Magistratura democratica
Magistratura e società

Ricordo di un magistrato mite e grande

di Gianfranco Gilardi
già presidente del Tribunale di Verona, componente del Comitato scientifico di Questione Giustizia

 

1. Due anni fa, esattamente alla 9,00 del mattino, venni a sapere che Baldo Marescotti[1] era scivolato fuori dalla vita. Lo appresi dalle parole strazianti di Angela, la sua amatissima moglie che aveva vissuto con forza e dignità straordinarie il tempo spietato e crudele che l’aveva tenuta forzatamente lontana da lui, insieme agli adorati figli Federico e Marco[2].

La notizia dell'addio - tanto più dolorosa nel pensiero della solitudine che aveva accompagnato gli interminabili mesi della sofferenza di Baldo, nell'impossibilità di vedersi e di comunicare, anche soltanto con un sorriso, uno sguardo, una carezza, anche solo con un ciao stando dietro alla vetrata di una porta o una finestra - suscitò in tutti coloro che lo avevano conosciuto un senso di profonda desolazione. Innumerevoli furono le manifestazioni di cordoglio e di affetto che si succedettero legandosi in un abbraccio prolungato intorno a lui ed ai suoi cari.

Insieme a Baldo ho svolto molti anni fa, quando ero giudice a Milano, gran parte della mia attività professionale, nella «mitica» ottava sezione civile di quel Tribunale che si occupava tra l'altro della materia societaria; ed ogni giorno ebbi modo di apprezzarne la luminosa intelligenza, la profondità ed eleganza del pensiero, la disponibilità al confronto in cui sapeva unire alla raffinata cultura un’umanità che non ho più trovato altrove, e che contribuiva non poco a quel clima di collegialità operosa e costruttiva che costituì un tratto inconfondibile della nostra esperienza giudiziaria in quella sezione.

 L’apporto di Baldo, ad esempio, fu centrale nell’elaborazione, oltre che della giurisprudenza, anche delle “massime” relative all’omologazione che allora era prevista quale forma di controllo preventivo sulla legalità degli atti costitutivi e degli statuti degli enti societari di nuova formazione: un controllo che veniva attuato tramite un  confronto prima all’interno della sezione e, poi, con i rappresentanti degli ordini professionali, sfociando infine nel varo dei principi di diritto e delle regole applicative (le «massime», appunto) che avevano lo scopo di evitare o ridurre possibili occasioni di contenzioso futuro: un metodo di collegialità che in qualche modo ha anticipato, in forma “embrionale”, esperienze virtuose come quella degli Osservatori sulla giustizia civile.

Ma Baldo era un punto di riferimento in ogni settore dell’attività giurisdizionale per tutti i componenti della sezione, e lo era anche per quelli che operavano in settori diversi, che non mancavano di rivolgersi a lui per risolvere problemi di carattere interpretativo, così come lo era per gli avvocati i quali non esitavano ad interpellarlo per carpirgli un parere su questa o quella questione di ordine generale. «Ho conosciuto il “Baldopensiero”[3]» – ha scritto una magistrata, che iniziò a svolgere le proprie funzioni presso l’VIII sezione civile del Tribunale subito dopo il tramutamento di Marescotti in Corte d’appello[4] - «prima dello stesso Baldo». Il “Baldopensiero” era contenuto «in tutti i file dei provvedimenti da lui redatti...nella sua lunga permanenza all’VIII, ordinati in cartelle, sottocartelle e sotto sotto cartelle», messe «generosamente...a disposizione e lasciate in eredità» al momento del suo passaggio in Corte d’appello, e che furono utilissimi specie per chi, entrato nella sezione, aveva poca dimestichezza con la difficile materia societaria.

Riprendendo le parole scritte subito dopo la notizia del decesso da un altro componente della sezione in quegli anni, egli era «una fonte di ispirazione» costante, «non solo di un modo di lavorare, con dignità e riservatezza», ma anche «di un modo di essere». Era «una porta sempre aperta ai colleghi in cerca di consiglio e confronto», sempre disponibile ad ascoltare, con «un sorriso paziente, accogliente e rassicurante», su tutto, e non soltanto su temi che riguardavano il diritto; anche su questioni di carattere personale. «Il Baldopensiero era (è) Baldo Marescotti come persona, collega e amico. Saper ascoltare, anche solo per pochi minuti, ma con una attenzione mai distratta e dedicata soltanto a chi gli stava parlando. E allora uscivamo da quella stanza con qualcosa in più. Con le idee giuridicamente più chiare e con qualche ricchezza personale in più». 

