Magistratura democratica
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L’omicidio perfetto (del buon senso)

di Vincenzo Muscatiello
Professore Associato Università degli studi di Bari "Aldo Moro"
Note in margine alla riforma dei reati per circolazione stradale

1.1.Gatekeepers e politica legislativa: da McLurg a Gerbner.

Non è più, ormai, una novità, la dimensione regolativa dei principi penalistici è spesse volte influenzata dalla visione costituzionale che ad essi viene attribuita dalla condivisione mediatica dei fenomeni giuridici: offensività, extrema ratio o sussidiarietà, funzione rieducativa della pena, sono solo alcuni dei principi costituzionali in materia penale suscettibili di aperture mediatiche, nel senso di una nuova tavola dei valori e delle gerarchie, mutati da una rappresentazione mediatica dei conflitti punitivi in grado di esaltare o mortificare l’uso e la frequenza dell’arsenale punitivo. I mass media svolgono, in sostanza, una funzione di organizzazione della scala dei (dis)valori penali (1) incidendo nella dimensione assiologica del sistema penale, influenzando la valutazione delle tutele, la scelta dei valori, il rango di una tutela sanzionatoria, innalzando o mortificando il contenuto di un bene e l’opportunità e la quantità dell’intervento penale, preoccupandosi non di rado di inseguire la paura collettiva e tralasciare l’ineffettività, a volte persino la ragionevolezza, di una nuova incriminazione (2). L’agenda setting (3) ha questa capacità distorsiva, la capacità, cioè, di enfatizzare o di mortificare temi e argomenti in modo da lasciar trapelare la sensazione di una emergenza assiologica ovvero, al contrario, in una sorta di spirale del silenzio (4), lasciar scivolare un valore in secondo piano, in ragione di ciò che la maggioranza desidera trascurare, o la minoranza non riesce a curare, e quidi consentire una degradazione e un affievolimento di una tutela marginalizzata, rispetto ad altri valori, descritti invece con maggiore enfasi ed attenzione.

L’etichetta e l’iscrizione nel catalogo della punibilità, in questa sorta di postmodernità legalista, si svelano provvisorie, a gradualità mutevole, in un ranking valoriale dove il consenso rielabora le graduatorie e muta la percezione diffusa del significato dell’attributo di vulnerabilità che un bene deve o meno possedere. La naturale conseguenza è che l’equilibrio o la scoperta dei valori, attuata più o meno sapientemente dal sistema penale, viene direttamente influenzata ed alterata dalla (pre)potenza mediatica, e dalla selezione e costruzione di un valore piuttosto che un altro: l’equilibrio dogmatico si lega alla percezione e interpretazione dei valori per via della persuasione o della dissuasione attuate dai gatekeepers di valori costituzionali, chiamati ad una imprevista selezione dei beni e alla innaturale collocazione al di qua o al di là del cancello della notiziabilità (5). Poco giuridica, nondimeno cogente più di quanto la natura fantasiosa possa lasciare intendere, la legge di McLurg (6) evidenzia come, nella scala graduata dei valori/notizia, entrino in giuoco elementi avversi a qualsiasi ragionamento giuridico, e del tutto peculiari all’ambito informativo: il valore è un concetto relativo, assai spesso indifferente all’in sé dell’evento.

Non basta. Un gradino più giù del livello costituzionale, il tema si ripropone per la politica criminale di tipo legislativo, nelle forme teorizzate da Gerbner: la comunicazione di massa riesce a persuadere sulla identità fra mondo reale e realtà descrittiva, quasi che la realtà sia esattamente quella raccontata dalla lettura mediatica, e le vittime di un dato crimine siano esattamente quelle oggetto del flusso comunicativo mediatico, al punto da sollecitare la costruzione di norme e fattispecie sulla base di una immagine del reo, dei comportamenti e delle offese non effettiva, e tuttavia convincente più di quanto non sia una seria valutazione comparativa o statistica o empirica. La coltivazione mediatica (7) genera o pone le basi per un prodotto normativo viziato da premesse mediatiche al servizio di una classe istituzionale che mira a preservare lo status quo, truccando i dati della realtà ed elaborando pregiudizi di vario genere (8): una rappresentazione insistita di reati da parte di non residenti, una sovraesposizione di dinamiche criminali di un certo tipo, una accentuazione delle angosce collettive, sono tutti progetti comunicativi generativi di irrequietezza e di irritabilità (9) e per essi di una esigenza di legislazione punitiva affievolita a funzione simbolica e disequilibrata (xenofobia, panico collettivo, recidiva, etc.), priva della indispensabile valutazione sulla ricorrenza o significatività statistica del fenomeno sociale denunciato (10).

L’enfasi della narrazione (11), la sospensione dell’incredulità, confonde gravità e frequenza, portando alla ribalta ciò che è grave e rendendo all’occorrenza frequente ciò che capita di rado (12) e così l’euristica della rappresentatività (13) produce i suoi epigoni: se il tutto non è rappresentabile, né in fondo potrebbe esserlo, il poco deve rendersi equivalente al tutto, il che porta alla quadratura di un qualitativo che sa rendersi quantitativo, di una modalità rara che sa offrirsi come probabile, in una esasperazione del dato assiologico a discapito di quello personologico, rappresentato semmai come conferma di un idealtipo criminale che ne erediti l’enfasi del racconto. L’alta densità assiologia è il naturale portato di questa rappresentazione massiva (14) che sposta tutto il fuoco mediatico sulla azione e, per conseguenza, attribuisce al reo una dimensione pari alla grandezza assiologica artatamente costruita dall’enfasi della notiziabilità. Il fatto grave diviene gravissimo, la violenza appare massiva, idonea a giustificare la dimensione nemicale del fatto e del reo (15) in una visione alterata dei fatti, come base per deduzioni guidate o influenzate dai mass media (16). Ipotesi di verità e generalizzazioni estensibile divengono, così, il risultato di una prospettazione ideologica priva di conoscenza, o almeno a conoscenza presunta, su base fiduciaria, affidata alla descrizione o costruzione delle categorie criminali di questi moderni racconti popolari (17) e, in questo nuovo diritto penale cool (18), gravità mediatica e gravità legislativa si svelano topos di uno razionalità divergente, ove si evidenzia la tendenza a considerare per i mass media grave, dal punto di vista penalistico, ciò che non lo è, o lo è meno, dal punto di vista giuridico legislativo, in una doppia scala di valori, ascendente per l’uno, discendente per l’altro (19). Il second code, parallelo e talvolta alternativo a quello del sistema legislativo penale, esprime così una rilevanza penalistica selezionata su indici di valutabilità che si aggiungono a quelli ulteriori e già filtrati dagli apparati istituzionali di tipo investigativo e giudiziario (20): a dispetto dei dati e delle analisi statistiche (21), il refrain mediatico, fondato sui cosidetti crimini-segnale (22), ripete ciò che è convincente anche se non necessariamente vero, e cioè che la-criminalità-aumenta, la-polizia-agisce-poco-duramente, i-tribunali-sono-troppo-indulgenti, la-legislazione-punitiva-è-troppo-tollerante, i-rei-restano-tutti-impuniti.

In questo moderno incantamento della visione delle cose giuridiche, a dispetto degli argomenti e dei ragionamenti (23), lo spettacolo e la rappresentazione della insicurezza e della angoscia sociale tessono le fila di un discorso sulla paura che tiene unite le vite degli uni in una apparente coesione sociale con l’idea di altri, divenuti tuttavia estranei al circolo della appartenenza mediatica: l’uno e l’altro, il noi e gli altri, costituisco un inesauribile serbatoio di ansietà sul quale la politica criminale guidata dalla immaginazione ostile (24) costruisce le categorie nemicali e le logiche securtarie, a dispetto della veridicità della fonte originaria della paura primaria: sensazionalismo e dimensione ideologica della notizia possono generare istanze politiche per un surplus di incriminazione su materie selezionate sulla base della percezione del crimine, mediata dalla comunicazione e dalla meritevolezza collettiva. Dunque la politica criminale come riflesso della drammaticità di materie punitive, il che significa legiferare su alcune materie e trascurarne altre in ragione di indici di comunicazione e gravità affatto coincidenti con la reale gravità delle categorie criminali. Nondimeno, la forma e il tipo di una scelta punitiva possono legarsi alla percezione di dinamiche comportamentali anch’esse condizionate da forme di autocensura ovvero di esaltazione mediatica: ne consegue l’idea, spesso praticata con disinvoltura dogmatica, che una sensazione di odiosità posso trasformarsi in costruzione di aumenti sanzionatori a prescindere da connotati di esigibilità o di emotività affievolita che, al netto della influenza mediatica, una seria riflessione sistemica non potrebbe non prendere in migliore considerazione. Se altrove la maggiore punizione sembra legarsi alla maggiore adesione psicologica o alla entità valoriale compromessa dal fatto illecito, la teorica mediatica degli aumenti di pena può suggerire punibilità accessorie in ragione di esigenze punitive slegate dal ragionamento dogmatico che ne consentirebbe la previsione.

Nasce così, o si sviluppa, una sorta di schizofrenia legislativa: l’aspettativa sociale, il presumibile effetto di rassicurazione sociale, producono l’insipienza dei reati sulla immigrazione clandestina, le aggravanti irragionevoli (25), il refrain dell’indignazione esagerata (26), infine normative a passo di gambero prive di un reale progetto culturale, anzi talvolta persino avverse al progetto culturale annunciato in modalità apparentemente convincente (27).



