Magistratura democratica
Magistratura e società

Recensione a Il nuovo diritto penale tributario

di Giuseppe De Marzo **
consigliere della Corte di Cassazione

Recensione al volume a cura di F. Di Vizio e di G. Mazzotta, ovvero della specializzazione del sapere e del modello partecipativo dell’interpretazione

1. Il lettore che volesse condividere con altri le riflessioni suscitate dal volume curato da Fabio Di Vizio e Gabriele Mazzotta e dedicato al diritto penale tributario potrebbe forse limitarsi, data la ricchezza e la completezza della trattazione, a dar conto delle complesse dinamiche interpretative e applicative della materia, oggetto di tensioni regolatorie che la costringono ad una congenita instabilità normativa[1], come ricorda nella sua introduzione il prof. Palazzo e come sottolinea lo stesso capitolo iniziale, che dà conto dell’evoluzione storica della normativa. Basterebbe, a questo riguardo, considerare la rilevanza, anche costituzionale, degli interessi coinvolti nel bilanciamento sotteso alle scelte dei decisori politici (si pensi, fra le tante tematiche a quella destinata a trovare soluzioni difficilmente appaganti, senza un ripensamento radicale del diritto punitivo, del ne bis in idem sanzionatorio).

E s’intende come potrebbe essere sufficiente, nella prospettiva dell’operatore, sapere di poter contare su un lavoro corale, completo e sorretto da una lucida analisi generale, che consente di governare in termini consapevoli le incertezze che scaturiscono dalla complessità prodotta dal “particolarismo” della disciplina del settore.

 

2. Eppure, nel volume c’è qualcosa di ancora più interessante per chi, in epoche di forti polarizzazioni e di conseguenti, non neutri richiami al pur condivisibile fine della certezza e della prevedibilità degli esiti interpretativi, sia consapevole che questi ultimi valori non nascono da una immaginaria e non disinteressata idea di verità[2] – spesso sostenuta dal richiamo alla centralità della lettera della legge -, ma dal metodo del confronto razionale e dall’ascolto.

Proprio la prospettiva metodologica rappresenta il più profondo valore aggiunto che il volume fornisce alla riflessione giuridica.

E questo programmaticamente già per effetto del coinvolgimento di diverse professionalità, dagli avvocati e docenti universitari ai dirigenti amministrativi e, nell’ambito magistratuale, in ragione della considerazione delle diverse prospettive operative del pubblico ministero e del giudice: tutti protagonisti dal tentativo, mobile come mobile è, prima ancora che la regolazione, la stessa esperienza regolata[3], di interrogarsi sui nessi e le implicazioni dell’attività interpretativa.

Significativa in questo senso è, innanzi tutto, la sezione IV, che esamina i reati tributari nella prospettiva del difensore, come pure la Parte II, dedicata ai profili processuali, nella consapevolezza, mai abbastanza ribadita, che lo studio delle situazioni sostanziali è monco se non accompagnato dall’approfondimento degli istituti processuali preordinati a garantire effettività di tutela, nella peculiare prospettiva degli accertamenti necessari in vista dell’esercizio del potere punitivo[4].

 

3. D’altra parte – e qui si viene forse all’aspetto più interessante sul piano metodologico -, è la genesi del volume ad illuminare le direttrici della ricerca che si è sviluppata nel volume.

Nella Parte IV (che, nella premessa viene indicata come facoltativa per chi fosse interessato esclusivamente al diritto penale tributario, ma che è densissima di spunti per chi non intenda sottrarsi ai temi, di portata generale, della interpretazione del diritto, delle esigenze di prevedibilità delle decisioni, della correlazione tra attività interpretativa e applicativa, da un lato, e costruzione di sedi istituzionalizzate di confronto tra operatori, dall’altro), dedicata ai profili organizzativi e formativi, si ricorda che l’approfondimento plurale che ha condotto alla nascita del libro è nato dai laboratori misti fiorentini di formazione della magistratura onoraria, che hanno visto il coinvolgimento dell’avvocatura, dell’accademia e dei magistrati, nella duplice prospettiva operativa, requirente e giudicante.

Piuttosto che immaginare forme di separazione istituzionale degli operatori è sul dialogo nella diversità di visuali che occorre puntare; e questo sia attraverso la creazione, come appunto nei laboratori toscani dei quali s’è detto, di luoghi di confronto non autoreferenziali sia attraverso moduli organizzativi che perseguano modelli di ricerca di soluzioni applicative consapevoli delle diverse facce del prisma regolatorio.