La sua conversazione, del resto, mai era banale, e quindi Baldo era ricercato non soltanto da chi desiderava un parere su questioni di diritto o su temi inerenti all’ufficio, ma anche per problemi di vita. Non sono pochi i ricordi di magistrati che hanno ricevuto da lui consigli, indirizzi e conforto in momenti difficili della loro esistenza.

Nelle sue «poesiole» (come le definisce con modestia l’autore, che ha disegnato con versi ariosi e brillanti tanti aspetti della vita di sezione, tratteggiando anche alcune caratteristiche dei suoi componenti)[5], Giuseppe Tarantola - che è stato per un periodo presidente dell’ottava sezione - oltre a sottolinearne le qualità professionali e a ricordare le tre vicende che troncarono immeritatamente una vita ancora ricca di frutti e di soddisfazioni, ha descritto argutamente il dispiacere dei colleghi e in genere dell’ufficio al momento del pensionamento di Marescotti[6].

Baldo è stato un esempio e un maestro per tanti giovani magistrati che ebbero la fortuna di compiere con lui una parte del loro tirocinio, riportandone impressa – insieme all’umanità ed all’acutezza degli insegnamenti - un’immagine indelebile di «come lavora e si comporta un giudice»[7]

Mi piace menzionare, tra i tanti ricordi che si potrebbero riportare, le parole scritte da una delle tante magistrate di cui Baldo fu giudice affidatario: 

«Conobbi Baldo quando iniziai la nostra bellissima professione, da uditrice, all’Ottava Civile nel settembre 1998; ma l’ho frequentato davvero solamente nel marzo 2016 quando il Don della mia Parrocchia di Santa Croce di Milano ci coinvolse entrambi, chiedendoci di tenere un incontro sul tema Unioni Civili, la legge ed il cuore. Come relatori ci saremmo stati io e Baldo e niente di meno che l’arcivescovo di Campobasso, mons. Giancarlo Bregantini (un integralista contrario all’approvazione della legge sulle unioni civili, d.d.l. Cirinnà). Con Baldo ci preparammo insieme e così ho scoperto la sua eccezionale e profonda cultura giuridica, la sua ineffabile ironia e la sua capacità (unica) di insegnare tanto senza essere, né apparire, arrogante o presuntuoso. Disse che la mia scaletta era una uno “scalone” e nel frattempo mi fece scoprire cosa avevano scritto Moro e Togliatti (autore della dicitura “società naturale fondata sul matrimonio”) quando hanno pensato l’art. 29 Cost. e mille altre cose sulla libertà ed i diritti delle e nelle “Formazioni sociali” da Voltaire in poi. Ricordo che la sera dell’incontro in Parrocchia, dopo che io e Baldo avemmo finito di parlare, i parrocchiani erano commossi (e del tutto convinti che anche per un cristiano cattolico questa legge non era un pericolo per il sacramento del matrimonio ma solo un passo avanti nel rispetto della dignità di tutte le persone, secondo l’insegnamento del Vangelo) e forse riuscimmo a seminare il dubbio persino nell’arcivescovo oltranzista. In quei giorni Baldo aveva da poco lasciato la magistratura e contava a ritroso le ultime sentenze da scrivere, sperando (l’unico, credo) che non finissero mai e dai suoi messaggi traspariva la tristezza per questo conto alla rovescia».

 

2. E’ superfluo parlare della qualità di giurista di Baldo Marescotti, tanto erano evidenti e conosciute; e chiunque abbia avuto modo di scorrere i suoi elaborati, non potrà non averne colto la cultura, la padronanza totale degli istituti, la logica serrata mai disgiunta da una raffinata eleganza espositiva e dalla costante attenzione ai profili umani che sapeva sempre cogliere nelle vicende giudiziarie sottoposte al suo esame. Cultura ed eleganza di pensiero che permeavano anche le relazioni di cui è stato autore, come ad esempio quella sull’«Abuso del diritto» svolta nel 1998 all'incontro di studi per la Formazione decentrata dei magistrati nell’Aula Magna, della Corte d’appello credo nel 1998 (contemporaneamente all'uscita dell'omonima voce dell'Enciclopedia del Diritto) o la presentazione, in sede universitaria, dell'opera collettanea Trattato del Contratto, a cura di V. Roppo, pubblicato a Milano nel 2006, avendo come correlatori i Professori Schlesinger e Iudica[8]. Ma non meno ammirata (e forse oggetto di qualche invidia....) era la profondità del sapere umanistico di Baldo, in particolare nel campo della storia e della musica: «tornando da un viaggio nella Germania est» - mi ha riferito Giuseppe Tarantola - «mi sono accorto che lui sapeva già tutto quello che avevo appreso su Lutero; quando gli chiesi un commento su un volume di Macchiavelli, mi accorsi che non si era limitato al Principe e alla Mandragola, ma aveva chiosato anche i Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Frequentava i concerti del Quartetto e delle Serate musicali, accettava inviti anche “ad horas” alla Scala. L’ho trovato più volte in ufficio mentre motivava provvedimenti col sottofondo delle sonate di Beethoven o della Moldava di Smetana».

