Magistratura democratica

Il mantra del preminente interesse del minore

di Maria Acierno
Con la riflessione che segue si vuole svelare come, in funzione dell’interesse preminente del minore, si giustifichino, non senza ambiguità, scelte assiologiche molto diverse ed evidenziare l’impossibilità di separare tale principio dalla valutazione e dal grado di accettazione delle scelte generative alla luce del quadro multilivello dei diritti fondamentali della persona e, in particolare, del diritto all’autodeterminazione nella vita personale e relazionale ex art. 2 Cost.

1. Definizione del campo d’indagine

Il preminente interesse del minore, assunto come criterio informatore delle decisioni non soltanto giudiziali relative alla vita personale e relazionale dei minori, costituisce senz’altro una formula di successo, caratterizzata attualmente da una potenzialità applicativa crescente e non predeterminabile. Pur essendo frutto del graduale, ma progressivo e inarrestabile riconoscimento del diritto del minore ad autodeterminarsi e ad essere posto nella condizione di conoscere e incidere sulle decisioni che lo riguardano, tanto che l’ascolto e il confronto con il minore ne costituiscono una delle espressioni più significative, il parametro del preminente interesse del minore è stato sempre più frequentemente utilizzato per scrutinare la legittimità e la conformità ai valori assiologici degli ordinamenti nazionali e internazionali (il cd. ordine pubblico internazionale, nozione anch’essa dai confini difficilmente definibili) di scelte che vengono assunte prima della nascita del minore perché attengono alla ideazione e realizzazione del processo generativo e delle relazioni genitoriali. Con questa dilatazione applicativa, il criterio perde il punto di contatto diretto con la vita del minore per assumere una funzione prognostica che non riguarda più la valorizzazione della sua personalità, assunta come oggetto di osservazione, ma la coerenza di modelli relazionali e genitoriali con il sistema legislativo interno che regola gli status o, nel caso di riconoscimento di uno status assunto in uno Stato estero, con il complesso dei valori fondanti l’ordinamento giuridico, quest’ultimo parametro variamente permeato dall’elaborazione costituzionale e convenzionale del quadro dei diritti fondamentali della persona. La riflessione che segue si concentrerà sull’ambivalenza del criterio del preminente interesse del minore proprio in relazione all’emersione di nuove forme di genitorialità, non concretamente realizzabili se non mediante le tecniche di fecondazione assistita e, nell’ipotesi dell’omogenitorialità maschile, mediante quella peculiare forma di fecondazione eterologa che è la gestazione per altri. Si tratta di un ambito che, sia sotto il profilo legislativo sia sotto il profilo dell’intervento della giurisdizione, risulta ispirato dal preminente interesse del minore, anche se regolato o deciso in forme del tutto opposte. La forte limitazione all’accesso alle tecniche di fecondazione assistita che ha caratterizzato l’impianto della legge n. 40 del 2004, che è stato successivamente ampiamente inciso dagli interventi della Corte costituzionale (cfr. par. 2.2), è stato dettata dall’esigenza primaria di tutelare il diritto alla vita fin dalla fase embrionale (artt. 13 e 14 della legge) e, dunque, di garantire tale diritto fin dalla fase d’ideazione della scelta procreativa e genitoriale, separando nettamente la sfera dei diritti del minore, già nella fase del preconcepimento, da quella dei soggetti adulti che intendono sviluppare la vita relazionale e sentimentale anche sul versante genitoriale, che ne costituisce un’estrinsecazione tipica. Interesse preminente del minore come limitazione dell’autodeterminazione nel campo, pure protetto dall’art. 2 Cost., della progettualità relazionale. Altre legislazioni europee hanno ritenuto che l’interesse preminente del minore fosse coincidente con il riconoscimento giuridico di forme di genitorialità derivanti da modelli relazionali di recente affermazione. Le oscillazioni delle corti supreme e anche di quelle internazionali (cfr. par. 2.1 per quanto riguarda la Corte Edu) manifestano la pluralità d’implicazioni che possono trarsi dall’adozione del criterio qui sottoposto a esame critico in tema di genitorialità e fecondazione assistita.

