Magistratura democratica

Il diritto internazionale privato italiano delle “nuove” famiglie nel contesto europeo

di Gianpaolo Maria Ruotolo
Il lavoro analizza, inserendole nel contesto europeo e alla luce di alcuni parametri di origine internazionalistica, le modifiche apportate al sistema italiano di diritto internazionale privato dalle recenti norme sull’unicità dello status di figlio e le unioni civili.

1. Premessa

La realtà sociale contemporanea e lo sviluppo della scienza e della medicina hanno comportato l’emersione di formazioni familiari in precedenza relegate nell’ambito privato o addirittura del tutto impensabili, imponendo così la regolamentazione dei rapporti tra i membri di tali formazioni, sotto numerosi profili, di pertinenza di differenti ambiti del diritto.

Con particolare riguardo all’ordinamento italiano, si sono così verificati dapprima revirement giurisprudenziali a normativa invariata, il più delle volte assunti in ottemperanza a obblighi internazionali e, quindi, si sono finalmente perfezionate alcune rilevanti modifiche dell’ordinamento positivo, consistenti nell’introduzione, da parte del legislatore, di numerose nuove previsioni sia di contenuto materiale sia di portata strumentale.

Tra queste ultime, non molto investigate da parte della dottrina e ancor meno applicate da parte della giurisprudenza, rientrano le norme relative ai numerosi aspetti internazionalprivatistici della vita delle “nuove” famiglie, su alcuni dei quali, in particolare quelli relativi al diritto applicabile[1], il presente scritto intende soffermarsi.

Eppure elementi di transnazionalità caratterizzano sempre più di sovente i rapporti tra privati in generale e il diritto di famiglia in particolare, per l’elevata frequenza contemporanea dei movimenti internazionali di persone e per la rilevanza del fenomeno migratorio, sia intra sia extra Ue.

Sotto un profilo più strettamente metodologico, chiariamo che la nostra analisi, oltre a cercare di ricostruire il quadro normativo esistente, mira a verificarne la compatibilità con una serie di principi di riferimento, desumibili dal diritto internazionale e, seppur in misura minore, dal diritto dell’Unione europea.

È infatti il caso di ricordare come le norme di diritto internazionale privato, pur se nella maggioranza dei casi prive di contenuto materiale[2], implichino comunque precise opzioni valoriali effettuate dal legislatore e, pertanto, non possano esser considerate “neutrali”[3].

Il loro contenuto può e deve, di conseguenza, essere valutato alla luce di parametri di riferimento, come le norme della Costituzione o, per il tramite di questa, di obblighi internazionali come, tra gli altri, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), nonché del diritto dell’Unione europea.

L’analisi che stiamo per condurre, pertanto, implicherà anche una valutazione delle scelte effettuate dal legislatore in materia di disciplina internazionalprivatistica delle “nuove” famiglie alla luce dei valori giuridici, di origine interna o internazionale, che informano l’ordinamento italiano[4].

Per quanto concerne la struttura della nostra indagine, ci occuperemo, trasversalmente rispetto alle innovazioni normative via via intervenute, dapprima di alcuni profili relativi alla filiazione e, quindi, di certi aspetti delle unioni tra persone dello stesso sesso, utilizzando la questione della cd. “maternità surrogata” come trait d’union tra i due temi, per giungere quindi a tracciare delle brevi conclusioni.

2. Le “nuove” famiglie e gli obblighi internazionali

Iniziamo col ricordare che, sotto il profilo materiale, prima della introduzione dello status unico di figlio – di cui diremo più avanti – l’ordinamento italiano, come noto, dava rilevanza, ai fini della disciplina della filiazione, all’esistenza di un vincolo matrimoniale tra i genitori, e distingueva così tra filiazione legittima (relativa ai figli nati all’interno del matrimonio) e filiazione naturale (relativa ai figli nati al di fuori del matrimonio); a queste si aggiungevano la filiazione legittimata e quella adottiva, in cui il rapporto, evidentemente, non era conseguenza della procreazione.

In questo contesto, la legge n. 218 del 31 maggio 1995 («Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato»), nella sua formulazione originaria, pur portatrice, come vedremo, di soluzioni avanguardistiche, concepiva comunque il rapporto di filiazione, sotto il profilo internazionalprivatistico[5], come condizionato dai rapporti esistenti tra i genitori e quindi, seppur utilizzando in linea di principio il criterio di collegamento della cittadinanza, lo agganciava a momenti (e soggetti) diversi a seconda del tipo di filiazione da regolare (naturale, legittimata, legittima)[6].

Per altro verso, prima delle modifiche apportate in occasione della introduzione in Italia delle unioni civili – di cui pure diremo più avanti –, il nostro ordinamento non conteneva alcuna norma di diritto internazionale privato volta a individuare il diritto applicabile ai rapporti familiari tra persone del medesimo sesso. Sotto il profilo del diritto processuale civile internazionale, la giurisprudenza interna, peraltro, riteneva (e ritiene ancora, anche se in un mutato contesto) finanche non trascrivibili i relativi atti di matrimonio e non riconoscibili le relative sentenze, essenzialmente per incompatibilità con l’ordine pubblico internazionale, come allora percepito vigente[7].

Questo rendeva l’approccio del legislatore italiano in materia di diritto internazionale privato della famiglia non pienamente compatibile tanto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quanto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento Ue per il tramite della giurisprudenza della Corte di giustizia e, poi, formalizzati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Cdfue), essenzialmente per l’esistenza della discriminazione tra le varie “categorie” di figli e di partner.

Ora, per quanto riguarda la Cedu, ricordiamo brevemente come in diverse occasioni la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia accertato la violazione dell’art. 14 (che, come noto, contempla il divieto di discriminazione) in combinato disposto con l’art. 8 (il quale prevede il diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione[8], in numerosi casi di diritto di famiglia connessi all’orientamento sessuale dei partner[9].

Per quanto riguarda il diritto Ue, poi, ricordiamo che l’art. 21 Cdfue, come noto, vieta le discriminazioni basate sulla nascita[10], e che tale articolo, con riguardo al tema di cui ci stiamo occupando, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 9, che prevede il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia.

La Corte di giustizia (seppur nell’ambito delle scarse competenze Ue in materia di diritto di famiglia, di cui diremo infra, nel par. 4) ha poi chiarito che, nell’ambito del diritto derivato relativo all’esercizio della libertà di circolazione, la nozione di “coniuge”, che designa una persona unita a un’altra da vincolo matrimoniale, è neutra dal punto di vista del genere e può comprendere, quindi, il coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione[11].

È comunque il caso di sottolineare come la prassi cui abbiamo appena fatto riferimento non abbia alcuna pretesa di completezza e abbia il solo fine di suggerire, a questo punto ancora iniziale della nostra trattazione, il contesto giuridico-valoriale in cui l’ordinamento italiano è inserito, e in cui si inserisce la nostra analisi[12].

