Magistratura democratica

L’epocale introduzione degli strumenti di allerta nel sistema concorsuale italiano

di Paola Vella
Introducendo gli strumenti di allerta, l’Italia si è collocata tra gli ordinamenti concorsuali d’avanguardia nel panorama internazionale. Tuttavia, se è ormai universalmente riconosciuto che solo una tempestiva rilevazione degli indizi della crisi consente di prevenire l’insolvenza, resta in concreto assai problematico congegnare meccanismi idonei ed efficaci. Più delle procedure, serve una rivoluzione culturale del mondo imprenditoriale.

1. La lunga gestazione delle misure di allerta

L’introduzione, nel titolo II della parte prima del nuovo «Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza», degli «Strumenti di allerta» (capo I) e del «Procedimento di composizione assistita della crisi» (capo III) – destinati a entrare in vigore il 15 agosto 2020 – costituisce una delle principali novità dell’intervento riformatore, come emerge da tutte le relazioni illustrative dei vari schemi e atti normativi succedutisi nel quadriennio preparatorio della riforma (gennaio 2015-gennaio 2019), sul condiviso presupposto che la possibilità di salvaguardare il valore dell’impresa in crisi è direttamente proporzionale alla tempestività dell’intervento risanatore e che, specularmente, il ritardo nel percepirne i segnali rende spesso irreversibile la sua degenerazione in stato di insolvenza e, al tempo stesso, vano  – se non addirittura dannoso – ogni tardivo tentativo di ristrutturazione.

Anche sulla spinta alla ristrutturazione precoce proveniente da Commissione Ue, Banca mondiale e Unictral, il legislatore italiano si è determinato a introdurre una fase preventiva di «allerta», finalizzata a favorire l’emersione anticipata della crisi attraverso l’istituzione di un organismo professionale pubblico (non giudiziario) terzo, chiamato a fungere da “collettore” delle segnalazioni del malessere economico o finanziario dell’impresa provenienti da soggetti qualificati, ad analizzarne rapidamente le cause e individuare insieme all’imprenditore possibili soluzioni, nonché a fornire a quest’ultimo l’ausilio per addivenire a una «composizione assistita della crisi» attraverso negoziati con tutti o anche solo alcuni dei creditori, ovvero, in mancanza, a indirizzarlo verso le procedure concorsuali allestite dall’ordinamento per far fronte alla crisi e all’insolvenza.

La ratio di tali misure – secondo la connotazione a esse impressa sin dall’origine dei lavori preparatori – è stata quella di creare un ambito confidenziale, ma professionalmente qualificato, di confronto tra i contrapposti (e non necessariamente divergenti) interessi del debitore (nonché degli eventuali organi societari di controllo) e dei creditori, evitando una negoziazione tardiva, improvvisata o solitaria dell’imprenditore, in vista di un risultato possibilmente risanatorio, ma comunque di più ordinata ed efficiente regolazione della crisi, se non dell’insolvenza frattanto maturata.

Erano questi i cardini dello schema di legge delega consegnato a fine dicembre 2015 dalla cd. “prima Commissione Rordorf”[1]. Solo a ottobre 2017, dopo una lunga gestazione di quasi due anni, ha visto la luce la legge delega n. 155, che ha peraltro integrato lo schema dell’art. 4 con minuziose disposizioni, il cui livello di dettaglio è subito parso poco consono al modello normativo adottato. A fronte di un quadro normativo così dettagliato, i margini di intervento del legislatore delegato restavano dunque assai circoscritti.

Su questa base, il 22 dicembre 2017 (a distanza di soli 78 giorni dal decreto di nomina) la cd. “seconda Commissione Rordorf”[2] ha consegnato al Ministro della giustizia, entro il brevissimo termine assegnato, gli schemi di decreto legislativo sulla riforma organica della materia concorsuale e su modifiche a disposizioni del codice civile in materia societaria.

Sennonché, il decreto legislativo n. 14 del 2019, recante il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito: “CCII”) è stato pubblicato a distanza di oltre un anno dalla consegna degli schemi elaborati in estrema urgenza.

Rispetto agli articoli predisposti dalla Commissione in tema di allerta e composizione assistita della crisi, le modifiche apportate dal legislatore delegato sono state non molte, ma certamente di forte impatto, specie con riguardo alla elevazione delle “soglie” di attivazione dell’allerta. Di tali divergenze si darà conto nel prosieguo dell’analisi.

2. Gli “Strumenti di allerta” (interna ed esterna)

Il quadro degli strumenti di allerta si compone, nel CCII – le cui norme sono per lo più destinate a entrare in vigore il 15 agosto 2020 –, di due tipologie di obblighi: gli obblighi di segnalazione (a carico di soggetti qualificati) e gli obblighi organizzativi (a carico dell’imprenditore).

Pertanto, il suddetto capo I si completa con la parte seconda del CCII, recante le «Modifiche al codice civile» – queste, in vigore dal 16 marzo 2019 –, ove sono disciplinati gli «assetti organizzativi dell’impresa» (art. 375) e gli «assetti organizzativi societari» (art. 377), attraverso modifiche, rispettivamente, all’art. 2086 cc e agli artt. 2257, 2380-bis, 2409-novies e 2475 cc (che al primo fanno espresso rinvio per tutti i tipi di società).

Gli obblighi di segnalazione riguardano due categorie di soggetti: per l’allerta cd. “interna”, gli organi di controllo societari, i revisori contabili e le società di revisione, i quali sono tenuti a segnalare i «fondati indizi della crisi» (art. 14), sulla base di appositi «indicatori della crisi», ossia «squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa» (art. 13)[3]; per l’allerta cd. “esterna”, invece, i «creditori pubblici qualificati» – Agenzia delle entrate, Istituto nazionale della previdenza sociale e agente della riscossione – i quali devono attivarsi al superamento di una soglia di esposizione debitoria di importo rilevante, secondo parametri quantitativi e temporali diversificati per ciascuno dei predetti enti (art. 15)[4].

Peraltro, più che di obblighi dovrebbe parlarsi di oneri. Invero, per la prima categoria di soggetti (allerta interna), solo la tempestiva segnalazione all’organo amministrativo – seguita, in caso di inerzia di quest’ultimo, dalla tempestiva segnalazione all’organismo di composizione della crisi – consente loro di fruire dell’esonero «dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere» dall’organo amministrativo[5], sempre «che non siano conseguenza diretta di decisioni assunte prima della segnalazione» (art. 14, commi 2 e 3). Per la seconda categoria di soggetti, invece (allerta esterna), la mancata attivazione alle condizioni previste per ciascuno di essi dall’art. 15 comporta, per Agenzia delle entrate e Inps, l’inefficacia del titolo di prelazione spettante sui crediti di cui sono titolari, e per l’agente della riscossione l’inopponibilità del credito per spese e oneri di riscossione.

Gli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore nel codice civile (cui fa riferimento l’art. 12, comma 1) sono esplicitati anche tra i «Principi generali» del CCII, all’art. 3 («Doveri del debitore»), che impone all’imprenditore individuale di «adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugi le iniziative necessarie a farvi fronte» (comma 1), e all’imprenditore collettivo di «adottare un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’art. 2086 del codice civile, ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell’assunzione di idonee iniziative» (comma 2).

Il principio cardine su cui fa perno il nuovo approccio alla crisi d’impresa è che, ai sensi del novellato art. 2086 cc, l’imprenditore societario o comunque collettivo «ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».

