Magistratura democratica

L’attività delle organizzazioni internazionali in Libia e le problematiche ripercussioni sull’esternalizzazione del diritto di asilo

di Asgi

I meccanismi di ETM e resettlement applicati in Libia, pur introdotti con finalità umanitarie per far fronte alle esigenze di protezione di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, non rappresentano oggi strumenti che possono sostituire in alcun modo il mancato accesso alla protezione internazionale o anche solo mitigare gli effetti della progressiva negazione del diritto di asilo per le migliaia di cittadini stranieri che si trovano in Libia.

1. Esternalizzazione del diritto di asilo ed esternalizzazione delle frontiere in Libia / 2. Il meccanismo ETM e il resettlement dalla Libia come contrappeso alle politiche di esternalizzazione delle frontiere / 3. Il funzionamento dell’Emergency Transit Mechanism dalla Libia e del successivo reinsediamento dal Niger / 4. Il ruolo dell’Unhcr nel meccanismo di resettlement dalla Libia / 5. La natura giuridica dell’ETM e del resettlement dalla Libia/ 6. Il dialogo tra Unione europea e organizzazioni internazionali nella progressiva esternalizzazione della valutazione delle domande di asilo / 7. Conclusioni

 

1. Esternalizzazione del diritto di asilo ed esternalizzazione delle frontiere in Libia

A partire dalle conclusioni del Consiglio Europeo del 15 dicembre 2016[1], l’Unione europea ha progressivamente individuato nella Libia l’interlocutore principale per garantire una diminuzione dei flussi migratori, attraverso un controllo più stringente delle frontiere marittime e terrestri del Paese.

Il 2 febbraio 2017, Libia e Italia firmavano un Memorandum of understanding[2] con il quale il nostro Paese si impegnava a contribuire allo sviluppo delle capacità di sorveglianza della frontiera e al rafforzamento del sistema di centri di detenzione per migranti attraverso supporto logistico, finanziario e tecnologico. Attraverso il Memorandum, il Governo libico si impegnava a sviluppare – con il sostegno dell’Italia – un sistema di controllo del confine marittimo e terrestre. Il Memorandum, di fatto, introduceva un modello di controllo delle frontiere “esternalizzato”, basato sui cd. “push backs by proxy[3] o “respingimenti delegati”: un’evoluzione della pratica dei respingimenti diretti verso la Libia, dichiarata illegittima dalla Corte Edu con la celebre sentenza sul caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 2012[4]. Il 3 febbraio 2017, al Vertice europeo de La Valletta[5], i leader della Ue riaffermavano l’importanza dell’assistenza alle comunità locali in Libia e alle organizzazioni internazionali attive nel Paese, oltre che dello sviluppo delle capacità della Guardia costiera libica e delle altre agenzie rilevanti.

Il consolidamento della cooperazione con la Libia in materia di esternalizzazione trovava ulteriore riscontro nelle conclusioni del Consiglio europeo del 26 giugno 2018, che individuavano nella neocreata Guardia costiera libica un interlocutore istituzionale all’interno del fragile Governo di unità nazionale del premier Al-Sarraj, destinatario di interventi e finanziamenti europei[6].

Gli effetti della stipula del Memorandum tra Italia e Libia furono immediati: sin dai primi mesi del 2017 si verificava, infatti, una drastica diminuzione degli arrivi sulle coste italiane[7] e una corrispondente crescente difficoltà delle persone a lasciare la Libia.

Tale processo non può che inserirsi nel più ampio contesto delle politiche di esternalizzazione, presenti nel dibattito in seno all’Unione europea fin dagli anni ottanta del secolo scorso. Come si vedrà nel prosieguo, tali politiche, nel corso dei decenni, si sono declinate non solo in un più stringente controllo delle frontiere esterne dell’Unione, attuato anche intercettando imbarcazioni di migranti in mare o negando loro lo sbarco, creando così una serie di ostacoli fattuali e giuridici all’ingresso di cittadini stranieri sul territorio, ma anche attraverso la delocalizzazione della valutazione delle domande di protezione internazionale da costoro presentate, arrivando così a interessare anche il diritto di asilo[8].

L’esternalizzazione del diritto di asilo può essere definita come il processo in base al quale uno Stato utilizza il territorio di un altro Stato, con o senza l’assistenza di organizzazioni internazionali, al fine di decidere su una richiesta di asilo che il richiedente ha già presentato sul suo territorio o avrebbe presentato se non fosse stato intercettato lungo il percorso[9].

Vi è, com’è evidente, una contiguità logico-giuridica tra l’esternalizzazione del diritto di asilo e le politiche di esternalizzazione dei confini dell’Unione europea[10], politiche di cui il diritto di asilo, nella sua espressione piena e assoluta intesa come diritto a fare ingresso sul territorio di un altro Stato al fine di chiedere protezione, costituirebbe un elemento controproducente e potenzialmente scardinante.

In questo contributo si andranno a studiare le interazioni tra questi due processi in Libia, verificando come le politiche di blocco abbiano inciso sulla contrazione del diritto di asilo, se a fronte di ciò siano stati individuati meccanismi di correzione e come questi abbiano influito sull’avanzamento dei processi di esternalizzazione del diritto di asilo e di valutazione extraterritoriale delle domande di protezione.

 

2. Il meccanismo ETM e il resettlement dalla Libia come contrappeso alle politiche di esternalizzazione delle frontiere

A fronte di un blocco sempre più consistente del flusso di stranieri in fuga dalla Libia, l’Unione europea e gli Stati membri ponevano un accento sempre crescente su strumenti, già individuati nella cd. «Agenda europea sulla migrazione» del 2015[11], che potessero bilanciare le inevitabili restrizioni all’esercizio del diritto di asilo determinate dagli stringenti controlli frontalieri. La Commissione europea iniziava così a promuovere il reinsediamento, o “resettlement”, dalla Libia quale via di ingresso sicuro in Europa per i rifugiati: attraverso tale strumento, 20.000 rifugiati avrebbero dovuto essere reinsediati in Europa entro il 2020[12].

A causa delle difficoltà nell’applicare le procedure di resettlement direttamente dai centri di detenzione libici, per via della situazione di grave instabilità e di costante violazione dei diritti umani in Libia, a partire dal 2017 tale strumento veniva poi integrato dall’«Emergency Transit Mechanism» (ETM), in base al quale i cittadini stranieri ritenuti potenziali rifugiati dall’Unhcr potevano essere evacuati dalla Libia e trasferiti in Niger, per poi eventualmente accedere al programma di resettlement[13].

Pertanto, come confermato dagli aggiornamenti all’Agenda europea sulla migrazione del 2018[14], l’ETM e il resettlement sarebbero dovuti diventare meccanismi centrali nell’approccio integrato alla gestione dei flussi migratori, per garantire accesso alla protezione e al diritto di asilo ai rifugiati impossibilitati a fuggire dalla Libia per via del controllo “esternalizzato” delle frontiere.

 

3. Il funzionamento dell’Emergency Transit Mechanism dalla Libia e del successivo reinsediamento dal Niger

L’Unhcr descrive l’ETM come un programma inteso a «fornire assistenza salva-vita ai rifugiati in Libia, attraverso l’evacuazione in Niger, che ha temporaneamente esteso il proprio spazio di asilo»; l’obiettivo, secondo l’Unhcr, è «cercare soluzioni durature, incluso il reinsediamento»[15].

