Magistratura democratica
Magistratura e società

In ricordo di Carlo Smuraglia

di Francesco Campobello
ricercatore in storia del diritto nell'Università di Torino

L’indimenticabile insegnamento di un maestro, che aveva il pregio di non atteggiarsi mai a tale

Ho avuto la fortuna di avere Carlo Smuraglia come maestro. Per cinque anni, un tempo molto breve in una lunga vita durata quasi un secolo. 

Il mio primo ricordo del Prof. Avv. Carlo Smuraglia è legato a una targa d’ottone del suo studio di Milano e a una fugace ricerca su Wikipedia per rinfrescarmi la memoria sui suoi dati biografici principali prima di intervistarlo. Il dono di conoscerlo mi è stato fatto da Livio Pepino, che ha ideato il volume Con la Costituzione nel cuore. Conversazioni su storia, memoria e politica. La non autobiografia di Carlo Smuraglia, come ci teneva a precisare in tutte le presentazioni pubbliche del volume. Perché ciò che contava per lui non era l’uomo in sé, ma le idee che incarnava e le azioni che aveva posto in essere.   

Per molto tempo ho passato i pomeriggi ad ascoltare la storia d’Italia attraverso i suoi ricordi, gli aneddoti, le battute sagaci. Sin da subito si è confrontato con una persona di 60 anni più giovane da pari a pari, aperto alle critiche, ai dubbi, ma fermo nei propri convincimenti. Siamo passati dal Lei al Tu e poi all’“amico” in maniera veloce, semplice, naturale e intensa, ma non per questo per me meno stupefacente. Mi ha accolto nella sua famiglia e, attraverso la realizzazione del libro, nella sua vita. Ha smentito tutti i miei pregiudizi sulla sua figura di uomo austero; nelle nostre conversazioni mi sono infatti trovato spesso ad essere il più pessimista dei due e ad ammirare la sua capacità di continuare a immaginare e progettare un paese e un futuro diversi. Mi spronava, pur non sottovalutando le difficoltà dell’oggi, a un “ottimismo della volontà”: se a vent’anni avevano sognato un mondo libero e sconfitto il nazifascismo, ogni sfida - per quanto ardua - può essere vinta, mi diceva. 

Fiero e orgoglioso delle scelte fatte durante la Resistenza, dall’8 settembre 1943 alla fine della guerra, a volte quasi minimizzava una vita di battaglie civili, con la toga e dalla cattedra, oltre che nelle istituzioni di democrazia rappresentativa. 

Mi fa piacere ricordarlo un po’ imbarazzato, ma in fondo orgoglioso, quando era stato riconosciuto in metropolitana da un vecchio operaio suo elettore che gli aveva urlato «compagno Smuraglia!». Era orgoglioso perché sapeva che non si riferiva a lui come persona, ma alle battaglie che per una vita aveva portato avanti. 

O quando, ridacchiando, rammentava il timore reverenziale, in un’accademia ancora lontana dai rinnovamenti del 1968, dei vecchi professori della Statale, che vedevano dietro al giovane assistente universitario «le baionette di un milione di iscritti al partito comunista» pronti a dare l’assalto alla stantia università di giurisprudenza. 

Per quasi due anni abbiamo girato l’Italia da nord a sud in teatri, palazzetti, circoli Anpi, accademie e tribunali per presentare quello che lui definiva il “nostro” libro. Ma i ricordi più preziosi rimangono le serate in albergo, dopo cena, sorseggiando un buon bicchiere, discutendo del presente e del futuro. 

Nulla di quello finora detto gli sarebbe piaciuto: rifuggiva i complimenti, la retorica e le parole di rito, ma da tutti, sempre e comunque, riceveva affetto, gratitudine, riconoscenza. 

 

02/06/2022
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