1.2. Mediatizzazione del tipo criminale: “il modo come la gente considera il furto è ciò che rende ladro il ragazzo”

La personalizzazione dell’esigenza punitiva sulla base di un paradigma per tipi criminali è iscritta nelle ragioni costitutive del sistema mediatico: il minor appeal del diritto penale del fatto si lega alla necessità di dare un nome e un volto all’autore della vicenda giuridica, il quale occupa la scena mediatica con i suoi tratti concreti e personali (28). Non interessa la violenza nella sua astrattezza dogmatica, né l’omicidio descritto nella codifica penale, conta invece uno specifico episodio di violenza, un determinato omicidio, l’episodio come base di un ragionamento che nasce e si sviluppa intorno ad un volto e ad un nome, all’immagine e all’identikit del soggetto attivo in una suggestione idealtipica che soggetivizza le dinamiche delinquenziali. La persona del reo in larga misura precede il fatto, quasi a sovvertire le ordinarie regole di sussunzione, non è il fatto a dover essere qualificato come reato, ma il soggetto ad essere sussunto nel paradigma della reità, ed essere reo, se certamente non può prescindere dal fatto, in qualche modo lo precede o lo consuma: in una sempre ricorrente bulimia del nemico(29), il sistema delle norme viene condotto a generare una edificazione della normazione penale in diretta correlazione con il graduale slittamento del fenomeno giuridico e giudiziario da una dimensione di potere razionale-legale a quella di potere mitico-carismatico (30).

Violenza, furto e omicidio devono avere una identità, magari inizialmente incerta, tuttavia la fisicità non può mancare in una rappresentazione dei fatti mediatici, più aristocratica e selettiva rispetto alla normale visione democratica dei fatti giuridici, e se il reo, come nelle dinamiche avvincenti, non è immediatamente conosciuto, è per così dire un-uomo-qualunque, la prima e più immediata identità disponibile è quella della vittima, insolitamente chiamata a concorrere alla dimensione identitaria del fatto illecito, rappresentato attraverso una sensibilizzazione emotiva legata alla sofferenza subita dalla vittima del reato. Questa ultima e particolare forma di soggettivizzazione della dimensione penale concorre a formare una odiosità criminale e, per essa, una tipicizzazione dell’episodio comportamentale, illuminato dalla originaria simpatia per la parte debole della vicenda penale. Si tratta di una particolare espressione di precomprensione nemicale legata ad un approccio emotivo che riesce a influenzare la ricerca e la selezione dei colpevoli: nel tentativo di esorcizzare la paura e l’ansia, generative di condivisione, solidarietà, o di panico e desiderio di certezza, ma anche, per opposti versi di distanza o indifferenza, l’episodio vissuto dal lato della vittima genera l’esigenza di un capro espiatorio per poi influenzare il corso delle vicende giuridiche, nel senso di una legge più severa, di una sentenza esemplare, purchè generativa di rassicurazione sociale e di ridistribuzione delle responsabilità sociali, allontanate da una attesa beckettiana per una decisione pacificatrice ed anestetizzante. Quale sia, purchè vi sia.

Tradotto sul piano dogmatico, la straordinarietà emotiva del reato dal lato della persona offesa e della compassione eroica che essa sollecita, concorre ad elaborare fattispecie e processi incentrati sul punto di vista della vittima, della sua disgrazia e della sua innocenza (31): scelta del reato, forma del reato, conseguenze del reato, in sostanza l’an e il quommodo della politica criminale, veicolano istanze emotive difficilmente fronteggiabili in un ragionamento ipotecato dalla prospettiva vittimologia in costanza della quale resta difficile introdurre argomenti o censure di tipo tecnico o scientifico. La riflessione sull’opportunità dell’intervento punitivo, il richiamo all’equilibrio e alla compostezza sanzionatoria, l’ordinario sindacato probatorio, restano paralizzati da una penombra emotiva illuminata solo da riflettori mediatici ed ostile a ripensamenti raziocinanti: in un clima così intenso sul piano emozionale, discutere pacatamente del fatto penale equivale, in qualche modo, a travalicare la sofferenza individuale, a tradire le aspettative della vittima, uccidere una seconda volta – come si sente di sovente ripetere nei resoconti giornalistici - ciò che raramente si è disponibili ad attuare, a meno di attrarre il disappunto collettivo e l’emarginazione sociale per un punto di vista non allineato al comune sentire. La dimensione giuridicamente servente, tratteggiata in forme quasi sempre ancillari, diviene mediaticamente dominante, con inaspettate forme di partecipazione partecipazione della vittima alla dinamica di formazione del convincimento, al contributo della vittima alla selezione dei colpevoli, al punto di vista della vittima nella misura della conseguenza punitiva (32). La sovranità politica e quella punitiva cominciano a circolare orizzontalmente, in primordiale dispositivo “bio-mediatico” riproposto con una pervasività e incisività appartenute alle epoche più lontane: la lettre de cachet (33) può oggi camminare nei binari di una comunicazione alla quale partecipano milioni di persone, i quali, nel flusso comunicativo personale fanno confluire nell’oceano mediatico ogni tipo di informazione e di istanza, fra cui anche quelle di tipo punitivo verso una particolare materia o un particolare colpevole. Il quotidiano entra nel discorso penale e senza alcun filtro tecnico il carisma della realtà entra a comporre una costrizione/costruzione punitiva per uno o più del sudditi sociali.

Nel territorio mediatico la vittima è, insomma, molto di più di quello che il sistema penale riesce ordinariamente ad immaginare. Beninteso, non ogni vittima e non ogni reato, la scelta resta comunque affidata alla logica di audience, essere vittima è ancora una questione di scelta e di selezione di alcuni, piuttosto che di altri. Nessuno ha la certezza di poter essere risparmiato e, se la vittima chiede, e si tratta di vittima autorevole o socialmente organizzata, un colpevole occorre che sia ritrovato.

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2. La colpa per infortuni e la colpa per incidente stradale. La sociologica dell’addebito colposo.

La materia dell’infortunistica stradale, al pari di quella lavoristica, è sempre stata territorio privilegiato degli addebiti colposi. Persino nei casi più difficili e dolorosi, le sollecitazioni a dare ingresso a responsabilità dolose, e per esse a forme di ridescrizione della figura punitiva, hanno vissuto per un attimo l’inquietudine dogmatica di un trapasso sistemico inatteso quanto, a volte, persino non necessario (34): come non avvertirne la sensazione, “(n)el dubbio tra le due figure, si sposta il “pendolo” del titolo di responsabilità da una parte all’altra a fini puramente “impressionistici” e si lavora poi sulla dosimetria della pena per ottenere lo stesso (più o meno) carico sanzionatorio” (35). Il punto è semmai quanto dura questo attimo, e quanto si è disposti a sopportarlo, ma certamente la colpa ha ripreso ciò che aveva ceduto ed è tornata ad essere la forma migliore di un addebito non impermeabile a gradualità sanzionatorie capaci di flessibilità e rigore: la forbice da sei mesi a cinque anni del vecchio art.589 c.p. sa di potersi elevare al nuovo intervallo fra due e sette anni, ovvero fra tre e dieci anni in particolari condizioni di ebbrezza alcolica o condizionamento da sostanze stupefacenti o psicotrope; infine aumentasi di un ulteriore surplus nel caso di eventi plurimi, non però oltre il massimo di anni quindici, posto come limite di questo peculiare cumulo giuridico con pena moltiplicabile fino al triplo della sanzione più grave.

Si tratta di una disciplina punitiva governata da regole di iscrizione soggettive tipicamene colpose, eppure non molto distanti, quanto a rigore punitivo, dal cugino addebito preterintenzionale governato dalla non lontanissima forbice edittale da dieci a diciotto, ma anche da un coefficiente soggettivo senz’altro più selettivo e complesso, rispetto almeno al più agevole accertamento della violazione di regole cautelari. La disposizione, circondata da propri aggravamenti, nasce dunque, e si sviluppa, come esigenza di una seversità flessibile affidata alla sapienza discrezionale e all’adattamento della fattispecie astratta al caso concreto. Il sistema degli aggravamenti, e l’ultimo in particolare, più vicino in realtà alle forme della pluralità giuridica, riprende esattamente la riserva di fiducia che la figura formale o continuata intende solitamente concedere all’interprete del caso concreto, l’idea di lasciar coesistere ragioni di equità e mitezza sanzionatoria espresse nel sintagma “fino-al-triplo”, con la possibilie intransigenza di un “triplo”, calmierato solo dalla salvaguardia del coefficiente numerico di anni quindici, ben oltre la pena base per fatti preterintenzionali e coerente con tutele assiologiche a base emotiva dolosa; realizzare, così, una valutazione graduata dei comportamenti umani offerti a valutazioni non semplicistiche, non grezzamente obiettive, ma attente alle dinamiche subiettive, sottese, ermeticamente, alla unità di azione od omissione, oltre la quale dedurre forme di responsabilità il più possibile personologiche dell’illecito penale.

L’intreccio delle diverse penalità, accessorie (36) o pluralistiche (37), concorre, in altre parole, a disegnare una norma accogliente, la quale esprime il tentativo incompiuto, volutamente incompiuto, di segnare una diversa sensibilità e cultura punitiva in antitesi alla idea rigorista e alla illusione tassonomica del sistema codicistico. Detto in altro modo la norma come espressione di un riserva di fiducia che trae origine dalla comunanza materiale e dalla complessità psichica di actiones non tutte ugualmente e presuntivamente liberae, ma accompagnate ad una sorta di euristica del dubbio, l’auspicio cioè a trarre dal dubbio l’argomento per una riflessione che sappia sindacare la complesità dell’illecito pluriemotivo o plurilesivo, e legarvi una conseguente disciplina edittale, adattata alle caratteristiche della concreta dinamica delittuosa.



3. L’omicidio perfetto: è-finito-il-tempo-dell’impunità.

Poteva bastare (38), ma non è invece bastato, o almeno è probabile che non basterà. E forse non basterà ancora, stando almeno alle prime obiezioni per un novum sospettato già di blandizia o inadeguatezza prevenzionale (39).