3. La modifica della disciplina italiana di conflitto dopo lo status unico di figlio e la “legge Cirinnà”

La disciplina italiana di conflitto della filiazione – la quale va coordinata con le pertinenti norme convenzionali e di diritto Ue e, segnatamente, con la Convenzione dell’Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori[13] e, per i profili di diritto processuale civile internazionale (i quali però esulano dalla nostra trattazione, se non per alcuni aspetti a essa strumentali), con il regolamento “Bruxelles II bis[14] – è oggi contenuta negli articoli da 33 a 36-bis della legge n. 218/1995, come modificati dal d. lgs n. 154/2013[15].

Le modifiche così apportate hanno eliminato dalla disciplina di conflitto italiana tutte le norme che discriminavano tra i figli “legittimi” e “naturali”, in base al principio, oggi contenuto nell’art. 315 cc, secondo il quale «tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico»[16].

È così stato modificato l’art. 33, con l’eliminazione di ogni distinzione, originariamente prevista, tra le dette categorie di figli e la dichiarazione che tutte le norme italiane che sanciscono l’unicità dello stato di figlio sono di applicazione necessaria (ciò, evidentemente, ha eliminato in radice ogni dubbio che sarebbe potuto insorgere con riguardo alla natura di ordine pubblico dell’unicità dello status di figlio), abrogato l’art. 34, che disciplinava gli aspetti internazionalprivatistici della legittimazione (ormai, evidentemente, superflua), introdotta nell’art. 35 una disciplina del riconoscimento del figlio (non più relativa, come il testo precedente, al figlio «naturale»), contemplata, all’art. 36, la «responsabilità genitoriale» in luogo della «potestà dei genitori»[17] e inserito, infine, un nuovo art. 36-bis che qualifica nuovamente come norme di applicazione necessaria tutte quelle che attribuiscono a entrambi i genitori la responsabilità genitoriale e il dovere di provvedere al mantenimento del figlio, nonché quelle che attribuiscono al giudice il potere di adottare provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli per il figlio[18].

Il regime internazionalprivatistico delle “nuove” famiglie, poi, al di là dei rapporti di filiazione, è completato dalle modifiche apportate alla medesima legge n. 281/1995 dalla legge n. 76/2016.

Quest’ultima, nota anche come “legge Cirinnà”, contiene la «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», e ha inserito nella l. n. 218/1995 l’art. 30-bis, relativo ai contratti di convivenza[19].

La medesima legge Cirinnà, all’art. 1, comma 28, lett. b, contemplava poi una delega al Governo perché provvedesse a modificare e riordinare «le norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo».

In attuazione di tale delega, è stato quindi adottato il d.lgs n. 7/2017[20], il quale ha inserito nella l. n. 218/1995 gli artt. 32-bis («Matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso»)[21], 32-ter («Unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso»)[22], 32-quater («Scioglimento dell’unione civile»)[23], 32-quinquies («Unione civile costituita all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso»)[24] e modificato l’art. 45 («Obbligazioni alimentari nella famiglia»)[25] l. n. 218/1995.

Tutte queste norme – singolarmente prese e, soprattutto, analizzate in blocco – suggersicono alcune riflessioni, sia con riguardo alle loro modalità applicative, sia rispetto all’impatto da esse prodotto sui meccanismi “di parte generale”, di funzionamento del sistema italiano di diritto internazionale privato.

Facciamo riferimento, ad esempio, al potenziale rischio di reciproca preliminarietà di alcune questioni (si pensi al caso del rapporto tra cittadinanza e filiazione), ai problemi di qualificazione di alcune categorie non armonizzate nei vari ordinamenti nazionali (“figlio”, “filiazione”, “padre”, madre”), all’uso estensivo di norme di applicazione necessaria, alla delimitazione dell’ordine pubblico internazionale, nonché, infine e più in generale, alla pluralità dei metodi di coordinamento utilizzati dalle nuove disposizioni (in particolare, del metodo delle considerazioni materiali e del rinvio all’ordinamento competente)[26], i quali impattano a loro volta in maniera differente sul modo di operare degli istituti di “parte generale” (si pensi, a mero titolo di esempio, al cd. “rinvio in favorem” di cui all’art. 13, comma 3, il quale prevede che nei casi di cui agli artt. 33 e 35 si possa tener conto del rinvio soltanto se esso conduce all’applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione).

4. La scarsa armonizzazione del diritto di famiglia in Europa: l’art. 81 Tfue, la norma “passerella”, le difficoltà della Conferenza dell’Aja

Occorre ribadire la complessità del concetto giuridico di filiazione: essa è, difatti, l’insieme di molteplici rapporti che intercorrono tra una persona e il suo genitore.

L’espressione comprende quindi una pluralità di aspetti distinti: si pensi, solo per citarne alcuni, al momento costitutivo, ai rapporti tra ogni genitore e il figlio, alle reciproche obbligazioni alimentari.

Per quanto concerne i profili transnazionali, poi, va evidenziato come tale complessità sia aggravata – e la “circolazione” degli status familiari sia, quindi, viepiù complicata, anche solo all’interno dell’Unione europea – dalle notevoli differenze normative esistenti tra i vari ordinamenti interni, ad esempio, nella definizione di “figlio/filiazione” o di “famiglia”[27].

Ora, ricordiamo che l’art. 81, parr. 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) prevede che, nell’ambito della cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, la quale è fondata, come noto, sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, l’Unione possa adottare, con la procedura legislativa ordinaria, misure di armonizzazione, intese cioè a ravvicinare la disciplina materiale degli Stati membri.

Ai sensi del successivo par. 3, però, qualora tali misure siano relative proprio al diritto di famiglia con implicazioni transnazionali, è previsto che le stesse possano essere adottate solo mediante una procedura legislativa speciale, in cui, a differenza di quella ordinaria, il Consiglio delibera all’unanimità e con la mera consultazione del Parlamento europeo.

Per quanto riguarda la delimitazione dell’ambito di applicazione di questa procedura, poi, va detto che il Trattato di Lisbona ha introdotto, all’art. 81, par. 3, Tfue, capoversi secondo e terzo, una norma definita “passerella”, la quale consente al Consiglio, su proposta della Commissione, di decidere, sempre all’unanimità, quali sono gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali che possono essere regolati mediante atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria.

Questa possibilità, però, è condizionata al rispetto di alcuni requisiti procedurali alquanto rigidi: i parlamenti nazionali, infatti, devono essere informati dell’attivazione della “passerella” e se, entro sei mesi dalla data di tale informazione, anche solo uno di essi dovesse comunicare la sua opposizione, la decisione non potrà essere adottata e, di conseguenza, quegli aspetti resteranno regolabili solo con la procedura speciale.

In mancanza di una siffatta opposizione, invece, il Consiglio potrà adottare – comunque all’unanimità – la decisione e quindi sottoporre alla procedura legislativa ordinaria i desiderati aspetti del diritto di famiglia con implicazioni transnazionali.

Il meccanismo appena descritto attesta chiaramente le reticenze degli Stati membri non solo a uniformare, ma finanche – e meno incisivamente – ad armonizzare il diritto di famiglia con implicazioni transnazionali, se non a condizione di condividere all’unanimità siffatte misure (o la volontà di farle transitare nell’ambito di applicazione del procedimento legislativo ordinario).

