiatrico ed è significativo notare come vi si legga che «la comunità scientifica è concorde nel ritenere che l'alienazione di un genitore non rappresenti di per sé un disturbo individuale a carico del figlio, ma piuttosto un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicoaffettivo del minore stesso».

Sulla PAS è molto interessante il recente intervento del Ministero della Salute che con la nota del 29.5.2020 ha precisato che la Sindrome da Alienazione Genitoriale o da Anaffettività Genitoriale «non risulta inserita in alcuna delle classificazioni in uso come la International classification of disease (ICD 10) o il Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM 5), in ragione della sua evidente “ascientificità” dovuta alla mancanza di dati a sostegno»[8].

E’ stato, altresì, precisato che «le varie critiche rivolte al concetto di PAS concordano nel considerare scientificamente infondato il riferimento ad una “sindrome” come ad una costellazione di sintomi che caratterizzano il disagio di un bambino conteso durante una causa di affidamento».

Sembra, quindi, che la PAS sia meglio definita come un “disturbo del comportamento relazionale” e non come una sindrome.

In giurisprudenza, oltre alle sentenze sopra richiamate, si segnala, in tema di PAS, Cass. n. 13274/2019[9], che ha cassato, perché non correttamente motivata, la sentenza di merito che, nell'ambito di un giudizio di separazione, aveva disposto l'affido esclusivo del figlio minore al padre, pur collocandolo provvisoriamente presso un istituto. La decisione era stata assunta dai Giudici di merito in ragione dell'avversione del figlio nei confronti del padre, espressione, secondo i C.T.U., di PAS, riferita a responsabilità della madre; madre che, pertanto, era stata ritenuta inidonea, alla stregua di argomentazioni non sufficienti, tenuto conto, da un lato, del profondo legame madre-figlio, dall'altro della circostanza che non erano indicate le ragioni che imponevano, a tutela del minore, l'adozione di quelle misure; infine il minore neppure era stato sentito in tempi recenti dal giudice, o da esperti su sua delega, senza che tale omissione fosse stata giustificata.

D’altro canto, Cass. n. 28723/2020[10] mette in guardia da eventuali sottovalutazioni dei comportamenti del genitore “alienante”. Si afferma, infatti, che, qualora un genitore denunci comportamenti dell'altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una sindrome di alienazione parentale (PAS), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità del fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l'altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.

Anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo si è occupata del tema.

Nella sentenza 2.11.2010, ric. n. 36168/09, Piazzi c. Italia, la Corte Edu ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 8 della Convenzione da parte delle Autorità italiane che, in un caso nel quale la madre era ritenuta affetta da PAS, avevano lasciato che si consolidasse una situazione di fatto generata dall’inosservanza delle decisioni giudiziarie, mentre il semplice trascorrere del tempo aveva delle conseguenze sempre più gravi per il padre ricorrente, privato del contatto con il figlio.

La Corte Edu ha ritenuto che, di fronte ad una situazione simile le Autorità avrebbero dovuto adottare misure più dirette e specifiche, al fine di ristabilire il contatto tra il ricorrente ed il figlio. In particolare, la mediazione dei servizi sociali avrebbe dovuto essere utilizzata per rendere le parti più collaborative ed i medesimi avrebbero dovuto organizzare gli incontri tra il ricorrente ed il figlio.

Di analogo tenore è la pronuncia del 29.1.2013, ric. n. 25704/11, Lombardo c. Italia.

 

4. Conclusioni 

La decisione in rassegna conferma, anzitutto, l’orientamento giurisprudenziale sfavorevole alla PAS, nella parte in cui ne evidenzia il «controverso fondamento scientifico» ed al contempo rileva come le C.T.U. espletate nel giudizio di merito non abbiano svolto alcuna riflessione sulle «critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche».

In secondo luogo, l’ordinanza in esame fornisce all’operatore del diritto delle utili indicazioni metodologiche da seguire allorquando vengano in rilievo controversie sull’affidamento dei figli, in presenza di condotte genitoriali riconducibili alla cosiddetta PAS.