Il disegno di legge appena approvato alla Camera, e ora in attesa della approvazione definitiva dell’altro ramo del Parlamento (40), prevede la nuova figura di omicidio stradale colposo, sanzionato con un aggravamento delle pene, nel caso venga commesso sotto l’effetto di droghe o alcol. Il reato viene graduato su tre varianti: resta la pena da 2 a 7 anni nell’ipotesi base, quando cioè la morte sia stata causata violando il codice della strada, ma la sanzione penale passa da 5 a 10 anni (41) nel caso di tasso alcolemico superi 0,8 g/l (situazione parificata alla causazione di un incidente per condotte di particolare pericolosità, come eccesso di velocità, guida contromano, infrazioni ai semafori, sorpassi e inversioni a rischio)(42), e raggiunge gli anni da 8 a 12 nel caso di omicidio con guida in stato di ebbrezza con un tasso alcolemico oltre 1,5 grammi per litro o alterazione psico-fisica legata a sostanze stupefacenti o psicotrope, o in guida in semplice stato di ebrezza (da 0,8 in poi) o in condizione di alterazione psico-fisica legata all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope qualora però i conducenti appartengano a speciali categorie soggettive (43)e gli anni 18, nei casi più gravi pluralità di eventi lesivi. Aumenti anche per le lesioni stradali: l’ipotesi di base rimane invariata ma pene salgono per chi guida sotto l’effeto di alcol o sostanze stupefacenti da 3 a 5 anni per lesioni gravi e da 4 a 7 per quelle gravissime; in caso di assunzione di bevande alcoliche (soglia 0,8 g/l) o l’incidente è causato da manovre pericolose, scatta la reclusione da un anno e 6 mesi a 3 anni per lesioni gravi e da 2 a 4 anni per le gravissime (44). Numerosi gli accidenti, per lo più aggravanti: aumenti sono previsti “se il fatto è commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell’autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria” o, con previsione ad hoc di cui all’art.589-ter, ripetuta per la fattispecie di lesioni nell’art.590-ter, nel caso in cui il conducente si dia alla fuga, con aumento da un terzo a due terzi e comunque base minima di pena non inferiore a cinque anni per l’omicidio, e a 3 anni per le lesioni. Escluso il bilanciamento o la prevalenza di circostanze attenuanti, l’unica chance attenuatrice viene affidata alla diminuizione fino alla metà quando l’incidente è avvenuto anche per colpa della vittima e le diminuzioni si operano sulla quantità di pena determinata ai sensi delle predette circostanze aggravanti. In caso di condanna o patteggiamento (anche con la condizionale) per omicidio o lesioni stradali viene automaticamente revocata la patente e il nuovo titolo abilitativo sarà ottenibile solo dopo 15 anni (omicidio) o 5 anni (lesioni), aumentati nelle ipotesi più gravi (se ad esempio il conducente è fuggito dopo l’omicidio stradale, dovranno trascorrere almeno 30 anni dalla revoca) (45). Infine il refrain tipico della moderna produzione penalistica, la previsione cioè di una diversa prescrizione: i termini di prescrizione sono raddoppiati e, sul versante processuale, è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza nel caso più grave e l’arresto facoltativo negli altri casi (46).

Il disegno complessivo appare evidente: un autonomo nomen juris (il che rende l’art. 589 riferibile nel capoverso al solo omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro), il fantasma del dolo eventuale (tant’è che le norme concernono solo la circolazione con veicoli a motore, la scelta cioè di assumere il rischio di una circolazione in costanza di condizioni più o meno ottundenti); l’aumento delle pene per casi anomali, ma anche per specifiche violazioni colpose di particolare gravità; la differenziazione delle guide anomale, meno grave se sotto l’effetto di alcol con tasso fra 0,8 e 1,5, più grave se sotto l’effetto di sostanze alcoliche con tasso alcolemico superiore a 1,5 ovvero sotto l’effetto di stupefacenti, la deterrenza penale anche attraverso rimedi cautelari anticipatori e corollari afflittivi di lunga durata, ai limiti del fine-revoca-patente-mai. E molto altro ancora, anche sul piano processuale, a partire dall’arresto obbligatorio per le fattispecie più gravi.

Il prima, evidentemente, non poteva bastare e la nuova legge intende finalmente porre termine alla impunità: “il tempo della impunità è finito” e – verrebbe da aggiungere – gli impegni presi sono stati rispettati.



4. La rottamazione e il tempo della risacca.

Mettiamo da parte per un attimo – cosa in realtà non semplicissima, ma doverosa sul piano tecnico e teorico – l’annuncio delle morti innocenti, l’investimento di passanti incolpevoli, o di ciclisti al bordo di strada, o il dolore infinito per bambini investiti all’uscita di scuola. L’analisi di una fattispecie merita l’astrattezza del ragionamento anche per materie così sensibili alla emozione e al disappunto.

Non vi è dubbio, la rottamazione del vecchio art.589 per i fatti legati alla circolazione stradale garantisce una serie di opportunità sconosciute alla vecchia disciplina: dal punto di vista emotivo il bis e la nuova rubrica danno la sensazione di una nuova punibilità, la psicologia dell’illecito sembra essere finalmente anche dolosa, le forbici edittali presentano nuovi minimi e in alcuni casi nuovi massimi di pena, il che rende più probabile la punizione, il fine processo sembra allontanarsi grazie a nuovi tetti prescrizionali e il fine-pena-mai se non per la pena, almeno per la revoca sembra finalmente aver trovata una ragionevole attuazione.

L’entusiasmo, la soddisfazione, l’euforia per un cammino finalmente compiuto sono ovviamente comprensibili, ma esprimono in modo perfetto l’incantamento di una narrazione giuridica alla ricerca di consenso sociale. Ciascun argomento conosce il suo contrario e non è difficile intravederlo. Proviamo a sussurrarlo in forma di brachilogia.



4.1. Lo slogan anzitutto, il tweet come si direbbe più modernamente: il-tempo-della-impunità-è-finito. Il tempo della impunità allude ad un fenomeno antico e diffuso, la c.d. ineffettività del sistema punitivo, l’assenza di punizione per fatti per i quali il sistema tratteggia forme di punibilità in the book, ma in verità anche questa norma disegna la punibilità e non la punizione dei fatti illeciti, esattamente come il vecchio art.589 c.p., essendo come è noto la punizione fenomeno assai più complesso e legato alle peculiarità delle vicende processuali e alle naturali letture giudiziali, consentite dal vecchio, tanto quanto lo consentirà il nuovo apparato sanzionatorio. I vecchi sette anni rappresenta(va)no una dosimetria sanzionatoria, peraltro ulteriormente elevabile nel giuoco delle aggravanti o dei reati ausiliari, idonea a garantire la punibilità, il che vale a dire che se, ad oggi, la punizione non è stata raggiunta (ammesso che questo sia vero), la ragione appartiene, come sempre, a logiche di sistema, l’intreccio cioè di norme sostanziali, processuali e penitenziarie, le quali continueranno a governare il nuovo art.589-bis c.p. tanto quanto hanno governato il vecchio art.589 c.p. Non è detto che il governo della emergenza sia un male, e non importa che non sia un bene, conta invece il fatto, che nessun annuncio mediatico può mutare, che la sanzione possa essere applicata, ma nessuna norma può imporre che debba essere applicata. Come dire: il tweet confonde la punizione, e il suo contrario, con la punibilità, e il suo possibile.

4.2. Il reato, e anche questo è probabilmente un bene, resta a struttura emotiva colposa, distante dalla tentazione di un ibrido psicologico che avrebbe vincolata la lettura psicologica delle singole vicende, per le quali si auspicava un visione performativa della norma incriminatrice: la norma non accoglie l’auspicio ad una presunzione di atteggiamento subiettivo, incerto fra dolo eventuale e colpa cosciente, identificato attraverso il contesto infortunistico sufficiente a dedurre una peculiare forma di animus necandi imposta per volontà normativa; resta, viceversa, ancorata ad una visione di tipo prevalentemente colposa, ma aggiunge una inconsapevole eterogenesi dei fini: la tassativizzazione delle forme gravi di colpa (eccesso di velocità, guida contromano, infrazioni ai semafori, sorpassi e inversioni a rischio) rendono più difficile, se non, come detto, impossibile, l’inquadramento eventualmente doloso, a meno di non immaginare una spazio a contenuto doloso nei casi di consapevole e deliberata violazione cautelare (es.: autista sceglie di percorrere una strada contromano; ovvero sceglie di procedere in centro urbano ad una velocità che ha calcolata essere pari o superiore al doppio di quella consentita) e lasciare l’addebito colposo aggravato alla solo violazione inconsapevole della disposizione cautelare (es.: autista non si accorge di percorrere la strada contromano; ovvero procede in centro urbano a velocità calcolata incautamente come inferiore al doppio di quella consentita) il che però priverebbe l’aumento della fattispecie colposa aggravata di qualsiasi coefficiente di ragionevolezza, posto invece a base della specifica ratio aggravatrice cosciente.

4.3. La forbice da 5 a 10 cambia il minimo, ma non il massimo, con ricadute processuali più che sostanziali e il nuovo triplo passa da un massimo di 15 al nuovo tetto di 18 anni, innalzando di ulteriori tre anni una pena già capace di contenere il disappunto sanzionatorio per condotte che non smarriscono la natura colposa, per quanto limitrofe a forbici edittali previste per fatti dolosi apparentemente più gravi di quelli oggetto della odierna revisione. L’aumento – si sa – aiuta il consenso sociale, a dare sensazioni di efficienza e rigore, ma una analisi tassonomica non può mancare di evidenziare come le nuove forme colpose possano raggiungere tetti di pena analoghi a quelli imposti per forme dolose, in un disequilibrio sistemico proposto senza eccessivi patemi raziocinanti: la lesione colposa grave legata alla assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti raggiunge la forbice da 3 a 5 anni mentre quella di affine gravità dolosa si arresta poco più sotto a 3/7 anni, ma può essere raggiunta e persino superata nel caso in cui il conducente in colpa grave abbia patente sospesa o revocata. Sarebbe come dire che, in alcuni casi, converrebbe confessare la natura dolosa dell’illecito e così scongiurare il giuoco degli aumenti che l’infortunistica costruisce, e comprensibilmente, per i soli fatti colposi.