A questo dovere fa eco quello degli organi di controllo societari, dei revisori contabili e delle società di revisione – ciascuno nell’ambito delle rispettive funzioni – di verificare che l’organo amministrativo monitori costantemente (assumendo, se del caso, appropriate iniziative) l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, il suo equilibrio economico-finanziario e il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo l’eventuale esistenza di fondati indizi della crisi (art. 14, comma 1) mediante una comunicazione scritta e motivata, recante l’invito a riferire sulle soluzioni individuate entro un termine non superiore a trenta giorni, decorso inutilmente il quale (così come in caso di mancata adozione, nei successivi sessanta giorni, delle misure proposte) i suddetti soggetti dovranno effettuare una tempestiva segnalazione all’Ocri («organismo di composizione della crisi d’impresa»).

In funzione ancillare va letta la disposizione contenuta nell’art. 379, comma 1, CCII che, in attuazione di uno specifico e dettagliato principio di delega (art. 14, lett. g, l. 155/17), ha modificato l’art. 2477 cc ridefinendo le soglie oltre le quali la nomina dell’organo sindacale o del revisore diventa obbligatoria nelle società a responsabilità limitata, sempre al fine di favorire l’emersione anticipata e la gestione tempestiva della crisi; in particolare, ciò accade quando la srl abbia «superato, per due esercizi consecutivi, almeno uno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 2 [in luogo di 4,4] milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 2 [in luogo di 8,8] milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 10 [in luogo di 50] unità». Detto obbligo cessa «quando, per tre esercizi consecutivi, non è superato alcuno dei predetti limiti».

Il secondo comma dispone invece che, qualora non si provveda alla nomina dell’organo di controllo o del revisore entro il termine previsto dall’articolo 2477, comma 5, cc, il tribunale provveda alla nomina, oltre che su richiesta di ogni interessato, anche «su segnalazione del conservatore del registro delle imprese». Il terzo comma (introdotto sulla base di un’osservazione della Commissione giustizia della Camera) ha, infine, fissato in nove mesi il termine per provvedere alla costituzione degli organi di controllo.

La nuova disciplina presenta due novità: 1) il consistente abbassamento delle soglie di riferimento[6]; 2) il rilievo autonomo assegnato a ciascuna di esse, mentre per il venir meno dell’obbligo è necessario che la società scenda al di sotto di tutte le soglie per tre (e non più due) esercizi consecutivi.

Infine, per superare eventuali carenze di comunicazione interna tra gli organi societari, e comunque per stimolare la massima tempestività nell’attivazione del meccanismo bifasico di allerta (dapprima) interna e (poi) esterna, l’art. 14, ultimo comma, pone a carico di banche e altri intermediari finanziari l’obbligo di notiziare anche gli organi di controllo societari circa le variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti comunicate al cliente[7].

Tanto gli obblighi di segnalazione quanto gli obblighi organizzativi concorrono dunque al perseguimento dell’obbiettivo di una precoce rilevazione della crisi dell’impresa, ai fini di una tempestiva adozione delle misure idonee a superarla o, comunque, a regolarla nel miglior modo possibile, tenuto conto di tutti gli interessi coinvolti (in primis dei creditori).

La scommessa, a fronte di obblighi che potrebbero essere visti come una indebita ingerenza nella libertà di iniziativa economica dell’imprenditore – tutelata anche dall’art. 41 Cost., sia pure con il limite di non potersi svolgere «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana» –, è sull’effetto virtuoso di una disclosure della crisi accelerata dall’esterno, in quanto capace di indurre nel debitore una reazione pro-attiva. D’altro canto, è sempre crescente – anche a livello europeo – la consapevolezza della centralità dell’impresa come bene a sé stante, a fronte di interessi, quali quelli dei lavoratori (cfr. art. 84 CCII, in tema di concordato preventivo con continuità aziendale indiretta), ritenuti meritevoli di altrettanta considerazione rispetto a quella data ai creditori pubblici (cfr. art. 15 CCII), ovvero ai finanziatori, così come ai fornitori e tutti gli altri stakeholder, potendo in ultima analisi affermarsi che il risanamento di un’impresa risponde olisticamente all’interesse generale dell’economia e del mercato.

Infine, “a valle” dei principi di organizzazione, monitoraggio e segnalazione che informano la fase ancora “fisiologica” della vita dell’impresa, si colloca – in funzione dell’eventuale fase “patologica” – l’istituzione, presso ciascuna camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura (Cciaa), del già menzionato Ocri (art. 16), con il triplice compito di: ricevere dai soggetti qualificati le segnalazioni di fondati indizi della crisi delle imprese la cui sede legale si trova nel relativo ambito territoriale; gestire il procedimento dell’allerta tramite l’ufficio del referente (che potrà essere costituito, anche in forma associata, da diverse Cciaa); assistere l’imprenditore nella procedura di composizione assistita della crisi da questi attivata, nominando a tal fine un collegio di tre esperti indipendenti, designati – tra gli iscritti all’istituendo «Albo dei soggetti incaricati dall’autorità giudiziaria delle funzioni di gestione e di controllo nelle procedure di cui al codice della crisi e dell’insolvenza» (art. 356) – uno dal presidente della sezione specializzata in materia di impresa del tribunale competente in base alla sede legale dell’impresa (o da un suo delegato), uno dal presidente della Cciaa (o da un suo delegato, diverso dal referente) e «uno appartenente all’associazione  rappresentativa del settore di riferimento del debitore, individuato dal referente, sentito il debitore, tra quelli iscritti nell’elenco trasmesso annualmente all’organismo dalle associazioni imprenditoriali di categoria» (art. 17, comma 1)[8].  

3. I soggetti destinatari degli strumenti di allerta

In attuazione del principio di cui all’articolo 4, comma 1, lett. a, legge delega n. 155/2017, l’art. 12 traccia, nei commi 4 e 5, il perimetro soggettivo degli strumenti di allerta.

In linea di principio, essi si applicano a tutti i debitori che svolgono attività imprenditoriale; restano, però, escluse innanzitutto le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante dimensione e le società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante, «secondo i criteri stabiliti dal regolamento della Consob concernente la disciplina degli emittenti» (comma 4).

Il successivo comma 5, discostandosi dalla proposta della Commissione (anche a causa della mancata attuazione della legge delega in tema di liquidazione coatta amministrativa), contiene un lungo elenco di imprese escluse dagli strumenti di allerta, in quanto assoggettate da leggi speciali, in via esclusiva, alla liquidazione coatta amministrativa (lca - come tali, già soggette a specifici regimi di vigilanza): si tratta di banche, imprese di intermediazione finanziaria, istituti di moneta elettronica e di pagamento, sim, fondi comuni di investimento, imprese di assicurazione e riassicurazione, nonché fondazioni bancarie, Cassa depositi e prestiti, fondi pensione, società fiduciarie e di revisione.

Per le imprese soggette a lca ordinaria, il comma 8 dell’art. 12 prevede invece un particolare procedimento di allerta e composizione assistita della crisi, integrato ai sensi dell’art. 316, comma 1, lett. a e b.

 Ulteriore novità rispetto allo schema della Commissione è che le imprese escluse dall’allerta sono comunque ammesse a godere, ricorrendone le condizioni di tempestività, delle misure premiali.