I rifugiati e i richiedenti asilo trattenuti nei centri di detenzione in Libia entrano in contatto con l’Unhcr, che li identifica e registra come potenziali rifugiati per poi trasferirli in Niger[16]. L’accesso ai centri è regolamentato unicamente dalle autorità libiche, le quali possono facilitare o impedire l’ingresso del personale dell’Unhcr, nonché decidere quali detenuti possono incontrarne i funzionari[17]. Come già riportato da Asgi[18], prima del trasferimento in Niger il richiedente asilo può essere sottoposto anche a ripetute audizioni con il personale dell’Unhcr.

Come si evince dal memorandum siglato tra l’Unhcr e il Governo del Niger[19], il trasferimento in Niger è su base esclusivamente volontaria ed è riservato alle persone che, dopo l’accertamento del loro status di richiedenti asilo in Libia, possono essere evacuate in Niger dove avranno accesso alla procedura di accertamento dello status di rifugiato da parte dell’Unhcr e all’eventuale resettlement. Non possono, viceversa, beneficiare dell’ETM né i cittadini nigerini né «coloro che possono accedere al programma di rimpatrio volontario dell’Organizzazione internazionale (Oim) dalla Libia»[20].

Anche i cittadini stranieri presenti in Niger possono accedere al programma di resettlement quando siano stati volontariamente riammessi dalla Libia e siano stati accolti nei centri di transito dell’Oim. In base a quanto previsto dalle «Standard Operating Procedures» concordate dalle due organizzazioni, è l’Oim a segnalare all’Unhcr le persone potenzialmente idonee ad accedere al resettlement[21]. Successivamente alla presa in carico da parte dell’Unhcr[22], il cittadino straniero potrà accedere alla procedura di protezione internazionale davanti al Governo nigerino e ad un’apposita «Commissione nazionale di eleggibilità» (CNE)[23]

Sia che si tratti di richiedenti asilo evacuati dalla Libia tramite l’ETM, sia che si tratti di stranieri già presenti in Niger e segnalati dall’Oim, l’audizione personale sui bisogni di protezione internazionale è sempre svolta da personale dell’Unhcr, in base a quanto previsto dal già citato Memorandum da quest’ultima stipulato con il Governo nigerino. All’esito dell’audizione, l’Unhcr predispone una valutazione («Refugee Status Determination Assessment»)[24] che tuttavia non è vincolante per la CNE nigerina, a cui spetta sempre la decisione finale in merito alla domanda di protezione. In caso di riconoscimento dello status da parte della CNE, il rifugiato potrà accedere al resettlement, a condizione che anche la valutazione dell’Unhcr sia positiva. In caso contrario, il Governo nigerino potrà comunque riconoscere l’asilo in Niger, sebbene questa sia una soluzione che il Governo ha esplicitamente qualificato nel Memorandum come praticabile per un numero limitato di persone evacuate tramite l’ETM e come ipotesi residuale, a cui fare ricorso dopo l’infruttuoso esperimento di altre possibili opzioni[25]. Pertanto, è verosimile che in presenza di una valutazione positiva dell’Unhcr il Governo del Niger accolga la richiesta di asilo, per consentire l’accesso alle procedure di resettlement verso un Paese terzo.

In caso di rigetto della domanda di protezione da parte della CNE nigerina, il richiedente asilo può presentare ricorso a un organo di appello, il Comité de recours[26]. In caso di diniego anche in appello, l’Unhcr può comunque riconoscere il richiedente come rifugiato sotto mandato[27].

Come si è detto, in caso di parere negativo dell’Unhcr il richiedente asilo non potrà lasciare il Niger, anche laddove il Governo nigerino dovesse comunque riconoscerlo come rifugiato. Diversamente dalla decisione della CNE nigerina, il parere negativo dell’Unhcr non è impugnabile, nonostante esso dispieghi effetti gravemente pregiudizievoli per il richiedente, al quale è preclusa, a partire da tale momento, la possibilità di accedere al programma di resettlement.

 

4. Il ruolo dell’Unhcr nel meccanismo di resettlement dalla Libia

Il rifugiato, evacuato dalla Libia, riconosciuto dalla Commissione per l’asilo nigerina come rifugiato e in merito al cui status l’Unhcr abbia espresso parere positivo, potrà infine accedere al procedimento di resettlement.

Secondo quanto afferma l’Unhcr nel suo Manuale sul reinsediamento[28], il resettlement è uno strumento di protezione, nonché una delle tre “soluzioni durevoli” per i rifugiati, accanto a rimpatrio volontario e integrazione locale[29]. Il reinsediamento, secondo la definizione dello stesso Unhcr, «attiene alla selezione e al trasferimento di rifugiati da uno Stato nel quale essi hanno cercato protezione a uno Stato terzo che ha acconsentito ad ammetterli – in quanto rifugiati – con uno status di residenza permanente»[30].

È importante sottolineare che l’Unhcr non qualifica il resettlement come un diritto del rifugiato. Ne discende che non è configurabile un obbligo per uno Stato terzo di accogliere un rifugiato sul proprio territorio attraverso il reinsediamento[31]. Compete esclusivamente all’Unhcr individuare i rifugiati per i quali presentare una richiesta di resettlement, attraverso un processo di scelta inevitabilmente discrezionale e insindacabile. Esistono linee guida interne all’Organizzazione, secondo le quali il reinsediamento viene proposto laddove il bisogno di protezione non sia meramente temporaneo e il rifugiato appartenga a una delle seguenti categorie: persone bisognose di protezione fisica o legale, sopravvissuti a tortura e/o violenza, soggetti bisognosi di cure mediche, donne e ragazze a rischio, soggetti per cui è possibile procedere a riunificazione familiare, bambini e adolescenti a rischio, o comunque persone per le quali non ci siano altre soluzioni alternative durature[32].

In ogni caso, agli interessati non viene rilasciata alcuna formale comunicazione in merito all’esito della valutazione della sussistenza o meno dei requisiti per accedere al programma di resettlement, quindi ai motivi del parere negativo. Anche la scelta dei Paesi di destinazione ai quali inviare la richiesta di reinsediamento è lasciata alla discrezione dell’Unhcr, che la effettua tenendo in considerazione i rapporti familiari, la priorità della richiesta, il numero di quote annuali, la disponibilità del Paese destinatario a eventuali trattamenti medici, le conoscenze linguistiche, gli aspetti culturali, la nazionalità, la configurazione della famiglia e, se possibile, la preferenza espressa dal rifugiato[33].

Per quanto riguarda il resettlement dal Niger, la discrezionalità dell’Unhcr nella scelta dei beneficiari appare almeno in parte mitigata, in quanto tutti i rifugiati evacuati dalla Libia e che soddisfano gli ulteriori criteri già ricordati in precedenza (tra cui, si badi, il parere dello stesso Unhcr in merito allo status di rifugiato) sono automaticamente inclusi nel programma. Per ciascuno di essi, l’Unhcr trasmette una richiesta di accoglienza a un Paese europeo o extra europeo che ha dato la sua disponibilità. La richiesta è corredata di una serie di precise informazioni relative alla persona ai suoi bisogni di protezione. Ogni richiesta deve includere un «Resettlement Registration Form» con il quale l’Unhcr presenta i bisogni di ciascun rifugiato al Paese di destinazione, con una serie di precise informazioni relative alla sua domanda di protezione, alla valutazione della stessa da parte dell’Agenzia delle Nazioni Unite, al grado di priorità e alle esigenze connesse alla richiesta di resettlement.