4.4. Il di-più, ma anche il di-meno, o almeno l’uguale-a-prima: l’art. 589-ter aggiunge una figura autonoma di reato e ciò alimenta la sensazione di un rigore efficientista sconosciuto alla legislazione precedente. Non è esattamente così: l’ipotesi di fuga del conducente dopo un incidente con danno alle persone incontra(va) una discipina sanzionatoria garantita dall’articolo 189 del Codice della strada con pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni e sospensione della patente di guida da uno a 3 anni, il che significa che la nuova norma produce semplicemente uno spostamento delle sanzioni, e quindi, rispetto a questa fattispecie, quella di cui all’articolo 589-ter risulta essere un’ipotesi speciale disciplinata nelle forme del concorso apparente di norme.

4.5. Ancora un di-meno, o almeno un uguale-a-prima: nel corso del primo esame al Senato sono state stralciate dall’Assemblea le disposizioni relative all’omicio o alle lesioni nautiche contenute nel testo elaborato dalla Commissione giustizia. Lo stralcio, motivato per ragioni di snellezza e di sistematicità normativa, si lega alla approvazione della legge delega del Governo per il riordino del codice della nautica da diporto, il cui provedimento, dal 21 settembre all’esame dell’Assemblea della camera dei deputati (C.2722) prevede tra i criteri della delega la previsione di sanzioni più severe a carico di coloro che conducono unità da diporto in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti (47). Il tempo sa selezionare le proprie impunità e l’omicidio in strada resta al momento cosa diversa dall’omicidio in mare, sempreché il diritto penale democratico non intenda differenziare la bevanda alcolica al bar da quella più aristocratica sorseggiata in barca.

4.6. La guida sotto l’effetto di sostanze alcoliche contenute fra 0,8 e 1,5 è considerata una forma di colpa grave, e così la guida con violazioni valutate come particolarmente insopportabili; se la concentrazione alcolica è superiore a 1,5 o la guida è in condizioni di alterazione fisica e psichica correlata con l’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, quali e quante esse siano, la colpa è considerata gravissima, e comunque meritevole di pena maggiorata, il che vale a dire che – a differenza della normativa attuale - la guida sotto l’effetto di alcol viene differenziata a seconda della densità ottundente (non però per tutti, per speciali categorie di conducenti la colpa è sempre considerata gravissima, quale sia la concentrazione alcolica), mentre la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, anche leggere, finisce per attrarre una pena sempre di fascia più alta. Detto in altro modo l’alcol va a misura, la droga a corpo: senza alcuna differenza fra droghe leggere e pesanti, fra droghe leggere/pesanti e bevuta pesante, fra droghe leggere/pesanti e bevuta leggera per speciali categorie di conducenti, trova spazio la topica dello stigma sociale, preoccupata di selezionare una speciale forma di reità, dimentica peraltro di come le cause principali degli incidenti stradali siano in realtà sulle strade extraurbane la distrazione (21,4%), la velocità elevata (17,3%) e le distanze di scurezza non adeguate (13,4%), mentre in città soprattutto la mancata osservanza di precedenze e semafori (18,6%), seguita da distrazione (15,4%) e velocità (9,2%). Come dire: un telefonino senza auricolare sa fare più danni di uno spinello.

4.7. L’aumento in caso di eventi plurimi viene da più parti letto come un aumento circostanziale (48): non può essere questa la lettura più autentica di una previsione ove non si spiegherebbe il richiamo che l’art.590-quater opera alle circostanze aggravanti di cui agli artt. 589-bis c.p. fino però al comma sei, omettendo invece alcun riferimento al comma sette, a conferma di una idea di pluralità delittuosa non risolvibile nello schema delle figure circostanziate, fra le quali va dunque escluso anche il comma 9 dell’art.590-bis, apparentemente incluso nel richiamo generico all’intero corpo della disposizione sulle lesioni personali colpose. La disposizione in realtà, al pari della precedente, riprende la forma linguistica dell’art.81 c.p. senza tuttavia replicarne la forza costrittiva, quanto almeno alle logiche del cumulo giuridico, e fra queste, probabilmente, anche il limite dell’ultimo comma dell’art.81 aggiunto a quello “speciale” del tetto di anni 15, inidoneo però a derogare alla salvaguardia codiscitica sul limite materiale agli aumenti forniti dal cumulo giuridico.

4.8. Della fuga del conducente e della natura speciale e prevalente si è già detto: se il conducente si allontana senza prestare soccorso oppure è alla guida senza patente o senza assicurazione, scatta l’aumento di pena da un terzo a due terzi, e la pena non potrà comunque essere inferiore a 5 anni per l’omicidio e a 3 anni per le lesioni. Conviene tuttavia evidenziare come l’ipotesi, senza dubbio aggravante, sia posizionata dopo le figure precedenti, quasi ad imporre il calcolo degli aumenti appena dopo il calcolo della pena aggravata, il che vale probabilmente per tutte le figure accessorie ma non anche per l’ultima figura ad eventi plurimi, a meno di non voler immaginare una aumento costruito sul tetto del 589-bis ultimo comma, con pena a questo punto elevabile oltre gli anni 18 in un surplus che raggiungerebbe, a questo punto, la follia sanzionatoria. A dispetto della collocazione topografica l’aumento va, dunque, parametrato sul singolo reato che compone la pluralità delittuosa, in un aumento da un terzo a due terzi utile ad individuare il reato più grave, in una nuova forbice aggravata, ma mai superiore ad anni diciotto (né inferiore ad anni cinque).

4.9. Infine il nuovo regime interdittivo, l’enfatizzato ergastolo della patente, in realtà scandito da livelli di gravità crescente, in un accessorio afflittivo che testimonia un percorso culturale a passo di gambero: la misura, dal forte e sicuro contenuto afflittivo, tratteggia una anacronistica forma di prevenzione generalpreventiva dal carattere singolarmente e inspiegabilmente perpetuo, senza limite, priva di alcuna progettualità a termine. Liddove si usa interrogarsi sulla coerenza costituzionale del fine-pena-mai e discutere della abolizione della punizione definitiva, il sistema elabora i suoi paradossi e concorre a rielaborare una punizione tendenzialmente e strutturalmente senza traguardo, ispirata ad un timbro punitivo di spettacolarizzazione generale, una sorta di corrispettivo della prevenzione personale vissuta in termini generali. La spettacolarizzazione del risultato finale dell’agire criminale diviene il momento necessario per la sensibilizzazione al male e il ritrovamento del senso di giustizia collettivo e la pena, perché sia una pena, in questa nuova filosofia punitiva, non deve più iscriversi nel corpo del suppliziato, ma nella mente del reo e nella memoria del male causato: la pena, quella secondaria forse più di quella primaria, giacchè insensibile persino ad alcun effetto sospensivo, si dirige alla coscienza e obbliga l’autore del reato a riflettere su se stesso, e in questo percorso di auto-da-fè attua la spettacolarizzazione del momento punitivo. Il non-potrai-più-guidare, dunque non potrai più nuocere alla società, al pari della pena, quanto alla destinazione collettiva, ma diversamente da quella, quanto alla funzione educatrice, non serve alla interiorizzazione di una punizione, ma alla esteriorizzazione di una punizione simbolica, utile a soddisfare gli altri, e attuare l’inganno purificatore per un nemico in meno per la società. La pena panottica, si potrebbe dire.



5La formazione simbolica come nuova forma di controllo sociale: il degrado della serietà e il consumismo delle regole.

E’ forse opportuno attendere il testo definitivo per formulare un più attento controllo sulla coerenza dogmatica di un quadro d’insieme probabilmente denso, anche nella versione defintiva, di possibili incertezze esegetiche. Nel frattempo conviene, però, non sfuggire ad un punto di domanda al quale, l’enfasi dell’annuncio non ha probabilmente prestato la doverosa attenzione: disatteso il mutamento strutturale, o comunque un mutamento delle condizioni ideologiche che sollecitavano una ridescrizione psicologica dell’istituto, immutato nella sua consistenza dogmatica, l’interrogativo attiene alla sistematica della nuova previsione punitiva; ovverosia non tanto, come pure sarebbe legittimo interrogarsi, la natura fondativa della incriminazione (49) o la efficacia risolutiva per un male intollerabile, quanto cioè l’aumento delle pene sia realmente efficace per la migliore tutela del bene giuridico tutelato, o non sia preferibile – come sempre si sente ripetere negli auspici per visioni minimal della sistematica punitiva - spostare il fuoco della attenzione giuridica verso avamposti di tutela preventiva, anticipatori per situazioni di rischio, oltre le quali nessuna pena può seriamente conservare alcuna funzione restauratrice; non dunque il dubbio sulla efficacia del novum legislativo, sulla costruzione delle pene e degli aumenti stranamente differenziati, sui severissimi corollari accessori ed interdittivi, piuttosto il dubbio sulla idea portante di una filosofia punitiva che si annuncia innovatrice e risolutiva e che tuttavia riprende un logica punitiva non proprio modernizzatrice. Occorre rammentarlo: la disciplina autopoietica della ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope è animata da logiche di prevenzione generale, in sostanza si punisce un soggetto che non ha la capacità di comprendere il valore dell’atto compiuto, e che tuttavia si rende meritevole di sanzione come se fosse capace per l’agire illecito, essendo stato libero nell’agire lecito e quindi nella causa produttiva dell’azione. L’ubriachezza accidentale rende esplicito questo dato, quella colposa ne è indifferente, quella preordinata ne coglie addirittura motivi di aggravamento, il che significa attuare un messaggio general preventivo indifferente alle condizioni emotive e psicologiche del soggetto agente (50). Sospettata a più riprese di incoerenza costituzionale, la disciplina generale attua, in sostanza, una scelta di politica criminale indifferente persino alla colposità dello stato ottundente, e capace di imporre un accertamento subiettivo innaturale e a volte artificiale: ubriachezza o meno, il semaforo arancione impone cautela e persino le particolari condizioni atmosferiche - anche quelle che un attimo prima della bevuta, l’ubriaco non avrebbe potuto prevedere - impongono quella speciale cautela che un conducente ubriaco difficilmente potrebbe valutare ed adottare, o comunque con più difficoltà rispetto ad un conducente non-ubriaco. Come che sia, la nuova legge si spinge oltre questo semplicismo dogmatico, e accantonando qualsiasi valutazione di esigibilità psicologica del comportamento lesivo, tanto quanto la verifica di un reale margine di consapevolezza e somatizzazione emotiva nell’incontro con la maggiore punizione, costruisce il rigore edittale sulla condizione di intossicazione parificata ad una sorta di versari in re (il)licita, impermeabile alla differenziazione codicistica di colposità o accidentalità o volontarietà dell’atto.