L’art. 12, comma 7, dispone infine che gli strumenti di allerta si applicano anche alle imprese agricole e alle imprese “minori”, queste ultime come definite dall’art. 2, comma 1, lett. d, CCII, entrambe soggette al «sovraindebitamento» di cui alla lett. c del medesimo articolo, sia pure compatibilmente con la loro struttura organizzativa. Peraltro, anche al fine di non disperdere esperienze già acquisite ed evitare il rischio di gravare oltremodo il nuovo organismo (l’Ocri), per i suddetti debitori[9] sono state mantenute – con riguardo alla gestione della fase della composizione assistita della crisi che faccia seguito (o meno), all’allerta – le funzioni degli organismi che già oggi si occupano del sovraindebitamento (gli Occ, di cui alla vigente legge n. 3/2012 e successive modificazioni).

4. Le «Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi»

L’intero procedimento di composizione assistita della crisi, di cui ai capi II e III del titolo II della parte prima del CCII, è improntato a principi di riservatezza[10] (vds. art. 17, comma 3, per cui nella richiesta di designazione degli esperti non devono esservi riferimenti idonei all’identificazione del debitore), confidenzialità (vds. art. 18, comma 1, sulle modalità dell’audizione del debitore e degli eventuali organi di controllo dinanzi al collegio, all’esito delle segnalazioni ricevute dall’Ocri), stragiudizialità (vds. art. 18, comma 5, per cui, se il debitore dopo l’audizione non assume alcuna iniziativa nel termine fissato dal collegio per l’adozione delle misure dirette a porre rimedio allo stato di crisi, il referente, su relazione scritta del collegio, si limita a darne comunicazione agli autori delle segnalazioni, i quali restano perciò liberi di assumere o meno ulteriori iniziative) e volontarietà (vds. art. 19, comma 1, per cui il procedimento di composizione assistita si può aprire solo su iniziativa del debitore).

Al riguardo, l’art. 21, comma 4, prevede – «in ossequio al principio della riservatezza e confidenzialità e al fine di evitare ostacoli in capo al debitore nell’illustrare al collegio la reale situazione dell’impresa», come si legge nella relazione illustrativa – che gli atti e la documentazione acquisita o prodotta nel procedimento possono essere utilizzati unicamente nell’ambito della liquidazione giudiziale o di un procedimento penale. Sul punto non è stata ripetuta la riserva apposta dalla Commissione con riguardo alla «esclusione delle dichiarazioni rese dal debitore», anche se nella relazione illustrativa si chiarisce che vanno naturalmente rispettate le norme che disciplinano l’acquisizione e l’utilizzabilità dei documenti in ambito penale. Ciò potrebbe, comunque, rappresentare una remora per il debitore a esporre in modo trasparente la propria situazione[11].

In ogni caso, i suddetti caratteri cessano di operare – ­intervenendo incidentalmente un vero e proprio procedimento giurisdizionale regolato dagli artt. 54 e 55 CCII – laddove l’imprenditore che presenti istanza per la soluzione concordata della crisi decida di rivolgersi al tribunale (sezione specializzata in materia di imprese) per ottenere le misure protettive necessarie a condurre a termine le trattative (art. 20, commi 1 e 2), in modo da impedire o paralizzare eventuali aggressioni del proprio patrimonio (o dei beni facenti parte dell’impresa) da parte dei creditori, nel periodo di tempo occorrente all’espletamento della procedura e all’eventuale raggiungimento di accordi negoziali. Conseguentemente, la loro durata massima corrisponde a quella delle trattative, risultando perciò pari a non più di sei mesi (ex art. 19, comma 1), fermo restando che eventuali proroghe del termine inziale di tre mesi sono possibili solo a fronte di significativi progressi nelle trattative che rendano probabile il raggiungimento dell’accordo, sulla base di apposita attestazione del collegio amministrativo (art. 20, comma 3).

 L’art. 12, comma 3, prevede una ulteriore e importantissima forma di protezione tanto degli strumenti di allerta quanto della procedura di composizione assistita della crisi, stabilendo ­(in analogia a quanto previsto nel concordato in continuità aziendale dall’art. 186-bis, comma 3, l.fall.) che la loro attivazione non può costituire di per sé – fatta salva, quindi, la rilevanza di ulteriori circostanze – causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi, pena la nullità di eventuali patti contrari.

Un assai più problematico arretramento del principio di stragiudizialità (che, però, deriva direttamente dalla legge delega n. 155/2017) si registra nell’art. 22 CCII, in base al quale il collegio, se ritiene evidente lo stato di insolvenza, lo segnala con relazione motivata al referente, il quale ne dà notizia al pubblico ministero per l‘eventuale esercizio, entro sessanta giorni, dell’iniziativa per l’apertura della liquidazione giudiziale ex art. 38 CCII (i.e. l’attuale fallimento), nei seguenti casi: 1) mancata comparizione del debitore per l’audizione dinanzi al collegio; 2) mancato deposito, dopo l’audizione, dell’istanza di composizione assistita della crisi ex art. 19, comma 1 (salvo che sia stata disposta dal collegio l’archiviazione ex art. 18, comma 3); 3) mancato deposito di una domanda di accesso alle procedure concorsuali nel termine di trenta giorni, assegnato dal collegio ex art. 21, comma 1, in caso di esito negativo delle trattative.

Invero, sebbene le procedure di allerta e composizione assistita della crisi siano state collocate “fuori del tribunale” proprio per incoraggiare l’imprenditore ad avvalersene – in quanto l’intervento del giudice poteva essere percepito dall’imprenditore o dai terzi come una sorta di “’anticamera” di una vera e propria procedura concorsuale d’insolvenza – tuttavia questa norma di chiusura rischia di vanificare l’intento perseguito dal legislatore laddove colloca, alla fine di un percorso dichiaratamente confidenziale e stragiudiziale, la figura non tanto del giudice (che peraltro mancherebbe del potere di iniziativa d’ufficio) quanto, addirittura, del pubblico ministero (di quel potere invece munito), così coinvolgendolo inevitabilmente anche in valutazioni di carattere penale.

Tra l’altro, la lieve discrasia tra il testo dell’art. 22 – laddove fa riferimento all’ipotesi in cui «il debitore dopo l’audizione non deposita l’istanza di cui all’art. 19, comma 1» (di composizione assistita della crisi) – e quello dell’art. 18, comma 5 – che ha riguardo più genericamente al caso in cui «il debitore non assume alcuna iniziativa allo scadere del termine fissato dal collegio che abbia insieme a lui individuato le possibili misure per porre rimedio al riscontrato stato di crisi» –, merita un chiarimento poiché, sebbene la seconda condotta comprenda la prima, tuttavia le conseguenze stabilite dalla legge risultano apparentemente diverse: mentre nel primo caso è previsto che il collegio segnali lo stato di insolvenza eventualmente riscontrato con relazione scritta al referente, «che ne dà notizia al pubblico ministero», nel secondo caso è previsto solo che il collegio ne dia semplice «comunicazione agli autori della segnalazione».

5. Il bilanciamento con i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione

Il legislatore ha voluto dare ampio risalto, nel CCII, all’ipotesi in cui l’imprenditore vanti crediti insoddisfatti nei confronti della pubblica amministrazione.

Con una prima misura si è previsto, nell’art. 15, comma 5, l’esonero dei creditori pubblici qualificati dall’obbligo di segnalazione, se il debitore fornisca prova documentale di crediti di imposta o altri crediti vantati verso pubbliche amministrazioni (risultanti dalla piattaforma per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni predisposta dal Mef), di ammontare pari ad almeno la metà del debito verso il (singolo) creditore pubblico qualificato che abbia effettuato la segnalazione, volendosi in tal modo «tener conto della situazione patrimoniale complessiva dell’imprenditore ed evitare ulteriori conseguenze pregiudizievoli derivanti dal ritardo nel pagamento da parte della stessa amministrazione», come si legge nella relazione illustrativa.