A seguito della richiesta, si instaura una fase istruttoria tra l’Unhcr e il Paese di possibile destinazione, il quale può chiedere informazioni aggiuntive[34]; alcuni Stati, tra cui la Francia, svolgono spesso nuovi colloqui con i potenziali beneficiari nel corso di missioni ad hoc a cui partecipano membri del Ministero dell’Interno. Altri Paesi invece, tra cui l’Italia, trasmettono all’Unhcr un questionario contenente domande specifiche[35]. Con rare eccezioni, tutti i Paesi di possibile destinazione chiedono di raccogliere le impronte digitali. La richiesta di resettlement viene fatta per un Paese alla volta e, laddove uno Stato rigetti l’istanza, l’Unhcr può decidere di ripresentare la richiesta a un altro Stato.

Il rifugiato non è parte del procedimento, che coinvolge solo l’Unhcr e il possibile Stato ospitante. Le richieste, gli eventuali rigetti e i relativi motivi non sono mai comunicati in forma scritta al rifugiato, il quale rimane in attesa che il procedimento si concluda senza poter introdurre nuovi elementi a sostegno della richiesta o a contestazione di quanto opposto dallo Stato di possibile destinazione.

Come già ricordato, non sussistendo un obbligo per lo Stato ospitante di accettare un rifugiato sul proprio territorio attraverso il resettlement, il rifugiato non dispone di alcun mezzo di impugnazione per opporsi nel merito alla decisione che lo riguarda o per far valere eventuali omissioni, vizi o errori del procedimento.

 

5. La natura giuridica dell’ETM e del resettlement dalla Libia

Alla luce di quanto precede, si deve pertanto concludere che sia l’ETM sia il resettlement consistano in istituti di natura umanitaria, discrezionale e concessoria.

Anzitutto, con riferimento al contesto libico, l’accesso a tali meccanismi non è libero, dal momento che i beneficiari sono persone che si trovano in situazioni di detenzione in condizioni spesso inumane, alla mercé di carcerieri che inevitabilmente dispongono del potere di decidere, in maniera di fatto incontrollabile, chi può avere contatti con l’Unhcr e quindi potenzialmente accedere o meno al programma di ETM e al successivo resettlement dal Niger. La reale possibilità di beneficiare dell’evacuazione dipende, inoltre, da fattori di natura pratica e organizzativa, quali la disponibilità di quote in Niger o di posti sui voli umanitari.

La stessa discrezionalità è propria della fase successiva legata alla valutazione della richiesta di protezione e all’individuazione del Paese ospitante. Tutte le decisioni dell’Unhcr, nonostante le loro evidenti ripercussioni sulla sfera dei diritti fondamentali del rifugiato, sono discrezionali e inappellabili. Inoltre, come si è detto, il rifugiato non riceve mai provvedimenti scritti in una lingua a lui comprensibile e non ha la possibilità di interloquire con l’Unhcr in merito alle scelte da quest’ultimo compiute sulla scelta del Paese a cui presentare la richiesta o sulla decisione se presentare una nuova richiesta a seguito di un eventuale rifiuto.

La natura concessoria di questo procedimento rende gli strumenti di ETM e resettlement un percorso senza garanzie, comprimendo lo spettro di contestazione e rivendicazione giuridica da parte della persona interessata, in ciò segnando una profonda differenza con il diritto di asilo che, com’è noto, costituisce un diritto soggettivo suscettibile di riconoscimento anche in via giudiziale in un contesto interno come quello italiano, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Suprema corte[36].

Del resto, come già ricordato, lo stesso Unhcr esclude esplicitamente che il resettlement possa essere considerato come un diritto del rifugiato, né ha mai sostenuto che tale meccanismo potesse costituire un surrogato del diritto di asilo o un’idonea compensazione della sua assenza laddove l’accesso all’asilo sia negato, come attualmente lo è nel contesto libico.

 

6. Il dialogo tra Unione europea e organizzazioni internazionali nella progressiva esternalizzazione della valutazione delle domande di asilo

L’idea di esternalizzare in Paesi terzi il procedimento di valutazione della domanda di asilo, anche attraverso l’istituzione di centri a ciò dedicati all’interno dei quali trattenere i richiedenti, si sviluppa parallelamente alle politiche di esternalizzazione dei confini, a partire da ben prima dei già ricordati sviluppi del 2017. Limitando la presente analisi al contesto europeo[37], uno dei primi Paesi che ha suggerito di istituire centri fuori dal territorio dell’Unione al fine esaminare le domanda di asilo è stata la Danimarca in una proposta, poi non recepita, presentata all’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1986[38].

Fin dai primi anni 2000, organizzazioni internazionali come l’Oim e l’Unhcr entravano a far parte del panorama di soggetti coinvolti, a vario titolo, nel processo politico destinato a teorizzare e poi attuare la progressiva esternalizzazione del diritto di asilo attraverso la creazione di centri extra-Ue ove valutare le richieste di protezione.

Nel 2003 l’allora Primo ministro britannico Tony Blair presentava all’Ue una «New Vision for Refugees»[39] in cui proponeva di istituire centri per richiedenti asilo al di fuori del territorio della Ue: le «Regional Protection Zones», da collocare nelle regioni di origine dei rifugiati, e i «Transit Processing Centres», ubicati a ridosso dei confini esterni dell’Unione. I centri, che secondo il progetto sarebbero stati gestiti dall’Oim e finanziati dai Paesi membri, avrebbero avuto il duplice scopo di processare le domande di asilo e rappresentare un deterrente per i migranti “indesiderati”[40].

In risposta al progetto, l’Unhcr proponeva un modello “tripartito”[41], fondato sullo sviluppo di soluzioni regionali, di procedure di asilo nazionali e sulla creazione di centri chiusi all’interno del territorio dell’Unione per processare esclusivamente le domande di asilo manifestamente infondate[42]. La proposta veniva poi modificata eliminando il riferimento ai centri chiusi[43], ma la Commissione europea, con la comunicazione del 2003 al Consiglio e al Parlamento europei, intitolata «Verso regimi di asilo più accessibili, equi e meglio gestiti»[44], recepiva l’idea di creare centri chiusi ai confini della Ue e rilanciava l’idea del resettlement da Paesi terzi come la procedura privilegiata per l’accesso dei rifugiati al territorio dell’Unione.

Il dibattito sul punto prendeva nuova vita alcuni anni dopo, quando nel suo «Programma di Stoccolma» del 2009 il Consiglio europeo chiedeva da un lato all’Unione di rafforzare il sostegno all’Unhcr, dall’altro alla Commissione di studiare nuove modalità di accesso all’asilo, tra cui programmi volti alla valutazione delle domande di asilo sul territorio di Paesi terzi di transito, programmi a cui gli Stati membri avrebbero potuto partecipare su base volontaria[45].

Nello stesso periodo, l’allora commissario europeo per la giustizia e gli affari interni Jacques Barrot rilasciava un’intervista[46] in cui proponeva l’apertura di «reception points» in Libia per i richiedenti asilo presenti sul suo territorio. Nello stesso anno, la Francia proponeva al Consiglio dell’Unione europea un partenariato con i Paesi di origine e di transito dei migranti con lo scopo di trovare soluzioni innovative per l’accesso alla procedura di asilo, in particolare «negoziati trilaterali con l’Unhcr, la Libia e l’Oim per valutare la possibilità di istituire un programma di protezione ad hoc in tale Paese per le persone intercettate in mare e successivamente rimpatriate»[47]. La proposta riceveva a stretto giro il supporto dell’Italia e del Consiglio dell’Unione europea nell’ottobre 2009[48], nonché quello dei ministri dell’interno dell’Unione riunitisi nel febbraio 2010[49], nonostante molti osservatori internazionali avessero fatto presente la sistematica esposizione di rifugiati e richiedenti asilo a gravi violazioni dei diritti umani in Libia[50].