Più si beve e più si è puniti, in una gradualità ascendente inversamente proporzionale al colpevolezza discendente, resa uguale ed indifferente alla esigibilità psicologica della condotta alternativa. E’ questa, soltanto questa, la condizione cioè di presumibile indifferenza alla condizione di rischio attuata poi nella violazione cautelare, la logica della punibilità del fatto, il che consente di modulare la pena su un ragionamento normativo cangiante e incoerente, che sa rendersi indifferente al controllo del pregiudizio, e anzi mostrare di volerlo conservare. In questo pregiudizio, esattamente in esso, trova spazio e misura una affidabilità punitiva che non sfugge al giuoco quotidiano degli equivoci e delle casualità. E tuttavia, come non poterlo ricordare: in “Detenuto in attesa di giudizio” il protagonista principale si chiama Giuseppe Di Noi.



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1) Così recita testualmente il titolo di un sottoparagrafo di C.E.Paliero, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2006, p.527.

2) N.Chomsky – E. S. Herman, La fabbrica del consenso. La politica e i mass media, titolo originario Manifacturin Consent, 1998, edizione italiana, Milano, 2008, pp.31 e ss.

3) L’approccio teorico della agenda setting, nella elaborazione di E.Schaw, Agenda Setting and Mass Media Communication Theory, del 1979, è descritto da E.Calvanese, Pena riabilitativa e mass-media. Una relazione controversa, Milano, 2004, p.53; E.Calvanese – R.Bianchetti, Messaggi mediatici, funzioni della pena e senso di sicurezza dei cittadini, in Sociologia del diritto, 2003, p.107. In argomento anche M.Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, Milano, 2011, p.143. Si veda anche G.Resta, Il problema dei processi mediatici nella prospettiva del diritto comparato, in Aa.Vv., Il rapporto tra giustizia e mass media. Quali regole per quali soggetti, Atti del convegno, Napoli, 2010, p.15; P. Di Blasio – R. Procaccia, Elaborazione delle informazioni e suggestionabilità nella fruizione di un programma televisivo sull’abuso sessuale, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva del crimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, pp.408-409; M.Caterini, La legalità penal-mediaticaLa mercificazione del ‘prodotto’ politico-criminale tra vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, in Aa.Vv., La sovranità mediatica. Una riflessione tra etica, diritto ed economia, a cura di E.R.Zaffaroni e M.Caterini, Padova, 2014, p.154.

4) La teoria della spirale del silenzio venne sviluppata negli anni 1970 da Elisabeth Noelle-Neumann (La spirale del silenzio -Per una teoria dell'opinione pubblica, 2002, Meltemi Editore): la tesi di fondo è che i media, ma soprattutto la televisione, possano avere un notevole effetto di persuasione sui riceventi e quindi, più in generale, sull'opinione pubblica. Ne consegue che una persona singola è disincentivata dall'esprimere apertamente e riconoscere a se stessa un'opinione che percepisce essere contraria alla opinione della maggioranza, per paura di riprovazione e isolamento da parte della presunta maggioranza. Questo silenzio individuale fa aumentare la percezione collettiva (non necessariamente esatta) di una diversa opinione della maggioranza, aumentando, di conseguenza, in un processo a spirale, il silenzio di chi si crede minoranza. Ad essa fa riferimento anche A.Somma, «When law goes pop» la rappresentazione massmediatica del diritto, in Politica del diritto, 2005, p.482, e un accenno è anche in M.Catino, Il circo mediatico-giudiziario. Da Marta Russo al caso di Cogne, in Problemi dell’informazione, 2003, p.518. Recentemente anche T.Padovani, Informazione e giustizia penale: dolenti note, in Diritto penale e processo, 2008, p.690.

5) Il concetto di gatekeeper (selezionatore) allude al controllo operato da alcune zone filtro, dove si concentra il potere di lasciar passare o bloccare l’informazione: ancora M.Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, cit., p.180. In argomento anche M.Bertolino, Privato e pubblico nella rappresentazione mediatica del reato, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, p.193.

6) La legge, che reca il nome del giornalista che la ha codificata, è spiegata M.Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, cit., p.204: nella notiziabilità di un disastro, 1 europeo equivale a 28 cinesi, 2 minatori gallesi equivalgono a 100 pakistani, il che traduce in forma odiosa l’esigenza mediatica di parametrare la notizia all’impatto che essa ha, o è probabile che avrà, sul pubblico.

7) C.E.Paliero, La maschera e il volto, cit., p.480.

8) La vendita del potere punitivo è raccontata anche da E.R.Zaffaroni, Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, in Scritti in onore di Marinucci, v.I, Milano, 2006, pp.783 e ss.

9) C.E.Paliero, La maschera e il volto, cit., p.482.

10) M.Catino, Il circo mediatico-giudiziario, cit., p.525. La discrasia fra indicatori oggettivi sulla sicurezza oggettiva dei cittadini americani, e viceversa la percezione soggettiva dei rischi da crimine, è evidenziata da D.L. Altheide, I mass media, il crimine e il ‘discorso di paura’,in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, pp.287 e ss., in una interessante analisi sul “discorso di paura” e conseguente spinta verso legislazioni repressive del tipo “three strikes and you are out” e pena di morte. Una affine discrasia statistica, questa volta nel senso di attenzione per reati a bassa incidenza statistica, rispetto ad altri, più frequenti, ma meno raccontati dei primi, è citata da H. Kury, Mass media e criminalità: l’esperienza tedesca, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, p.324, il quale, poco oltre, analizza l’ondata informativa sviluppatasi in Germania sui crimini sessuali, statisticamente errata, eppure generativa di una reazione legislativa di tipo repressivo. L’enfatizzazione del racconto criminale, a dispetto del dato statistico, è anche in A.C. Moro, Solo bambini violati, solo bambini violenti, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005p.459. Il distacco fra convinzione creata e realtà effettiva è di recente sottolineato da S.Romano, Opinione e diffamazione tra vecchi e nuovi modelli di comunicazione, in Aa.Vv., La sovranità mediatica. Una riflessione tra etica, diritto ed economia, a cura di E.R.Zaffaroni e M.Caterini, Padova, 2014, p.237.

11) La tecnica del racconto, piuttosto che quella della informazione, è la radice di una distorsione analizzata da Lo Porcaro e ricordata da T.Padovani, Informazione e giustizia penale: dolenti note, cit., p.690. Sui rapporti fra diritto e narrazione merita di essere segnalato un bel saggio di F.Picinali, Le narrazioni nella giustizia penale, Testo riveduto della relazione presentata al convegno “La Chiave Gialla: Delitti e Lettori nel Terzo Millennio”, tenutosi presso l’Università della Tuscia il 21-22 maggio 2013 e organizzato dal Dipartimento di Istituzioni Linguistico-Letterarie, Comunicazionali e Storico-Giuridiche dell’Europasu www.dirittopenalecontemporaneo.it, pp.1 e ss.

12) Un resoconto delle numerose analisi sulla capacità della comunicazione di massa di forgiare una certa percezione della delittuosità nella pubblica opinione è in E.Calvanese, Pena riabilitativa e mass-media, cit., pp.39 e ss.

13) Il fenomeno è descritto da V.Girotto – T.Pievani – G.Vallortigara, Nati per credere. Perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin, Torino, 2008, pp.39 e ss.

14) C.E.Paliero, La maschera e il volto, cit., p.495. G.Forti – R.Redaelli, La rappresentazione televisiva del crimine: la ricerca criminologica, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, pp.5 e ss.; C.Liani Giarda – S.Cipolla, La rappresentazione televisiva del crimine, in La Giustizia penale, 2004, pp.55 e ss.

15) L’accentuazione del carattere dello scandalo aiuta a rafforzare la risonanza e vivacizzare la scienza, ma porta anche come naturale portato la completa esclusione della dimensione comprensiva e scusante che, sebbene possibili nella infrazioni delle norme, vengono tuttavia obliterate e non rappresentate: N.Luhmann, La realtà dei mass media, Milano, 2002, p.48

16) In generale, W.Lippmann, L’opinione pubblica, Roma, 2004, p.17.

17) Così li definisce H. Kania, La rappresentazione televisiva del crimine e la costruzione della realtà soggettive,in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, p.381.