Naturalmente, per evitare impropri effetti “moltiplicatori”, dovrebbe essere creato un meccanismo di raccordo volto a evitare che gli stessi crediti in questione vengano “opposti” dal debitore più volte, nei confronti dei diversi creditori pubblici qualificati.

Accanto ad essa, il legislatore delegato ha introdotto nell’art. 18, comma 3, una seconda misura, per cui il collegio dispone «in ogni caso» (dunque senza margini di discrezionalità valutativa) l’archiviazione quando l’organo di controllo societario o, in sua assenza, un professionista indipendente, attesti (allegando la relativa documentazione) l’esistenza di crediti di imposta o di altri crediti verso pubbliche amministrazioni, per i quali siano decorsi novanta giorni dalla messa in mora, di «un ammontare complessivo che, portato in compensazione con i debiti, determina il mancato superamento delle soglie di cui all’art. 15, comma 2, lett. a), b) e c)»[12]. Tale attestazione resta espressamente utilizzabile solo nel procedimento dinanzi all’Ocri.

Nella relazione illustrativa si legge che, in tal modo, si è voluto evitare che imprese in (apparente) difficoltà a causa del mancato pagamento da parte di debitori pubblici debbano subire conseguenze pregiudizievoli ulteriori a causa dei tempi delle procedure di liquidazione e di pagamento.

Tuttavia, dall’esame di tali due misure, emerge una impropria commistione tra presupposti delle segnalazioni e condizioni dell’archiviazione.

Invero, accanto all’ipotesi in cui l’imprenditore sia ritenuto non soggetto all’allerta, la principale ipotesi archiviazione  ricorre quando, sulla base dell’audizione del debitore, degli elementi di valutazione allegati e delle informazioni assunte, il collegio «ritiene che non sussista la crisi» (art. 18, comma 3) e, a ben vedere, questa potrebbe sussistere – specie per le imprese di maggiori dimensioni, o più compromesse – anche in presenza di crediti scaduti verso la pubblica amministrazione che, scomputati dalla complessiva esposizione debitoria, determinino il mancato superamento (magari, anche per difetto di un solo euro) delle tre soglie debitorie verso Agenzia delle entrate, Inps e agente della riscossione (nonostante l’ingente entità di quest’ultimo, pari a 500 mila euro per le imprese individuali e un milione di euro per quelle collettive). Di tal che, proprio nei casi in cui emerge la probabilità non già di crisi, bensì di vera e propria insolvenza, il collegio sarebbe tenuto ad archiviare la procedura solo per la presenza dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione, e peraltro in una misura correlata non già all’esposizione debitoria complessiva, bensì alle soglie che rilevavano solo come “trigger” per le segnalazioni dei creditori pubblici qualificati.

In altri termini, se pare giusto dare rilevanza all’esistenza di crediti insoddisfatti verso la pubblica amministrazione in fase di allerta, ai fini degli obblighi di segnalazione, una volta attivato l’Ocri parrebbe più opportuno lasciare il collegio libero di valutare, alla luce di tutti gli elementi raccolti, la sussistenza o meno dello stato di crisi – ai fini, rispettivamente, dell’individuazione (insieme allo stesso debitore) delle possibili misure per porvi rimedio, ovvero dell’archiviazione – senza porre vincoli numerici che potrebbero precludere un tempestivo intervento risolutore della crisi, dilazionandone inutilmente l’emersione.

6. Le «Misure premiali»

Come viene sottolineato nella relazione illustrativa, la prospettiva di successo della procedura di allerta e composizione assistita della crisi dipende, in gran parte, dalla propensione degli imprenditori ad avvalersene. È questa la ragione del sistema di incentivi (sia di natura patrimoniale, incidenti sulla composizione del debito, sia in termini di responsabilità personale) previsto per chi si attivi tempestivamente, e – specularmente – di disincentivi per chi invece non lo faccia, pur sussistendone le condizioni.

Circa il requisito della tempestività, l’art. 24 definisce (a contrario) tardiva l’iniziativa del debitore proposta a distanza di oltre 3 mesi (per quanto concerne la richiesta di composizione assistita della crisi) ovvero 6 mesi (con riguardo all’accesso alle procedure concorsuali regolate dal CCII) rispetto a tre ipotesi costituenti “indicatori della crisi” (anche ai sensi dell’art. 13, comma 1), segnatamente: a) esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un importo pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) superamento, nell’ultimo bilancio approvato (o, comunque, per oltre tre mesi), degli indici elaborati dal Cndcec ovvero dei diversi indici attestati “in deroga” per la singola impresa.

Stanti le notevoli conseguenze che ne derivano ai fini delle misure premiali – ma anche la complessità del relativo accertamento – l’art. 24, comma 2, prevede che la sussistenza dei requisiti di tempestività possa essere attestata dal presidente del collegio nominato dall’Ocri, in modo che l’imprenditore possa avvalersene anche in sede penale.

Al riguardo, l’art. 354 CCII ha allestito un meccanismo di revisione (anche) dei parametri previsti dal primo comma dell’art. 24 – però ai soli «fini delle misure premiali di natura fiscale di cui all’art. 25» – sulla base dei dati elaborati dal costituendo «Osservatorio permanente sull’efficienza delle misure di allerta e delle procedure di composizione assistita della crisi di impresa», che ai sensi dell’art. 353 CCII avrà il compito (tra l’altro) di monitorare ed eventualmente rendere più efficienti le misure di allerta.

Accanto al requisito della tempestività, le due ulteriori condizioni che consentono all’imprenditore di beneficiare (anche cumulativamente) delle misure premiali contemplate dall’art. 25 sono: 1) che egli abbia attuato secondo buona fede le prescrizioni del collegio nominato dall’Ocri; 2) che le sue domande di accesso a una delle procedure regolatrici della crisi o dell’insolvenza previste dal CCII non siano state dichiarate inammissibili.

Le prime tre misure riguardano gli interessi e le sanzioni fiscali, e consistono segnatamente in: a) riduzione alla misura legale degli interessi che maturano sui debiti fiscali dell’impresa durante la procedura di composizione assistita della crisi e sino alla sua conclusione; b) riduzione alla misura minima delle sanzioni tributarie per le quali è prevista l’applicazione in misura ridotta in caso di pagamento entro un determinato termine, quando il termine per il pagamento scade dopo l’istanza di composizione assistita della crisi o la domanda di accesso alle altre procedure concorsuali; c) riduzione della metà, nella successiva procedura concorsuale, di sanzioni e interessi sui debiti tributari oggetto della procedura di composizione assistita della crisi.

Ulteriore misura premiale (lett. d) è il raddoppio del termine della proroga che il giudice può concedere per il deposito della proposta di concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 44 CCII, a meno che l’organismo di composizione della crisi non abbia dato notizia di insolvenza al pubblico ministero.

Sempre nella prospettiva concordataria, la lett. e prevede – con disposizione ripresa dall’art. 90, comma 5, CCII – che per rendere inammissibile la proposta concorrente è sufficiente l’attestazione che la proposta di concordato del debitore assicuri «il soddisfacimento dei crediti chirografari in misura non inferiore al 20% dell’ammontare complessivo»[13].