Nel marzo 2014, con la comunicazione «Un’Europa aperta e sicura: come realizzarla», la Commissione europea conferiva nuovo slancio alla possibilità di valutare le domande di asilo fuori dal territorio dell’Unione[51]. Nel giro di pochi mesi, alcuni Paesi membri, tra i quali l’Italia con l’allora premier Renzi, riproponevano l’idea di istituire centri per migranti a gestione Onu sulle coste libiche[52].

Allo stesso modo, i Paesi partecipanti al cd. “processo di Khartoum”, avviato il 28 novembre 2014, convenivano circa la possibilità di assistere i Paesi della regione del Corno d’Africa a «istituire e gestire centri di accoglienza» e «garantire accesso alla procedura di asilo» in modo da «scrutinare i flussi migratori misti»[53].

A seguito del tragico naufragio al largo delle coste della Libia del 18 aprile 2015, nel quale perdevano la vita molte centinaia di migranti, la Commissione europea adottava l’«Agenda europea sulla migrazione»[54], in cui proponeva misure concrete per prevenire viaggi pericolosi, tra cui la creazione di «un centro pilota multifunzionale» in Niger. Secondo tale documento, «In collaborazione con l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), l’Unhcr e le autorità del Niger, il centro offrirà informazioni, protezione locale e opportunità di reinsediamento alle persone in stato di necessità», ma anche prospetterà opzioni di rimpatrio volontario assistito ai migranti irregolari[55].

Come è stato osservato[56], questa proposta ha rappresentato un importante passaggio intermedio verso lo stabilimento di un vero e proprio centro di transito dove valutare le domande di asilo al di fuori del territorio Ue. Con un policy paper pubblicato nel 2010, l’Unhcr aveva già marcato una netta discontinuità rispetto alle proprie precedenti posizioni in merito alla valutazione di domande di asilo fuori dal territorio dell’Unione[57], non solo ammettendo la legittimità della valutazione “extraterritoriale” di domande presentate da richiedenti asilo intercettati in mare, ma aprendo anche alla possibilità di un contributo diretto dell’Unhcr nel processo[58]. Nel maggio del 2016, l’Unhcr arrivava a dare un sostanziale assenso a una proposta dell’allora ministro dell’interno Alfano, ripresa anche dalla presidenza di turno dell’Ue[59], di istituire al largo della Libia degli “hotspot galleggianti” a bordo di navi o piattaforme marittime, dove processare le domande di asilo[60]. L’Alto commissario Onu Filippo Grandi sosteneva al riguardo l’esistenza di «ragioni molto convincenti che militano in favore di questa soluzione», aggiungendo che «[l]a questione non è dal punto di vista dei principi, ma dal punto di vista pratico: se si può fare o no»[61]. Del resto, nel policy paper del 2010, l’Unhcr prospettava la possibilità di una valutazione preliminare della domanda di asilo direttamente a bordo di una nave che avesse effettuato un’intercettazione in mare, aprendo però anche alla possibilità di una valutazione completa di alcune domande, come quelle manifestamente infondate o manifestamente fondate[62].

La proposta degli “hotspot galleggianti” non trovava concreta attuazione negli anni successivi, mentre a risultati molto più tangibili portava l’idea, formulata da Ue e Stati membri, e avallata dall’Unhcr, di creare centri per la valutazione delle domande di asilo in Paesi terzi e di transito. Nel marzo 2015, in una proposta su come affrontare l’arrivo di richiedenti asilo, rifugiati e migranti sul territorio dell’Ue, l’Unhcr apriva alla possibilità di processare le domande di asilo in Paesi terzi di transito «in Africa e in Medio Oriente», incoraggiando la partecipazione di Easo, e dicendosi disponibile ad assistere le istituzioni europee nel valutare le condizioni per attuare un programma di reinsediamento di rifugiati «da un centro pilota in Africa settentrionale o orientale»[63].

Nel corso del 2017 riprendeva vigore l’iniziativa degli Stati membri di stabilire dei centri per processare le domande di asilo direttamente nei Paesi di transito dei migranti, con la collaborazione delle stesse autorità locali. In occasione di una riunione dell’allora ministro dell’interno Minniti con i suoi omologhi di Ciad, Libia, Mali e Niger, tenutasi nell’agosto del 2017, si concordava la nascita di una task force ad alto livello delle forze di sicurezza al fine di assicurare maggiore controllo dei confini marittimi e terrestri, allo stesso tempo ribadendo la «necessità di un maggiore coinvolgimento dell’Oim e dell’Unhcr per realizzare in Niger e Ciad (e migliorare in Libia) i centri di accoglienza per migranti irregolari»[64]. Sull’esempio dell’iniziativa italiana, a margine di un vertice tenutosi il 29 e 30 novembre 2017 ad Abidjan, l’Unione europea, l’Unione africana e l’Onu convenivano di istituire una task force congiunta sulla migrazione, in particolare per fare fronte alla situazione in Libia, con la finalità di accelerare i rimpatri volontari e il reinsediamento delle persone bisognose di protezione internazionale, «continuando ad assicurare che attraverso le organizzazioni internazionali il reinsediamento volontario sia accessibile per i bisognosi, sia verso i Paesi di origine sia verso Paesi terzi»[65]. A tale iniziativa se ne aggiungeva una parallela patrocinata dall’Italia, e cioè l’accordo tra l’Unhcr e il Governo libico volto a creare a Tripoli una «struttura di transito e partenza»[66] per accelerare rimpatri volontari e reinsediamenti. Sempre nel novembre 2017, il reinsediamento e la valutazione offshore delle domande di protezione di stranieri presenti in Libia venivano integrati dal già ricordato meccanismo di ETM, attraverso il quale l’Unhcr iniziava a valutare in Niger le domande dei richiedenti evacuati dalla Libia.

Il 2018 registrava ulteriori passi in avanti sulla strada dell’esternalizzazione della valutazione delle domande di asilo. Il 28 giugno, raccogliendo una proposta congiunta dell’Unhcr e dell’Oim[67], il Consiglio europeo invitava il Consiglio e la Commissione Ue a elaborare, «in stretta cooperazione con i Paesi terzi interessati e con l’Unhcr e l’Oim», una proposta di gestione dei flussi migratori attraverso l’istituzione di «piattaforme regionali di sbarco» da stabilirsi fuori dal territorio Ue[68]. Poco dopo, a luglio 2018, la Commissione presentava un non-paper[69] che, pur facendo riferimento a tutti i Paesi del Mediterraneo, alludeva chiaramente all’istituzione di piattaforme di sbarco in Paesi del Nord-Africa, dietro la negoziazione di «pacchetti ad hoc e personalizzati» con i Paesi terzi interessati[70]. Il non-paper delineava le “piattaforme” come meccanismi deputati non solo allo sbarco di migranti soccorsi in acque internazionali o in acque territoriali di Paesi terzi da parte di imbarcazioni battenti bandiere di un Paese membro o di Paesi terzi, ma anche alla valutazione della loro domanda di asilo al di fuori del territorio Ue[71]. Anche nelle piattaforme di sbarco, per i cittadini stranieri riconosciuti come bisognosi di protezione internazionale, si aprirebbero le porte del resettlement o di altre opzioni come l’integrazione locale, mentre gli altri sarebbero avviati al rimpatrio (“preferibilmente volontario”) nei propri Paesi di origine. Anche in questa occasione, la Commissione richiamava esplicitamente l’importanza della «cooperazione con Unhcr e Oim, al fine di offrire [ai migranti] soluzioni differenziate e ridurre il rischio di un loro ulteriore spostamento ed evitare al contempo di creare fattori di attrazione»[72]. All’idea di istituire piattaforme di sbarco non è stato finora dato seguito, in quanto nessun Paese terzo ha per il momento accettato di ospitarne una; la stessa Unione africana ha espressamente rigettato l’idea, pur non nascondendo la propria preoccupazione che alcuni Stati africani possano accettare, allettati dalla prospettiva di ottenere in cambio incentivi o risorse economiche[73].

