Magistratura democratica
Controcanto

Intercettazioni, torna la norma contro “il mercato nero” della notizia

di Donatella Stasio
Giornalista
Il ministro della Giustizia Orlando scommette sulla trasparenza e, su spinta della commissione Giustizia della Camera, ripristina nel decreto il diritto dei giornalisti di acquisire direttamente l’ordinanza di custodia cautelare, una volta depositata

È una piccola grande vittoria, forse al momento più simbolica, visto che per saggiarne gli effetti concreti bisognerà aspettare il 2019. Senz’altro è una piccola grande svolta storica, destinata a cambiare i rapporti tra media e giustizia e a rafforzare e responsabilizzare entrambe in funzione di una maggiore trasparenza e correttezza. Infine, è anche la dimostrazione che può esistere un’interlocuzione proficua tra stampa e politica, non un dialogo tra sordi ma un ascolto reciproco che produce cambiamenti ragionevoli e importanti.

L’introduzione, nel decreto sulle intercettazioni, dell’accesso diretto dei giornalisti all’ordinanza di custodia cautelare, una volta depositata, è un po’ tutto questo. Forse è la novità più significativa di tutto il decreto, perché destinata – anche se per ora limitatamente al provvedimento cautelare – a stroncare il “mercato nero” della notizia spesso foriero di ricostruzioni parziali, strumentali e interessate della vicenda processuale. E dunque, di un’informazione distorta.

Si tratta solo di un primo passo verso la (auspicabile) “liberalizzazione” dell’accesso diretto agli atti non più segreti, allo scopo di eliminare in radice il passaggio – o la presunta dipendenza – da fonti in vario modo interessate e di responsabilizzare sia la magistratura, nella redazione dei provvedimenti (e nell’allegazione degli atti), sia i giornalisti, posti tutti sullo stesso piano di fronte alle carte depositate e “costretti” a fare i conti con l’oggettività di quelle carte, secondo la propria deontologia professionale.

Da questo punto di vista, la modifica riflette una “visione” nuova dell’informazione e della giustizia e perciò merita la massima attenzione. Del resto, è di “visioni” che abbiamo un disperato bisogno, come peraltro ci ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione degli auguri di Natale alle alte cariche dello Stato. «È indispensabile riflettere e dotarsi di una visione sul sistema Paese, su come intendiamo svilupparlo» ha detto Mattarella, parlando del ruolo della politica e dell’oggetto del confronto tra le varie parti. Il che, ha aggiunto, richiede «coraggio e lungimiranza, indicazione di obiettivi e percorsi adeguatamente approfonditi».

Ebbene, dietro questa piccola novità legislativa ci sono anche coraggio e lungimiranza. Bisogna darne atto al ministro della Giustizia Andrea Orlando che, seppure sotto la spinta della commissione Giustizia della Camera, ha “osato” rompere un tabù e riproporre al Consiglio dei ministri una norma (e una “visione”) che in prima battuta il Consiglio aveva accantonato [1].

D’altra parte, una volta bonificati gli atti dal sovrappiù, ovvero dal materiale sensibile e irrilevante destinato all’«Archivio riservato», sarebbe stato incoerente non consentire ai giornalisti di accedere direttamente al provvedimento non più segreto. In caso contrario – come ha rilevato la commissione Giustizia della Camera – il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (efficienza investigativa, riservatezza delle persone, libertà di stampa, diritto all’informazione) sarebbe stato apparente o incompleto ed avrebbe, tra l’altro, tradito la legge delega là dove (comma 84, lettera c), dispone che si debba tener conto «delle decisioni e dei principi adottati con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo a tutela della libertà di stampa e dei diritti dei cittadini all’informazione». Di qui la modifica al secondo comma dell’articolo 114 per chiarire che l’ordinanza è pubblicabile una volta depositata, anche se l’operatività di questa nuova previsione è stata differita di 6 mesi rispetto all’entrata in vigore delle regole sull’elaborazione del provvedimento, proprio per verificare prima sul campo come funzionerà la cosiddetta “bonifica”: se, cioè, i provvedimenti e i comportamenti rifletteranno il diverso “costume giudiziario” su cui il decreto-intercettazioni sembra scommettere ben più che sulle nuove norme. Del resto, Piero Calamandrei diceva: «Ciò che plasma il processo, ciò che gli dà la sua fisionomia tipica, non è la legge processuale ma il costume di chi la mette in pratica».

Saranno quindi i prossimi mesi a testare il costume giudiziario e a stabilire il futuro anche delle nuove regole. Che comunque aprono una breccia importante nel muro di un sistema tossico di recupero e gestione della notizia, da cui possono nascere rapporti opachi e sbilanciati tra giornalista, pm, avvocato, polizia giudiziaria. Ma con esse si fa strada soprattutto una diversa visione politica dell’informazione e della giustizia, che riconosce l’autonomia di entrambe responsabilizzandole e rafforzandole proprio attraverso una maggiore trasparenza. Potrà sembrare un paradosso, ma la privacy si tutela di più e meglio con un’informazione corretta e trasparente che con la segretezza e il finto proibizionismo.

Donatella Stasio

 


[1] D. Stasio, Intercettazioni, il giallo della norma contro il “mercato nero” della notizia, in Controcanto, Questione Giustizia on-line, 13 novembre 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/intercettazioni_il-giallo-della-norma-contro-il-mercato-nero-della-notizia_13-11-2017.php. Vedi anche D. Stasio, Intercettazioni (e non solo): la sfida dell’accesso diretto dei giornalisti agli atti depositati non più segreti, in Controcanto, Questione Giustizia on-line, 6 luglio 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/intercettazioni_e-non-solo_la-sfida-dell-accesso-diretto-dei-giornalisti-agli-atti-depositati-non-piu-segreti_06-07-2017.php.

22/12/2017
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