Le misure premiali contemplate dal secondo comma dell’art. 25 riguardano la responsabilità penale per le (sole) condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura.

Il legislatore delegato ha introdotto una causa di non punibilità – nell’ipotesi in cui il danno è di speciale tenuità – non solo per la bancarotta semplice (per la quale, invero, l’art. 131-bis cp già contempla l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, in presenza di condotte non abituali, come è argomentato nella relazione illustrativa), ma anche per la bancarotta fraudolenta e gli ulteriori reati menzionati dall’art. 25 CCII.

La premialità scatta, dunque, anche con riguardo alle condotte più gravi, laddove l’imprenditore abbia azionato i meccanismi di allerta volti a prevenire il fenomeno dell’insolvenza. In tal modo viene significativamente ridotta l’area del rischio penale, essendo piuttosto frequente, come si legge nella relazione illustrativa, che condotte di non corretta destinazione di beni dell’impresa, ma con effetti depauperativi del patrimonio estremamente modesti e con incidenza minima (se non quasi nulla) sul soddisfacimento dei creditori (magari poste in essere in epoca risalente), configurino dei fatti di bancarotta fraudolenta a seguito dell’apertura della procedura concorsuale.

Al di fuori dell’ipotesi di danno di speciale tenuità – ma a condizione che, all’atto dell’apertura della procedura concorsuale, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicuri il soddisfacimento di almeno un quinto (ossia il 20 per cento) «dell’ammontare dei debiti chirografari» e, in ogni caso, il danno cagionato non superi i due milioni di euro – è prevista una circostanza attenuante a effetto speciale, con riduzione della pena fino alla metà.

7. La direttiva (UE) 2019/1023 su ristrutturazione e insolvenza

Il 26 giugno 2019 è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la «Direttiva (UE) 2019/1023 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva (UE) 2017/1132 (direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza)», adottata a giugno 2019 all’esito dei negoziati sulla originaria proposta COM(2016)723 final del 22 novembre 2016[14].

In tema di allerta, occorre prendere le mosse dal considerando 22 della direttiva, il quale esordisce affermando, del tutto condivisibilmente, che «quanto prima un debitore è in grado di individuare le proprie difficoltà finanziarie e prendere le misure opportune, tanto maggiore è la probabilità che eviti un’insolvenza imminente o, nel caso di un’impresa la cui sostenibilità economica è definitivamente compromessa, tanto più ordinato ed efficace sarà il processo di liquidazione. È opportuno pertanto dare informazioni chiare, aggiornate, concise e di facile consultazione sulle procedure di ristrutturazione preventiva disponibili e predisporre uno o più strumenti di allerta precoce per incoraggiare i debitori che cominciano ad avere difficoltà finanziarie ad agire in una fase precoce». Tali «meccanismi di allerta, che indicano il momento in cui il debitore non ha effettuato taluni tipi di pagamento, potrebbero essere attivati, ad esempio, dal mancato pagamento di imposte o di contributi previdenziali»; inoltre, essi «potrebbero essere sviluppati sia dagli Stati membri o da entità private, a condizione che l’obiettivo sia raggiunto». Il considerando 22 segnala, poi, che «gli Stati membri dovrebbero rendere disponibili online informazioni sugli strumenti di allerta precoce, ad esempio su una pagina web o un sito web dedicati».

Il successivo periodo, discostandosi dall’art. 12, comma 4, CCII, afferma che «gli Stati membri dovrebbero essere in grado di adattare gli strumenti di allerta precoce in funzione delle dimensioni dell’impresa e stabilire specifiche disposizioni in materia di strumenti di allerta precoce per le imprese e i gruppi di grandi dimensioni, tenendo conto delle loro peculiarità». Ciò sta chiaramente a significare che l’allerta trova applicazione anche nei confronti delle grandi imprese, sia pure con gli adattamenti del caso. Prova ne è l’eliminazione dall’art. 3 della originaria previsione per cui «gli Stati membri possono limitare l’accesso di cui ai paragrafi 1 e 2 alle piccole e medie imprese o agli imprenditori».

L’ultimo periodo del considerando 22 – «la presente direttiva non dovrebbe ascrivere la responsabilità agli Stati membri per i possibili danni conseguenti a procedure di ristrutturazione attivate da tali strumenti di allerta precoce» – rappresenta, invece, la cifra delle forti diffidenze manifestate da vari Stati membri nei confronti dell’early warning.

Completa il quadro dei recitals correlati al tema il considerando 70, per cui «qualora l’impresa versi in difficoltà finanziarie, i dirigenti dovrebbero prendere misure per ridurre al minimo le perdite ed evitare l’insolvenza, come» (tra l’altro) «richiedere consulenza professionale, anche sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, ad esempio facendo ricorso a strumenti di allerta precoce, se del caso».

Venendo al testo dell’art. 3 («Allerta precoce e accesso alle informazioni»), va subito evidenziato che, in base al par. 1, «gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio»; a tal fine, «gli Stati membri possono avvalersi di tecnologie informatiche aggiornate per le notifiche e per le comunicazioni online».

Il secondo paragrafo indica, poi, una casistica di quelli che possono essere gli strumenti di allerta, segnatamente: «a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi». A questo livello, le previsioni del CCII paiono sostanzialmente allineate al testo della direttiva.

Negli ultimi tre paragrafi sono state, invece, introdotte (come testo di compromesso all’esito dei triloghi, su specifiche istanze del Parlamento europeo) disposizioni che non trovano riscontro nel CCII. In particolare, il par. 3 prevede che «gli Stati membri provvedono affinché i debitori e i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso a informazioni pertinenti e aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili, come pure sulle procedure e alle misure di ristrutturazione e di esdebitazione»; il par. 4 dispone che «gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sull’accesso agli strumenti di allerta precoce siano pubblicamente disponibili online, specialmente per le PMI, siano facilmente accessibili e di agevole consultazione»; infine il par. 5 prevede che «gli Stati membri possono fornire sostegno ai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore».

Su questo versante, come anticipato, il legislatore nazionale dovrà sicuramente integrare le disposizioni contenute nel CCII, non solo per soddisfare la generale esigenza informativa fortemente espressa dalla direttiva, ma anche per includere tra i destinatari di informazioni sugli strumenti di allerta i rappresentanti dei lavoratori; ciò che costituisce una grande novità per il nostro ordinamento.

Infine, merita richiamo una disposizione che, nel corso dei negoziati, ha rischiato (fino all’ultimo) di venire cancellata, perché fortemente osteggiata dalla maggior parte delle delegazioni: si tratta dell’art. 19 («Obblighi dei dirigenti qualora sussista una probabilità di insolvenza»), il quale prevede che «gli Stati membri provvedono affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, i dirigenti tengano debitamente conto come minimo dei seguenti elementi: a) gli interessi dei creditori, dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi; b) la necessità di prendere misure per evitare l’insolvenza; c) la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell’impresa». Come si vede, non è stata riportata la previsione del considerando 70 in base alla quale, tra le misure che i dirigenti devono adottare per ridurre al minimo le perdite ed evitare l’insolvenza, figura anche il «ricorso a strumenti di allerta precoce», che comunque può essere presa in considerazione proprio grazie al fatto di essere esemplificativamente contemplata nel suddetto recital.