2. L’ambiguità del parametro

La selezione dell’ambito tematico attraverso il quale esaminare l’ambiguità e multifunzionalità dell’uso del criterio del preminente interesse del minore si giustifica proprio per la sostanziale impossibilità di pervenire a una nozione univoca di esso nei diversi approcci al tema della realizzazione della genitorialità mediante le tecniche di fecondazione assistita. Questo versante costituisce una “lente” che disvela, con estrema chiarezza, il grado di strumentalizzazione del criterio del “best interest of the child[1]. E non può che essere così in questo ambito di osservazione, perché la valutazione dell’interesse preminente del minore finisce per costituire un canone di approvazione o disapprovazione di scelte che vengono elaborate e attuate prima della nascita del minore e che, di conseguenza, dovrebbero essere scrutinate sulla base del quadro costituzionale e convenzionale dei diritti della persona che le pone in essere, avendo l’interesse preminente del minore, sul piano effettivo, un ruolo molto meno incisivo che nella fase successiva alla nascita e alla costruzione e consolidamento della relazione filiale. Al contrario, come sarà più analiticamente evidenziato nei paragrafi che seguono, l’impianto assiologico posto alla base di alcune decisioni, in particolare relative ai progetti genitoriali che non possono non utilizzare la modalità di fecondazione eterologa della gestazione per altri, pur se fondato sulla stigmatizzazione dell’uso di tale tecnica, indipendentemente dalla conformazione della coppia genitoriale e dai risultati della relazione genitoriale, viene ugualmente giustificato alla luce dell’interesse preminente del minore che, in questo ambito, assume contorni del tutto sfumati e una dimensione camaleontica, da adattare a qualsiasi tipologia di decisione.

2.1. Nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani

L’esame delle sentenze della Corte Edu si concentrerà sulle decisioni relative alla realizzazione del desiderio di genitorialità mediante la gestazione per altri, al fine di porre in luce la diversa declinazione del “best interest of the child” se correlata alla fase iniziale del processo generativo o alla fase successiva alla nascita, nonché all’incidenza di fattori, del tutto eterogenei tra loro e tendenzialmente estranei alla concretezza della relazione genitoriale, quali la discendenza genetica del minore da uno dei componenti la coppia o l’osservanza delle condizioni di legge del Paese ove il progetto generativo è stato posto in essere (tendenzialmente diverso da quello nel quale si chiede il riconoscimento dello status filiale), che pure sono stati assunti come indicatori della coerenza o lontananza dall’interesse preminente del minore.

Nelle pronunce “gemelle” Labasse e Mennasson c. Francia (26 giugno 2014)[2], pur nella contrarietà all’ordine pubblico interno del contratto di gestazione sulla base del quale è stato attuato il progetto genitoriale delle due coppie francesi eterosessuali, ma colpite da problemi insormontabili di infertilità femminile, l’interesse preminente del minore ha condotto la Corte a riconoscere nel divieto di trascrizione del certificato di nascita, opposto dallo Stato francese e dai vari gradi interni della giurisdizione, la violazione del diritto all’identità del minore, assunto come peculiare declinazione del diritto alla vita privata. Al minore tale diritto deve essere riconosciuto con carattere di completezza; qualsiasi limitazione costituisce un’ingerenza ingiustificata e sproporzionata ex art. 8 Cedu. L’enfasi nel riconoscimento della pienezza del diritto all’identità del minore è temperata dall’esclusione di un convergente diritto alla vita familiare per la coppia costituita dal padre genetico (e biologico) e dalla madre intenzionale. Rispetto ad essi, l’ingerenza è legittima ed è coerente con la illiceità del contratto di gestazione per altri, tenuto conto del basso consenso di cui tale tecnica di fecondazione assistita gode nell’ambito dei Paesi membri del Consiglio d’Europa. Di queste pronunce colpisce la stretta aderenza al quadro fattuale di riferimento, caratterizzata da una stabile relazione familiare de facto tra le parti del giudizio davanti alla Corte – padre biologico, madre intenzionale e minore –, e la pervicace volontà della Corte Edu di ritagliare il diritto alla trascrizione del certificato di nascita in esclusiva correlazione con la posizione giuridica della minore, assunta isolatamente e non all’interno della relazione familiare. In questo tentativo, pur se giustificato dall’esigenza di trovare una soluzione condivisa, senza entrare nella valutazione di liceità e conformità ai parametri Cedu del contratto di gestazione per altri, non può non cogliersi un rilevante profilo di contraddittorietà nel ritenere che l’identità del minore, rispetto all’unico nucleo genitoriale di riferimento, possa costruirsi senza alcun correlato riconoscimento della relazione fondativa di tale identità. In sostanza, si impone il riconoscimento dello status genitoriale al fine di salvaguardare in modo completo l’identità del figlio, ma si nega, contestualmente, che la relazione genitoriale, ancorché così rilevante da dover costituire la base dell’identità del minore, possa avere autonomo riconoscimento all’interno del diritto alla vita familiare.