Nelle conclusioni del 28 giugno 2018, il Consiglio europeo proponeva altresì l’istituzione di «centri controllati» sul territorio degli Stati membri, al fine di creare infrastrutture centralizzate di accoglienza dove le autorità di confine dell’Unione europea e le agenzie Onu possano velocemente distinguere tra i migranti bisognosi di protezione e quelli da rimpatriare[74]. Anche questa proposta, ad oggi, risulta inattuata.

Nel suo più recente progress report del 2019 sull’attuazione dell’Agenda europea sulla migrazione, la Commissione europea qualificava l’operazione dell’Unhcr di evacuazione verso il Niger come «di vitale importanza»[75]. Nel settembre 2019, l’Unhcr dava avvio a un ulteriore programma di ETM, finanziato anche dal Governo italiano, finalizzato all’evacuazione di rifugiati e richiedenti asilo dalla Libia verso il Ruanda.

L’ultimo e più recente sviluppo in questa materia si registra con le dichiarazioni dell’attuale ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Luigi Di Maio, il quale, in occasione di un’audizione parlamentare tenutasi l’11 dicembre 2019[76], ha reso noto di aver chiesto e ricevuto una proposta di piano da parte dell’Unhcr e dell’Oim per gestire i centri di detenzione in Libia. La richiesta di accesso civico avanzata da Asgi per ottenere copia dei documenti in questione, al fine di conoscere il contenuto della proposta[77], è stata respinta dal Ministero.

 

7. Conclusioni

I meccanismi di ETM e resettlement applicati in Libia, pur introdotti con finalità umanitarie per far fronte alle esigenze di protezione di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, non rappresentano oggi strumenti che possano sostituire in alcun modo il mancato accesso alla protezione internazionale o anche solo mitigare gli effetti della progressiva negazione del diritto di asilo per le migliaia di cittadini stranieri che si trovano in Libia. Come si è visto, ETM e resettlement costituiscono infatti strumenti di natura concessoria, applicati con amplissimi margini di discrezionalità e non soggetti ad alcun tipo di controllo giurisdizionale. È evidente l’assoluta estraneità dei due strumenti rispetto al diritto di asilo così come previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e dalla Costituzione Italiana: un diritto soggettivo pieno e perfetto, il riconoscimento del quale può essere rivendicato da chicchessia senza ulteriori condizioni o distinzioni, tantomeno di natura discriminatoria come, ad esempio, nazionalità o modalità di ingresso sul territorio. Da un punto di vista giuridico, pertanto, ETM e resettlement non possono essere considerati come strumenti che di per sé legittimano la logica del processo di esternalizzazione del diritto di asilo, in quanto in nessun modo possono esserne considerati sostituti o surrogati.

Allo stesso tempo, come si è visto nel paragrafo che precede, il ricorso crescente ai due meccanismi si inserisce nella più complessiva strategia di gestione (o, per meglio dire, di tentativo di blocco) dei flussi migratori provenienti dalla Libia da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, divenendo così parte della retorica governativa che li vuole dipingere come contrappeso sufficiente per controbilanciare le politiche, altrimenti intollerabili e insostenibili anche dinanzi all’opinione pubblica, di serrato controllo dei confini, di respingimenti in mare anche per procura, e di permanenza forzata di richiedenti asilo e rifugiati in un Paese dilaniato da un devastante conflitto armato che si protrae da quasi dieci anni.

La sempre crescente difficoltà per i richiedenti asilo a lasciare il Paese nordafricano determina, infatti, una contrazione della libertà di movimento che ha dirette e inevitabili conseguenze proprio sul diritto a presentare domanda di protezione internazionale e accedere alla relativa procedura. La violazione determinata dalle condotte di Unione europea e Stati membri può essere rimediata esclusivamente consentendo l’esercizio di quel diritto, in precedenza illegittimamente impedito attraverso respingimenti e altre restrizioni alla libertà di movimento, attraverso l’ingresso dello straniero sul territorio europeo e il successivo espletamento delle procedure volte all’accertamento del suo bisogno di protezione. Questa interpretazione è, peraltro, stata recentemente fatta propria dal Tribunale civile di Roma[78], il quale ha riconosciuto, per la prima volta, il diritto di fare ingresso in Italia a 14 cittadini eritrei che nel giugno del 2009, dopo essersi imbarcati dalle coste della Libia, erano stati soccorsi in mare dalla Marina italiana e poi riconsegnati alle autorità libiche. Il Tribunale ha così condannato la Pubblica amministrazione a consentire l’ingresso dei cittadini eritrei in Italia per formalizzare la propria domanda di protezione, quale unico meccanismo rimediale della violazione del diritto di asilo derivante dal loro illegittimo respingimento da parte delle autorità italiane.

Se quindi ETM e resettlement non costituiscono in alcun modo attenuazioni, né tantomeno riparazioni, delle violazioni del diritto di asilo determinate dalle politiche di esternalizzazione, il reale impatto di tali due strumenti non può non essere letto nel contesto del più ampio percorso politico e giuridico che, da oltre 40 anni, tende all’esternalizzazione della domanda di asilo e della sua valutazione, anche attraverso la creazione in Paesi terzi di appositi centri a ciò preposti. In tale contesto, l’indubbio contributo dell’Unhcr a tale tipo di interventi in Libia e Niger, fortemente richiesto, sostenuto e finanziato dall’Ue e dagli Stati membri, nonostante la sua estraneità al diritto di asilo, rischia di essere utilizzato in maniera strumentale da costoro per sostenere la legittimità di politiche volte a negare l’accesso al territorio europeo al fine di presentare domanda di protezione internazionale.

Infatti, a seguito dell’introduzione, anche grazie al contributo dell’Unhcr, di un meccanismo di valutazione della domanda di asilo extraterritoriale e della conseguente possibilità di ingresso di un numero (pur esiguo) di rifugiati nell’Unione europea, gli Stati membri dell’Unione hanno potuto a più riprese richiamare il ruolo svolto dalle organizzazioni internazionali come garanzia di protezione nei confronti dei rifugiati presenti in Libia, mistificando pertanto la stessa portata dell’azione dell’Unhcr, impegnato in un delicato tentativo di tutelare la Convenzione di Ginevra anche in un contesto particolarmente precario e pericoloso, in cui la sua attività non può che essere limitata e parziale.

Non si può quindi escludere a priori che l’operato di Unhcr abbia fornito in qualche misura legittimazione al processo di esternalizzazione della protezione internazionale in Libia, fortemente voluto dagli Stati europei. L’intervento umanitario dell’Unhcr attraverso ETM e resettlement sembra aver anzi influito sul quarantennale percorso intrapreso da Unione e Stati membri, nella misura in cui costoro hanno sostenuto e fatto proprio l’intervento dell’Unhcr come idoneo a garantire, almeno in una certa misura, il diritto di asilo, seppur al di fuori del territorio comunitario e in assenza delle garanzie sostanziali e procedurali previste dagli ordinamenti interni degli stessi Stati europei. In questo contesto, si è fatta poco a poco avanti l’idea che tale processo fosse non più solo immaginabile, ma concretamente possibile, così come confermano le stesse proposte di gestione dei centri di detenzione in Libia inoltrate dall’Oim e dall’Unhcr al Ministero degli esteri italiano o la proposta di piattaforme di sbarco nei Paesi nordafricani.