Il meccanismo in parola, così, ha reso difficile l’adozione di misure normative dell’Ue in materia di rapporti di famiglia con implicazioni transnazionali, tant’è che, in molti casi, gli Stati membri hanno pensato di by-passarlo facendo ricorso alla cooperazione rafforzata.

Ciò è avvenuto, ad esempio, per il regolamento (UE) n. 1259/2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale o per la decisione (UE) 2016/954, del 9 giugno 2016, che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali delle coppie internazionali, con riferimento ai regimi patrimoniali tra coniugi e agli effetti patrimoniali delle unioni registrate.

La delicatezza dei temi trattati e le differenti prospettive esistenti tra gli Stati, poi, hanno reso difficoltosa anche l’armonizzazione delle norme di diritto internazionale privato mediante strumenti esterni all’Ue, come quelli più tradizionalmente convenzionali.

A tale riguardo, ricordiamo solo come la Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato abbia, qualche anno addietro, istituito un gruppo di esperti il quale, da ultimo, in un report del marzo 2019, pur riconoscendo l’opportunità e l’importanza di garantire prevedibilità, certezza e continuità alla genitorialità (in particolare, quella derivante da maternità surrogata nelle situazioni internazionali), e auspicando lo sviluppo di uno strumento multilaterale vincolante che contempli sia norme materiali uniformi, sia regole processuali per il riconoscimento transfrontaliero delle relative decisioni giudiziarie, ammetta di non essere ancora riuscito a giungere a un testo condiviso da offrire agli Stati per la firma[28].

5. Questioni in materia di filiazione: il diritto applicabile

La filiazione è, quindi, un coacervo di molteplici e differenti aspetti i quali sono disciplinati, sotto il profilo internazionalprivatistico, e in particolare per quanto concerne l’individuazione del diritto applicabile, da autonome norme di conflitto, con il conseguente elevato rischio di frazionamento eccessivo della fattispecie.

Ora, è il caso di ricordare come la disciplina di conflitto italiana, contenuta, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, negli artt. 33-36 bis della legge n. 218/1995, si ispiri al principio del favor filiationis, che rappresenta in qualche misura la manifestazione internazionalprivatistica di quell’«interesse superiore del minore»[29] sancito da numerosi strumenti internazionali vincolanti[30] e non, e che ha guidato anche la giurisprudenza Cedu[31].

Il favor in questione si esprimeva, già nella formulazione originaria della l. n. 218/1995 – tra l’altro – nel frequente uso del concorso alternativo tra criteri di collegamento e nel meccanismo del rinvio in favorem al quale abbiamo già accennato (entrambi espressione del metodo di coordinamento delle considerazioni materiali)[32].

Si tratta di un elemento che non è scomparso neppure nella formulazione attuale dell’art. 33 che, ricorrendo ancora al concorso alternativo tra criteri di collegamento, prevede che lo status (ormai unico) di figlio sia determinato dalla legge nazionale del figlio o, se più favorevole, dalla legge nazionale di uno dei genitori.

Come si vede, la categoria giuridica utilizzata in primo luogo nel concorso di cui all’art. 33 è quella della nazionalità del figlio, che costituisce quindi il criterio per l’individuazione del diritto applicabile alla filiazione.

L’individuazione della nazionalità del figlio pare costituire, quindi, una questione preliminare rispetto alla filiazione.

Ora, è forse il caso di ricordare come l’ordinamento italiano non regoli esplicitamente la problematica del diritto applicabile alle questioni preliminari[33]. Deve, parimenti, essere ricordato come, in molti ordinamenti, come quelli che utilizzano il principio dello jus sanguinis, la nazionalità del figlio dipenda proprio dal rapporto di filiazione che si intende accertare, nel senso che la cittadinanza del figlio viene individuata in base a quella dei genitori (o di uno di essi)[34].

La situazione appena descritta, insomma, pare implicare il rischio di reciproca preliminarietà di cittadinanza e filiazione, con la creazione di un circolo vizioso.

Deve essere evidenziato, però, come è stato autorevolmente osservato, che le questioni in parola non hanno entrambe natura e rilevanza internazionalprivatistica, dal momento che l’accertamento della filiazione con riguardo al solo fine dell’attribuzione della cittadinanza,stante la peculiarità del rapporto, può essere determinato alla luce del diritto materiale dello Stato di cui si vuole attribuire la cittadinanza[35].

Va pure detto, comunque, che il legislatore avrebbe potuto contemplare un (ulteriore) concorso di criteri di collegamento, magari più adatti a individuare l’ordinamento viciniore a regolare la filiazione, nel caso di fattispecie particolari. Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di coppie dello stesso sesso residenti in uno Stato diverso da quello di cui hanno la cittadinanza, qualora lo Stato di residenza riconosca loro – a differenza di quello nazionale – la possibilità di instaurare il rapporto di filiazione in conseguenza di maternità surrogata[36] a favore di entrambi i partner committenti, di cui uno solo sia il genitore biologico del figlio.

In casi come questo, infatti, il legislatore avrebbe potuto ricomprendere, tra gli ordinamenti tra loro in concorso e da valutare materialmente, anche quello di residenza abituale della coppia[37] o, come avviene per i coniugi ai sensi dell’art. 29 l. n. 218/1995, quello della prevalente localizzazione della vita di coppia.

6. Alcune questioni relative alla maternità surrogata, tra diritto applicabile e circolazione internazionale degli status familiari (la sentenza della Cassazione, sez. unite, 8 maggio 2019, n. 12193)

Come noto, la cd. “surroga di maternità” (alla quale, spesso, si fa riferimento con la brutta espressione “utero in affitto”) costituisce un meccanismo di procreazione assistita in cui una donna provvede alla gestazione per conto di una o più persone, che saranno genitori del nascituro.

In genere, al fine di regolamentare i rapporti tra tutte le parti coinvolte nel rapporto, viene instaurato un rapporto contrattuale. La fecondazione può essere così effettuata con gameti sia della coppia (o di uno dei soggetti della coppia) sterile, sia della gestante, sia, ancora, di donatrici e donatori terzi, attraverso concepimento in vitro[38].

La fattispecie in parola è regolata in maniere molto differenti nei vari ordinamenti statali, i quali possono contemplarne la piena legittimità – cui consegue, in alcuni casi, l’attribuzione immediata, da parte della lex loci, del rapporto di filiazione del nato esclusivamente con i genitori committenti; è il caso, ad esempio, dell’Ucraina, che condiziona tale attribuzione al fatto che il nato sia geneticamente figlio di almeno uno dei committenti[39] – o addirittura vietarla del tutto, prevedendo finanche sanzioni penali per chi dovesse far ricorso a tale tecnica riproduttiva.

In quest’ultimo caso rientra l’ordinamento italiano, che con l’art. 12, comma 6, legge n. 40/2004, sanziona penalmente la surroga di maternità.

Ora, tralasciando tanto gli aspetti penalistici quanto i profili contrattuali della questione[40], va ribadito che la complessità e la variabilità delle situazioni – e, in particolare, il fatto che la filiazione non può più definirsi sic et simpliciter in base a criteri puramente biologici, con la conseguente messa in crisi addirittura del tradizionale principio mater semper certa – possono far emergere difficoltà di qualificazione, in particolare delle categorie di “padre” e “madre” [41].