18) La grossolana spettacolarità dell’autoritarismo pubblicitario di questo diritto penale cool si rivela, a dispetto dello splendore perverso del passato, privo di una sia pur minima scientificità, rivelandosi poco intelligente, elementare, scevro di razionalità, volto a promuovere lo sciopero della riflessione: così E.R.Zaffaroni, Alla ricerca del nemico: da Satana al diritto penale cool, cit., pp.784-785. Sulla funzione simbolica del diritto penale e sulla ricerca di una vana illusione di sicurezza, nella vasta bibliografia, fra gli altri, A.Baratta, Funzioni strumentali e funzioni simboliche del diritto penaleLineamenti di una teoria del bene giuridico, in Studi in memoria di G.Tarello, II, Milano, p.45; M.Quirico, Capro espiatorio, politiche penali, egemonia, in Dei delitti e delle pene, 1993, pp.115 e ss.

19) Si veda G.Forti – R.Redaelli, La rappresentazione televisiva del crimine, cit., p.171 e p.175: i media tendono a esprimere giudizi negativi più lontani dal disvalore ufficiale assegnato dall’ordinamento per certi reati rispetto ad altri.

20) Sarebbe, dunque, il caso di parlare, dopo un primo codice legislativo, di un secondo e di un terzo codice, elaborati da filtri successivi, quello istituzionale prima, quello mediatico poi: così M.Bertolino, Privato e pubblico nella rappresentazione mediatica del reato, cit., p.197. L’argomento è ripreso da M.Caterini, La legalità penal-mediatica, cit., p.165.

21) La sovversione del dato reale e la fallacia del ragionamento susseguente non risparmia alcun aspetto della realtà giuridica, di recente anche il dato, apparentemente quasi assiomatico, del sovraffollamento delle strutture carcerarie: sebbene la classifica ponga l’Italia all’ultimo posto fra i paesi con più grave sovraffollamento carcerario, e su questo dato sia stato costruito persino l’appello di altissime figure istituzionali, un recente articolo pone l’accento sulla lettura errata delle statistiche e su un diverso riscontro oggettivo, reso possibile da una comparazione di dati omogenei: sul tema C.R.Piscitello-A.Albano-F.Picozzi, Avvertenze per la lettura delle statistiche europee sul sovraffollamento delle carcerieuropee sul sovraffollamento delle carceri, in Cassazione penale, 2015, pp.2144 e ss.

22) M. Innes, Crimini-segnale e ricordi collettivi: le strategie di interazione tra mass media e polizia, in Aa.Vv., La televisione del crimine, Atti del convegno «La rappresentazione televisiva delcrimine», a cura di G.Forti e M.Bertolino, Milano, 2005, p.531. Anche A. Doyle, Immagini di arresto: polizia e televisioneivi, p.558.

23) In questo clima la collettività solleciterà le riforme, o si asterrà dal farlo: G.Giostra, Processo penale e Mass media, in Criminalia, 2007, p.66.

24) La costruzione psicologica è descritta da P.Zimbardo, L’effetto Lucifero, cit., p.13 e ss.

25) Vale per l’aggravante del coniuge nello stalking, ove la normalità delinquenziale viene elevata ad anormalità aggravante, tanto quanto per gli abusi sessuali su minori: sebbene infatti le statistiche evidenzino come le mura domestiche siano il teatro di questi crimini, il sistema prevede un aumento di pena rispetto all’ipotesi base il cui recinto sociologico, come detto, comprende ordinariamente la violenza domestica, lasciando passare una visione insincera delle dinamiche delinquenziali, quasi che i rischi siano nel contatto con estranei. Così P. Di Blasio – R. Procaccia, Elaborazione delle informazioni e suggestionabilità nella fruizione di un programma televisivo sull’abuso sessuale, cit., p.392.

26) Non c’è alcuna seria rivisitazione della normativa sulle fattispecie associative che non abbia operato un sistematico aumento dei pur già rilevanti profili edittali, portati, nel corso degli anni, dalla inziale pena di anni tre e sei, a quelli da cinque a dieci nel 2005, poi da sette a dodici nel 2008 attualmente vigente. Nel caso di associazione armata – e cioè nella maggior parte dei casi – le attuali pene per i partecipi da 9 a 15 hanno sostituito le precedenti pene da 4 a 10, già in precedenza elevate da 7 a 15. L’attuale forbice per le figura qualificate è passata agli attuali limiti da 9 a 14, e in caso di associazione armata da 12 a 24 anni.

27) Anche se il primo intervento di depenalizzazione si può far risalire alla legge 24 dicembre 1975, n. 706, è soprattutto con la legge 24 novembre 1981, n. 689, che si realizza la prima depenalizzazione di ampio respiro. La legge 689/1981, oltre a depenalizzare sia alcuni delitti che alcune contravvenzioni (artt. 32-39), introduceva diverse altre misure volte ad alleggerire il carico complessivo del sistema penale, quali l’introduzione delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (artt. 53-76), l’estensione della perseguibilità a querela di determinati reati (artt. 86-99) e l’introduzione di una speciale ipotesi di oblazione (articolo 162-bis, c.p.). L’art. 32 della legge prevedeva l’irrogazione di sanzione amministrativa per tutti i reati puniti soltanto con la multa o l’ammenda (erano esclusi i reati che, nelle ipotesi aggravate, fossero punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria oltre che i delitti punibili a querela); l’art. 35 estendeva il regime della sanzione amministrativa a tutte le violazioni previste da leggi in materia di previdenza e assistenza obbligatoria punite con la sola ammenda e altrettanto prevedeva l’art. 39 per le violazioni finanziarie punite con la sola ammenda. Erano inoltre depenalizzate altre ipotesi di reato. La legge 25 giugno 1999, n. 205, recante Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario, ha conferito al Governo tre distinte deleghe: la prima è volta a trasformare in illeciti amministrativi diverse fattispecie di reato in materia di disciplina degli alimenti, della navigazione, di circolazione stradale e autotrasporto, di leggi finanziarie, tributarie e concernenti i mercati finanziari e mobiliari, di assegni bancari e postali. La legge analiticamente indica i principi della depenalizzazione, specificando per ogni settore quali condotte devono restare penalmente sanzionate. Inoltre, la legge elenca una serie di disposizioni legislative per le quali prefigura la depenalizzazione. All’attuazione di questa delega il Governo ha provveduto con il decreto legislativo n. 507 del 1999; la seconda è relativa alla sostanziale depenalizzazione della disciplina dei reati in materia di imposte sulreddito e sul valore aggiuntoimperniata sulla legge 7 agosto 1982 n. 516 (cd. “manette agli evasori”). La delega è stata attuata con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.

Il legislatore è dunque periodicamente intervenuto per sfoltire il diritto penale speciale, ciononostante, all’indomani della depenalizzazione, lo stesso legislatore ha continuato ad introdurre nuove fattispecie penali. Nella XV legislatura, la Commissione ministeriale per la riforma del codice penale,presieduta da Giuliano Pisapiaha affermato, nella relazione del 19 novembre 2007, che una riforma del codice deve porsi l'obiettivo di un diritto penale “minimo, equo ed efficace”, in grado di invertire la tendenza “panpenalistica” che mostra, ogni giorno di più, il suo fallimento. L‘inserimento nel nostro ordinamento di sempre nuove fattispecie penali (soprattutto contravvenzionali) – che puniscono condotte per le quali sarebbe ben più efficace una immediata sanzione amministrativa – ha contribuito in modo rilevante a determinare l'attuale stato della nostra giustizia penale,unanimemente considerata al limite del collasso, con milioni di procedimenti penali pendenti e conseguente quotidiana violazione di quella “ragionevole durata del processo”, sancita dall'art. 111 della Costituzionee dall'art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. In sostanza, a dispetto della più volte ribadita idea semplificatrice, a partire dal decreto legislativo 507/1999 e sino al febbraio 2012 sono state introdotte nel nostro ordinamento non meno di 310 nuove fattispecie penali, in particolare171 nuove contravvenzioni e 139 nuovi delitti.

28) Il tratto concreto soggiace naturalmente alle logiche dei resoconti giornalistici, fra cui anche la ricerca di “circostanze strane, comiche, ironiche e insolte”, il racconto cioè di un reo nella risorsa comunicazionale che esso esprime, a prescindere dalla reale dimensione statistica che quel dato comportamento può concorrere ad elaborare: sul tema G.Smaus, L’immagine della criminalità nei mass mediaContenuti e significati simbolici, in La questione criminale, 1978, p.353.

29) Il testo integrale dell’intervento tenuto il 15 maggio scorso a Bologna nell’ambito del ciclo di conferenze “Elogio della politica” è reperibile on line e, in forma cartacea, nella omonima raccolta di saggi U.Eco, Costruire il nemico, 2011, Bompiani.

30) L’analisi di G.Morabito, L’oracolo della giustizia. Il giudice dietro lo schermo, Milano, 2000. Anche G.Resta, Il problema dei processi mediatici nella prospettiva del diritto comparato, cit., p.21.

31) La visione della vittima come eroe moderno è in C. Eliacheff - D.Soulez Larivière, Il tempo delle vittime, Milano, 2008, p.18.

32) Sebbene l’incidenza statistica della presenza della vittima sia sensibilmente più bassa rispetto alla prevalente attenzione su elementi quali le agenzie e il fatto, non può trascurarsi il rilievo e la possibile degenerazione della attenzione verso la vittima, figura di per se idonea a influenzare sensibilmente il giudizio di gravità e la paura del crimine, fino a favorire l’adesione della opinione pubblica a risposte repressive e simboliche: dato per assodato che vittima e reo siano marginali nello spazio dedicato al crimine, ciononostante può registrarsi un considerazione differenziata a seconda del tipo di reato e alla emozione che esso suscita: sul punto G.Forti – R.Redaelli, La rappresentazione televisiva del crimine, cit., pp.152 e ss; M.Caterini, La legalità penal-mediatica, cit., p.162. Si veda però anche l’interessante ricerca di H. Kania, La rappresentazione televisiva del crimine e la costruzione della realtà soggettive, cit., p.371: i risultati dello studio su alcuni programmi televisivi indicano una preferenza nel mostrare la prospettiva della vittima rispetto a quella del reo.