Così facendo, l’Agenzia Onu per i rifugiati corre l’evidente rischio che i suoi interventi, pur messi in atto con finalità evidentemente umanitarie e nel disperato tentativo di salvaguardare i principi fondamentali della Convenzione di Ginevra anche in contesti estremi come la Libia odierna, finiscano per fornire legittimazione e sostegno alle proposte di valutazione extraterritoriale delle domande di protezione e vengano asserviti alla logica dell’esternalizzazione del diritto di asilo, così finendo per restringere, anziché ampliare, lo spazio di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

 

* Il presente contributo è frutto del lavoro collettivo di Giulia Crescini, Alberto Pasquero, Cristina Laura Cecchini, Salvatore Fachile, Diletta Agresta e Giulia Turrini, soci dell’«Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione» (Asgi).

1. Conclusioni del Consiglio europeo, 15 dicembre 2016. Disponibile su www.consilium.europa.eu/media/21917/15-euco-conclusions-final-it.pdf.

2. Memorandum d’intesa sulla «Cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento delle sicurezza delle frontiere», 2 febbraio 2017. Disponibile su www.governo.it/sites/governo.it/files/Libia.pdf.

3. M. Giuffré e V. Moreno-Lax, The rise of consensual containment: from ‘contactless control’ to ‘contactless responsibility’ for forced migration flows, in S.S. Juss (a cura di), Research Handbook on International Refugee Law, Edward Elgar, Cheltenham, 2019.

4. Corte europea dei diritti dell’uomo [GC], Hirsi Jamaa e altri c. Italia, ric. n. 27765/2009, 23 febbraio 2012. Disponibile su https://hudoc.echr.coe.int/app/conversion/pdf/%3Flibrary%3DECHR%26id%3D001-109231%26filename%3D001-109231.pdf%20.

5. Dichiarazioni e osservazioni del Consiglio europeo al termine del Vertice de La Valletta, 3 febbraio 2017. Disponibile su www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2017/02/03/malta-declaration/.

6. Conclusioni del Consiglio europeo, 28 giugno 2018. Disponibile su www.consilium.europa.eu/media/35947/28-euco-final-conclusions-it.pdf.

7. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, nel 2017 sono state 20.335 le persone intercettate in mare e riportate sulla terraferma dalle autorità libiche (dati disponibili su www.iom.int/sites/default/files/situation_reports/file/Libya_SR_20171129-20171229.pdf). A ciò ha corrisposto una forte diminuzione degli arrivi: se nella prima metà del 2017 un totale di 83.754 persone ha raggiunto l’Italia via mare, fra luglio e novembre dello stesso anno è arrivato in Italia un totale di 33.288 tra rifugiati e migranti. Il dato risulta eclatante se si considera che, nella seconda metà del 2016, il numero degli arrivi sulle coste italiane è stato di 111.214 persone (dati disponibili su www.libertaciviliimmigrazione.dlci.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/cruscotto_statistico_giornaliero_31_gennaio_2017_1.pdf).

8. G. Goodwin-Gill, The Extraterritorial Processing of Claims to Asylum or Protection: The Legal Responsibilities of States and International Organizations, in UTS Law Review, n. 9/2007, pp. 26-40.

9. Ivi.

10. Vedi anche C. Cecchini - G. Crescini - S. Fachile, L’inefficacia delle politiche umanitarie di rimozione degli “effetti collaterali” nell’ambito dell’esternalizzazione con particolare attenzione al resettlement. La necessità di vie legali effettive e vincolanti, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 2/2018. Disponibile su www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2018-1/263-l-inefficacia-delle-politiche-umanitarie-di-rimozione-degli-effetti-collaterali-nell-ambito-dell-esternalizzazione-con-particolare-attenzione-al-resettlement-la-necessita-di-vie-legali-effettive-e-vincolanti/file.

11. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Comitato europeo economico e sociale e al Comitato delle regioni. Agenda europea sulla migrazione, 13 maggio 2015. Disponibile su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN.

12. Il resettlement diventa strumento centrale già a partire dal 2017: «the Union should offer at least 50 000 resettlement places to admit by 31 October 2019 persons in need of international protection from third countries […] To support Member States in implementing this target EUR 500 million should be made available from the Union budget». Commissione europea, Recommendation on enhancing legal pathways for persons in need of international protection, 27 settembre 2017. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20170927_recommendation_on_enhancing_legal_pathways_for_persons_in_need_of_international_protection_en.pdf.

13. Unhcr Niger, Emergency Transit Mechanism (ETM), dicembre 2019. Disponibile su https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/73486.pdf.

14. Commissione europea, Agenda Europea sulla migrazione: la precarietà della situazione non permette di abbassare la guardia, 16 maggio 2018. Disponibile su https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/IP_18_3743.

15. Unhcr Niger, Country Operation Update, marzo 2018. Disponibile su https://data2.unhcr.org/en/documents/details/69587.

16. Spesso i richiedenti asilo venivano trasferiti nel Gathering and Departure Facility (GDF) gestito dall’Unhcr; il centro ad oggi risulta chiuso per ragioni di sicurezza (www.unhcr.org/news/press/2020/1/5e32c2c04/unhcr-suspend-operations-gdf-tripoli-amid-safety-concerns.html).

17. Sul funzionamento e la situazione dei centri di detenzione libici si veda: Missione di supporto dell’Onu in Libia (UNSMIL) e Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), Desperate and Dangerous: Report on the human rights situation of migrants and refugees in Libya, dicembre 2018. Disponibile su https://unsmil.unmissions.org/sites/default/files/libya-migration-report-18dec2018.pdf.

18. Asgi, Il programma Emergency Transit Mechanism e il reinsediamento dal Niger. Ricostruzione giuridica, criticità presenti e future, 2018. Disponibile su www.asgi.it/33638-2/.

19. Il Memorandum tra l’Unhcr e la Repubblica del Niger, firmato a Niamey il 20 dicembre 2017, ha durata di due anni e ha ad oggetto: l’ingresso dei cittadini evacuati dalla Libia in Niger; il riconoscimento dell’asilo; il transito e l’accoglienza dei migranti in Niger; le eventuali soluzioni in caso di mancato riconoscimento dell’asilo o di mancato trasferimento in un Paese terzo. Il testo dell’accordo è disponibile su www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/05/memorandum_Niger_Unhcr.pdf.

20. Questa indicazione non è chiara nell’indicare i soggetti esclusi dall’ETM: in particolare, non si comprende se sarebbero esclusi solo coloro che hanno già acconsentito al rimpatrio volontario e sono in attesa del trasferimento nel Paese di origine, oppure se sarebbero esclusi anche coloro che, verosimilmente o potenzialmente, potrebbero accedere al rimpatrio volontario, senza tuttavia in questo caso specificare su quali basi si fonderebbe il giudizio prognostico.

21. Unhcr, Procédures Opérationnelles Standard pour l’identification et le référencement des demandeurs d’asile entre L’Organisation Internationale pour les Migrations (OIM) et Let Haut-Commissariat des Nations Unies pour les Réfugiés (Unhcr) au Niger, 18 gennaio 2016. Disponibile su www.refworld.org/docid/57fde5cf4.html.

22. Dalla lettura del Memorandum tra Unhcr e Niger sembrerebbe che teoricamente i cittadini stranieri possano accedere alla richiesta di asilo anche senza il previo referral da parte dell’Unhcr. Inoltre, ai cittadini provenienti da specifici Paesi, ad esempio la zona del nord-est della Nigeria, è riconosciuta una protezione internazionale prima facie, con il conseguente rilascio di un titolo di soggiorno.