In queste pronunce, il preminente interesse del minore è stato strumentalmente amplificato per eludere l’indagine sulla relazione e sulla scelta generativa che ha dato luogo alla costruzione dell’identità cui la Corte ha ritenuto di dare centralità. Rimane fondamentale il risultato d’imporre a uno Stato il riconoscimento dello status filiale pieno a un minore che sia nato per effetto della scelta dei genitori di ricorrere alla gestazione per altri. Sotto questo profilo, le due pronunce costituiscono un tassello fondamentale per gli sviluppi successivi degli orientamenti anche delle Corti supreme dei singoli Stati, in relazione alla definizione delle condizioni fattuali che determinano il background necessario per poter affrontare positivamente il tema del riconoscimento della relazione genitoriale attuata mediante la gestazione per altri. La Corte Edu ha, infatti, valorizzato l’esistenza di una relazione familiare stabile de facto, pur senza pervenire al riconoscimento del diritto alla vita familiare del nucleo costituito dalle parti del giudizio; ha ritenuto rilevante che lo status derivante dal certificato di nascita Usa fosse stato del tutto legittimamente ottenuto, secondo la legge del Paese di nascita del minore; ha, infine, sottolineato la discendenza biologico-genetica del minore dal padre.

Non si tratta, tuttavia, d’indicatori del preminente interesse del minore, ma piuttosto di marcatori della “buona fede” della coppia che chiede il riconoscimento dello status, sia in relazione alla peculiare fase del processo generativo che in quella, successiva, della costruzione e del consolidamento della relazione genitoriale. La Corte Edu ha, infatti, fondato proprio sulla mancanza di queste condizioni minime la diversa soluzione adottata nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia [3]. Una coppia eterosessuale è ricorsa alla gestazione per altri in Russia, ma le autorità italiane, informate dal Consolato, hanno rifiutato la trascrizione e hanno dato luogo all’avvio d’indagini penali. È risultata la mancanza di qualsiasi legame biologico-genetico con la coppia di genitori intenzionali e, in Italia, il minore è stato dichiarato in stato di abbandono e affidato a una coppia in funzione dell’adozione. Dopo una prima decisione di segno diverso[4], la Grande Chambre ha respinto il ricorso dei coniugi Paradiso e Campanelli, rilevando in primo luogo che il ricorso aveva ad oggetto la violazione del diritto alla vita familiare determinata dall’allontanamento del minore dai cd. genitori d’intenzione, e non il rifiuto di trascrizione dell’atto di nascita. Nel merito, la Corte Edu ha ritenuto insussistenti proprio le condizioni fattuali poste a base della diversa valutazione assunta nelle sentenze Mannesson e Labasse. In particolare, la relazione de facto è stata ritenuta di durata troppo breve per essere considerata fondativa del diritto alla vita familiare, ed è stata sottolineata l’assenza di legami biologico-genetici oltre che la situazione d’incertezza giuridica creata dalle parti in relazione al rapporto di filiazione, essendo stato accertato che il certificato rilasciato in Russia non era veritiero. Ciò che colpisce, nella decisione, è la considerazione del preminente interesse del minore come giustificazione legittima dell’ingerenza statuale culminata nell’adottabilità del minore. La Corte ha utilizzato il parametro non in relazione alla configurazione del diritto alla vita familiare delle parti e del minore stesso, ma esclusivamente per ritenere che il divieto, assistito da sanzione penale, contenuto nella legge n. 40 del 2004 di fare ricorso, mediante le tecniche di procreazione medicalmente assistita, alla gestazione per altri, così come il sistema legislativo adottivo, siano state risposte del tutto legittime delle autorità statuali proprio perché dirette a tutelare la dignità e l’inviolabilità dei diritti del minore da qualsiasi possibilità di mercificazione. Le leggi e le policy statuali sono state, nella decisione, ritenute la migliore garanzia di attuazione del best interest of the child, così disancorando il principio ordinatore delle decisioni relative ai minori dalla concretezza della situazione relazionale, da ritenersi l’unico contesto all’interno del quale possano svolgersi un esame e una valutazione credibili. La strumentalità e l’astrattezza sopra delineate sono state, del resto, oggetto di due delle dissenting opinion della sentenza Paradiso e Campanelli. È stato posto in luce proprio come il parametro dell’interesse preminente del minore non possa che essere ispirato a preservare i legami preesistenti, ove siano effettivi e non pregiudizievoli per lo sviluppo della sua personalità.