8. Conclusioni e prospettive

 La sensazione che si ha leggendo il titolo II della parte prima del CCII è che la disciplina delle «Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi» sia sovrabbondante e farraginosa (né poteva essere altrimenti, stanti i vincoli posti dalla legge delega n. 155 del 2017). Ci si trova, infatti, di fronte a una complessa e articolata procedura amministrativa, che sembra arricchire – senza che se ne avvertisse la necessità – la già nutrita panoplia delle procedure concorsuali, delle quali invero non si è riusciti a operare quella reductio ad unum vagheggiata durante i primi lavori preparatori della riforma.

Il timore, già manifestato dai primi interpreti, è che la marcata procedimentalizzazione degli strumenti di emersione della crisi – priva com’è del contrappeso della consecutio procedurarum garantita dall’art. 69-bis l.fall. – finisca per consumare inutilmente tempo e risorse, anche in pregiudizio di possibili azioni revocatorie[15].

In particolare, le modifiche apportate dal legislatore delegato all’art. 15 CCII hanno avuto l’effetto di innalzare le soglie della cd. esposizione debitoria rilevante e dilatare la tempistica delle correlate segnalazioni – verosimilmente allo scopo di “alleggerire” il peso dei nuovi adempimenti gravanti sugli enti fiscali e previdenziali (pur bilanciati da indiretti benefici di ordine recuperatorio) – sicché gli strumenti di allerta rischiano di dare vita a segnalazioni di indizi non già di crisi, bensì, paradossalmente, di sostanziale insolvenza[16].

È stato altresì acutamente osservato che la nuova disciplina tende a far emergere una «situazione di crisi tendenzialmente manifesta e terminale», a ben vedere bisognosa «di un trattamento concorsuale, senza preoccuparsi di governare la fase di maturazione interna della crisi, quando i gestori (imprenditori o amministratori di società) percepiscono che la situazione sta degenerando e che, se non si interviene da qualche parte (struttura dei costi, struttura finanziaria, mercati, prodotti ecc.), si profila all’orizzonte quel probabile disallineamento dei flussi di cassa che», alla luce della definizione di crisi ex art. 2, comma 1, lett. a,  costituisce «una probabilità di probabile futura insolvenza»[17].

In ogni caso, essendo già stata pubblicata (nella Gazzetta ufficiale del 20 marzo 2019) la legge 8 marzo 2019, n. 20 – recante «Delega al Governo per l’adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155» – sarà ben possibile per il legislatore italiano apportare tramite questo strumento “correttivo” tutti i ritocchi necessari, anche alla luce dei vincoli posti dalla direttiva.

Tali modifiche non dovranno perdere di vista i dati ormai acquisiti[18] sulla allarmante incapacità delle imprese italiane di promuovere processi di ristrutturazione precoce, e ciò per una serie di fattori che ne riducono la competitività: 1) sottodimensionamento (l’85 per cento delle imprese ha un fatturato inferiore ai 10 milioni di euro); 2) capitalismo familiare (in oltre il 60 per cento il capitale di rischio appartiene a un’unica famiglia); 3) personalismo e scarsa turnazione nei ruoli imprenditoriali e manageriali; 4) debolezza degli assetti di corporate governance (l’organo amministrativo è indipendente solo nel 24 per cento dei casi ed è legato da vincoli familiari alla proprietà per l’87 per cento; ove presente, il controllo, spesso anche quello contabile, è rimesso per lo più al collegio sindacale, mentre si ricorre a società di revisione nel 9,5 per cento dei casi, a revisore contabile nell’8,5 per cento, ad internal auditing nel 3,5 per cento, a comitato di controllo interno al cda nel 2,5 per cento, a organismo di vigilanza ex d.lgs n. 231/2001 solo nello 0,7 per cento dei casi); 5) carenze nei sistemi operativi (i controlli interni sono assenti nei due terzi dei casi; il controllo contabile è affidato a revisori esterni in pochi casi; è rara la presenza di organi specialistici, quali responsabile amministrativo, responsabile del controllo gestione, di tesoreria, di finanziamenti, risk management o tassazione); 6) rarità dei meccanismi di pianificazione e controllo (verifiche o reporting sono assenti nel 79,6 per cento dei casi; sono previsti piani strategici solo nel 5,7 per cento dei casi, budget solo nel 7,1 per cento), prevalenza di strumenti di consuntivazione (contabilità analitica nel 31,4 per cento dei casi; bilanci infrannuali nel 30,2 per cento); 7) scarso affidamento delle attività amministrative in outsourcing (per lo più bilanci d’esercizio e dichiarativi fiscali).

Appare dunque evidente che il problema di fondo dell’allerta è culturale, e su quel piano va prioritariamente aggredito, creando un sistema facilmente accessibile di informazione, formazione, aggiornamento e consulenza del ceto imprenditoriale, onde evitare la perpetuazione di un modello di impresa completamente priva di strumenti di analisi, monitoraggio, previsione e pianificazione, anche a breve termine.

Un secondo punto fermo deve essere l’opzione per una effettiva stragiudizialità, poiché, nonostante i grandi passi fatti dalle varie riforme succedutesi negli ultimi tre lustri (culminate nel dato formale dell’abolizione dal lessico concorsuale dei termini “fallimento” e “fallito”), le procedure concorsuali giudiziali, per quanto arricchite con significativi inserti di negozialità, sono ancora vissute dagli imprenditori italiani come un male da evitare, e ciò rappresenta una ulteriore causa di ritardo nell’emersione della crisi.

Andrebbe, perciò, rimeditata la scelta di collocare, al termine della composizione assistita, lo “spauracchio” della comunicazione al pm, trattandosi di misura che crea più danni dei vantaggi che si prefigge, ben potendo l’iniziativa del pm esplicarsi comunque ai sensi dell’art. 37, comma 2, CCII, tanto più che, ai sensi dell’art. 38, comma 1, CCII, egli può ora agire «in ogni caso in cui ha notizia dell’esistenza di uno stato di insolvenza».

Del resto, il fatto che il par. 1 dell’art. 3 della direttiva (l’unico dedicato all’allerta) stabilisca che gli Stati membri  devono provvedere affinché  “i debitori” abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta sta a significare che l’allerta di matrice unionale è un meccanismo creato non contro, ma a favore del debitore, tanto che nell’elencazione dei possibili meccanismi di allerta figurano anche, alla lett. b, «servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private», ossia misure di sostegno al debitore.

Meritano una revisione ragionata anche gli indici e le soglie di rilevazione della crisi, che al momento paiono calibrate, come detto, su una condizione di insolvenza, se si vuole evitare che anche questa riforma, come altre, resti ipocritamente solo sulla carta.

A livello procedurale, risulta poi opportuna una semplificazione dell’attuale ordito normativo, riducendo le norme di dettaglio e aumentando il grado di flessibilità[19].

Come anticipato, la direttiva impone di creare un sistema pubblico di informazioni online sull’allerta che sia chiaro, aggiornato e facilmente accessibile non solo al debitore, ma anche ai «rappresentanti dei lavoratori», cui gli Stati membri possono anche «fornire sostegno (…) nella valutazione della situazione economica del debitore» (art. 3, par. 5).

Va sicuramente rivista la scelta di escludere dall’allerta le grandi imprese e i gruppi di imprese di rilevante dimensione, poiché la direttiva prevede solo la possibilità di un adattamento degli strumenti di allerta alle loro peculiarità.

Insomma, il percorso per raffinare gli strumenti di allerta – diligentemente introdotti nel nostro ordinamento, a differenza di molti altri dell’Unione europea – è ancora aperto, né devono scoraggiare le innegabili difficoltà di dar corpo a un sistema così innovativo.

