Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

Fiom versus Fabbrica Italia Pomigliano

È in gioco il nuovo assetto degli equilibri all'interno dell'impresa industriale contemporanea; ci si muove alla ricerca del punto di sintesi tra impresa e lavoro, mercato e diritti
Fiom versus Fabbrica Italia Pomigliano

 

Sintesi di contesto

L’ordinanza del Tribunale di Roma del 15.01.2013 è l’ultimo tassello di uno strano mosaico composto di materiali eterogenei: determinazioni manageriali ispirate alla produttività, dichiarazioni e giustificazioni mediatiche, decisioni giudiziarie, propositi più o meno dichiarati di resistenza alle stesse, ed ancora decisioni giudiziarie. Un mosaico non ancora definito e nel quale è allo stato difficile scorgere l'immagine finale, un incastro forzato di pezzi che faticano a combaciare, orientato e colorato da vettori che si muovono in direzioni opposte.

Si intuisce facilmente, tuttavia, che è in gioco il nuovo assetto degli equilibri all'interno dell'impresa industriale contemporanea; ci si muove alla ricerca del punto di sintesi tra impresa e lavoro, mercato e diritti. Non a caso in una delle decisioni che formano  il complesso quadro di sistema viene ribadito il centrale concetto che, ancora oggi, “l’affiliazione sindacale ...rappresenta l’occasione per manifestare una concezione del lavoro e della dignità umana in esso realizzata fondata su precise opinioni e consolidati sentimenti, tale sicuramente da poter essere annoverata tra le “convinzioni personali”.

E' di qualche giorno fa la notizia resa dalla dirigenza Fiat che 19 dei 145 operai reintegrati per effetto dell’ordinanza della Corte di Appello di Roma del 19 ottobre 2012, sebbene retribuiti, non sono stati e non saranno reinseriti nel proprio posto di lavoro. Siamo in un contesto industriale centrale nell'economia italiana, nel quale le prospettive di continuità dell'azienda passano dichiaratamente per una prevalenza delle regole di mercato sul tradizionale ruolo delle relazioni sindacali. Il percorso di ricerca di questa complicata sintesi passa, dunque, attualmente attraverso un aspro conflitto sindacale tra i vertici della Fiom-Cgil e della Fiat presso i vari stabilimenti nazionali, in particolar modo quello di Pomigliano.

Sono passati quasi tre anni da quando l’Amministratore delegato Fiat Sergio Marchionne, invitando i lavoratori a votare “sì” al referendum per la modifica delle regole di lavoro interne allo stabilimento di Pomigliano (tra cui, a fronte di un aumento salariale di 360 euro lordi l’anno, veniva prevista una diminuzione di 10 minuti della pausa, sanzioni per gli scioperi che avessero violato punti dell'intesa, eventuale non retribuzione dei primi tre giorni in caso di assenteismo anomalo) affermava perentoriamente, per orientare il voto, “Non ci sono alternative”; eppure, passato il referendum ed accettate dai lavoratori le modifiche, né la crisi aziendale né il clima di tensione tra le parti paiono minimamente placarsi.

L'ordine di assunzione dei lavoratori FIOM: mero antefatto o antecedente causale dell'attivazione della procedura di licenziamento collettivo?

L’ultimo round, che aveva dato una netta linea di tendenza al percorso, sembrava essere segnato dalla pronuncia della Corte di Appello di Roma con cui veniva riconosciuta la antisindacalità della condotta serbata dalla Fabbrica Italia Pomigliano s.p.a. nella fase di riassorbimento graduale del personale FIAT, dichiarando la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti alla FIOM ed ordinando a Fabbrica Italia Pomigliano Spa di cessare dal comportamento discriminatorio e di rimuoverne gli effetti.
Alla società veniva dunque ordinato di assumere prima 19 lavoratori FIOM, che avevano presentato ricorso autonomo, entro 40 giorni, e poi gli altri 126, “da selezionare   - secondo i criteri già utilizzati per l’assunzione dei lavoratori presso lo stabilimento di Pomigliano -  nell’ambito dell’elenco nominativo degli affiliati Fiom risultante al momento di presentazione del ricorso di primo grado”, entro sei mesi. Ebbene, a distanza di pochi giorni da tale provvedimento giudiziale, il 31.10.2012, la Società procedeva ad inviare una comunicazione di avvio del procedimento per licenziamento collettivo di 19 dipendenti. In data 27.11.2012,  FIP assumeva i primi 19 dipendenti Fiom.

L'attivazione della procedura di riduzione del personale e le motivazioni espresse nella comunicazione di avvio condensano una scelta aziendale che pare dire ancora una volta “Non ci sono alternative” e che in ogni caso ha provocato, oltre alla reazione dei sindacati, anche gli inviti dei Ministri dello sviluppo economico, Corrado Passera, e del Lavoro, Elsa Fornero, rivolti al Lingotto "a soprassedere", dunque a tentare di abbassare il livello ed i toni (solo formalmente pacati) dello scontro.