Le pronunce esaminate evidenziano plasticamente l’intrinseca ambiguità e le variabili applicative del principio del best interest of the child, così da far dubitare che possa essere ritenuto davvero un principio ordinatore delle decisioni relative ai nuovi modelli genitoriali, resi attuabili dall’accesso alle tecniche di fecondazione assistita.

Il più recente intervento della Corte Edu in tema di gestazione per altri è stato il parere preventivo richiesto dalla Corte di cassazione francese nel 2018, proprio in relazione ai casi sopra richiamati, concernenti la trascrizione del certificato di nascita estero relativo allo status filiationis di un minore nato mediante gestazione per altri a causa dell’infertilità materna.

Lo strumento del parere preventivo, di recente introduzione, oggetto del Protocollo annesso alla Cedu n. 16, in vigore dal 1° ottobre 2018, che lo Stato italiano ha firmato, ma non ratificato, è stato attivato per la prima volta proprio sul quesito relativo alla trascrizione dell’atto di nascita contratto all’estero con riferimento sia al genitore biologico sia a quello intenzionale.

In questo atto la Corte Edu torna a riconoscere il valore del preminente interesse del minore in relazione alla concretezza ed effettività della relazione genitoriale, affermando i seguenti principi:

  1. deve essere fornito riconoscimento legale alla relazione tra il minore e la madre d’intenzione;
  2. l’adeguata protezione della relazione può avvenire anche mediante strumenti come l’adozione, purché produca effetti simili a quelli del riconoscimento dell’atto di nascita e consenta un procedimento celere.

 

La parabola del best interest of the child nelle pronunce esaminate non ha un percorso lineare. Il principio è prevalentemente utilizzato in funzione “servente” del risultato e del bilanciamento che la Corte è tenuta, volta a volta, a realizzare. A seconda della situazione fattuale, il principio è utilizzato per valorizzare la relazione de facto del minore o per giustificare le ingerenze statuali (legislative, giudiziarie o amministrative) in ordine alla limitazione dell’autodeterminazione dei soggetti che hanno scelto di realizzare il proprio desiderio di essere genitori mediante l’accesso a tecniche di fecondazione assistita non consentite nello Stato di residenza. La riscontrata mancanza di un assenso quanto meno prevalente tra gli Stati sulla gestazione per altri ha determinato l’estensione del margine di apprezzamento ritenuto insindacabile dalla Corte Edu, nonostante l’evidente e “ingombrante” esigenza di tenere nella debita considerazione il preminente interesse del minore. Della ineludibile influenza di tale principio ordinante sulle decisioni relative ai nuovi modelli genitoriali si è avveduta significativamente la Corte Edu, con il parere preventivo espresso su richiesta della Corte di cassazione francese, pur senza porlo a base del pieno riconoscimento dello status filiationis già acquisito all’estero. La possibilità, lasciata all’apprezzamento degli Stati di ricorrere agli istituti adottivi, tuttavia, non appare del tutto coerente con l’affermazione della effettiva preminenza dell’interesse del minore perché non considera le condizioni ostative e le limitazioni soggettive che i singoli ordinamenti possono frapporre alla genitorialità solidale, così da determinare la concreta possibilità di un trattamento discriminatorio nei confronti di minori il cui genitore intenzionale non può accedere all’adozione, perché la relazione si è conclusa o il genitore biologico-genetico non è più in vita.

2.2. Nelle decisioni della Corte costituzionale

La Corte costituzionale, negli interventi sollecitati dalle numerose eccezioni d’illegittimità costituzionale che hanno investito la legge n. 40/2004 in relazione al rigido sistema di limiti  e divieti alla realizzazione della genitorialità in essa contenuta, ha, coerentemente con i parametri di costituzionalità posti in discussione, evitato di utilizzare il criterio del preminente interesse del minore nella fase prenatale, rivolgendo la propria attenzione alla vulnerabilità dei diritti individuali delle coppie che venivano, volta a volta, private della possibilità di usufruire delle tecniche di fecondazione assistita a causa dello stretto varco di accesso previsto dalla legge, anche quando il desiderio di genitorialità non avrebbe potuto altrimenti realizzarsi. Nelle pronunce che si sono susseguite dal 2009 al 2015, la Corte ha dato preminenza al diritto alla salute della donna che si sottopone alle terapie necessarie per procedere all’impianto di embrioni (sentenza n. 151 del 2009, che ha rimosso il divieto di creazione di embrioni in numero non superiore a tre oltre che dell’unico e contemporaneo impianto degli stessi, in un numero massimo previsto dalla legge) consentendo la diagnosi preimpianto, vietata dalla legge, in funzione del diritto alla salute psico-fisica della coppia anche in relazione alla possibilità di ricorrere all’interruzione di gravidanza in caso di diagnosi di patologia fetale. Nella sentenza n. 162 del 2014, con la quale è stato rimosso il divieto di fecondazione eterologa in presenza di una patologia che sia causa di sterilità e infertilità assolute, viene riconosciuto che la scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli «costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost.»e che, in presenza delle condizioni di fatto indicate nella sentenza, sono recessivi i rischi d’instabilità psicologica nel minore dovuti all’incertezza sulla sua origine genetica, proprio in relazione alla preminenza del consenso e dell’autoresponsabilità nella definizione della genitorialità costituzionalmente conformata.