 

3. Baldo Marescotti è stato – e tale rimane anche  per tempi angosciosi e disordinati come quelli che stiamo vivendo, segnati da drammatiche vicende e da immense sciagure, con l'affollarsi di gesti ed atti troppo spesso carichi di risentimento e di rancore, con parole volte a dividere anziché ad intessere una rete più salda di comprensione e solidarietà - l'esempio di una magistratura assiduamente impegnata ogni giorno (al contrario dell'immagine distorta che si vorrebbe propagarne, accomunandola in un giudizio di discredito tanto generalizzato quanto ingiustificato e inveritiero) nell'attuazione convinta e paziente del disegno costituzionale di una società più sicura, più libera e più giusta: è stato in senso pieno un uomo delle istituzioni, un raro esempio delle più preziose virtù repubblicane. «“Anche fuori dalla funzione” - sono le parole di un altro magistrato, che ha saputo tenere alto il senso delle istituzioni nella difficile stagione di “tangentopoli”- «Baldo era una persona rara, mi viene da direi l'archetipo, il modello assoluto di persona che stava nella mente dei Costituenti quando hanno pensato di organizzare il nostro stare insieme sulla base del riconoscimento reciproco e universale della dignità di ogni sia singolo riconosceva essere umano. Sia per quello che era, per come in chiunque si relazionasse con lui una persona comunque degna. La cura, l'attenzione, la considerazione che metteva nel non ferire le fragilità dell'altro ne facevano davvero un essere speciale».

Egli ha incarnato l’essenza deontologica della professionalità del magistrato, professionalità che non significa soltanto diligenza, operosità, preparazione e dovere di aggiornamento professionale; non significa soltanto libertà da condizionamenti o da vincoli che possono menomare l'indipendente esercizio delle proprie funzioni; osservanza dei propri doveri e correttezza di rapporti con tutti; puntualità e scrupolo massimo, soprattutto quando sia in questione la reputazione e la libertà delle persone. Professionalità significa anche consapevolezza che l’esercizio della giurisdizione implica sempre una sensibilità culturale e istituzionale che impedisce di assimilare la funzione del giudice a quella di un semplice “burocrate” e, insieme, consapevolezza che l'attuazione dei fini non può mai dissociarsi dal rispetto delle regole e delle garanzie processuali[9]. Sicché non sarebbe rispettoso del proprio ruolo istituzionale né il giudice che - burocraticamente chiuso e distante - utilizzasse il formalismo procedurale a discapito dei valori sostanziali[10], né quello che sacrificasse il rispetto delle regole a forzature e tentazioni sostanzialistiche. Il magistrato deve essere ben consapevole che il rispetto delle garanzie processuali fa parte dei valori che connotano il nostro sistema costituzionale, come deve essere consapevole che il diritto alla difesa e la regola del contraddittorio costituiscono cardini del nostro sistema processuale, tali da precludere scorciatoie o «terze vie» nella decisione. Ed è ovvio che l'esercizio di funzioni destinate a garantire il rispetto delle leggi ed esiti di giustizia  per tutte le parti, implica una forte attenzione al bene primario della libertà, al significato ed alla dignità della persona, si tratti del difensore o dell’indagato, della parte sostanziale o del teste, così come è evidente che la corretta interpretazione del proprio ruolo implica anche il massimo rispetto delle regole preposte alla formazione della prova, l’astensione da atteggiamenti suscettibili di essere interpretati come contestazione del ruolo legittimamente esercitato da altri, ciò che a volte succede quando ad esempio i magistrati scendono in campo non per rendere più chiara la motivazione dei loro provvedimenti o per descrivere le condizioni del proprio lavoro, ma per difendere i propri provvedimenti in forme screditanti ed offensivo dei provvedimenti o del lavoro di altri magistrati.