Ora, come noto – e in linea di principio –, la qualificazione deve essere operata in base alla lex fori, cioè, nella nostra prospettiva, alla stregua dell’ordinamento italiano.

Ebbene, tale ordinamento formalizza in qualche misura proprio il principio mater semper certa nell’art. 269, comma 3 cc («la maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre»), e ritiene così che il rapporto di filiazione, in particolare con la madre, sia quello che si stabilisce con la donna che ha partorito.

Ciò, evidentemente, può creare problemi proprio nei casi di cui ci stiamo occupando, in cui si potrebbero individuare fino a tre “madri” (la madre committente, la donatrice dell’ovulo, colei che ha condotto la gravidanza, se non coincidente con la seconda) e due “padri” (il padre committente e il donatore di seme, se non coincidenti).

È il caso, poi, di far almeno cenno al fatto che, sotto il differente profilo del diritto processuale civile internazionale, la giurisprudenza italiana si è occupata, in diverse occasioni, di cui ci è impossibile dar compiutamente conto in questa sede, della possibilità di riconoscere effetti in Italia a provvedimenti stranieri che riconoscano – mediante vari strumenti e istituti giuridici: dalla trascrizione dell’atto di nascita al riconoscimento di sentenze straniere, all’istituto dell’adozione, la cd. “stepchild adoption” – il rapporto di genitorialità di un membro di coppia omosessuale rispetto al figlio biologico dell’altro membro.

Anche in questo caso, si è assistito all’impatto delle situazioni relative alle “nuove” famiglie sui meccanismi di funzionamento del nostro sistema di diritto internazionale privato e, in particolare, sulla clausola di ordine pubblico, operante, nel caso di specie, come limite alla trascrizione degli atti di stato civile perfezionatisi all’estero (dPR n. 396/2000, «Casi di intrascrivibilità», art. 18: «Gli atti formati all’estero non possono essere trascritti se sono contrari all’ordine pubblico») e, ovviamente, al riconoscimento delle sentenze.

Limitandoci, per ragioni di spazio, alla giurisprudenza recentissima, segnaliamo che le sezioni unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza n. 12193 dell’8 maggio 2019[42], per un verso hanno confermato la non trascrivibilità in Italia di un provvedimento straniero il quale accerti il rapporto di filiazione tra i due membri di una coppia omosessuale e due minori nati con la tecnica della surroga di maternità, ma per l’altro, e al contempo, hanno sancito la possibilità, per costoro, di far ricorso all’adozione “in casi particolari”.

Numerosi i punti di interesse della sentenza, sotto il profilo dell’impatto dell’avvento delle “nuove” famiglie sul sistema internazionalprivatistico italiano.

In primo luogo la Corte, infatti, conferma quanto dicevamo in apertura, e cioè che l’ordinamento italiano contempla ormai «un sempre più marcato riferimento ai valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale ed alla tutela dei diritti fondamentali, al quale fa inevitabilmente riscontro un affievolimento dell’attenzione verso quei profili della disciplina interna che, pur previsti da norme imperative, non rispondono ai predetti canoni», con il conseguente mutamento del contenuto dell’ordine pubblico internazionale e, quindi, del connesso limite all’ingresso di regolamentazioni esterne.

In secondo luogo – e questo sebbene la Corte abbia negato la trascrivibilità dell’atto di nascita ritenendo che il divieto di maternità surrogata vigente in Italia, sanzionato peraltro penalmente, sia ancora parte degli interessi di ordine pubblico e che, come pure sancito dalla Corte Edu nelle sentenze che abbiamo già citato supra[43], sarebbe compito del legislatore (e non già del potere giudiziario) compiere una scelta di valore tanto innovativa –, la sentenza contiene però un importante riconoscimento della omogenitorialità, da rinvenirsi nella possibilità di utilizzare, anche nel caso di coppie del medesimo sesso, l’art. 44, lett. d, legge n. 184 del 1983, il quale prevede la possibilità di adozione di minori anche in assenza dei presupposti di cui all’art. 7 della stessa legge (e, in particolare, lo stato di abbandono dichiarato ai sensi di tale norma), quando via sia la constatata impossibilità di un affidamento preadottivo.

7. Gli accordi di convivenza e le unioni civili tra upgrade e downgrade dei rapporti tra persone dello stesso sesso

 Per comprendere ancor meglio l’impatto della disciplina delle “nuove” famiglie sul nostro sistema di diritto internazionale privato, bisogna anche valutare complessivamente le novelle apportate alla l. n. 218/1995 dalla l. n. 76/2016[44] e dal d.lgs n. 7/2017, i quali, come abbiamo già accennato, hanno introdotto una disciplina di conflitto per gli accordi di convivenza (art. 30-bis), le unioni civili tra persone maggiorenni dello stesso sesso (art. 32-ter) – con una previsione particolare qualora tali unioni siano state costituite all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso (32-quinquies) – e il loro scioglimento (art. 32-quater)[45].

La l. n. 218/1995 contiene così, oggi, anche una previsione relativa al matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso (art. 32-bis)e ha visto anche la modifica della norma di conflitto sulle obbligazioni alimentari (art. 45)[46].

Ora, per quanto concerne i contratti di convivenza, l’art. 30-bis della stessa legge prevede che ai medesimi si applichi la legge nazionale comune dei contraenti e, in caso di contratti “misti” – i quali, cioè, coinvolgano soggetti di nazionalità differente –, la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.

Va ricordato come, già precedentemente all’approvazione della legge Cirinnà, vi fosse chi riteneva possibile la conclusione, in Italia, di contratti di convivenza mediante l’applicazione delle norme di diritto straniero che lo consentissero[47] (si pensi, ad esempio, al pacte civil de solidarité[48] dell’ordinamento francese o alla lebenspartnerschaft tedesca)[49].

Ora, va detto pure che la nuova norma di conflitto appare opportunamente modellata sull’art. 29 l. n. 218/1995, notoriamente relativo ai rapporti personali tra coniugi, e per questo non sembra essere discriminatoria. La stessa, tuttavia, specie nel caso dei rapporti misti, pare quasi presupporre una pregressa convivenza, come se essa fosse applicabile solo in sede “patologica” e non già “costitutiva” di un rapporto, lasciando così qualche dubbio sull’individuazione del diritto applicabile ai contratti di convivenza misti che non abbiano avuto una pregressa situazione di fatto.

La stessa norma, poi, pare dare in qualche misura come “per scontata” l’esistenza di una disciplina materiale dei contratti di convivenza anche nell’ordinamento straniero ritenuto eventualmente competente, senza dire se, in assenza di essa, si debba procedere a una riqualificazione della fattispecie nell’ordinamento di richiamo (con conseguenti dubbi relativi, ad esempio, alla decisione se applicare il diritto dei contratti o il diritto di famiglia) o all’applicazione della legge italiana.

È probabile che quest’ultima soluzione sia da preferire per ragioni di sistema, dal momento che coinciderebbe con quella adottata con riguardo alle unioni civili dall’art. 32-ter.