L’impossibilità di realizzare il desiderio di diventare genitori incide, secondo la Corte, anche sul diritto alla salute della coppia, in relazione all’integrità psichica. La relazione genitoriale viene considerata nelle pronunce citate e, in particolare, nella n. 162 del 2014 come uno sviluppo e un completamento della relazione affettiva di coppia, da garantire e promuovere ex art. 2 Cost. Nella pronuncia è contenuto un solo richiamo alla tutela dell’embrione al fine di definire i limiti della deroga al divieto, con la precisazione della piena riespansione del divieto nell’ipotesi in cui il ricorso ad essa sia fondato su ragioni eugenetiche.

Diversamente, nella sentenza n. 272 del 2017, riguardante il diritto alla conservazione dello status filiationis di un minore riconosciuto, con atto regolarmente trascritto in Italia, da una coppia eterosessuale mediante il ricorso alla surrogazione di maternità, il richiamo al preminente interesse del minore risulta dominante e sostenuto da ampio richiamo delle fonti convenzionali[5]. Il riconoscimento era stato posto in discussione ex art. 263 cc dall’impugnazione effettuata dal curatore speciale, essendo stato provato nel corso delle indagini penali il ricorso alla tecnica vietata di fecondazione eterologa. La Corte d’appello di Milano s’interroga sulla legittimità costituzionale dell’art. 263 cc nella misura in cui la norma sia destinata a fondare esclusivamente sulla discendenza genetica lo status filiationis. Afferma al riguardo la Corte costituzionale che, in linea generale, l’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo non costituisce un valore di rilevanza assoluta tale da sottrarsi a ogni forma di bilanciamento e che, nella concreta comparazione dei diritti in gioco, occorre considerare le conseguenze giuridiche dell’accertamento della verità genetica sul complesso dei diritti del minore. Tuttavia, pur essendo numerose le ipotesi in cui il consenso alla genitorialità e l’assunzione della conseguente responsabilità prevalgono ex lege sul favor veritatis[6],viene escluso che la relazione genitoriale sorta mediante surrogazione di maternità, per l’elevato disvalore giuridico che il legislatore assegna a tale pratica, lesiva della dignità della donna e del minore, possa non assumere un rilievo determinante nell’operazione di bilanciamento rimessa al giudice, pur senza “cancellare” i diritti del minore.

In questo passaggio, e nella prospettiva suggerita dalla Corte di ricorrere, in tali ipotesi, all’istituto dell’adozione in casi particolari, si coglie tutta l’ambiguità del criterio ordinante dell’interesse preminente del minore oltre che l’incisività limitata, rispetto alla decisione finale, del forte richiamo alla genitorialità come frutto di una scelta consensuale e responsabile. La peculiarità del processo generativo irrompe sul bilanciamento d’interessi, riconoscendo alla famiglia che si è già formata, e ai minori che la compongono, un nucleo inadeguato di tutela in relazione al quadro relazionale che si è costituito. A impedirne il pieno riconoscimento, anche in questa ipotesi, è la considerazione astratta di uno spettro di principi fondamentali di natura assiologica, connotati da un ampio margine di ambiguità e del tutto estranei all’interesse preminente del minore.