 

4. Una persona grande ed umile allo stesso tempo, priva di qualsiasi arroganza, che ha «ha continuato ad essere un maestro nel suo ruolo di giudice» anche nella Corte d’appello, «ove era stimatissimo ed amato punto di riferimento per tutti, anche per la signorile mitezza con cui riusciva a non farti sentire inadeguato di fronte al suo sapere, non solo giuridico», un sapere «che porgeva con tratto leggero intelligente per via della sua intelligente ironia e di una profonda umanità»[11]. E, insieme, un magistrato di rettitudine esemplare, al quale fu ben chiaro che il giudice, nel disegno del Costituente, non è il passivo esecutore di una supposta unica interpretazione possibile della legge, ma tramite esso stesso per l'attuazione dei valori costituzionali e dei principi di emancipazione e di eguaglianza, e che seppe interpretare questo ruolo con fermezza in ogni atto della sua esperienza professionale. 

Lo testimonia - tra i tanti che si potrebbero ricordare - questo episodio raccontato da un’altra grande magistrata, Gabriella Manfrin, che di Baldo era stata anche collega di sezione e che, purtroppo, ci ha dolorosamente lasciato nel marzo dello scorso anno[12]:

«Tutti hanno parlato di altri aspetti della sua personalità e io vorrei che rimanesse traccia anche del suo inflessibile senso dell’istituzione che quando eravamo ancora giovani magistrati alla sezione fallimentare abbiamo visto messo in pericolo da un insanabile conflitto che aveva contrapposto la presidenza di quell’ufficio e i vertici più elevati di quelli milanesi. La vicenda ebbe anche una risonanza sui giornali (all’epoca non si diceva “mediatica”); ed a un certo punto alcuni di noi che ritenevano di dover manifestare - sia pure nell’ambito degli uffici senza sollecitare interventi che già avevano creato discredito …- si sono mossi. Baldo ed io che eravamo i più giovani siamo andati"...dall’allora potentissimo presidente della Corte e gli abbiamo espresso il nostro profondo disagio per uno scandalo che metteva a repentaglio la credibilità di un ufficio molto delicato che in quella fase storica doveva gestire rilevantissime insolvenze. La sua accoglienza, di cui ho un ricordo nitidamente gelido e arrogante, ci convinse a congedarci rapidamente, dopo avergli manifestato nel modo più chiaro e senza timori reverenziali il pensiero di chi aveva cercato di evitare l’irreparabile nel rispetto delle regole che erano state violate. Quando ci allontanavamo siamo riusciti comunque a rivedere anche con ironia certi passaggi di quella che per noi era stato un inaspettato e offensivo rifiuto di confronto ed era proprio di Baldo saper usare una intelligente leggerezza nei momenti più difficili»[13].

   

5. Marescotti era appunto, anche in questo senso, un uomo di elevatissima statura professionale e morale. Tante volte, parlando con lui, denunciavamo insieme con preoccupazione la spinta carrieristica che stava penetrando in modo sempre più diffuso all’interno del corpo giudiziario e che poi esplose, in modo così grave e devastante, nella vicenda Palamara. Egli aveva saputo scorgere, con l’acutezza e la sensibilità che lo distinguevano, il dipanarsi di un lento processo di trasformazione che aveva sospinto anche l’associazionismo giudiziario verso derive improprie, con progressivo allontanamento dalla prospettiva istituzionale, dai suoi scopi statutari e dalla sua stessa storia (che pure l’aveva vista protagonista di non poche battaglie nella difesa e nella conquista dell’indipendenza reale, esterna e interna, della magistratura), di talché alla tutela della funzione giudiziaria, costituente la ragion d’essere della nascita stessa dell’Anm, si erano andate sostituendo, in modo sempre più diffuso, la protezione degli interessi particolari corporativi, le logiche del notabilato e del carrierismo e le pratiche di “scambio”. Ed era a lui ben chiaro che la possibilità di porre un argine a questa deriva postulava di non attribuire alle istituzioni le colpe degli uomini che sono chiamate a rappresentarle, e richiedeva la rigorosa presa di coscienza da parte di ogni segmento dell’istituzione e di ogni magistrato che  i valori finali in gioco sono i valori stessi della giurisdizione, e come tutto ciò che direttamente o indirettamente si pone in contrasto con le regole dell’etica professionale finisce prima o poi per mettere in crisi l’esercizio di questa e per aprire un solco sempre più profondo tra la collettività ed i suoi giudici. Ciò che occorre – ce lo ripetevamo  nel suo ufficio, tra fascicoli e scartoffie sempre più ingombranti, nonostante la cura puntigliosa che egli osservava nel mettervi ordine - è il recupero del significato sociale della funzione giurisdizionale, la consapevolezza che anche l’associazionismo è nato per dare un senso alto, attraverso la riflessione collettiva, al lavoro dei magistrati, e che esso avrebbe potuto avere ancora un futuro solo nella comune disponibilità e volontà di confrontarsi sul senso della giurisdizione, sul suo rapporto con la società, sulle sue fonti di legittimazione e sulla sua collocazione entro l’assetto costituzionale dei pubblici poteri.