L'ordinanza del Tribunale di Roma: tra rigore ed approccio formalistico

In questo contesto si inserisce l’ordinanza del Tribunale di Roma del 15.01.2013, resa a seguito del ricorso immediatamente proposto dalla Fiom Cgil nazionale ex artt. 702 bis c.p.c. e 28 decreto legislativo n. 150 del 2011 avverso la comunicazione di avvio dei 19 licenziamenti collettivi. Con l'atto introduttivo si chiedeva di qualificare l'attivazione della procedura di riduzione di personale come pregiudizievole, in quanto da interpretarsi unicamente quale reazione-vendetta all’azione giudiziaria volta ad ottenere la parità di trattamento (e conclusa con l’ordinanza del Tribunale di Roma del 21.6.2012 e con l’ordinanza della Corte di appello del 19.10.2012); si chiedeva di considerare l'avvio dei licenziamenti collettivi come comportamento tenuto in diretta  violazione dell’art. 4 bis d.lvo n. 216/2003 e si agiva al fine della cessazione del comportamento pregiudizievole, della rimozione dei suoi effetti, nonché al fine di impedirne la ripetizione, sempre ai sensi dell’art. 4 d.lvo cit.

La norma principale invocata per l'attivazione del giudizio è dunque l’art. 4 bis del decreto legislativo n. 216 del 2003 (la cui rubrica è Protezione delle vittime) il quale recita: “La  tutela  giurisdizionale  di cui all'articolo 4 si applica altresì  avverso ogni comportamento pregiudizievole posto in essere, nei  confronti  della  persona  lesa da una discriminazione diretta o indiretta  o  di  qualunque  altra  persona,  quale  reazione  ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento”.

Ebbene, il Giudice affronta, in primo luogo, il problema relativo alla legittimazione attiva ed all'interesse ad agire dell’Organizzazione sindacale a proporre un’azione avverso l’avvio della procedura di licenziamento collettivo ex legge n. 223 del 1991 di 19 dipendenti (non ancora identificabili e dunque potenzialmente anzi con assoluta  probabilità non iscritti FIOM), risolvendolo positivamente, stante l’interpretazione lessicale e sistematica degli artt. 4, 4 bis e 5 del decreto legislativo n. 216 del 2003 che consente di individuare legittimazione attiva in capo ai medesimi soggetti sia per le discriminazioni che per le successive reazioni illegittime; dall’altro lato, il Tribunale valorizza il potenziale pregiudizio derivante dalla vicinanza temporale tra la precedente azione giudiziaria avverso un comportamento discriminatorio/antisindacale, promossa dalla medesima Organizzazione sindacale ed accolta in entrambi gradi di giudizio, e l’avvio della procedura di consultazione ex legge n. 223 del 1991 da parte della Società soccombente in quei giudizi. Di contro, il Giudice esclude la legittimazione attiva di lavoratori che siano diversi da quelli coinvolti dalla procedura ex legge 223 del 1991, in quanto non destinatari della comunicazione.

A questo punto, l'ordinanza procede a ripercorrere le tappe dell’intera vicenda sindacale, soffermandosi sulle ragioni addotte dalla Società per giustificare l’avvio della procedura di consultazione preventiva ai licenziamenti collettivi.

In particolare, evidenzia che:

  • 1) in data 31.10.2012 la Società invia comunicazione di avvio del procedimento per licenziamento collettivo di 19 dipendenti, causa a) crisi del settore ed aziendale, b) ricorso in eccedenza a CIGO dalla fine di agosto a dicembre 2012, c) ordinanze suindicate che hanno determinato un incremento di organico insostenibile, incompatibile con l’individuazione concertativa con i sindacati delle linee di lavorazione  e delle professionalità necessarie per la nuova produzione;
  • 2) in data 27.11.2012 la Società assume i 19 dipendenti individuati nominalmente dall’ordinanza della Corte di Appello;
  • 3) in data 14.01.2013, conclusa la procedura di consultazione ex artt. 24 (4 e 5) legge n. 223 del 1991 con tutte le organizzazioni sindacali (FIM CISL, UILM UIL, FISMIC, UGL METALMECCANICI) e le rappresentanze sindacali aziendali: riconoscimento dell’oggettiva sussistenza delle eccedenze di personale rappresentate da parte aziendale nell’ambito della procedura in argomento; parere negativo alle risoluzioni del rapporto di lavoro da parte dei sindacati e richiesta di individuare soluzioni alternative che consentano la gestione condivisa delle eccedenze di personale;

Il Tribunale conclude l'analisi fattuale sottolineando che al momento della decisione “la società convenuta non ha assunto alcun provvedimento”.