La preoccupazione per modelli verticistici di soluzione dei problemi interpretativi e applicativi dovrebbe accomunare tutti i soggetti interessati all’autonomia della magistratura in un momento nel quale affiora la tentazione di affrontare il serio problema della certezza e della prevedibilità (e della conseguente preoccupazione per non meditati overruling[5]) nei termini semplicistici di direttive verticali[6], laddove l’idea di un’interpretazione partecipante[7] conduce a intendere il discorso giuridico come strumento per tessere una forma di vita comune[8] e per recuperare, in tempi nei quali costante è il richiamo alla dimensione antropocentrica degli strumenti di intelligenza artificiale[9], la dimensione umana ed esperienziale dell’attività interpretativa[10].

In realtà, come abbiamo già in passato osservato, è un dato acquisito la distinzione tra le disposizioni e le norme, le quali ultime identificano il significato attributo ai documenti espressi dalle fonti di produzione del diritto[11]. E la questione centrale è piuttosto quella rappresentata dall’analisi dell'oggetto dell'interpretazione che, secondo una condivisibile ricostruzione[12], ha riguardo non ai singoli termini della proposizione normativa, ma all'enunciato, giacché solo questa modalità operativa — unitamente al controllo razionale delle argomentazioni[13] - consente di ridurre gli inconvenienti derivanti dall’ordinaria vaghezza o indeterminatezza delle parole di per sé considerate. 

Tuttavia, il tema della discrezionalità interpretativa del giudice in un contesto assiologico plurale, ossia la tensione tra il rispetto di valori condivisi dalla maggioranza e la tutela di istanze individuali correlate all’esercizio di diritti dei quali si reclama il carattere fondamentale[14], impone di provare a fare chiarezza sulle premesse argomentative e sulla coerenza del sistema che la scelta decisionale va a tracciare.

E qui il caveat correlato al tema dei modelli organizzativi e partecipativi – ricordato nella premessa del volume del quale si parla – si staglia chiaro nel denunciare forme semplicistiche di richiamo alla lettera della legge e al buon senso, che certo non deve mancare, s’intende, nel valutare le implicazioni delle soluzioni interpretative, ma che va sempre ponderato in una visione di insieme dei valori in gioco, per evitare che quei richiami occultino la reale portata del problema controverso.

 

4. Soccorre, al riguardo, un esempio ricordato nel capitolo del libro sui Principi di organizzazione condivisa, a proposito del noto episodio di Pinocchio, derubato degli zecchini, che, nel sottoporre il suo caso al giudice scimmione con occhiali senza lenti, finisce in prigione: episodio evocato in un articolo dottrinale sulla attività interpretativa e funzione normativa, che rivelerebbe la cecità di un giudice disattento alla realtà e al vincolo della legge. 

Si può supporre che quel giudice abbia solo in apparenza le lenti del giurista (e naturalmente questa è una possibilità di lettura). 

Eppure, un Maestro del diritto processuale di recente scomparso – ciò che (e lo si dice con amara ironia, visto che dovrebbe essere del tutto ovvio) conferma l’utilità dell’ascolto di punti di vista inattesi, ma legati alla vastità di riflessione dei migliori accademici - ricordava in un’opera straordinaria[15], come la decisione del giudice scimmiesco potesse essere letta come l’applicazione di una sorta di misura di sicurezza sostenuta dall’intenerimento verso un burattino sprovveduto che aveva pensato di diventare ricco senza far affidamento sul lavoro e il merito e che di questo suo errore (di questa pericolosità per se stesso) ancora non si era avveduto.

Non tedieremo il lettore indugiando sulla straordinaria lettura del prof. Cavallone di questa vicenda, anche perché lo priveremmo del piacere di riascoltare ciascuna delle sue acutissime parole. 

Ma un dato è certo: che nella valutazione dei casi giuridici, in quelli complessi che impongono la conoscenza delle norme penal-tributarie, come in quelli più agevolmente comprensibili da chiunque, la semplicità si può forse raggiungere con il tormento della riflessione e con il confronto e non con le scorciatoie apparentemente più lineari.

Ed è questo uno – forse il più duraturo dei messaggi – che Fabio Di Vizio, Gabriele Mazzotta e gli autori del volume ci consegnano.

 


 
[1] Una tela destinata a continui disfacimenti e rifacimenti, per seguire l’immagine utilizzata in un suo scritto da G. Flora (La “Tela di Penelope” della legislazione penale tributaria, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, 476).

[2] V., ad es. per la complessità della questione e anche per ampi riferimenti bibliografici, R. G. Conti, Appunti su alcuni aspetti della verità nel diritto, in www.diritticomparati.it, con una riflessione che torna tanto più attuale in tempi nei quali è necessario ribadire che certezza e prevedibilità nascono dalla comunità degli interpreti e non costruendo specchi che riflettano un’ideale volontà del legislatore, che spesso non è facile cogliere (per alcune implicazioni su aspetti organizzati della professione, sia consentito un rinvio alle brevi note dedicate a Le valutazioni di professionalità dei magistrati, in Foro it., 2025, V, 57.