Ma per fare ciò, è indispensabile mettere in primo piano non le cose che dividono, quanto invece quelle che (pur nella legittima diversità delle opinioni e nella pienezza della dialettica professionale e culturale) hanno la capacità di creare convergenze su una visione comune dei problemi e di favorirne in questo modo la ricerca di soluzioni. 

Sono certo che anche a Baldo non sarebbe stato del tutto comprensibile perché mai le legittime diversità di vedute su questo o quel problema della giustizia, e la dialettica talvolta anche aspra che le accompagna, finiscano sempre più spesso per provocare divisioni creando steccati ed abbandoni, anziché sfociare in un impegno comune nella difesa di quei valori che pure ciascun gruppo dichiara di volere (ed intende) perseguire. 

 

6. Il progetto costituzionale di persone libere che, potendo contare su un lavoro, una casa, un reddito decoroso, un’istruzione adeguata, siano in grado di formarsi  una famiglia, educare e assistere i loro figli, coltivare le proprie aspirazioni in un contesto di sicurezza, manifestare liberamente il proprio pensiero, concorrere nelle forme democratiche alla vita politica dello Stato, accedere alla giustizia per tutelare i propri diritti, condurre una vita dignitosa anche quando si è ammalati, o vecchi o disoccupati – secondo un concetto di cittadinanza intesa non come riferimento a un'appartenenza territoriale, ma come godimento effettivo di diritti e come adempimento puntuale dei doveri cui ciascuno è tenuto dalla comunità cui appartiene - rimanda ad un processo complesso: un processo di cui sono parte essenziale non solo buone leggi, istituzioni visibili ed efficienti, i comportamenti e le politiche degli Stati, le giurisdizioni dei vari paesi, ma anche l'opera dell'avvocatura nel farsi tramite di promozione e affermazione di diritti, il ruolo del mondo accademico e della cultura giuridica complessivamente intesa, la tensione di ciascuno, nel lavoro professionale e nella vita quotidiana, verso i bisogni di giustizia e le persone che ne sono i titolari insoddisfatti. 

Anche di un simile impegno, che investe ogni cittadino in quanto tale, Baldo Marescotti è stato un limpido esempio, come dimostra tra l’altro il contributo decisivo da lui dato all’elaborazione ed alla stesura di un documento con il quale un gruppo di «magistrati in pensione e cittadini italiani» intese esprimere solidarietà alla gip di Agrigento, che nell’esercizio delle sue funzioni era stata fatto oggetto di incredibili attacchi in sede politica, e prendere posizione a difesa dell’indipendenza sua e dei magistrati in generale[14].

 

7. Confesso di provare una grande nostalgia di quel tempo, in cui si riusciva a trasformare anche il grigiore di una camera di consiglio in occasione di crescita gioiosa e di arricchimento professionale e umano, nell’impegno sereno e fiducioso che dava a tutti noi la sensazione di vivere la cultura del diritto come cultura della vita. Per questo (non senza qualche civetteria...) ho definito «mitica» l’ottava sezione di quegli anni[15], di cui ha fatto parte anche un altro valoroso magistrato, Carlo Crivelli, che ne fu componente, e che purtroppo ci ha lasciato nel dicembre dell’anno scorso

Con Baldo Marescotti in qualche modo si è chiusa una stagione della giurisprudenza e della cultura giuridica del Paese di cui egli è stato un grande, anche se riservato, protagonista. E voglio ripetere qui il saluto che gli rivolsi in quel triste 15 febbraio di due anni fa. Voglio ripetergli ciao, amico limpido e leale, ci mancherai ogni giorno. Ogni giorno porteremo con noi quel tuo sorriso arguto e accattivante che riusciva a rendere semplici anche i problemi più complessi  e con il quale, insieme alle parole, sapevi ogni volta tendere un ponte verso gli altri, nel rispetto di quella dignità delle persone che costituisce il valore più forte e profondo della Carta costituzionale e che tu eri capace di riconoscere in ogni interlocutore anche quando difendevi tenacemente, con mitezza e senza arroganza, dentro e fuori le camere di consiglio, le tue idee e le tue convinzioni.