Ciò premesso, il Giudice esclude che il comportamento in esame serbato dalla Società possa configurare un “comportamento pregiudizievole” quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento, ritenendo di contro che “l’art. 4 bis non impedisce l’adozione di qualsiasi determinazione datoriale che si collochi in data successiva ad una accertata discriminazione  bensì  colpisce quelle determinazioni che risultino collegate a tale discriminazione e che si  presentino sprovviste di valide ed effettive  ragioni di carattere tecnico, organizzativo o produttivo…Nel caso, pertanto, di atto a formazione progressiva, come deve ritenersi il provvedimento di licenziamento collettivo (come è noto, sottoposto all’articolato procedimento di consultazione dettato dagli artt. 4 e 5 legge n. 223 del 1991), è necessario attendere il provvedimento finale che rappresenta l’esito (neppure vincolato) di una sequenza di fasi a valenza interna. La valutazione del pregiudizio richiede, pertanto, che il momento perfezionativo dell’atto si sia compiuto”.

Fin qui, il ragionamento seguito dal Tribunale appare, adottando una lettura meramente formalistica, prima facie condivisibile, procedendosi ad inquadrare la fattispecie nell'ambito di una carenza di interesse ad agire sotto il profilo dell’attualità. In sostanza il Giudice ha qualificato la comunicazione di avvio come mero atto prodromico, ritenendo invece configurabile l'elemento strutturale del pregiudizio solo all'esito di licenziamenti definitivi ed efficaci, allo stato invece ancora solo probabili e comunque inattuali.  Eppure, ci si sarebbe potuti spingere oltre, provando ad analizzare il concetto di comportamento pregiudizievole dell’art. 4 bis (“quale reazione ad una qualsiasi attività diretta ad ottenere la parità di trattamento”), valorizzando il significato della sintesi linguistica e tentando di distinguere il piano degli atti da quello degli effetti.

E', infatti, almeno dubitabile l'assioma proposto dal tribunale laddove ritiene che, per ottenersi la tutela attivata, debba determinarsi un pregiudizio identificabile direttamente e soltanto con i licenziamenti. Posto che il sostantivo comportamento può ben identificarsi con la comunicazione di attivazione della procedura, l'aggettivo pregiudizievole contiene una pregnanza intrinseca da valutarsi in concreto; in sintesi, non può aprioristicamente escludersi che già la sola attivazione del procedimento orientato ai licenziamenti collettivi determini effetti negativi in capo ai lavoratori FIOM, in quanto appartenenti-aderenti. Del resto il nesso di consequenzialità immediata e diretta della procedura di riduzione di personale dall'azione giudiziaria promossa dalla FIOM e dalla conseguente pronuncia della Corte d'Appello è elemento direttamente ammesso dalla Società FIP che, tra le motivazioni e le cause della messa in mobilità, individua proprio gli obblighi di assunzione discesi dall'ordine giudiziale. Dunque, il fatto (l'attivazione della procedura) ed il nesso di derivazione diretta dalla precedente azione giudiziaria sono assolutamente non contestabili.

Il nodo critico è rappresentato, dunque, da cosa debba o possa integrare l'elemento qualificante che rende il comportamento pregiudizievole.

Sotto questo profilo, ad avviso di chi scrive, l'attivazione del procedimento può realizzare immediatamente, ancor prima dell'efficacia di futuri ed eventuali licenziamenti, l'isolamento e la discriminazione degli iscritti al sindacato che ha precedentemente proposto diversa azione giudiziaria diretta ad ottenere la parità di trattamento. L’ordinanza non sembra tenere in considerazione che il pregiudizio derivante dalla condotta dell’Azienda può essere ben sintetizzato negli effetti di cui al brocardo latino “divide et impera”: lo stato di tensione individuale e sociale provocato dalla notizia della messa in mobilità di 19 dipendenti (necessariamente non iscritti alla Fiom, dovendo l'azienda rispettare l'ordine giudiziale di assunzione nonché la soglia numerica imposta) per far spazio a quelli indicati dalla Corte di Appello può, già di per sé, determinare uno stato di frustrazione, di risentimento e di rabbia nei confronti dell’Organizzazione sindacale promotrice della precedente azione giudiziaria. La OS e i suoi iscritti saranno (molto probabilmente) considerati responsabili, seppure indirettamente, di tali decisioni aziendali. L'effetto di icastica separazione, di caratterizzazione tendenzialmente negativa della connotazione sindacale dei lavoratori FIOM si realizza immediatamente, appena assunti dall'azienda, per il mero fatto della messa in mobilità attivata nei confronti di altri. Si determinerà necessariamente il dualismo tra i 19 lavoratori FIOM assunti per effetto della pronuncia giudiziale e i 19 lavoratori a rischio di licenziamento per far posto ai primi.

