È una piccola grande vittoria, forse al momento più simbolica, visto che per saggiarne gli effetti concreti bisognerà aspettare il 2019. Senz’altro è una piccola grande svolta storica, destinata a cambiare i rapporti tra media e giustizia e a rafforzare e responsabilizzare entrambe in funzione di una maggiore trasparenza e correttezza. Infine, è anche la dimostrazione che può esistere un’interlocuzione proficua tra stampa e politica, non un dialogo tra sordi ma un ascolto reciproco che produce cambiamenti ragionevoli e importanti.
L’introduzione, nel decreto sulle intercettazioni, dell’accesso diretto dei giornalisti all’ordinanza di custodia cautelare, una volta depositata, è un po’ tutto questo. Forse è la novità più significativa di tutto il decreto, perché destinata – anche se per ora limitatamente al provvedimento cautelare – a stroncare il “mercato nero” della notizia spesso foriero di ricostruzioni parziali, strumentali e interessate della vicenda processuale. E dunque, di un’informazione distorta.
Si tratta solo di un primo passo verso la (auspicabile) “liberalizzazione” dell’accesso diretto agli atti non più segreti, allo scopo di eliminare in radice il passaggio – o la presunta dipendenza – da fonti in vario modo interessate e di responsabilizzare sia la magistratura, nella redazione dei provvedimenti (e nell’allegazione degli atti), sia i giornalisti, posti tutti sullo stesso piano di fronte alle carte depositate e “costretti” a fare i conti con l’oggettività di quelle carte, secondo la propria deontologia professionale.
Da questo punto di vista, la modifica riflette una “visione” nuova dell’informazione e della giustizia e perciò merita la massima attenzione. Del resto, è di “visioni” che abbiamo un disperato bisogno, come peraltro ci ha ricordato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione degli auguri di Natale alle alte cariche dello Stato. «È indispensabile riflettere e dotarsi di una visione sul sistema Paese, su come intendiamo svilupparlo» ha detto Mattarella, parlando del ruolo della politica e dell’oggetto del confronto tra le varie parti. Il che, ha aggiunto, richiede «coraggio e lungimiranza, indicazione di obiettivi e percorsi adeguatamente approfonditi».
Ebbene, dietro questa piccola novità legislativa ci sono anche coraggio e lungimiranza. Bisogna darne atto al ministro della Giustizia Andrea Orlando che, seppure sotto la spinta della commissione Giustizia della Camera, ha “osato” rompere un tabù e riproporre al Consiglio dei ministri una norma (e una “visione”) che in prima battuta il Consiglio aveva accantonato [1].
D’altra parte, una volta bonificati gli atti dal sovrappiù, ovvero dal materiale sensibile e irrilevante destinato all’«Archivio riservato», sarebbe stato incoerente non consentire ai giornalisti di accedere direttamente al provvedimento non più segreto. In caso contrario – come ha rilevato la commissione Giustizia della Camera – il bilanciamento dei valori costituzionali in gioco (efficienza investigativa, riservatezza delle persone, libertà di stampa, diritto all’informazione) sarebbe stato apparente o incompleto ed avrebbe, tra l’altro, tradito la legge delega là dove (comma 84, lettera c), dispone che si debba tener conto «delle decisioni e dei principi adottati con le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo a tutela della libertà di stampa e dei diritti dei cittadini all’informazione». Di qui la modifica al secondo comma dell’articolo 114 per chiarire che l’ordinanza è pubblicabile una volta depositata, anche se l’operatività di questa nuova previsione è stata differita di 6 mesi rispetto all’entrata in vigore delle regole sull’elaborazione del provvedimento, proprio per verificare prima sul campo come funzionerà la cosiddetta “bonifica”: se, cioè, i provvedimenti e i comportamenti rifletteranno il diverso “costume giudiziario” su cui il decreto-intercettazioni sembra scommettere ben più che sulle nuove norme. Del resto, Piero Calamandrei diceva: «Ciò che plasma il processo, ciò che gli dà la sua fisionomia tipica, non è la legge processuale ma il costume di chi la mette in pratica».
Saranno quindi i prossimi mesi a testare il costume giudiziario e a stabilire il futuro anche delle nuove regole. Che comunque aprono una breccia importante nel muro di un sistema tossico di recupero e gestione della notizia, da cui possono nascere rapporti opachi e sbilanciati tra giornalista, pm, avvocato, polizia giudiziaria. Ma con esse si fa strada soprattutto una diversa visione politica dell’informazione e della giustizia, che riconosce l’autonomia di entrambe responsabilizzandole e rafforzandole proprio attraverso una maggiore trasparenza. Potrà sembrare un paradosso, ma la privacy si tutela di più e meglio con un’informazione corretta e trasparente che con la segretezza e il finto proibizionismo.
Donatella Stasio
[1] D. Stasio, Intercettazioni, il giallo della norma contro il “mercato nero” della notizia, in Controcanto, Questione Giustizia on-line, 13 novembre 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/intercettazioni_il-giallo-della-norma-contro-il-mercato-nero-della-notizia_13-11-2017.php. Vedi anche D. Stasio, Intercettazioni (e non solo): la sfida dell’accesso diretto dei giornalisti agli atti depositati non più segreti, in Controcanto, Questione Giustizia on-line, 6 luglio 2017, http://questionegiustizia.it/articolo/intercettazioni_e-non-solo_la-sfida-dell-accesso-diretto-dei-giornalisti-agli-atti-depositati-non-piu-segreti_06-07-2017.php.