33) Nelle antiche lettre de cachet si supplicava la soluzione di turbolenze quotidiane: dopo una inchiesta o un ordine speciale, la Vita degli uomini infami di Foucault racconta la storia di questi internamenti e, per quello che a noi rileva, la forza propulsiva del medium della scrittura come strumento per la presa del potere punitivo sulle vite dei condannati. Sul tema P.Di Vittorio, Come pesci nell’acqua.Prospettive genealogiche sulla mediatizzazione del quotidiano, in aut aut, 2013, fascicolo 359, p.14.

34) L’approndita riflessione di P.Silvestri, Dolo eventuale e colpa con previsione, in Rassegna della giurisprudenza di legittimità. Gli orientamenti delle Sezioni penali – Anno 2014, Roma, 2015, pp.83 e ss., contiene una attenta disamina delle posizioni giurisprudenziali sul tema della infortunistica stradale in condizioni di guida spericolata o in stato di ubriachezza, ordinariamente attratti nello statuto della responsabilità colposa, ma, in alcuni casi, attratti in ipotesi di addebito doloso nelle forme della accettazione concreta dell’evento sub specie di dolo eventuale.

35) D.Piva, “Tesi” e “antitesi” sul dolo eventuale nel caso Thyssenkrupp, in Diritto penale contemporaneo, pp.5-6.

36) Fra le penalità accessorie va annoverta la disciplina dell’art. 222 (Sanzioni amministrative accessorie all'accertamento di reati) del Codice della strada, dove si prevede che al conducente colpevole di omicidio colposo "stradale" si applichi la sospensione della patente fino a 4 anni; quando dal fatto derivi una lesione personale colposa grave o gravissima la sospensione della patente è fino a 2 anni. Se autore dell'omicidio colposo o delle lesioni personali gravi e gravissime commessi con violazione delle norme stradali sia soggetto in stato di ebbrezza alcolica grave ovvero soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice applica la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente. Il giudice può applicare tale ultima sanzione anche nell'ipotesi di recidiva reiterata specifica, verificatasi entro il periodo di 5 anni a decorrere dalla data della condanna definitiva per la prima violazione.

37) Il Codice della strada (artt. 186 e ss.) vieta la guida in stato di ebbrezza, considerandola (ove il fatto non costituisca più grave reato) illecito amministrativo o contravvenzionale punito con sanzioni di natura sia amministrativa che penale. Le sanzioni previste dall'art. 186 sono graduate, in relazione al tasso alcolemico accertato del conducente, sulla base di tre soglie di gravità progressiva: - da 0,5 a 0,8 grammi per litro (lettera a), sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 531 ad euro 2.125 e sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da tre a sei mesi); - da 0,8 a 1,5 grammi per litro (lettera b), ammenda da euro 800 ad euro 3.200, arresto fino a sei mesi e sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da sei mesi ad un anno); - superiore a 1,5 grammi per litro (lettera c). La guida con tasso alcolemico grave (comma 2, lett. c), in particolare, è punita con l'ammenda da 1.500 a 6.000 euro, l'arresto da 6 mesi ad un anno e con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni. Qualora il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, le sanzioni vengono raddoppiate; nel citato caso di ebbrezza grave (superiore a 1,5 g/l) e di recidiva nel biennio, è inoltre disposta la revoca della patente di guida. Oltre al citato articolo 186, l'articolo 186-bis prevede (comma 1) la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 164 a 663 euro per specifiche categorie di conducenti a cui sia stato accertato un tasso alcolemico fino a 0,5 grammi per litro. Si tratta dei conducenti di età inferiore a 21 anni o comunque nel primo triennio dal conseguimento della patente B; di chi esercita professionalmente l'attività di trasporto di persone o di cose e, comunque, dei conducenti di specifiche categorie di autoveicoli (camion, bus autoarticolati, ecc.). Anche in tal caso, se il conducente, nelle condizioni di cui al periodo precedente, provoca un incidente, le sanzioni sono raddoppiate. Un aumento delle sanzioni graduato (da un terzo alla metà) è disposto in ragione del maggior tasso alcolemico riscontrato al conducente il veicolo. La revoca della patente è sempre disposta in caso di valore alcolemico superiore a 1,5 g/l, riscontrato ai conducenti di specifiche categorie di mezzi pesanti; analoga revoca è prevista per le altre categorie di conducenti previste dall'art. 186-bis in caso di recidiva nel triennio. L'art. 187 punisce, infine, con l'ammenda da 1.500 a 6.000 euro e l'arresto da sei mesi ad un anno chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo avere assunto sostanze stupefacenti o psicotrope (comma 1). All'accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni (anche in tal caso, la sospensione è di maggior durata, fino alla revoca della patente, se la guida sotto effetto di droghe è commessa dal condicente di particolari categorie di mezzi pesanti ovvero in caso di recidiva nel triennio. Come nei casi di cui agli artt. 186 e 186-bis, se il conducente in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope provoca un incidente stradale, le pene sono raddoppiate e, fatto salvo casi specifici, la patente di guida è sempre revocata. Va precisato che la revoca della patente non è, di regola, misura a carattere definitivo (cd. ergastolo della patente). Infatti, l'art. 219 del Codice della strada prevede, come regola generale, che l'interessato non può conseguire una nuova patente se non dopo che siano trascorsi almeno 2 anni dal momento in cui è divenuto definitivo il provvedimento di revoca. In particolare, quando la revoca della patente di guida è disposta a seguito delle citate violazioni di cui agli articoli 186, 186-bis e 187, non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di 3 anni a decorrere dalla data di accertamento del reato (sentenza di condanna definitiva). Tale disciplina si applica anche in caso di omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi e gravissime. A parte l'ipotesi di perdita, con carattere permanente, dei requisiti psichici e fisici prescritti, un caso di "ergastolo della patente" è tuttavia contemplato dall'ultimo periodo del comma 1 dell'art. 120 del Codice della strada in caso di seconda revoca della patente per recidiva nel reato di omicidio colposo stradale, aggravato dallo stato di ebbrezza grave o dall'uso di sostanze stupefacenti. In tale ipotesi, non sarà, infatti, possibile conseguire una nuova patente di guida.

38) Nella scheda di approfondimento che accompagna l’esame del disegno di legge è contenuto un quadro sinottico sui dati statistici nel periodo 2006-2013: in sintonia con un generale trend di diminuizione dei reati di omicidio colposo (passati dai 2.148 casi del 2006, ai 1597 del 2013), anche la fattispecie specifica dell’omicidio colposo stradale ha subito una chiara flessione, seguendo un flusso discendente che ha visto 1773 casi denunciati nel 2006, 1706 nel 2007, 1509 nel 2008, 1314 nel 2009, 1327 nel 2010, 1285 nel 2011, 1211 nel 2012, infine 1049 nel 2013. I dati divulgati attraverso una stima preliminare Aci/Istat confermano la tendenza al miglioramento: nel 2014, infatti, si sono verificati 174.400 incidenti con lesioni a persone, che hanno provocato 3.330 morti (erano stati 3.385 nel 2013) e 248.200 feriti, con un calo rispetto all’anno prima del 3,77% dei sinistri,  del 3,58% dei feriti e di un modesto 1,62% delle vittime. Leggendo nello specifico i numeri ed esplodendo i dati si evince che il contributo maggiore alla riduzione delle vittime arriva dalle autostrade, che fanno registrare un calo di -11,5% dei morti rispetto all’anno precedente. Sulle strade urbane, invece, la diminuzione presenta diminuzioni meno evidenti con un -1,0% di decessi sulle strade urbane e un -0,3% su quelle extraurbane. Al dato statistico va peraltro aggiunta la comparazione con altri Paesi del vecchio continente: in Europa, infatti, sono addirittura 12 gli Stati con la mortalità in aumento e tra questi Francia, Irlanda, Germania, Regno Unito e Svezia, come evidenziato dal Rapporto ETSC sulla sicurezza stradale presentato a Bruxelles.  Rispetto all’obiettivo europeo di dimezzare il numero dei morti per incidente nel decennio 2011-2020, nei primi quattro anni l’Italia fa segnare -19,1%, meglio della media UE (-18,2%).

39) In uno dei primissimi commenti a firma di  G. Carmagnini – M. Ancillotti, si intravede una lettura critica per un provvedimento che sembra tradire le aspettative più intransigenti: “Se è vero, infatti, che il legislatore dovrebbe essere capace di determinare un continuo allineamento tra criminalità reale e criminalità legale, “leggendo”, pur nel rispetto dei principi giuridici essenziali, la vera volontà dei consociati, ben può dirsi che il risultato prodotto dalla legge di cui ci apprestiamo a proporre un breve commento è sostanzialmente inadeguato o comunque del tutto sproporzionato sia rispetto al contenuto delle istanze delle numerose associazioni di categoria, sia in relazione al numero e alla consistenza davvero importante delle proposte di legge avanzate in argomento. E così non pare del tutto fuori luogo l’affermazione da taluno già avanzata secondo cui la montagna ha partorito il topolino.”. Poco oltre “Le istanze delle associazioni di familiari di vittime sulla strada cristallizzate nelle numerose proposte di legge sono da ritenersi sostanzialmente disattese. Infatti, non si chiedeva (soltanto) una valutazione più rigorosa del fenomeno in termini tecnico-giuridici con pene più severe ed interventi reattivi immediati e più efficaci – obiettivo sostanzialmente perseguito e, ad avviso di chi scrive, raggiunto - bensì si pretendeva che il Legislatore interpretasse la necessità di considerare il fenomeno infortunistica stradale non solo come un evento degno solamente di adeguata protezione penale, bensì come un problema sociale al cui interno il comportamento di chi, in totale dispregio per la vita e l’incolumità personale degli altri, fosse penalmente elevato a intenzionale accettazione delle conseguenza prodotte, così da costruire, a livello legislativo, una figura di omicidio stradale caratterizzata da un elemento psicologico intenzionale e non relegato a profili di colpa; una nuova ipotesi di omicidio stradale che, seppur ancorata ad una casistica molto specifica e marginale e comunque del tutto minoritaria rispetto alle oceaniche opportunità concrete offerte dalla infortunistica stradale, avesse l’effetto psicologico di “parlare” ai consociati elevando a livello primario il bene vita anche in ambito circolazione stradale.