Si tratta, invero, di difficoltà che l’Italia condivide con gli altri Paesi dell’Unione europea[20], al cui interno già stanno nascendo progetti su base volontaria per individuare le migliori soluzioni[21].

In conclusione, pare indubitabile che qualsiasi strumento di allerta e composizione assistita della crisi potrà risultare efficace solo se basato sulle solide fondamenta di una nuova “cultura dell’impresa”, da perseguire attraverso la messa a disposizione del ceto imprenditoriale di un sistema facilmente accessibile di informazioni, percorsi formativi e servizi di sostegno (il cui costo potrebbe, in ipotesi, essere regolato secondo logiche assicurative), da sviluppare in un ambiente confidenziale, sotto la guida di professionisti indipendenti, particolarmente esperti in materia aziendale.

La mancata adesione dell’imprenditore a questi percorsi virtuosi potrebbe essere sufficientemente sanzionata con la divulgazione, attraverso il registro delle imprese, di appositi report redatti dagli organi chiamati a gestire le procedure di allerta e composizione assistita della crisi, in modo da stimolare le reazioni dei creditori interessati in ambito concorsuale.

A tali condizioni – accompagnate da una corposa semplificazione di presupposti, termini e adempimenti – potrebbe anche essere allargata la platea dei creditori tenuti alle segnalazioni, mentre il completamento della prefigurata rivoluzione culturale potrebbe portare a concepire l’early warning come una sorta di check periodico del benessere/malessere dell’impresa.

C’è una celebre frase del grande stratega Winston Churchill che si attaglia, come chiosa finale, a queste riflessioni sulle misure di allerta: «Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare».

[1]  Si tratta della «Commissione per elaborare proposte di interventi di riforma, ricognizione e riordino della disciplina delle procedure concorsuali», costituita il 28 gennaio 2015 dal Ministro della giustizia, di cui l’Autrice è stata componente.

[2] «Commissione di studio per l’elaborazione degli schemi di decreto legislativo in vista dell’approvazione del disegno di legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza», costituita il 5 ottobre 2017 dal Ministro della giustizia, di cui l’Autrice è stata componente, nella veste di presidente della Prima sottocommissione, che ha curato le proposte sulle «Disposizioni generali» (titolo I, artt. 1-11) e, appunto, sulle «Procedure di allerta e composizione assistita della crisi» (attuale titolo. II, artt. 12-25). 

[3] Rispetto al testo elaborato dalla Commissione, molte sono le modifiche apportate all’art. 13 dal legislatore delegato. Fra esse meritano menzione il riferimento a indici che «misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi» e la possibilità, per l’impresa che motivatamente non ritenga adeguati gli indici  elaborati dal Cndcec, di indicare nella nota integrativa al bilancio diversi indici la cui adeguatezza alla specificità dell’impresa sia attestata da un professionista indipendente (una sorta di indici “in house”).

[4] Assai provvida risulta la «Revisione dei parametri» prevista dall’art. 354 CCII, per cui – al fine di migliorare la tempestività e l’efficienza delle segnalazioni dirette a favorire l’emersione precoce della crisi di impresa – si provvederà alla eventuale revisione delle disposizioni contenute nell’art. 15, con riguardo sia alla tipologia dei debiti sia alla loro entità, sulla base dei dati elaborati dall’«Osservatorio permanente sull’efficienza delle misure di allerta e delle procedure di composizione assistita della crisi di impresa», da costituire ai sensi dell’art. 353 CCII, con il compito (tra l’altro) di monitorare l’andamento delle misure di allerta e di proporre le eventuali modifiche normative necessarie a migliorarne l’efficienza. I dati elaborati dall’Osservatorio costituiranno anche la base della dettagliata relazione che il Ministro della giustizia dovrà presentare al Parlamento sull’applicazione del CCII, entro due anni in sede di prima applicazione e, successivamente, ogni tre anni (art. 355 CCII). Peraltro, nella relazione illustrativa si è sottolineato che «tanto per l’individuazione di modalità e termini di segnalazione degli indicatori di crisi da parte dei creditori pubblici qualificati quanto per la determinazione delle misure premiali a favore dei debitori che facciano tempestivo ricorso ai procedimenti sovra menzionati, si è tenuto conto dei suggerimenti forniti dal Ministero dell’economia e delle finanze, nonché dall’Agenzia delle entrate e dall’Istituto di previdenza sociale».

[5] Il legislatore delegato non ha ripetuto l’inciso «in difformità dalle prescrizioni ricevute» che, nello schema della Commissione, mirava a meglio circoscrivere il perimetro di questa causa di esonero da responsabilità.

[6] In sede di conversione in legge del cd. “decreto sblocca cantieri”, i parametri di cui all’art. 379 CCII sono stati nuovamente rivisti al ribasso. In particolare, ferma restando l’obbligatorietà della nomina in caso di redazione del bilancio consolidato o di controllo di una società obbligata alla revisione legale dei conti, i nuovi limiti sarebbero: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità (vds. art. 2-bis, comma 2, inserito dal ddl di conversione in legge del dl 18 aprile 2019, n. 32, trasmesso al presidente del Senato il 7 giugno 2019).

[7] Per una compiuta disamina del tema, vds. G. Falcone, Obblighi e responsabilità della banca e dell’intermediario finanziario nelle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, in Diritto della banca e del mercato finanziario, n. 2/2019, pp. 43 ss.

[8] L’articolato meccanismo di designazione e nomina dei tre esperti – per quanto possa risultare, in alcuni casi, sovrabbondante – mira ad assicurare la presenza nel collegio dei necessari profili di competenza aziendalistica, contabile e legale (art. 17, comma 4), anche in vista di una suddivisione dei compiti ai fini dell’autonoma predisposizione di una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, nonché dell’elenco dei creditori e dei titolari di diritti reali o personali (art. 19, comma 2), ovvero dell’attestazione di veridicità dei dati aziendali su richiesta del debitore che intenda accedere agli accordi di ristrutturazione dei debiti o al concordato preventivo (art. 19, comma 3); in tal modo, si garantisce anche una maggiore celerità del procedimento.

[9] Sia le imprese agricole che quelle minori non sono attualmente assoggettabili a fallimento e, anche in base al CCII, non saranno assoggettabili alla corrispondente «liquidazione giudiziale», bensì alla cd. «liquidazione controllata» del debitore in stato di sovraindebitamento di cui agli artt. 268 ss. CCII, sia pure con la rilevante novità che la domanda di accesso a tale procedura potrà essere presentata non solo dal debitore, ma pure «da un creditore, anche in pendenza di procedure esecutive individuali e, quando l’insolvenza riguardi l’imprenditore, dal pubblico ministero» (art. 268, comma 2, CCII).