2.3. Nelle decisioni della Corte di cassazione

Una dinamica analoga a quella che ha caratterizzato la sorte del preminente interesse del minore negli orientamenti sopra esaminati si può riscontrare anche nella definizione – ancora incompiuta – di principi ordinanti il riconoscimento, nelle varie forme previste dall’ordinamento, della genitorialità fondata su un processo generativo condizionato dal ricorso alla fecondazione eterologa. La Corte di cassazione ha posto l’accento sul best interest of the child nelle decisioni relative all’individuazione di modelli genitoriali adeguati ai nuovi modelli genitoriali proposti dalle coppie omoaffettive, sia che si ponesse il tema della trascrizione o del riconoscimento interno di atti e certificati di nascita legittimamente o illegittimamente conseguiti all’estero, sia quando l’oggetto del ricorso era rivolto al riconoscimento di uno status genitoriale fondato sugli istituti adottivi. La prima occasione è stata proprio fornita dalla domanda, contestata nei gradi di merito, formulata da una coppia omogenitoriale femminile al fine di riconoscere alla madre genetica[7] la genitorialità adottiva ex art. 44, lett. d, l. n. 184/1983[8]. La Corte di cassazione ha confermato la pronuncia che aveva riconosciuto il diritto delle ricorrenti e ha ritenuto che l’interesse del minore alla scelta genitoriale sub iudice dovesse essere oggetto di indagine concreta, come previsto dall’art. 57, comma 3, della legge stessa, da fondarsi sull’esame dell’idoneità della coppia e della relazione effettivamente instaurata, nel rispetto dei rigorosi canoni di valutazione della legge. Nessun rilievo, in astratto, viene attribuito al canone in esame, essendo espressamente escluso che possa ravvisarsi nella specie un conflitto di interessi in re ipsa tra la decisione della coppia e l’interesse del minore, non potendosi desumere, per la sua palese incostituzionalità, la situazione di conflitto dall’orientamento sessuale dell’adottante, come pure sottolineato nelle difese di parte ricorrente, che avevano posto l’accento proprio sulla natura egoistica e autoreferenziale della volontà di essere genitori fuori dei canoni biologico-giuridici tradizionali e sulla conseguente necessità di salvaguardare l’interesse del minore attraverso l’intervento di un terzo “imparziale”. Anche nelle pronunce che non pongono direttamente il problema del riconoscimento di un atto estero e la sua compatibilità con i principi di ordine pubblico, si riscontra comunque, nelle decisioni o nelle tesi difensive, il tentativo di piegare l’interesse del minore, inteso come principio astratto, al proprio quadro assiologico di riferimento, così alterandone la funzione e la finalità

Nella successiva sentenza, n. 19599 del 2016, l’oggetto del ricorso è stato proprio il riconoscimento di un atto di nascita formato all’estero da coppia omogenitoriale femminile. In questa pronuncia, di conseguenza, non poteva essere elusa la considerazione dell’interesse preminente del minore come canone ordinante la valutazione e l’orientamento dei principi fondamentali su cui costruire il paradigma dell’ordine pubblico internazionale.  La Corte non si è sottratta a questo esame, offrendo un quadro costituzionale e convenzionale multilivello, all’interno del quale le norme interne che vietano la fecondazione eterologa e che fissano i criteri probanti la maternità sono ritenute recessive rispetto al rilievo costituzionale (art. 2 Cost; art. 8 Cedu) delle relazioni omoaffettive, rispetto al divieto di discriminazione di tale tipologia di coppie anche in relazione a uno degli sviluppi più prevedibili che conseguono alla formazione di un nucleo familiare stabile, nonché rispetto al rilievo costituzionale di questa scelta (artt. 2 e 31 Cost.), riconosciuto in via generale anche nella sentenza n. 162 del 2014. In questo quadro, l’interesse preminente del minore non costituisce né il limite astrattamente posto per arginare l’onnipotenza generativa e genitoriale che le tecniche di fecondazione assistita evocano, né l’argine da frapporre al dilagare della omogenitorialità, come ritenuto quando si afferma l’esistenza di un conflitto d’interessi in queste relazioni filiali, ma viene assunto per la verifica in concreto della coerenza delle nuove forme di genitorialità con l’interesse effettivo dei minori a non essere pregiudicati nella titolarità e nell’esercizio dei diritti che conseguono alla formazione di una famiglia, salva la concreta valutazione del pregiudizio che può derivare dalla relazione genitoriale – per il quale l’ordinamento ha, da sempre, apprestato gli anticorpi necessari, sia in relazione all’insorgere di conflitti che di situazioni di incuria o abbandono.