40) Il Disegno di legge è stato approvato dal Senato il 10 giugno 2015 in un testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge NN.859-1357-1378-1484-1553-B, e successivamente approvato con modificazione dalla Camera dei deputati in data 28 ottobre 2015 e ritrasmesso, il giorno dopo, al Senato per una definitiva approvazione.

41) Il testo approvato al Senato prevedeva il limite minimo più alto, pari ad anni 7, abbassato a 5 nella versione licenziata alla Camera.

42) Anche qui la modifca appartiene al testo da ultimo approvato il quale, a differenza del testo inziale, ha aggiunto alla già prevista circostanza legata alla velocità pari o superiore al doppia di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, il punto 2) e 3), per il caso in cui il conducente di un veicolo a motore cagioni la morte per aver attraversata un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolato contromano, ovvero ancora, effettuato una manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o un sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua.

43) Siano cioè “b) i conducenti che esercitano l'attività di trasporto di persone, di cui agli articoli 85, 86 e 87; ovvero c) i conducenti che esercitano l'attività di trasporto di cose, di cui agli articoli 88, 89 e 90; d) i conducenti di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t, di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, è superiore a otto, nonché di autoarticolati e di autosnodati” con esclusione quindi de “a) i conducenti di età inferiore a ventuno anni e i conducenti nei primi tre anni dal conseguimento della patente di guida di categoria B”.

44) Anche qui la legge contiene norme specifiche per i conducenti dei mezzi pesanti. L'ipotesi più grave di si applica ai camionisti e agli autisti di autobus anche in presenza di un tasso alcolemico sopra gli 0,8 g/l.

45) L’interdizione dalla possibilità di conseguire una nuova patente dopo la revoca, nel caso di omicidio colposo stradale, è la seguente: 5 anni, ove si tratti di omicidio colposo stradale (589-bis, co. 1); 10 anni, ove si tratti di omicidio colposo stradale (589-bis, co. 1), se il precedenza il conducente è stato condannato per guida in stato di ebbrezza media o grave, o in stato di alterazione, anche provocando un sinistro; 10 anni, nel caso diomicidio colposo stradale, al di fuori dei casi successivi, commesso da un conducente ha abbia cagionato la morte di una persona procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 Km/h, ovvero che, su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 Km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona. Lo stesso periodo di interdizione si applica anche al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un’intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona, oppure quando il fatto è determinato da una manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua; 12 anni, in quelli di omicidio colposo stradale (589-bis, co. 1), se il titolare della patente si è dato alla fuga; infine 15 anni nel caso di omicidio colposo stradale connesso alla guida in stato di grave ebbrezza o alterazione, ovvero anche in stato di ebbrezza media, ovvero 20 anni, se il titolare della patente è già stato condannato per guida in stato di ebbrezza media o grave, ovvero in stato di alterazione (anche provocando un sinistro stradale) e addirittura 30 anni, se il titolare della patente si è dato alla fuga. L’interdizione per le lesioni colpose stradali gravi o gravissime è invece così immaginata: 5 anni dalla revoca, 10 anni dalla revoca se il titolare della patente è già stato condannato per guida in stato di ebbrezza media o grave, ovvero in stato di alterazione (anche provocando un sinistro stradale), (sino a) 12 anni se il titolare della patente si è dato alla fuga. Possibili anche rigori cautelari: ove sussistano fondati elementi di un’evidente responsabilità, il Prefetto può disporre la sospensione provvisoria della validità della patente di guida fino ad un massimo di 5 anni e, in caso di sentenza di condanna non definitiva, la sospensione provvisoria della validità della patente di guida può essere prorogata fino ad un massimo di dieci anni.

46) Le novità processuali aggiungono l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di "omicidio colposo stradale" di cui all'articolo 589-bis, secondo comma, del codice penale; l'arresto facoltativo in flagranza per il delitto di lesioni colpose stradali gravi o gravissime di cui all'articolo 590-bis del codice penale; i nuovi reati di omicidio stradale e lesioni stradali tra quelli per i quali è possibile per il pubblico ministero chiedere, per una sola volta, la proroga del termine di durata delle indagini preliminari; la possibilità, anche per l'omicidio stradale, che la richiesta di rinvio a giudizio venga depositata entro 30 giorni dalla data di chiusura delle indagini e che, tra la data del decreto che dispone il giudizio e quella fissata per il giudizio stesso, non debba intercorrere un termine superiore a 60 giorni; la citazione diretta a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica; l’inserimento delle lesioni personali stradali tra i reati per cui il pubblico ministero esercita l'azione penale con la citazione diretta a giudizio, disponendo che il decreto di citazione a giudizio debba essere emesso entro 30 giorni dalla chiusura delle indagini preliminari e la data di comparizione contenuta nel decreto di citazione a giudizio da fissarsi non oltre 90 giorni dalla emissione del decreto stesso.

In precedenza, ossia nella attuale disciplina, per restare al solo aspetto dell’arresto in flaranza, va evidenziato come, in relazione all'omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il massimo edittale previsto (superiore a 5 anni) consentirebbe l'arresto facoltativo in flagranza dell'autore del reato (art. 381 c.p.p.), misura possibile (ex art. 189, comma 6, Codice della strada), nonostante i limiti edittali, anche in caso di lesioni alle persone. Tuttavia, l'art. 189, comma 8, del citato Codice della Strada, prevede che "Il conducente che si fermi e, occorrendo, presti assistenza a coloro che hanno subito danni alla persona, mettendosi immediatamente a disposizione degli organi di polizia giudiziaria, quando dall'incidente derivi il delitto di omicidio colposo o di lesioni personali colpose, non è soggetto all'arresto stabilito per il caso di flagranza di reato".

47) Testualmente: “z) nell'ambito della revisione della disciplina sanzionatoria di cui alla lettera v), previsione di sanzioni più severe a carico di coloro che conducono unità da diporto in stato di ebbrezza o sotto l'effetto di stupefacenti, nonché nei confronti di coloro che utilizzando unità da diporto causano danni ambientali, ovvero determinano una situazione di grave rischio per la salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema marino, attraverso misure che, a seconda della gravità della violazione, vadano dal ritiro della patente al sequestro dell'unità da diporto.”.

48) Anche il dossier n.341 edito dalla Camera dei deputati alla pagina 6 ( e a pagina 8 quanto alla affine ipotesi ex art.590-bis) si esprime nei termini di un “aumento della pena”, ma si affretta a citare la sentenza Cass.pen., sez.IV, 3 ottobre 2011, n.35805, nella quale si chiarisce come la fattispecie non costituisca una autonoma figura di reato complesso, né una mera circostanza aggravante, piuttosto una ipotesi di concorso di reati, formata da autonomi e distinte fattispecie unificate sotto il profilo sanzionatorio.

49) La lettura delle iniziative legislative in tema di omicidio stradale quale espressione della necessità di non smarrire il consenso sociale, innescata dal circuito mediatico, è in G.Spangher, Processo penale: le nuove emergenze, p.2994.

50) In Cass. pen. Sez. Unite, (ud. 25-01-2005) 08-03-2005, n. 9163, a proposito dell’imputabilità essa “non è "mera capacità di pena", ma "capacità di reato o meglio capacità di colpevolezza", quindi, nella sua "propedeuticità soggettiva rispetto al reato, presupposto della colpevolezza", non essendovi colpevolezza senza imputabilità. 4.2 Si è ulteriormente specificato che i confini di rilevanza ed applicabilità dell'istituto della imputabilità dipendono, in effetti, anche in qualche misura dal concetto di pena che si intenda privilegiare: nell'ottica retributiva di questa, se la pena deve servire a compensare la colpa per il male commesso, non può non rilevarsi che essa si giustifica solo nei confronti di soggetti che hanno scelto di delinquere in piena libertà; sotto il profilo di un'ottica preventiva, ponendosi in dubbio il rapporto tra libertà del volere e funzione preventiva (in cui "il principio della libertà del volere non è più funzionale alla fondazione e giustificazione della pena"), tale funzione preventiva potrà rivolgersi solo a soggetti che siano effettivamente in grado di cogliere l'appello contenuto nella norma, e fra questi non sembra che possano annoverarsi anche i soggetti non imputabili, in quanto tali ritenuti non suscettibili di motivazione mediante minacce sanzionatorie. E, sotto il profilo della risocializzazione (che partecipa alla funzione di prevenzione speciale), giustamente si è rilevato che "il collegamento psichico fra fatto e autore, comunque necessario per dar senso alla risocializzazione, ancora una volta non può che essere visto nella possibilità che il soggetto aveva di agire altrimenti al momento del fatto commesso", in mancanza di tanto non avendo senso chiedersi se il soggetto abbia bisogno di essere rieducato, dovendosi piuttosto ritenere che egli non sia neppure in grado di cogliere il significato della pena e, conseguentemente, di modificare i propri comportamenti.”

18/11/2015
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Note in margine alla riforma dei reati per circolazione stradale
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