Caro Baldo, sei stato e sono certo che resterai un esempio e uno sprone anche per le generazioni future di magistrati.


 
[1] Baldo Marescotti, assegnato alla seconda sezione civile (specializzata in materia fallimentare) del Tribunale di Milano, vi esercitò fino al 1985 funzioni di giudice delegato ai fallimenti e alle altre procedure concorsuali. Successivamente tramutato alla sezione VIII dello stesso Tribunale (c.d. «Sezione commerciale», specializzata in diritto societario, bancario e anche condominiale), nel periodo dal 1992 al 1997 vi svolse anche, quale giudice anziano, funzioni di presidente di uno dei collegi in sede di giurisdizione ordinaria e di giurisdizione volontaria nelle materie proprie della sezione. Trasferito a domanda alla Corte d’appello di Milano, dove prese possesso nel giugno del 1997, vi esplicò funzioni, oltre che di consigliere, di presidente di uno dei collegi della Prima Sezione nonché della Sezione specializzata di diritto industriale ex art. 16 della legge n. 273/2002 n. 273, dalla relativa istituzione fino alla primavera del 2009. A far tempo dal gennaio 2009 svolse le funzioni di presidente della terza sezione civile, e dal gennaio 2007 vi esercitò in veste di delegato dal Presidente della Corte quelle amministrative inerenti alla vigilanza sui magistrati. Per il biennio marzo 2001 - marzo 2003 fu componente del consiglio giudiziario presso la Corte d’Appello di Milano.

[2] Purtroppo un altro indicibile dolore si è aggiunto da lì a poco, con la straziante scomparsa del giovane Marco.

[3]  Così era definito con rispetto e affetto dai giudici della sezione. Il “Baldopensiero” - si legge in un altro ricordo – «non era (non è) soltanto una classificazione ordinata dei provvedimenti emessi da Baldo nel corso della sua pluriennale attività», giacché si trattava di «provvedimenti autorevoli, colti e motivati con argomenti generali e specifici praticamente su tutto»; ed anche quando qualcosa poteva mancare, «ci si trovava sempre un riferimento da cui prendere spunto».

[4] Un ufficio in cui vennero tra l’altro apprezzate la grande professionalità dispiegata in vicende fallimentari e societarie cruciali, e «la signorilità, l'umanità e la delicatezza» con cui seppe svolgere, in veste di magistrato delegato, la funzione di vigilanza della Corte di Appello.

[5] Lo aveva fatto qualche anno prima, con spassosi sonetti in dialetto romanesco, anche Attilio Baldi, un altro indimenticabile magistrato e dirigente d’ufficio che aveva presieduto anche lui l’VIII sezione civile del Tribunale di Milano. Nel ricordo che ne tracciai nel lontano 1993 («Un uomo della giustizia lontano dal potere») scrissi tra l’altro che pochi come lui avevano «esprimere con l’immediatezza, la semplicità, la forza dell’impegno quotidiano, la concezione della giustizia come servizio, la certezza che si può essere utili alla collettività anche quando si è lasciati soli e anche quando resta spenta la luce dei riflettori».

[6] Questa è la "poesiola" scritta in quell’occasione: 

La rottamazione.

Da lontano giunge un suono di violini, trombe, flauti,
oboe, pifferi, grancasse, grida e voci di cantanti.
Sembra a un tratto di sentire il motivo dell’Eroica
ma ben presto già risuona una lidica Canzona
affogata nelle note di una placida Moldova.
Ora appaiono le forme degli autori della banda:
c’è davanti un tipo buffo, che agitandosi comanda,
al suo seguito una truppa di colleghi presidenti, 
avvocati, cancellieri, sconosciuti pretendenti
che si sforzan di seguire strani segni su libretti,
che si tengono ben stretti.
Dalla folla radunata, che via via si è più ingrossata
s’alza un urlo straziato
“anche il Baldo è rottamato”.
Lui non par rendersi conto
che le carte van finendo
e che nuova vita attende il suo ingresso 
e lo contende.
E poiché non sa dir “no”
sempre preso lo vedrò

[7] Nel saluto rivoltogli all’indomani della scomparsa, in molti hanno sottolineato il grande contributo da lui dato alla formazione di tanti giovani magistrati che avevano nei suoi confronti un'autentica venerazione. Uno di loro gli aveva dedicato una piccola composizione in latino che, fra il serio e lo scherzoso (non ricordo le parole), ne esaltava la profonda conoscenza della materia commerciale.