L’approccio della giurisprudenza di legittimità è stato, tuttavia, diverso, quando la relazione genitoriale è stata realizzata grazie alla surrogazione di maternità. Il tema della filiazione attraverso questa forma di fecondazione eterologa è stato affrontato in due pronunce, nello sviluppo più recente degli orientamenti della Corte di cassazione, in relazione a fattispecie nettamente diverse. Nella prima pronuncia, n. 24001 del 2014, la coppia eterosessuale che è ricorsa alla surrogazione di maternità era stata già dichiarata inidonea per tre volte in sede di scrutinio adottivo. Non vi era alcun legame genetico biologico tra i genitori d’intenzione e il minore e, pertanto, anche il certificato di nascita ucraino, Stato ove il minore è nato, non era stato legittimamente rilasciato. Il minore era in stato di adottabilità e la contestazione di tale condizione costituiva uno dei motivi di ricorso. Gli altri hanno riguardato la dedotta illegittimità del non riconoscimento dell’atto di nascita e delle conseguenze che ne sono derivate.

Nella seconda pronuncia a sezioni unite, n. 12193 del 2019, che ha interessato una coppia omogenitoriale maschile nella quale uno dei partner è il genitore genetico del minore, la relazione genitoriale è sorta e si è sviluppata stabilmente, lo status filiationis in Canada è perfettamente legittimo e conforme alle leggi di quell’ordinamento. La domanda riguarda il riconoscimento e la trascrizione, con la conseguente costituzione dello status anche in capo al genitore d’intenzione.

Le decisioni divergenti nella soluzione finale, coerentemente non soltanto con la diversità della fattispecie, ma anche in relazione alle censure sollevate, convergono su un punto: la contrarietà all’ordine pubblico dello status filiationis quando il processo generativo sia stato determinato da maternità surrogata – non da altre forme di fecondazione eterologa (sez. unite, n. 12193 del 2019), ma esclusivamente con riferimento all’ipotesi caratterizzata dall’affidamento della gestazione a una madre portante, diversa o coincidente con quella genetica, ma del tutto estranea al nucleo genitoriale, formato soltanto dai genitori intenzionali. In questa peculiare ipotesi, la lesione della dignità umana, riferita alla gestante e al minore, conseguenti a tale processo generativo, è radicalmente impeditiva della costituzione di uno status filiale nell’ordinamento interno. Con questo forte approccio assiologico, il rilievo dell’interesse preminente del minore manifesta il massimo grado di astrattezza. In funzione dell’assolutezza dei principi affermati e, in particolare, della totale illiceità di un patto – sia esso gratuito, solidale od oneroso – che abbia ad oggetto la gestazione per altri, si giunge a una radicale separazione dello statuto assiologico della protezione del minore, universalmente inteso, dallo spettro dei diritti che, in concreto, possono essere compromessi a causa di una condizione di vita priva della protezione giuridica derivante dagli istituti della filiazione. L’interesse preminente del minore può, pertanto, costituire uno scudo dietro il quale si annullano le varianti concretamente sottoposte al vaglio del giudice, quando si affermano principi che, per la loro astrattezza, appaiono come di applicazione generale.

Tuttavia, le stesse soluzioni della giurisprudenza hanno in effetti dimostrato attenzione e adeguato riconoscimento della diversità delle situazioni di partenza. Nella pronuncia n. 24001 del 2014, il minore era in stato di adottabilità, vi era stata una chiara e univoca valutazione d’inidoneità genitoriale e l’accesso alla gestazione per altri era avvenuto con l’elusione anche del regime giuridico dello Stato ucraino. Questa situazione de facto (secondo l’espressione usata dalla Corte Edu per la verifica in concreto dell’esistenza di una situazione coerente con l’esercizio del diritto alla vita familiare) ha influenzato significativamente la decisione del giudice minorile ed è stata presa in esame dalla pronuncia della Corte di cassazione nel pervenire a una sentenza d’integrale rigetto dei motivi di ricorso.