[10] Non esclude (almeno in teoria) il carattere di riservatezza la previsione di un «elenco nazionale dei soggetti sottoposti alle misure di allerta, da cui risultino anche le domande dagli stessi presentate per la composizione assistita della crisi o per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza», che le Cciaa devono rendere disponibili «esclusivamente ai creditori pubblici qualificati» (art. 15, comma 6) per agevolarne le iniziative in materia di allerta ed evitare che essi subiscano le conseguenza dannose della loro inerzia, in termini di inefficacia del titolo di prelazione. Il tema della privacy resta comunque delicato. Tra l’altro, occorre considerare che: l’art. 18, comma 6 già prevede che «dell’eventuale presentazione dell’istanza di composizione assistita della crisi da parte del debitore il referente dà notizia ai soggetti qualificati di cui agli artt. 14 e 15 che non abbiano effettuato la segnalazione, avvertendoli che essi sono esonerati dall’obbligo di segnalazione per tutta la durata del procedimento»; il comma 5 dell’art. 18 prevede che il referente dia «immediata comunicazione agli autori delle segnalazioni» del fatto che il debitore non abbia assunto alcuna iniziativa allo scadere del termine assegnato dal collegio dopo l’audizione; l’art. 21, comma 3, prevede che l’Ocri dia comunicazione della conclusione negativa del procedimento di composizione assistita della crisi ai soggetti di cui agli artt. 14 e 15 che non vi hanno partecipato; l’art. 12, comma 8, dispone che gli obblighi di segnalazione cessano in pendenza di una procedura concorsuale (la cui apertura determina la chiusura del procedimento di allerta e composizione assistita della crisi). D’altro canto, la funzione assegnata all’elenco nazionale appare in qualche modo “monca”, poiché contempla solo le iniziative assunte dal debitore, e non anche quelle di creditori e pm.

[11] Peraltro, l’art. 4, comma 2, CCII («Doveri delle parti») prescrive al debitore (così come ai creditori) di comportarsi secondo buona fede e correttezza «nell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza e durante le trattative che le precedono» – espressione la cui latitudine potrebbe inglobare anche i negoziati della procedura di composizione assistita della crisi –, imponendogli espressamente obblighi di trasparenza, oltre che di tempestività e prudenza.

[12] Secondo la relazione illustrativa, i sindaci o l’attestatore potrebbero addirittura (assumendosene la responsabilità) attestare l’esistenza di crediti non definitivamente accertati quando, ad esempio, gli ostacoli all’accertamento e al pagamento siano di ordine meramente formale o derivino da contestazioni pretestuose o limitate solo a una parte dell’importo che l’imprenditore assume essergli dovuto.

[13] In realtà, la corrispondente disposizione dell’art. 90, comma 5, CCII è leggermente (ma significativamente) diversa, in quanto vi si fa riferimento a una proposta del debitore che assicuri «il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari», lasciando intendere che il 20 per cento potrebbe riguardare globalmente la categoria dei chirografari (con possibilità di diverse misure tra eventuali loro classi), mentre il riferimento al soddisfacimento dei creditori chirografari in misura non inferiore al 20 per cento di cui all’art. 25, lett. e, deporrebbe piuttosto per un livello omogeneo di tutti i chirografari. Probabilmente la disposizione specifica in tema di concordato preventivo di cui all’art. 90, comma 5, dovrebbe prevalere, sebbene la stessa contenga un’imprecisione laddove fa riferimento anche al caso del debitore che «abbia richiesto l’apertura del procedimento di allerta», quando in realtà l’iniziativa di allerta è riservata ai soggetti qualificati, mentre il debitore può presentare l’istanza di composizione assistita della crisi, come si evince anche dall’art. 12, comma 3, CCII (cfr. M. Ferro, Allerta e composizione assistita della crisi nel D.Lgs. n. 14/2019: le istituzioni della concorsualità preventiva, in Fall., n. 4/2019, p. 431).

[14] Ai suddetti negoziati sulla proposta di direttiva l’Autrice ha partecipato in rappresentanza della delegazione italiana quale «Esperto delegato del Ministero della Giustizia per seguire a Bruxelles e in sede nazionale i lavori relativi alla proposta di direttiva del Parlamento europeo in materia di ristrutturazione di impresa ed efficienza delle procedure di insolvenza (2016/357 e 358 COD)», come da incarico conferito in data 11 gennaio 2017.

[15] A. Rossi, Dalla crisi tipica ex CCII alla resilienza della twilight zone, in Fall., n. 3/2019, p. 295.

[16] Per una approfondita critica ai nuovi criteri introdotti nell’art. 15, comma 2, lett. a, con particolare riguardo al fatto che dalla comunicazione della liquidazione periodica di cui all’art. 21-bis dl n. 78/2010, convertito in l. n. 122/2010, non emerge affatto il dato del debito per imposta iva non versata e che il debito iva, se si esclude il predetto dato, non potrà mai raggiungere la soglia indicata del 30 per cento del volume di affari, posto che l’aliquota ordinaria è del 22 per cento, vds. G. Russotto, Brevi note esegetiche sull’obbligo di segnalazione dell’Agenzia delle entrate, in Il Caso, 6 giugno 2019, http://opinioni.ilcaso.it/uploads/news/file/ce72d-russotto-06-06-19.pdf.

[17] A. Rossi, Dalla crisi, op. cit.,p. 296.

[18] Si tratta dell’indagine sulle imprese ammesse al concordato preventivo nel quadriennio 2009-2012 (sulla base di n. 1131 questionari che hanno coinvolto 45 uffici giudiziari di 18 regioni italiane) curata dall’Osservatorio sulle crisi di impresa (Oci) e trasposta nel volume Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione - La soluzione negoziata della crisi d’impresa: dalla domanda al piano all’attuazione operativa. I progetti aziendali e le scelte processuali, Ipsoa, Assago, 2013. Si vedano, in particolare, i  capp.  I, a cura di P. Bastia, e X, a cura di A. Paletta.

[19] Da più parti è stata, ad esempio, segnalata l’opportunità di consentire in determinati casi, in ragione delle dimensioni dell’impresa o della crisi, la nomina di un solo professionista esperto (piuttosto che la terna collegiale), sulla falsariga dell’esperienza francese del “mandataire ad hoc”: vds. in proposito le osservazioni della Banca d’Italia dinanzi alla Commissione giustizia del Senato sullo Schema di decreto legislativo recante Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155, 26 novembre 2018, p. 12 (www.bancaditalia.it/media/notizie/2018/Codice-della-Crisi_Memoria-Commissione-Senato-26112018.pdf) e A. Jorio, La riforma della legge fallimentare tra utopia e realtà, in Dir. fall., n. 2/2019, note 61 e 62.

[20] Nella «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni» (cd. “Piano d’azione imprenditorialità 2020”) del gennaio 2013, si legge che, in Europa, «le nuove imprese, in particolare le PMI» – che rappresentano il 99% di tutte le imprese dell’Unione – «costituiscono la fonte più importante di nuova occupazione», in quanto «creano ogni anno in Europa più di quattro milioni di nuovi posti di lavoro»; tuttavia «gli imprenditori potenziali in Europa si trovano in un contesto difficile: i sistemi d’istruzione non offrono le giuste basi per una carriera imprenditoriale, si registrano difficoltà d’accesso al credito e ai mercati, difficoltà nei trasferimenti di imprese, il timore di sanzioni punitive in caso di fallimento nonché procedure amministrative onerose»; inoltre, «circa il 50% delle nuove imprese fallisce nel corso dei primi cinque anni», sicché occorre impegnare «maggiori risorse per aiutare gli imprenditori a superare le difficoltà in cui versano», mentre «ai fini della ristrutturazione precoce appare decisivo l’allestimento di un servizio di consulenza e assistenza all’imprenditore, anche per l’accesso al credito».

[21] Si veda, ad esempio, il programma «Early Warning Europe», un progetto pilota triennale (2016-2019) finalizzato a diffondere le best practice in materia di misure di allerta in vari Paesi dell’Unione, prendendo le mosse dall’esperienza «Early Warning DK», avviata nel 2007 in Danimarca con l’obbiettivo di fornire alle imprese un sostegno imparziale e confidenziale finanziato dal Governo.