[8] Ne ha fatto menzione un magistrato che è stato componente anche lui dell’VIII sezione del Tribunale di Milano, ed ha voluto aggiungere che «fuori dall'ufficio, era, al pari di me, un appassionato ciclista», ciò che gli procurò, causa il malaugurato slittamento delle ruote sulle foglie bagnate, un serio incidente con la frattura dell'acetabolo, costringendolo ad un lungo periodo di immobilità.

[9] Come ha ricordato in tante occasioni Pino Borré, la professionalità «è coscienza del limite, garanzia di razionalità, capacità di rispetto delle regole procedimentali e quindi condizione di trasparenza e di controllabilità; antidoto contro la tentazione di scorciatoie e contro i pericoli di casualità e soggettivismo; e anche antidoto (in quanto ne elimina le cause che spesso si annidano nelle frustrazioni personali) contro il pericolo di protagonismo». Essa, infine, «è condizione perché i provvedimenti giurisdizionali, anche i più coraggiosi ed innovativi, possano aspirare all’accettazione sociale»: G. Borré, La professionalità dei magistrati, in L. Pepino (a cura di), L’eresia di Magistratura democratica. Viaggio negli scritti di Giuseppe Borré, Milano, 2001, 133 ss.

[10] Vengono qui in mente le parole di un altro carissimo amico, un insigne giurista e maestro, Sergio Chiarloni, deceduto nel gennaio del 2022, anche lui, solo, in un ospedale inaccessibile a causa del Covid-19. Rinvio tra gli altri ai ricordi che ne hanno tracciato A. Proto Pisani, in Processo e valori. Giustizia amministrativa e altri studi, Jovene, 2022, 499 e segg.; B. Capponi, Ricordo di Sergio Chiarloni, in Giustizia Insieme, 17 gennaio 2022 https://www.giustiziainsieme.it/it/attualita-2/2132-ricordo-di-sergio-chiarloni; Redazione di Questione Giustizia, In ricordo di Sergio Chiarloni, in Questione giustizia, 17 gennaio 2022 https://www.questionegiustizia.it/articolo/in-ricordo-di-sergio-chiarloni.

[11] Così alcune delle belle parole con le quali la figura di Baldo Marescotti, all’indomani della sua scomparsa, è stata ricordata da Alessandra Dal Moro al Plenum del CSM al Plenum del CSM del 17 febbraio 2021, per rendere «un omaggio istituzionale...necessario in questi tempi confusi e complessi in cui davvero figure limpide come quella di Baldo sono una bussola che ci aiuta a non perdere né l'orientamento né la serenità con cui rimanere fedeli a se stessi».

[12] Con Gabriella Manfrin, che negli ultimi anni prima del suo pensionamento aveva presieduto la Sezione GIP del Tribunale di Milano, ho vissuto, insieme a Baldo Marescotti e ad altri colleghi, uno dei periodi più intensi, felici e fecondi della mia attività di magistrato. Quello spirito di amicizia, quella serenità e quel fervore intellettuale che costituivano il cemento professionale, culturale ed umano dell'ottava sezione civile del Tribunale, erano dovuti anche al sorriso di Gabriella, alla sua delicatezza e cortesia, all'eleganza della sua persona e delle sue parole, all'acume profondo del suo pensiero.

[13] Nel suo ricordo Gabriella Manfrin ha fatto richiamo all’attività svolta da Baldo Marescotti quale giudice delegato nelle procedure di amministrazione controllata delle società Rizzoli S.p.A. e Corriere della Sera, oltre che delle società controllate N.E.P., società editrice della Gazzetta dello Sport, e Cartiera di Marzabotto), in cui Baldo Marescotti «diede esemplare prova delle sue alte qualità professionali conquistandosi la stima di illustri professionisti. Aggiungo come nota di colore che mentre eravamo con un terzo collega in camera di consiglio a decidere il nome del Commissario, ci arrivò un bigliettino da quello stesso Capo che non aveva voluto ascoltarci con la segnalazione di tre candidati che ovviamente furono dubito cestinati; ma il tempo ha fatto giustizia di questi spiacevoli incidenti che non hanno certo intaccato la serenità di un uomo “giusto’ come è sempre stato il nostro amico Baldo». Le quattro procedure durarono due anni (senza che Baldo avesse potuto usufruire di alcun esonero dalle attività ordinarie), e furono caratterizzate da particolare complessità, sia per le dimensioni delle società e del relativo dissesto, sia per la rilevanza sociale ed economica dell’attività editoriale esercitata dalle due società principali, sia per l’intreccio di legami inquinati tra amministratori, dirigenti e terzi, tutti in qualche modo legati alla loggia massonica denominata P2. Le procedure si chiusero poi con il ritorno “in bonis” delle quattro società.