Le sezioni unite, con la pronuncia n. 12193 del 2019, hanno invece riconosciuto la dignità “costituzionale” della coppia omogenitoriale maschile, escludendo che la contrarietà all’ordine pubblico fosse riferibile, anche indirettamente, all’orientamento sessuale, e hanno ritenuto di poter riconoscere che una genitorialità “gradata” e filtrata come quella prevista e disciplinata – costituendo un punto di equilibrio non trascurabile, nella misura in cui esclude radicalmente che l’omogenitorialità, anche quella maschile, possa rimanere priva di uno statuto giuridico che investa sia il genitore genetico-biologico che quello intenzionale – presenta le criticità generate dall’impianto assiologico sopra descritto. Secondo le sezioni unite (il principio era stato già espresso nella sentenza n. 24001 del 2014), soltanto attraverso l’adozione così come declinata nel nostro ordinamento può darsi luogo a una genitorialità disgiunta dalla relazione biologico-genetica, tenuto conto anche del sistema probatorio che è posto a fondamento delle azioni di stato, sulla cui appartenenza al rango dei principi fondamentali di ordine pubblico c’è, tuttavia, davvero da dubitare, non ravvisandosi parametri costituzionali neanche indiretti al riguardo. Peraltro, questa determinazione, con particolare riferimento alle coppie omogenitoriali, si scontra con la forza d’urto del canone antidiscriminatorio che, in primo luogo, non appare compatibile con una situazione di tutela del minore non del tutto equiparabile a quelle relativa allo status filiationis pieno, in particolare ove la comparazione avvenga con le ipotesi adottive previste dall’art. 44 l. n. 184/1983 e, in secondo luogo, non prende in esame le ipotesi in cui l’accesso alla filiazione adottiva, disciplinata dallo stesso articolo, non sia concretamente realizzabile per l’insussistenza sopravvenuta delle condizioni fattuali di accesso.

3. Considerazioni conclusive

La potenza di un sistema assiologico astratto, attualmente messo in discussione proprio dall’emersione massiccia di nuove genitorialità e tutt’altro che condiviso a livello legislativo da tutti gli Stati europei, può scontrarsi con la concreta lesione dei diritti dei minori, i quali rischiano di rimanere esposti a ingiustificate disparità di trattamento, dovute alla valutazione di scelte che non hanno concorso a determinare e che, di conseguenza, non dovrebbero produrre effetti discriminatori in relazione allo statuto dei diritti della persona di cui essi sono titolari per espresso riconoscimento costituzionale e convenzionale, oltre che interno (d.lgs n. 154/2013, attuativo della legge delega n. 212/2012). La valutazione dell’interesse preminente del minore dovrebbe prendere le mosse dal riconoscimento del diritto a non essere discriminati in virtù delle modalità procreative che hanno caratterizzato il concepimento e la nascita, per poter costituire un criterio davvero ordinante la complessa operazione di bilanciamento che le corti si trovano a dover eseguire, nell’affrontare la tematica della filiazione, a seguito della scomposizione del processo generativo che è indotto dalle tecniche di fecondazione assistita.

[1] L’espressione è tratta dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, meglio nota come “Convenzione di New York”, approvata il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall’Italia con l. n. 176/1991.

[2] In Articolo 29, 15 luglio 2014, www.articolo29.it/tag/labasse-v-france/.

[3] Vds. L. Poli, La Grande Camera e l’ultima parola sul caso Paradiso e Campanelli, in SIDIBlog, www.sidiorg.blog2017/02/21/la-grande-camera-e-l’ultima-parola-sul-caso-paradiso-e-campanelli.

[4] La prima pronuncia è del 27 gennaio 2015 ed è rinvenibile in www.articolo29.it.

[5] Afferma la Corte nel considerato in diritto:

«Tale principio [quello della centralità dell’interesse del minore nell’adozione delle scelte che lo riguardano – ndR] ha trovato la sua solenne affermazione dapprima nella Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, in forza della quale “[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente” (art. 3, paragrafo 1).

Nella stessa direzione si pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª riunione dei delegati dei ministri. Infine, l’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce il principio per il quale “[i]n tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente”».

[6] La Corte indica non soltanto l’art. 9 l. n. 40/2004, che esclude il disconoscimento in relazione ai figli nati da fecondazione eterologa, ma anche la ratio degli istituti adottivi, l’imprescrittibilità delle azioni relative agli status filiali solo con riguardo ai figli, la recente legge sul riconoscimento giuridico alla continuità dei legami affettivi (l. n. 173/2015).

[7] L’altra è la madre gestante; l’embrione è stato formato in vitro dal gamete femminile della madre genetica e da quello maschile di donatore anonimo.

[8] Il ricorso alla ipotesi normativa contenuta nell’art. 44, lett. d, è stato dettato dall’impossibilità di procedere ex art. 44, lett. b, che riconosce, alle condizioni previste dalla legge, l’adozione del figlio del partner, in quanto esclusa in via diretta dalla l. n. 76/2016. La compatibilità costituzionale di questa esclusione è tuttavia sospetta, in relazione al canone antidiscriminatorio e al riconoscimento giuridico costituzionale (art. 2 Cost; art. 8 Cedu) delle unioni omoaffettive.