Proprio con riguardo alla disciplina di conflitto delle unioni civili[50], ricordiamo poi che l’art. 1, comma 28, lett. b, della legge Cirinnà delegava al Governo il riordino delle norme di diritto internazionale privato al fine di prevedere l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo.

In attuazione di tale delega, quindi, come pure abbiamo già accennato, l’art. 32-bis della l. n. 218/1995 prevede oggi che, qualora un cittadino italiano contragga all’estero matrimonio con persona dello stesso sesso, tale matrimonio produrrà, in Italia, gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana.

Misura analoga è prevista, dall’art. 32-quinquies, con riguardo alle unioni civili concluse all’estero tra persone dello stesso sesso di cui almeno una sia cittadino italiano.

Entrambe queste norme potrebbero esser viste come norme che impongono una “riqualificazione” della fattispecie con elementi di estraneità (matrimonio o unione tra persone dello stesso sesso contratta all’estero) alla stregua dei criteri ermeneutici dell’ordinamento italiano, il quale, non prevedendo il matrimonio omosessuale, non può quindi che regolare entrambe le fattispecie con le uniche norme materiali applicabili, oppure come disposizioni che, seppur non esplicitamente, contemplano l’applicazione necessaria (ai sensi dell’art. 17, l. n. 218/1995) del diritto materiale italiano relativo alle unioni civili (come, peraltro, avviene nell’art. 33 con riguardo all’unicità dello status di figlio), con la sua conseguente applicazione anche a situazioni con elementi di estraneità.

In entrambi i casi, il meccanismo illustrato andrà comunque a impattare tanto sui matrimoni omosessuali quanto sulle unioni civili concluse all’estero, anche se in maniera differente.

Con riguardo ai primi, infatti, l’applicazione “forzata” del diritto materiale italiano avrà l’effetto di produrre un downgrade del matrimonio omosessuale contratto all’estero in una unione civile[51]; nel caso delle seconde, invece, ciò potrà comportare, in termini di diritti dei partner, effetti favorevoli (con un upgrade) o pregiudizievoli (con un downgrade analogo a quello che abbiamo visto verificarsi per il matrimonio) a seconda del contenuto del regime straniero “originario” e di quello italiano che si impone[52].

Anche in questo caso, quindi, sarebbe stato forse opportuno applicare un criterio ispirato al metodo delle considerazioni materiali, e prevedere l’applicazione del diritto italiano solo se più favorevole ai partner rispetto a quello straniero.

Il regime adottato dal legislatore, così, rischia di risultare incompatibile con le norme della Cedu e della Cdfue di cui abbiamo già detto: ricordiamo, infatti, che la Corte Edu ha affermato che la conversione forzata di un matrimonio in una partnership registrata (nel caso di specie, ciò era avvenuto a causa del mutamento di genere di uno dei due coniugi) non implica una violazione della Cedu solo qualora i due regimi abbiano un contenuto sostanzialmente equiparabile[53].

8. Conclusioni

Pare che l’analisi sin qui condotta abbia fatto emergere alcune linee di tendenza che caratterizzano il sistema italiano di diritto internazionale privato, con particolare riguardo alle “nuove” famiglie, che è il caso di evidenziare.

In primo luogo, grazie all’influenza esercitata dal diritto internazionale, in particolare dalla Cedu, e dal diritto Ue – e, questo, malgrado le scarse competenze dell’Unione in materia di diritto di famiglia –, si è verificata una progressiva modificazione dell’ordine pubblico internazionale, il quale non include più alcuni concetti in precedenza ritenuti rientranti invece nel nocciolo duro dei valori dell’ordinamento italiano e, in quanto tali, inderogabili mediante il richiamo del diritto straniero: si pensi, ad esempio, a come il matrimonio contratto all’estero tra persone del medesimo sesso, pur improduttivo di effetti giuridici in Italia, non sembri essere più incompatibile con l’ordine pubblico, dal momento che, per un verso, la Corte costituzionale ha fatto rientrare le coppie omosessuali tra le formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost.[54] e, per altro, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che la nozione di “vita familiare” (e non solo quella di “vita privata”) ricomprende anche quella di una coppia formata da persone dello stesso sesso[55].

D’altro canto, tuttavia, il legislatore italiano pare aver voluto limitare, nella materia di cui ci siamo occupati, un ingresso eccessivo nel nostro ordinamento di norme straniere mediante un uso (più) estensivo delle norme di applicazione necessaria, le quali, come noto, a differenza dell’ordine pubblico, che entra in funzione successivamente all’operare del sistema di conflitto, rappresentano rispetto a quest’ultimo un limite preventivo.

Comunque, non si può che accogliere con favore il fatto che molte delle norme di conflitto recentemente introdotte siano compatibili con i principi e i valori internazionali che abbiamo via via citato e, in particolare, col principio di non discriminazione, specie per il fatto di utilizzare spesso, con riferimento alla disciplina internazionalprivatistica delle “nuove” famiglie, i medesimi criteri di collegamento previsti per situazioni “tradizionali”.

Oltre ai casi già indicati, segnaliamo infatti come l’art. 32-quater l. n. 218/1995 preveda che lo scioglimento dell’unione civile debba essere regolato dalla legge applicabile al divorzio in conformità al regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo a una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e come l’art. 45 della stessa legge contempli una sola e unica disciplina di conflitto per le obbligazioni alimentari nella famiglia (indipendentemente dall’orientamento dei suoi membri), le quali sono regolate dalla legge designata dal regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008.

Incidentalmente, e in punto di individuazione di linee di tendenza, ci sia poi consentito di evidenziare come il numero di Paesi europei che consente il matrimonio omosessuale sia oggigiorno di gran lunga superiore a quello di coloro che lo vietano, il quale peraltro, e in maniera piuttosto significativa, coincide quasi totalmente, Italia a parte, con il cd. “gruppo di Visegrád”[56].

In conclusione, probabilmente oggi non è più opportuno fare ricorso alla classica (e spesso abusata) affermazione di Arturo Carlo Jemolo, secondo la quale la famiglia sarebbe un’isola che deve essere solo lambita dal mare del diritto: Jemolo aveva, infatti, concepito l’espressione con l’intento di difendere la famiglia dalla legislazione di stampo fascista, mentre oggi, specie grazie all’influenza del diritto internazionale di cui abbiamo detto, appare quanto mai opportuno che il diritto tuteli esplicitamente la famiglia in tutte le sue forme, cercando di inseguire i mutamenti sociali e scientifici, con particolare riguardo ai rapporti con elementi di transnazionalità, in cui l’adozione di strumenti specifici – meglio ancora se comuni – è quanto mai opportuna per garantire certezza e stabilità.

[1] Chiariamo da subito, infatti, che non saranno oggetto di analisi, se non incidentale, le previsioni relative agli aspetti di diritto processuale civile internazionale delle fattispecie che esamineremo.

[2] Sull’opposta tendenza, più recente, che vede il legislatore, in particolare dell’Unione europea, inserire norme materiali in strumenti di diritto internazionale privato, vds., da ultimo, P. Franzina, L’inserimento di norme materiali in misure legislative dell’Unione nel campo del diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale, 2018, pp. 559 ss.