Peraltro, proprio mentre scriviamo, apprendiamo della notizia secondo cui sarebbe stato siglato un accordo firmato fra azienda e Fim, Uilm, Fismic, Ugl (assente, ancora una volta la FIOM) per il trasferimento del ramo d'azienda e delle attività della newco Fabbrica Italia di Pomigliano d'Arco in Fiat Group Automobiles e per la rotazione di 2.374 lavoratori nel periodo di cassa integrazione per riorganizzazione aziendale. La CIG dovrebbe partire il 1° marzo prossimo e terminare il 31 marzo 2014, garantendo di neutralizzare anche la procedura di mobilità dei 19 lavoratori.

Il punto dell’ordinanza che, invece, non convince affatto è quello relativo alla assoluta impossibilità da parte della Società di adottare provvedimenti diversi (e ritornano ancora le solite alternative che mancano) rispetto a quello della messa in mobilità dei 19 lavoratori divenuti eccedentari all'esito dell'assunzione di quelli FIOM.

In particolare, si legge nel provvedimento: “Da tale ordine (il provvedimento della Corte di Appello che ordina l'assunzione) non appare, peraltro, conseguire l’obbligo per l’impresa di mantenere un determinato numero di lavoratori nell’organico aziendale (ossia 2.146 + 19 + 126),  considerato altresì che la consistenza dell’organico ha rappresentato un elemento concordato con le organizzazioni sindacali mediante un piano di assunzioni, vincolato per una determinata percentuale (il 40%) e collegato all’andamento del mercato, per l’ulteriore percentuale di assorbimento dei dipendenti ex FIAT”.

Deve innanzitutto sottolinearsi che dall'esame dei valori numerici riportati nelle singole ordinanze in esame pare rilevarsi che la FIP s.p.a. nelle more dei vari giudizi -ed anche nell'ambito temporale tra l'ordinanza della Corte d'Appello e la costituzione nel giudizio dopo la messa in mobilità- ha continuato ad incrementare il proprio organico (nell'ordinanza della CdA si dà atto di un organico di 2091 unità -cfr pag 15- mentre nell'ordinanza in esame si parla di un organico che ha raggiunto le 2.146). Dunque la totale saturazione risulta essersi determinata proprio in perfetto parallelo temporale con l'efficacia degli obblighi di assunzione; dunque, l'eccedenza si è palesata con una coincidenza temporale che è difficile qualificare come casuale.

Peraltro, occorre tenere in considerazione, a nostro avviso, che l’illegittimità ed il carattere ulteriormente discriminatorio della condotta serbata dalla Società non potevano soltanto essere rintracciati in altre peculiari coincidenze quali il brevissimo arco temporale (in tutto un mese!!) tra l’ordinanza della Corte di Appello, la conseguente assunzione dei 19 lavoratori Fiom e l’avvio della procedura di consultazione finalizzata a licenziamento collettivo di altri 19 lavoratori non Fiom (altra perfetta coincidenza numerica), bensì, anche e soprattutto, nella considerazione che quella consistenza dell’organico originariamente concordata con i sindacati (ma non con la FIOM) è stata determinata da un comportamento a sua volta dichiarato illegittimo e già definito discriminatorio nel precedente giudizio, in entrambi i gradi.

Pertanto, considerare che la Società possa e debba essere ancora vincolata a quella percentuale così come concordata con le organizzazioni sindacali appare, quantomeno, molto discutibile, finendo, altrimenti, per concludersi che la censura della Corte di Appello si limitasse ad una mera individuazione nominale dei lavoratori da assumere ovvero da tenere fuori e non,  come invece effettivamente va intesa, in una stigmatizzazione di un errato modus procedendi nel suo complesso. Solo se interpretata in modo esclusivamente formalistico, l’ordinanza della Corte di Appello del 19.10.2012 può essere intesa quale indicazione “di chi assumere”; invece, letta in maniera “non ritorsiva” ed ispirata a canoni di buona fede e correttezza, deve ritenersi che essa indichi “il come assumere”, escludendo preferenze tra i lavoratori, ma imponendo alla parte datoriale di sceglierli e selezionarli senza tenere conto delle loro “condizioni e convinzioni personali”.

In conclusione, ci appare che si sia persa un’occasione di risoluzione giurisdizionale di un conflitto che sicuramente perdurerà nei prossimi mesi e che, invece, con un provvedimento diversamente motivato avrebbe potuto essere indirizzato verso un nuovo modo di confronto tra le parti, fondato su regole di correttezza e privo di tante provocazioni, invero più adatte ad un antimoderno “regime della tensione”.

21/02/2013
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