[14]  Si riporta il testo del documento: «1. Come già accaduto nel passato, si è tornati ad accusare sistematicamente i giudici che emettono provvedimenti non graditi, tacciandoli di faziosità e di politicizzazione: con attacchi che hanno raggiunto un tale livello di gravità, da configurare una vera e propria rottura dei principi fondamentali dello Stato di diritto, alla stregua di una concezione che vorrebbe i giudici fedeli non alla legge, ma ai comandi di chi pretende che la legge sia applicata secondo un’unica interpretazione imposta dall’esterno. La nostra solidarietà alla gip di  Agrigento, come ai magistrati che prima di lei, per i provvedimenti emessi in tema di migranti, sono stati investiti da attacchi scomposti, incredibili e violenti  da parte del Ministro dell’interno (nel silenzio o con l’assenso  di altre cariche di governo), non  è soltanto un’espressione di vicinanza, ma il riconoscimento che questo modo di essere giudici è una prova di quanto la Costituzione continui ad essere viva; rappresenta la certezza che la giurisdizione venga davvero esercitata a favore di tutti e nei confronti di tutti senza distinzione; costituisce una garanzia anche mia personale, come cittadino,  di sicurezza e libertà. Riconosciamo che, come semplici cittadini, la nostra voce non può avere altra autorità se non quella del riferimento al sistema delle fonti che governano la struttura dell’ordinamento giuridico: le regole primarie della nostra Costituzione, le norme vincolanti stabilite nei trattati internazionali e quelle che incorporano le direttive della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in conformità ai principi morali espressi dalle leggi non scritte ma naturali,  in particolare inerenti alla tutela della vita di ogni essere umano, al  divieto di trattamenti umani e degradanti  e al diritto e al rispetto della vita privata e familiare. "Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci": così inizia una nota della presidenza della Cei con la quale i vescovi italiani hanno fatto   sentire la loro voce sulle dolorose vicende delle morti avvenute nel Mar Mediterraneo: “Un esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace.
2. L’intero ordinamento giuridico si trova di fronte a una sfida di portata enorme.   Si tratta di comprendere se ai pur reali problemi di sicurezza vogliamo rispondere puntando solo sulle ragioni della inquietitudine e della paura, o invece adottando un criterio capace di tenere uniti legalità e protezione delle persone, col rifiuto di ogni forma di criminalizzazione di etnie e di collettività; se il desiderio di vivere una vita serena e dignitosa, il bisogno di essere liberi dalla paura, a cui tutti aspiriamo, e a cui occorre dare risposte concrete, debbano essere perseguiti per tutti in nome dei diritti che ogni uomo, donna, bambino acquistano per il fatto stesso della nascita, ovvero separando e allontanando i diversi, i più deboli, coloro che hanno il solo torto di occupare il posto più basso nella gerarchia sociale. Se, insomma, si debba rispondere con la selezione tra chi può restare e chi deve essere cacciato, o non invece costruendo con pazienza le soluzioni possibili, anche se spesso faticose, della democrazia: la quale annovera tra le proprie condizioni il rigoroso rispetto degli equilibri costituzionali, gravemente alterati, in questo momento storico, anche da una prassi politica che vede sottratta nei fatti – con un anomalo accentramento sul Ministro dell’Interno - al Presidente del Consiglio la titolarità del potere di direzione dell'intera compagine governativa ed al Consiglio dei Ministri la responsabilità collegiale della politica generale del Governo.
3. Tutto quello che sta accadendo ci riguarda, dunque, anche e proprio come cittadini. In un mondo “alla rovescia” in cui si vorrebbe trasformare in reato la solidarietà ed il senso di umanità, intendiamo ribadire che la salvaguardia dei caratteri costituivi dello Stato di diritto è terreno d’impegno che deve coinvolgerci tutti, uomini e donne, e che questa di sicuro è l’ora per farsi sentire.  Un domani, tutto potremo raccontare a nostra discolpa tranne di non esserci accorti di quanto sta accadendo e di non aver provato vergogna».

[15] Della sezione ha fatto parte anche un altro valorosissimo magistrato, Carlo Crivelli, purtroppo scomparso nel dicembre scorso.

15/02/2023
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