[3] Sul punto vds. Corte cost., 26 febbraio 1987, n. 71; 10 dicembre 1987, n. 477; 4 luglio 2006, n. 254.

[4] Al riguardo, per tutti, vds. F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Volume I – Parte generale e obbligazioni, Utet, Torino, 2017 (8a ed), pp. 186 ss.

[5] V.G. Carella, Articoli 33-37, in S. Bariatti (a cura di), L. 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Le nuove leggi civili commentate, Cedam, Padova, 1996, pp. 1184 ss.

[6] Prima dell’approvazione della legge di riforma, la norma di conflitto applicabile alla filiazione era l’art. 17, relativo in generale allo stato e alla capacità delle persone e ai rapporti di famiglia, che prevedeva che tali situazioni fossero regolate dalla legge dello Stato del soggetto interessato (con il conseguente, complesso cumulo di disciplina nel caso di famiglie composte da soggetti di cittadinanza differente).

[7] Ricordiamo che la Corte costituzionale, con sentenza del 14 aprile 2010, n. 138, poi confermata con ordinanza n. 276/2010, ha dichiarato in parte inammissibili e in parte infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Tribunale di Venezia e dalla Corte d’appello di Trento per presunta violazione degli artt. 2, 3, 29 e 117, comma 1, Cost. da parte di alcuni articoli del cc «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso». È anche vero che la Corte, nel caso di specie, ha riconosciuto però alle unioni tra persone dello stesso sesso la natura di formazioni sociali tutelate dall’art. 2 Cost., ai cui membri spetta quindi «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». In dottrina, anche per ulteriori riferimenti, si veda E. Vincenti, Il matrimonio tra persone di orientamento omosessuale, in Aa. Vv., Il libro dell’anno del diritto, Treccani, Roma, 2012.

[8] In letteratura, si vedano F. Marongiu Buonaiuti, La continuità internazionale delle situazioni giuridiche e la tutela dei diritti umani di natura sostanziale: strumenti e limiti, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 10, n. 1/2016, pp. 49 ss.; F. Pesce, La tutela europea dei diritti fondamentali in materia familiare: recenti sviluppi, ivi, pp. 5 ss.; D. Rinoldi, Il diritto vivente alla prova del rispetto della vita privata, in particolare familiare, in Europa, in A. Ruggeri - D. Rinoldi - V. Petralia (a cura di), Vecchie e nuove ‘famiglie’ nel dialogo tra Corti europee e giudici nazionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2016, pp. 65 ss.

[9] Non è questa la sede per un’analisi approfondita della giurisprudenza Cedu relativa ai profili cui accenniamo nel testo, per la quale si veda la guida «Sexual orientation issues», predisposta nel marzo 2019 dal Servizio giuridico della stessa Corte e reperibile online: https://www.echr.coe.int/Documents/FS_Sexual_orientation_ENG.pdf. In letteratura, vds. P. Johnson, Adoption, Homosexuality and the European Convention on Human Rights, in The Modern Law Review, 2012, pp. 1136 ss. Quanto a noi, ci limiteremo a citare, quando strettamente necessari allo sviluppo del nostro discorso, alcuni casi decisi dalla Corte Edu.

[10] «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali».

[11] Cgue, 5 giugno 2018, C-673/16, Relu Adrian Coman. Al riguardo, va detto, però, che la Carta lascia agli Stati membri un importante margine di discrezionalità: «il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». Sul principio di libera circolazione intracomunitaria degli status familiari, vds. anche Cgue, 2 dicembre 1997, C-336/94, Dafeki.

[12] Vedremo, infra, come valori siffatti possano impattare sul sistema di diritto internazionale privato, ad esempio per il tramite del limite dell’ordine pubblico.

[13] Il Parlamento italiano ha autorizzato la ratifica ed eseguito la Convenzione con la legge 18 giugno 2015, n. 101. Va detto, per chiarezza, che l’art. 4 della Convenzione esclude dall’ambito di applicazione della stessa l’esistenza di un rapporto di filiazione o le questioni relative agli alimenti.

[14] Regolamento (CE) n. 2201/2003: competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e genitoriale. Il regolamento, per espressa previsione (art. 1, par. 3, lett. a), non si applica alla determinazione o all’impugnazione della filiazione.

[15] Il decreto in parola è stato adottato in ottemperanza alla delega contenuta nella l. n. 219/2012. La legge, intitolata «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali», ha innovato la normativa sulla filiazione introducendo il principio di unicità dello stato di figlio, eliminando così ogni discriminazione fra i figli nati nel matrimonio e quelli nati al di fuori dello stesso. La delega al Governo contemplava il «riordino dei criteri di cui agli articoli 33, 34, 35 e 39 della legge 31 maggio 1995, n. 218, concernenti l’individuazione, nell’ambito del sistema di diritto internazionale privato, della legge applicabile, anche con la determinazione di eventuali norme di applicazione necessaria in attuazione del principio dell’unificazione dello stato di figlio».

[16] Sul tema vds., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, C. Honorati, La nuova legge sulla filiazione e il suo impatto sul diritto internazionale privato, in Aa. Vv., Scritti in onore di Giuseppe Tesauro, vol.IV, Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, pp. 2727 ss.; O. Lopes Pegna, Riforma della filiazione e diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale, n. 2/2014, pp. 394 ss.; F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Volume II. Statuto personale e diritti reali, Utet. Torino, 2016 (4a ed.), pp. 182 ss.

[17] Così facendo, la legge si allinea finalmente alla terminologia utilizzata nel regolamento “Bruxelles II bis”, anche se non è detto che le due espressioni debbano necessariamente coincidere nei significati; cfr. O. Lopes Pegna, Riforma della filiazione, op. cit., p. 396.

[18] Va detto che la qualificazione della previsione in parola come norma di applicazione necessaria è conseguenza del fatto che, a nostro giudizio, essa fa riferimento alle misure previste dal diritto italiano a tutela dei minori, senza che la stessa possa però essere concepita come un titolo di giurisdizione autonomo o prescindere da un titolo di giurisdizione.

[19] «1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima».

[20] «Modifiche e riordino delle norme di diritto internazionale privato per la regolamentazione delle unioni civili, ai sensi dell’articolo 1, comma 28, lettera b), della legge 20 maggio 2016, n. 76».

[21] «Il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana».

[22] «1. La capacità e le altre condizioni per costituire unione civile sono regolate dalla legge nazionale di ciascuna parte al momento della costituzione dell’unione civile. Se la legge applicabile non ammette l’unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso si applica la legge italiana. Le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 20 maggio 2016, n. 76, sono di applicazione necessaria. 2. Ai fini del nulla osta di cui all’articolo 116, primo comma, del codice civile, non rilevano gli impedimenti relativi al sesso delle parti. Qualora la produzione del nulla osta sia preclusa in ragione del mancato riconoscimento, secondo la legge dello Stato di cui lo straniero è cittadino, dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o di analogo istituto, il nulla osta è sostituito da un certificato o altro atto comunque idoneo ad attestare la libertà di stato, ovvero da dichiarazione sostitutiva ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. Resta salva la libertà di stato accertata o acquisita per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia. 3. L’unione civile è valida, quanto alla forma, se è considerata tale dalla legge del luogo di costituzione o dalla legge nazionale di almeno una delle parti o dalla legge dello Stato di comune residenza al momento della costituzione. 4. I rapporti personali e patrimoniali tra le parti sono regolati dalla legge dello Stato davanti alle cui autorità l’unione è stata costituita. A richiesta di una delle parti il giudice può disporre l’applicazione della legge dello Stato nel quale la vita comune è prevalentemente localizzata. Le parti possono convenire per iscritto che i loro rapporti patrimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno una di esse è cittadina o nel quale almeno una di esse risiede. 5. Alle obbligazioni alimentari si applica l’articolo 45».