In particolare, l’insegnamento che si trae dalla recente pronuncia della Cassazione è che, in tali casi, occorre seguire un approccio “dal basso”, anziché “dall’alto”: occorre muovere, cioè, da un’attenta valutazione, in concreto, della capacità genitoriale del soggetto ritenuto “alienante”, che valorizzi gli eventuali positivi rapporti di accudimento con il minore e verifichi ogni possibilità di intraprendere un percorso di effettivo recupero della relazione con il figlio.

Diversamente, un approccio, per così dire, “dall’alto” – che prenda, cioè, le mosse da una diagnosi di PAS – rischia di dar vita ad un «implausibile sillogismo» e di stigmatizzare, con una «inammissibile valutazione di tatertyp», il genitore presunto “alienante”, configurando a suo carico una colpa d’autore.

Da ultimo, sia consentita una considerazione in merito alla prospettiva adultocentrica nella quale si muove la cosiddetta PAS.

Se si accede alla definizione di PAS contenuta nel recente documento del Ministero della Salute traspare con tutta evidenza come essa sia riconducibile ad «un problema relazionale» e, dunque, secondo il DSM 5, «un modello persistente e disfunzionale di sentimenti, comportamenti e percezioni che coinvolgono due o più partner in un importante rapporto personale».

La PAS è, dunque, un problema dell’adulto che può determinare conseguenze negative per il figlio.

Ora, occorrerebbe riflettere con attenzione su questo dato, apparentemente banale e scontato.

Nelle controversie nelle quali viene evocata la PAS, proprio perché trattasi di un problema dell’adulto, è verso quest’ultimo che solitamente si sposta il focus del dibattito.

E ciò è tanto vero che, spesso, il bambino, che rifiuta un genitore, non è considerato attendibile nelle motivazioni che pone a fondamento del suo rifiuto, in quanto lo si ritiene manipolato dall'altro genitore.

In questi contesti il minore viene privato della dignità di persona pensante[11] e viene ridotto a strumento finalizzato alla distruzione del rapporto con l’altro genitore in conflitto.

Si realizza ciò che, con riguardo al comportamento della madre “alienante”, è stato definito in psicologia il Complesso di Medea[12]: le madri, anziché uccidere i figli per vendetta contro i mariti, come accade nella tragedia di Euripide, tentano di distruggere il legame padre-figlio.

Seguendo l’impostazione adultocentrica della PAS, il fanciullo, il cui interesse è la stella polare intorno alla quale ruota o dovrebbe ruotare il diritto di famiglia, rischia di rimanere invisibile ed escluso dalle decisioni degli adulti.

E ciò sebbene la centralità dell’interesse del minore possa considerarsi un dato oramai acquisito nell’ordinamento sovranazionale[13] e nazionale (nuovo art. 315 bis c.c.).

Appare, piuttosto, preferibile un approccio “dal basso”, come quello suggerito dall’ordinanza che si annota.

Piuttosto che interrogarsi in astratto sul fondamento scientifico della PAS, bisognerebbe focalizzare l’attenzione sul minore e chiedersi se il genitore, ancorché ritenuto “alienante” abbia, comunque, risorse tali da poter essere valorizzate al fine di preservare il rapporto con il figlio, alla luce del best interest of the child.

Ciò al fine di scongiurare il rischio – già paventato dalla giurisprudenza sopra richiamata – che si assumano decisioni foriere di pregiudizi ancor più gravi di quelli che la discussa teoria della PAS pretenderebbe di scongiurare.