[3] Esperienza che interroga gli operatori nell’attività interpretativa e applicativa: v., ad es., G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, 2024, 155 sul ruolo della realtà, ossia delle esigenze applicative, nella ricostruzione della norma; per analoghe considerazioni, davvero senza pretesa di completezza considerata l’ampiezza delle questioni, G. Zaccaria, in F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione, Roma – Bari, 1999, 196.

[4] Particolarmente interessante è, in una particolare prospettiva di analisi, la riflessione di M. Donini, Diritto penale. Parte generale, Milano, 2024, 8, a proposito del carattere regolatorio del diritto penale che, in certi settori, “nasce insieme” alla disciplina, ad un tempo processuale, amministrativa, civile, dei settori nei quali intervengono le norme incriminatrici, disciplina che finisce per diventare parte integrante della narrazione penalistica degli illeciti.

[5] Tema non caratteristico della sola esperienza italiana (per un caso di grande rilievo, v. A. Palmieri, R. Pardolesi, Diritti costituzionali effimeri? L'overruling di «Roe v. Wade», in Foro it., 2022, IV, 432, i quali ricordano che la Corte Suprema US, per mano di Elena Kagan, autrice della main opinion nel caso Kimble v. Marvel Entm't, LLC, 135 S. Ct. 2401 (2015), aveva messo in guardia da un uso disinvolto dell'overruling, prendendo a prestito da un'icona della pop culture (Spider-man, cui dà voce il suo artefice, Stan Lee) il motto “With great power there must also come great responsibility”), nel quale si registra la presa di posizione di grande rilievo sistematico di Corte cost. 17 dicembre 2024, n. 203, secondo la quale «ogni revirement scuote gli affidamenti che la precedente giurisprudenza ha creato. Soprattutto a fronte di una giurisprudenza costante e risalente nel tempo, alla quale il legislatore si è nel frattempo conformato, occorrono perciò – per giustificare un suo mutamento – ragioni di particolare cogenza che rendano non più sostenibili le soluzioni precedentemente adottate».

[6] Non è questa la sede per ulteriori approfondimenti, ma il profilo che appare emergere dal d.d.l. n. 1457, in materia di funzioni della Corte dei conti, di responsabilità amministrativa e di danno erariale, che, dopo l’approvazione della Camera, è ora all’esame del Senato, desta preoccupazione non tanto e non soltanto per le scelte in tema di responsabilità (al riguardo delle quali, v., ad es., M. T. Polito, La Riforma della Corte dei conti. Si smantellano le funzioni per valorizzare l’esimente relativa alla responsabilità erariale a danno dei cittadini, in www.giustiziainsieme.it), ma per la riorganizzazione della Corte e della Procura contabile, che viene prefigurata appunto, nell’art. 3 del d.d.l.

[7] Per la quale v., ad es., F. Viola, in F. Viola, G. Zaccaria, Diritto e interpretazione, cit., 446.

[8] Ibid., 452.

[9] V., ad es., solo per fare menzione degli sviluppi domestici, gli artt. 3, sul piano dei principi generali, e 15, con riguardo all’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale nell’attività giudiziaria, del d.d.l. 1146 approvato dal Senato il 20 marzo 2025.

[10] V., per alcuni spunti, N. Morgese, Trovare nel fatto il diritto: interpretazione del fatto, metodo casistico e banche dati giuridiche nell'era dell'intelligenza artificiale, in Foro it., 2025, V, 145.

[11] V., ad es., G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, 102; A. Pizzorusso, Metodologia nello studio del sistema delle fonti, in Trattato di diritto civile diretto da R. Sacco, Le fonti del diritto italiano. 1. Le fonti scritte, Torino, 1998, 47.

[12] F. Modugno, Interpretazione giuridica. L'oggetto, Milano, 2015, 123.

[13] V., per tutti, A. Abignente, Argomentazione giuridica, in U. Pomarici (a cura di), Atlante di filosofia del diritto, Torino, 2012, II, 4.

[14] Si rinvia, ad es., D. Bifulco, Il giudice è soggetto soltanto al «diritto», Napoli, 2008, 141 e alle fonti citate.

[15] B. Cavallone, La borsa di Miss Flite, Storie e immagini del processo, Adelphi, 2016, 204. 

[**]

Fabio Di Vizio, Sostituto Procuratore Direzione Distrettuale Antimafia Procura di Firenze
 
Gabriele Mazzotta, procuratore aggiunto Firenze

17/05/2025
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