[23] «1. In materia di scioglimento dell’unione civile la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti dagli articoli 3 e 9, anche quando una delle parti è cittadina italiana o l’unione è stata costituita in Italia. I medesimi titoli di giurisdizione si applicano anche in materia di nullità o di annullamento dell’unione civile. 2. Lo scioglimento dell’unione civile è regolato dalla legge applicabile al divorzio in conformità al regolamento (UE) n. 1259/2010 del Consiglio, del 20 dicembre 2010, relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale».

[24] «1. L’unione civile, o altro istituto analogo, costituiti all’estero tra cittadini italiani dello stesso sesso abitualmente residenti in Italia produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana».

[25] «1. Le obbligazioni alimentari nella famiglia sono regolate dalla legge designata dal regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari, e successive modificazioni».

[26] Vds., per tutti, P. Picone, La teoria generale del diritto internazionale privato nella legge italiana di riforma della materia, in Rivista di diritto internazionale, 1996, pp. 289 ss. e Id., Les méthodes de coordination entre ordres juridiques en droit international privé, in Aa. Vv., Recueil des cours, vol. 276, Accademia di diritto internazionale dell’Aia, L’Aia/Boston/Londra, 2000.

[27] Ma sul concetto di “famiglia”, come interpretato dalla Corte Edu, vds. infra, nota 55.

[28] Il rapporto è reperibile online all’indirizzo www.hcch.net.

[29] N. Di Lorenzo, Il superiore interesse del minore nel sistema di protezione del fanciullo all’interno delle relazioni famigliari, in A. Ruggeri - D. Rinoldi - V. Petralia (a cura di), Vecchie e nuove ‘famiglie’, op. cit., pp. 299 ss.; O. Lopes Pegna, L’interesse superiore del minore nel regolamento n. 2201/2003, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, n. 2/2013, pp. 357 ss.

[30] Si vedano, tra gli altri, gli artt. 3, 9, 18, 21 (in materia di adozione) e 40 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, eseguita dall’Italia con legge del 27 maggio 1991, n. 176; gli artt. 1 e 6, Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo, adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996 ed eseguita dall’Italia con legge del 20 marzo 2003, n. 77; l’art. 24, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

[31] Cfr. Corte Edu, 26 giugno 2014, Labassee c. Francia (ric. n. 65941/2011) e Mennesson c. Francia (ric. n. 65942/2011); 27 gennaio 2016, Paradiso e Campanelli c. Italia (ric. n. 25358/2012). In dottrina, vds. S. Tonolo, Identità personale, maternità surrogata e superiore interesse del minore nella più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2015, pp. 202 ss.; J. Long, Il principio dei best interests e la tutela dei minori, in F. Buffa e M.G. Civinini (a cura di), La Corte di Strasburgo, in questa Rivista trimestrale, Speciale n. 1/2019, pp. 413 ss., www.questionegiustizia.it/speciale/pdf/QG-Speciale_2019-1_60.pdf. Critica l’istituito, invece, E. Lamarque, Prima i bambini. Il principio dei best interests of the child nella prospettiva costituzionale, Franco Angeli, Milano, 2016.

[32] Sul punto vds. P. Picone, Norme di conflitto alternative italiane in materia di filiazione, in Rivista di diritto internazionale, 1997, pp. 276 ss. È il caso di sottolineare come il concorso alternativo di più criteri di collegamento per la determinazione dello status di figlio abbia un effetto rilevante anche sull’art. 65 della l. n. 218/1995, dal momento che amplia notevolmente il numero di Stati i cui provvedimenti possono beneficiare del procedimento di riconoscimento “semplificato” ivi previsto, espressione del metodo di coordinamento del rinvio all’ordinamento competente, su cui vds. P. Picone, La méthode de la référence à l’ordre juridique étranger compétent, in Aa. Vv., Recueil des cours, vol. 197, Accademia di diritto internazionale dell’Aia, L’Aia/Boston/Londra, 1986.

[33] Al riguardo, come noto, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato quattro distinte soluzioni: quella disgiunta (preferibile, secondo la quale la questione preliminare deve essere regolata dal diritto individuato applicabile dalla norma di conflitto del foro che disciplina quella specifica fattispecie), quella dell’assorbimento, quella congiunta, e quella legeforista. Sulle questioni preliminari nel diritto internazionale privato vds., per tutti, P. Picone, Saggio sulla struttura formale del problema delle questioni preliminari nel diritto internazionale privato, Jovene, Napoli, 1971; U. Villani, La questione preliminare, in U. Villani - M. Di Fabio - F. Sbordone, Nozioni di diritto internazionale privato – Parte generale e obbligazioni, Esi, Napoli, 2013, pp. 40 ss.

[34] Per l’Italia, la legge 5 febbraio 1992, n. 91, «Nuove norme sulla cittadinanza», prevede, all’art. 1, che «1. è cittadino per nascita: a) il figlio di padre o di madre cittadini; b) chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono. 2. È considerato cittadino per nascita il figlio di ignoti trovato nel territorio della Repubblica, se non venga provato il possesso di altra cittadinanza». Ricordiamo anche che, nel corso della XVII legislatura, era emerso un importante dibattito in merito all’estensione del cd. ius soli, che aveva condotto all’approvazione, il 13 ottobre 2015, da parte della sola Camera, di un testo risultante dall’unificazione di un disegno di legge d’iniziativa popolare con una serie di altri disegni di legge di iniziativa parlamentare; l’approvazione da parte del Senato è stata, però, impedita dallo scioglimento delle Camere; sul punto, cfr. U. Villani, Considerazioni introduttive in tema di cittadinanza, in A. Di Stasi (a cura di), Cittadinanza, cittadinanze e nuovi status: profili internazionalprivatistici ed europei e sviluppi nazionali, Editoriale Scientifica, Napoli, 2018, pp. 15 ss.

[35] Così F. Mosconi e C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Volume II, op. cit., p. 189.

[36] Sul punto vds., infra, il successivo paragrafo.

[37] Su tale nozione vds. M. Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2010, pp. 685 ss.

[38] M.C. Baruffi, Diritto internazionale privato e tutela degli status acquisiti all’estero. Le incertezze della Corte di cassazione con riguardo alla maternità surrogata, ivi, pp. 161 ss.; C. Honorati, Maternità surrogata, status familiari e ruolo del diritto internazionale privato, in A. Di Stasi (a cura di), Cittadinanza, op. cit., pp. 137 ss.; S. Tonolo, La trascrizione degli atti di nascita derivanti da maternità surrogata: ordine pubblico e interesse del minore, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2014, pp. 81 ss.