23. Il regolamento interno che disciplina il funzionamento della CNE nigerina, del 14 luglio 2000, è disponibile su www.refworld.org/pdfid/4a1ff7882.pdf.

24. Il Refugee Status Determination Assessment include: il riassunto della richiesta, una valutazione sulla credibilità del soggetto, la presentazione dei fatti, la loro analisi dal punto di vista legale e in particolare la possibilità di ravvisare in essi un fondato timore di persecuzione, la valutazione di possibili motivi di esclusione dallo status di rifugiato secondo quanto previsto dall’art. 1(F) della Convenzione di Ginevra, e infine una raccomandazione sul riconoscimento o meno della protezione internazionale in capo al richiedente.

25. Nel Memorandum si precisa la natura del Niger quale Paese di transito e non quale Paese di destinazione dei rifugiati o richiedenti asilo provenienti dalla Libia attraverso l’ETM e quindi l’eccezionalità del riconoscimento dello status di rifugiato per coloro che, evacuati dalla Libia, non ottengono parere positivo dall’Unhcr.

26. Unhcr, Comment peut-on être reconnu comme réfugié au Niger?, senza data. Disponibile su www.unhcr.org/fr/562e47496.pdf.

27. I rifugiati sotto mandato sono persone considerate rifugiate dall’Unhcr in base al mandato attribuitogli dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sotto cui ricadono anche persone che si trovano in un Paese non membro della Convenzione di Ginevra del 1951. In questo caso, la determinazione dello status di rifugiato da parte dell’Unhcr non vincola il Paese a garantire il godimento da parte della persona di alcuni diritti previsti dalla Convenzione, come accesso a lavoro, istruzione o servizi sanitari.

28. Unhcr, Resettlement handbook, 2011. Disponibile su www.unhcr.org/46f7c0ee2.pdf.

29. Unhcr, Solutions for refugees, senza data. Disponibile su www.unhcr.org/50a4c17f9.pdf.

30. «Resettlement involves the seletion and transfer of refugees from a State in which they have sought protection to a third State which has agreed to admit them - as refugees - with permanent residence status». Unhcr, Evaluation of Emergency Transit Centres in Romania and the Slovak Republic, 2016. Disponibile su www.unhcr.org/575935d17.pdf

31. Unhcr, Resettlement handbook, op. cit., p. 36.

32. Ibid.

33. Ibid.

34. Il riferimento è, ad esempio, a quelle relative al servizio militare o all’attività politica, informazioni su livello di istruzione, occupazione, lingue parlate etc. Infine, il documento, prima della sua approvazione, è firmato dal rifugiato che autorizza la trasmissione delle informazioni al Paese di destinazione e autorizza l’Unhcr a ricevere per suo conto le comunicazioni da parte di quest’ultimo.

35. Un’eccezione a questo riguardo pare essere la Finlandia, il cui assessment è basato esclusivamente sul dossier preparato dall’Unhcr. Cfr. European Migration Network, Resettlement and Humanitarian Admission Programmes in Europe. What works?, 2016. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/networks/european_migration_network/reports/docs/emn-studies/emn-studies-00_resettlement_synthesis_report_final_en.pdf.

36. Cfr. per tutti Corte di cassazione, sez. unite, sentenza n. 29460/2019.

37. Senza qui approfondire ulteriormente, merita un cenno il caso dell’Australia che, tramite l’utilizzo del territorio di Nauru e della Papua Guinea dopo l’incidente di Tampa nel 2001, ha per prima utilizzato strumenti di delocalizzazione ed esternalizzazione della domanda di asilo. Recentemente proprio l’esperienza australiana è stata richiamata quale precedente per verificare la fattibilità di una simile soluzione anche per i richiedenti asilo che vogliono entrare in Europa. Su questo punto, si vedano M. Den Heijer, Europe and Extraterritorial Asylum, Hart, Oxford, 2012; J. McAdam, Extraterritorial processing in Europe: is ‘regional protection’ the answer, and if not, what is?, Andrew & Renata Kaldor Centre for International Refugee Law, maggio 2015. Disponibile su www.kaldorcentre.unsw.edu.au/sites/default/files/Kaldor%20Centre_Policy%20Brief%201_2015_McAdam_Extraterritorial%20processing_0.pdf.

38. Cfr. il rapporto di G. Noll e J. Fagerlund per Unhcr e Danish Centre for Human Rights, Safe Avenues to Asylum. The Actual and Potential Role of EU Diplomatic representations in processing Asylum Requests, aprile 2002, p. 17. Disponibile su www.unhcr.org/3cd000a52.pdf

39. La proposta, del 10 marzo 2003, è pubblicata su www.statewatch.org/news/2003/apr/blair-simitis-asile.pdf. Cfr. G. Noll, Visions of the Exceptional: Legal and Theoretical Issues Raised by Transit Processing Centres and Protection Zones, in European Journal of Migration and Law, vol. 5, n. 3/2003, pp. 303-341. Disponibile su https://doi.org/10.1163/157181603322599260.

40. Germania e Francia si sono opposte alla proposta inglese, ritenendo di difficile realizzazione un centro di transito per processare le domande di asilo. Cfr. EU divided over African asylum camps, in Euractiv, 5 ottobre 2004 (www.euractiv.com/section/security/news/eu-divided-over-african-asylum-camps/814195/).

41. Unhcr, Working Paper on Unhcr’s Three-Pronged Proposal, 26 giugno 2003. Disponibile su www.refworld.org/docid/3efc4b834.html. Cfr. al riguardo A. Betts, The International Relations of the ‘New’ Extraterritorial Approaches to Refugee Protection: Explaining the Policy Initiatives of the UK Government and Unhcr, in Canada’s Journal on Refugees, n. 1/2004, pp. 58–70.

42. Per una valutazione critica, cfr. A. Liguori, The Extraterritorial Processing of Asylum Claims, Jean Monnet Centre of Excellence on Migrants’ Rights in the Mediterranean, Napoli, 2015 (www.jmcemigrants.eu/jmce/wp-content/uploads/2015/07/The-Extraterritorial-Processing-of-Asylum-Claims-LIGUORI.pdf).

43. Ivi, p. 9.

44. Commissione europea, Verso regimi di asilo più accessibili, equi e meglio gestiti, comunicazione al Consiglio e al Parlamento europei, 3 giugno 2003. Disponibile su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=CELEX:52003DC0315.

45. Consiglio europeo, Programma di Stoccolma. Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, 2010/C 115/01, 4 maggio 2010, p. 27. Disponibile su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52010XG0504(01)&from=IT.

46. Barrot wants ‘reception points’ in Libya for asylum seekers, Agence Europe, 14 luglio 2009, https://agenceurope.eu/en/bulletin/article/9941/27.

47. Consiglio dell’Unione europea, Migration situation in the Mediterranean: establishing a partnership with migrants’ countries of origin and of transit, enhancing Member States’ joint maritime operations and finding innovative solutions for access to asylum procedures, doc. n. 13205/09, 11 settembre 2009. Disponibile su http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-13205-2009-INIT/en/pdf.

48. Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo del 29 e 30 ottobre 2009, doc. n. 15265/09, p. 40. Disponibile su https://europa.eu/rapid/press-release_DOC-09-5_en.htm?locale=en.

49. Conclusioni del Consiglio dell’Unione europea, Council conclusions on 29 measures for reinforcing the protection of the external borders and combating illegal Immigration, Bruxelles, 25–26 febbraio 2010. Disponibile su www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/en/jha/113065.pdf.