 
[1] La “Sindrome della Madre Malevola/Genitore Malevolo” o "Malicious Mother Syndrome" (I.D. Turkat, Divorce related Malicious Mother Syndrome, in Journal of Family Violence, 10, 253, 1995), si ha allorquando, dopo la cessazione del rapporto coniugale, un genitore, pur rimanendo esente da altre psicopatologie accertabili, e mantenendo con i figli – almeno in apparenza – un efficace rapporto di accudimento, tuttavia esercita nei confronti dell’ex coniuge un comportamento lesivo, teso soprattutto a impedirgli un normale ed affettuoso rapporto coi figli. L’alterazione della condotta può comprendere veri e propri gesti criminali, oppure può trasformarsi in un eccesso di azioni legali con cui impedire all’altro genitore il rapporto con i figli. In psicologia si distingue questa sindrome dalla PAS (Sindrome di Alienazione Parentale). Si osserva, infatti, che mentre la PAS è una patologia indotta dal genitore alienante nel minore e richiede un comportamento attivo del bambino verso il genitore alienato, invece, nella Sindrome della Madre Malevola il comportamento messo in atto dalla madre, anche se non ottiene accondiscendenza da parte del figlio, persevera in modo ostinato e consapevole, anche contro il desiderio del figlio stesso.

[2] Cass. Civ., Sez. I., 8.4.2016, n. 6919 (Pres. Di Palma ; est. Lamorgese).

[3] Cass. Civ., Sez. I. 20.3.2013, n. 7041 (Pres. Luccioli; est. Campanile), in Il diritto di famiglia e delle persone, 2013  3. I, 859, con nota di C.C., Principio di bigenitorialità, conflitto di coppia e sindrome da alienazione parentale.

[4] La sigla DSM, derivante dall'originario titolo dell'edizione statunitense Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati da psichiatri, psicologi e medici di tutto il mondo, redatto dall'American Psychiatric Association.

[5] G. Dahm, Der Tatertyp in Strafrecht, Weicher, Leipzig, 1940. Secondo la teoria del tipo d’autore, sviluppatasi nella Germania nazista, tutte le fattispecie incriminatrici dovrebbero intendersi dall'interprete, oltre la lettera della legge, quali obiettivizzazioni di autori-tipo, anziché di comportamenti-tipo; la lesione inferta o meno ad un bene-tipo non condizionerebbe affatto la rilevanza d'un comportamento-tipo, realizzato però da un autore-tipo. «Ciò che conta, è la personalità del soggetto agente, non la lesione effettivamente cagionata» (R. Thierfelder, Normativ und Wert in der Strafrechtswissenschaft unserer Tage, Tübingen, 1934, 21).

[6] R.A. Gardner (1985), Recent trends in divorce and custody litigation, in Academy Forum, 29 (2), 3-7.

[7] http://www.sinpia.eu/atom/allegato/154.pdf

[8] Peraltro, già nel 2012 il Ministero aveva riconosciuto la non attendibilità della PAS a fronte del mancato riconoscimento del disturbo in questione da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità e di tutta la comunità scientifica internazionale.  

[9] Cass. Civ., Sez. I, 16.5.2019, n. 13274 (Pres. Giancola; est. Iofrida), in Foro It., 2019, 10, 1, 3204.

[10] Cass. Civ., Sez. 16.12.2020, n. 28723 (Pres. Genovese, est. Caradonna), in Fam. e Dir., 2021, 3, 337.

[11] Così L. C., psichiatra e psicoanalista di fama internazionale, Presidente del Centro Studi di terapia familiare e relazionale ha, al proposito, definito il costrutto della PAS "una forma di violenza sui minori, che toglie loro qualsiasi dignità di persona pensante”, in Il Sole-24ore/Sanità 26.3.-1.4.2013.

[12] J.W. Jacobs, Euripides' Medea: A psychodynamic model of severe divorce pathology, in American Journal of Psychotherapy, 1988, XLII (2), 308-319.

[13] Il principio della salvaguardia dell'interesse "superiore"(3) del minore si è poi imposto, quale valore cardine del sistema, dopo la ratifica della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, approvata il 20 novembre 1989, e, più di recente, ha ricevuto conferma dall'art. 24, par. 2, della Carta dei Diritti Fondamentali Ue. L’interesse superiore del minore è così asceso "a valore apicale del sistema". Assai vasta è la letteratura sul tema. Tra i contributi più recenti si rinvia a M. Sesta, La prospettiva paidocentrica quale fil rouge dell'attuale disciplina giuridica della famiglia, in Fam. e Dir., 2021, 7, 763.

01/07/2021
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