[39] È il caso di ricordare che la Cassazione italiana, con la sentenza 11 novembre 2014, n. 24001, ha negato la trascrivibilità di un atto di nascita di un nato in Ucraina con procedimento di surroga di maternità, con utilizzo di materiale biologico del tutto estraneo alla coppia di committenti, e confermatone lo stato di adottabilità. Di altro avviso era stata la giurisprudenza di merito che, sulle prime, riteneva che un atto siffatto fosse trascrivibile in quanto non contrario a ordine pubblico (cfr. Trib. Napoli, 1° luglio 2011; Corte appello Bari, 13 febbraio 2009)

[40] Sulla disciplina delle obbligazioni contrattuali nel diritto internazionale privato europeo, anche se con riguardo alla Convenzione di Roma, sono ancora attuali le considerazioni di U. Villani, La Convenzione di Roma sulla legge applicabile ai contratti, Cacucci, Bari, 2000.

[41] Sul problema delle qualificazioni nel diritto internazionale privato vds., per tutti, G. Cansacchi, Qualificazione di fatti o qualificazione di norme?, in Rivista di diritto civile, vol. II, 1958, pp. 58 ss.

[42] La sentenza è reperibile in questa Rivista online (questionegiustizia.it/doc/sez_unite_12193_05_2019.pdf), con un commento in prima lettura di M. Acierno e S. Celentano, La genitorialità e la gestazione per altri. L’intervento delle Sezioni unite, 14 maggio 2019, www.questionegiustizia.it/stampa.php?id=1939.

[43] Cfr. la sentenza della Corte Edu Paradiso e Campanelli, cit. alla nota 31.

[44] Per alcuni commenti a prima lettura si vedano L. Scaffidi Runchella, Osservazioni a prima lettura sulla legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nella prospettiva internazionalprivatistica, in SidiBlog, 16 maggio 2016, www.sidiblog.org/2016/05/16/osservazioni-a-prima-lettura-sulla-legge-sulle-unioni-civili-tra-persone-dello-stesso-sesso-nella-prospettiva-internazionalprivatistica/.

[45] Per una ampia analisi del tema pre-legge Cirinnà, S. Tonolo, Le unioni civili nel diritto internazionale privato, Giuffrè, Milano, 2007.

[46] V.O. Lopes Pegna, Effetti dei matrimoni same-sex contratti all’estero dopo il “riordino” delle norme italiane di diritto internazionale privato, in Rivista di diritto internazionale, n. 2/2017, pp. 527 ss.

[47] Per un riferimento a tale soluzione vds. E. Bergamini, Contratti di convivenza e unioni civili: la nuova sfida per il diritto internazionale privato italiano e dell’Unione europea, in Eurojus, 28 giugno 2016 (http://rivista.eurojus.it/contratti-di-convivenza-e-unioni-civili-la-nuova-sfida-per-il-diritto-internazionale-privato-italiano-e-dellunione-europea/ ), la quale cita a sua volta la Guida operativa in tema di convivenza elaborata nel 2013 sotto gli auspici del Consiglio nazionale del notariato, con la supervisione di Luigi Balestra (disponibile online: www.notaicomolecco.it/wwwnotaileccocomoit/Downloads/Guida%20operativa_Contratti%20di%20convivenza.pdf).

[48] Il patto di solidarietà civile (Pacs) è una partnership contrattuale stabilita tra due adulti, a prescindere dal loro sesso, il cui scopo è organizzare la loro vita insieme stabilendo tra loro diritti e doveri. La legge che istituisce il Pacs fu approvata nel 1999 (sotto il Governo Jospin) al fine di offrire tutela alle coppie omosessuali che aspiravano a un riconoscimento del loro status. Il 23 aprile 2013 il Parlamento francese ha approvato la proposta di legge del Governo Hollande di estendere l’istituto del matrimonio alle coppie dello stesso sesso. Limitandoci all’Europa, ricordiamo che il matrimonio tra persone dello stesso sesso è oggi possibile in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania (su cui vds. la nota successiva), Grecia, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito (a esclusione dell’Irlanda del Nord), Spagna e Svezia. Non esiste una possibilità siffatta, oltre che in Italia, in Bulgaria, Croazia, Estonia, Romania.

[49] La legge sul partenariato civile registrato, in vigore nella Repubblica federale di Germania dal 2001 al 2017, permetteva di istituire unioni civili indipendentemente dall’orientamento sessuale delle parti. Il 1° ottobre 2017 è stata introdotta la legge sul diritto al matrimonio per le persone dello stesso sesso; a partire da tale data, quindi, non è più possibile la creazione di nuove partnership e quelle già esistenti possono essere convertite, su richiesta, in matrimonio. In questo caso, insomma, siamo in presenza di un fenomeno di upgrade volontaria dell’unione civile in matrimonio, opposto al downgrade del matrimonio in unione civile, previsto invece nell’ordinamento italiano, di cui diremo infra.

[50] Su cui vds., per tutti, B. Barel, Cittadinanza e disciplina di conflitto delle unioni civili,in A. Di Stasi (a cura di), Cittadinanza, op. cit. pp. 171 ss.

[51] La Corte di cassazione, sez. I civ., 30 novembre 2017 – 14 maggio 2018, n. 11696, ha chiarito che «la specialità del nuovo regime giuridico come illustrato evidenzia, da un lato, che non può essere valutato il limite dell’ordine pubblico internazionale in astratto, disancorato dalle norme di diritto internazionale privato concretamente in vigore, e, dall’altro, che la scelta legislativa è del tutto compatibile con tale parametro» e sancito così la legittimità, a suo giudizio, del downgrade. In dottrina, prima di questa sentenza, vds. A. Fuchs, Registered partnership, same-sex marriage and children: crossing borders, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, n. 2/2016, pp. 445 ss.; O. Lopes Pegna, Effetti in Italia del matrimonio fra persone dello stesso sesso celebrato all’estero: solo una questione di ri-qualificazione?, in Diritti umani e diritto internazionale, n. 1/2016, pp. 89 ss.; Id. Riqualificazione del matrimonio same-sex estero in unione civile “italiana”: una soluzione irragionevole in G. Conte e S. Landini (a cura di), Principi, regole, interpretazione. Contratti e obbligazioni. Famiglie e successioni. Scritti in onore di Giovanni Furgiuele, Universitas Studiorum, Mantova, 2017, pp. 95 ss.

[52] Così anche L. Scaffidi Runchella, Osservazioni, op. cit.

[53] Corte Edu, 16 luglio 2014, Hämäläinen c. Finlandia (ric. n. 37359/2009).

[54] Si vedano, in tal senso, la sentenza cit. supra alla nota 7 e la successiva sentenza n. 170/2014, che vi si rifà. Si vedano anche Cass, sez. I civ., 15 marzo 2012, n. 4184 e l’ordinanza di rinvio alla Corte costituzionale.

[55] Corte Edu, 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria; Corte Edu, 19 febbraio 2013, X e altri c. Austria; Corte Edu, 24 luglio 2003, Karner c. Austria.

[56] Si veda, supra,la nota 48.