50. Cfr. Human Rights Watch, Stemming the Flow: Abuses Against Migrants, Asylum Seekers and Refugees, 2006. Disponibile su www.hrw.org/reports/2006/libya0906/libya0906web.pdf; Amnesty International, ‘Libya of tomorrow’. What hopes for Human Rights?, giugno 2010. Disponibile su www.meltingpot.org/IMG/pdf/Libya_of_tomorrow_What_hope_for_human_rights.pdf.

51. Un’Europa aperta e sicura: come realizzarla, comunicazione della Commissione Ue al Parlamento, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, 11 marzo 2014, p. 8. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/e-library/documents/basic-documents/docs/an_open_and_secure_europe_-_making_it_happen_it.pdf.

52. Renzi: Onu faccia campi profughi su coste della Libia, Ansa, 24 maggio 2014. Disponibile su www.ansa.it/sito/notizie/speciali/elezioni/2014/05/20/renzi-onu-faccia-campi-profughi-su-coste-della-libia_ecd8b1ed-e0aa-4236-969e-302c1e89a506.html.

53. Dichiarazione della Conferenza ministeriale del processo di Karthoum, 28 novembre 2014. Disponibile su http://italia2014.eu/media/3785/declaration-of-the-ministerial-conference-of-the-khartoum-process.pdf.

54. Agenda europea sulla migrazione, comunicazione della Commissione Ue al Parlamento, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni, 13 maggio 2015. Disponibile su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0240&from=EN.

55. Ivi, p. 6.

56. A. Liguori, The Extraterritorial Processing, op. cit.

57. Riguardo a tali prese di posizione, vds. A. Liguori, Some Observations on the Legal Responsibility of States and International Organizations in the Extraterritorial Processing of Asylum Claims, in The Italian Yearbook of International Law Online, n. 1/2016, pp. 135–158.

58. Unhcr, Protection Policy Paper: Maritime interception operations and the processing of international protection claims: legal standards and policy considerations with respect to extraterritorial processing, novembre 2010, p. 16. Disponibile su www.refworld.org/docid/4cd12d3a2.html.

59. EU plans floating migrant centers off Libya”, The Telegraph, 12 maggio 2016. Disponibile su www.telegraph.co.uk/news/2016/05/12/eu-plans-floating-migrant-centres-off-libya/.

60. Migranti, Alfano rilancia gli hotspot galleggianti nel Mediterraneo, con l’assist dell’Ue. E anche Unhcr apre, The Huffington Post, 18 maggio 2016. Disponibile su www.huffingtonpost.it/2016/05/18/migranti-alfano-rilancia-gli-hotspot-galleggianti-nel-mediterra_n_10026226.html.

61. Hotspot galleggianti? L’Unhcr: “Positivi, se rispettano il diritto di asilo”, Redattore sociale, 19 maggio 2016. Disponibile su www.redattoresociale.it/article/notiziario/hotspot_galleggianti_l_unhcr_positivi_se_rispettano_il_diritto_di_asilo; Alfano si inventa hotspot galleggianti: così non scappano, Globalist, 18 maggio 2016. Disponibile su www.globalist.it/news/2016/05/18/alfano-si-inventa-hotspot-galleggianti-cosi-non-scappano-200946.html.

62. Unhcr, Protection Policy Paper, op. cit., p. 15. Disponibile su https://www.refworld.org/docid/4cd12d3a2.html.

63. Unhcr, Unhcr proposals to address current and future arrivals of asylum-seekers, refugees and migrants by sea to Europe, marzo 2015, p. 5. Disponibile su www.refworld.org/docid/55016ba14.html.

64. Ministero dell’interno, Immigrazione, riunione al Viminale della “Cabina di regia” tra Ciad, Italia, Libia, Mali e Niger, comunicato stampa, 28 agosto 2017. Disponibile su www.interno.gov.it/it/notizie/immigrazione-riunione-viminale-cabina-regia-ciad-italia-libia-mali-e-niger.

65. Joint Statement on the Migrant Situation in Libya, Summit Ua - Ue, 29-30 novembre 2017. Disponibile su www.consilium.europa.eu/media/31871/33437-pr-libya20statement20283020nov2010.pdf

66. Avvenire, Migranti. Ue e Africa unite per i profughi. Una task force con l’Onu, Avvenire, 30 novembre 2017. Disponibile su www.avvenire.it/mondo/pagine/ue-onu-africa-task-force-per-i-migranti

67. Proposal for a regional cooperative arrangement ensuring predictable disembarkation and subsequent processing of persons rescued-at-sea”, Unhcr - Oim, 29 giugno 2018. Disponibile su www.unhcr.org/partners/eu/5b35e60f4/proposal-regional-cooperative-arrangement-ensuring-predictable-disembarkation.html.

68. Conclusioni del Consiglio europeo, 28 June 2018. Disponibile su www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2018/06/29/20180628-euco-conclusions-final/pdf.

69. Non-paper on regional disembarkation arrangements, 2018. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20180724_non-paper-regional-disembarkation-arrangements_en.pdf.

70. Ivi, p. 2.

71. Cfr. Consiglio europeo per i rifugiati e gli esiliati, European Council: regional disembarkation platforms a key objective, 2 giugno 2018. Disponibile su www.ecre.org/european-council-regional-disembarkation-platforms-a-key-objective/; F. Maiani, ‘Regional Disembarkation Platforms’ and ‘Controlled Centres’: Lifting The Drawbridge, Reaching out Across The Mediterranean, or Going Nowhere?, in EU Immigration and Asylum Law and Policy, 18 settembre 2018. Disponibile su https://eumigrationlawblog.eu/regional-disembarkation-platforms-and-controlled-centres-lifting-the-drawbridge-reaching-out-across-the-mediterranean-or-going-nowhere/.

72. Vds. Non-paper on regional disembarkation arrangements, op. cit., p. 1. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20180724_non-paper-regional-disembarkation-arrangements_en.pdf.

73. Migrazioni, l’Unione Africana all’UE: “I vostri centri di detenzione in Africa violano il diritto internazionale e creano un mercato degli schiavi”, La Repubblica, 4 marzo 2019. Disponibile su www.repubblica.it/solidarieta/immigrazione/2019/03/04/news/migrazioni_l_unione_africana_all_ue_i_vostri_centri_di_detenzione_in_africa_violano_il_diritto_internazionale_e_creano_u-220695042/.

74. Non-paper on “controlled centres” in the EU. Interim framework. Disponibile su https://ec.europa.eu/home-affairs/sites/homeaffairs/files/what-we-do/policies/european-agenda-migration/20180724_non-paper-controlled-centres-eu-member-states_en.pdf

75. Relazione sullo stato di attuazione dell’agenda europea sulla migrazione, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, 16 ottobre 2019. Disponibile su https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2019:0481:FIN:IT:PDF.

76. Audizione dinanzi al Comitato parlamentare di controllo su Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol e in materia di immigrazione, 11 dicembre 2019. La registrazione è disponibile su www.camera.it/leg18/1132?shadow_primapagina=10032.

77. Asgi, Piano di azione per migranti in Libia, preoccupanti dichiarazioni del ministro degli Esteri, 9 gennaio 2020. Disponibile su https://sciabacaoruka.asgi.it/unhcr-oim-gestione-campi-di-migranti-in-libia/.

78. Sentenza del 28 novembre 2019, n. 2297. Disponibile su https://sciabacaoruka.asgi.it/wp-content/uploads/2020/01/sentenza-22917.pdf.