Il presente articolo costituisce un'anticipazione del numero 4/2021 di Questione Giustizia trimestrale, di prossima uscita, dedicato alle riforme della giustizia.
“Riforma Cartabia” e processo d’appello *
Questione giustizia pubblica, per il suo rilevante interesse, in versione italiana e in originale inglese, la Dichiarazione di MEDEL sulla riforma costituzionale della magistratura in Italia del 22 novembre 2025
Questione giustizia pubblica, per il suo rilevante interesse, in versione italiana e in originale portoghese, la Dichiarazione di solidarietà con la magistratura italiana dei pubblici ministeri portoghesi
Magistratura democratica e Questione giustizia presentano il volume dedicato a La riforma costituzionale della magistratura, 20 novembre 2025, ore 15.30, Roma, Corte di Cassazione, Aula Giallombardo
La crisi in cui versa la giustizia civile, non solo e non tanto per la difficoltà, pur in presenza di uno sforzo straordinario, di rispettare il disposition time imposto dal PNRR, ma anche e soprattutto per le prospettive di grave incertezza che si aprono dopo il 30 giugno 2026 con il ritorno al regime ordinario, trova una delle ragioni principali nell’eccessività del sistema delle impugnazioni. La drammaticità del momento richiede una riforma radicale delle impugnazioni che, mediante gli opportuni aggiustamenti nella disciplina della revocazione, fra cui l’estensione dell’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c. anche alla sentenza di primo grado, trasformi l’appello da gravame in rimedio impugnatorio, a motivi illimitati in diritto, e limitati in fatto al vizio motivazionale corrispondente al vigente art. 360 n. 5 c.p.c., mentre il ricorso per cassazione dovrebbe essere previsto esclusivamente per i motivi di cui ai primi tre numeri dell’art. 360, facendo della nullità della sentenza e del procedimento (il numero 4 dell’art. 360) un motivo di revocazione ordinaria. Tutto questo comporta il riconoscimento, in continuità ad un modello che potrebbe ricavarsi dalla stessa Costituzione, della centralità del giudizio di primo grado, quale sede autentica di formazione nel contraddittorio della decisione giurisdizionale.
Il principio personalista è pacificamente annoverato tra i princìpi supremi della Costituzione, non derogabili neppure con procedimento di revisione costituzionale. Effetti di sistema su di esso possono rinvenire dalla riforma costituzionale della magistratura. La separazione delle carriere risulta allo stato adiafora rispetto al disegno costituzionale, come del resto già riconosciuto dalla Corte costituzionale, ma, tenuto conto dell’ambiente processuale concreto in cui viene a calarsi, sortisce un effetto contrario a quello voluto dal revisore costituzionale, con un rafforzamento del pm che non giova, e anzi è di ostacolo, all’auspicato incremento della terzietà del giudice, specie delle indagini preliminari. La duplicazione dei csm e la loro composizione affidata al sorteggio appaiono prive di efficacia sul fenomeno del “correntismo” ma ne annullano la rappresentatività dei magistrati in violazione del principio elettivo, che appare di carattere supremo. La stessa Alta Corte di giustizia per i soli magistrati ordinari dà l’idea di un giudice speciale non in linea con il divieto costituzionale. Queste criticità rischiano di indebolire l’immunità delle persone da pene ingiuste in conseguenza dell’alterazione dell’equilibrio tra persona, comunità e Stato. Piegata impropriamente a risolvere problemi contingenti e specifici, la riforma non ha il dna della “legge superiore”, presbite e perciò destinata a durare nel tempo. Data la sua prevedibile inefficacia relativamente ai fini dichiarati, essa ha valore simbolico e mira piuttosto ad aggiustare il trade-off tra giustizia e politica in senso favorevole a quest’ultima.