Magistratura democratica

Attori e sfide intorno all’asilo in Niger

di Florence Boyer e Harouna Mounkaila

Il saggio ripercorre le tappe principali che hanno concorso a rendere il Niger un Paese-chiave nell’attuazione della politica europea di controllo delle frontiere e per la creazione di uno spazio di asilo a sud del Mediterraneo. Nel caso di Agadez, storico crocevia di migrazioni e fieldwork della ricerca, il ruolo assunto dalle organizzazioni internazionali si confronta, non senza tensioni, con le istanze della comunità e degli attori politici locali. L’asilo legale e l’accoglienza umanitaria destinati alle persone provenienti dalla Libia e dall’Algeria diventano, così, l’oggetto specifico di una negoziazione a cui i diretti interessati non prendono parte.

1. Introduzione / 2. Quattro episodi convergenti verso una politica dell’asilo in Niger? / 3. Tensioni intorno all’accoglienza dei richiedenti asilo: il caso di Agadez / 4. Conclusioni

 

1. Introduzione

Al centro di un’area saheliana segnata dai conflitti, il Niger è diventato in qualche anno un luogo di accoglienza (e di partenza) per diverse migliaia di rifugiati e di sfollati interni. A febbraio 2020, secondo l’Unhcr, il Paese accoglie sul suo territorio 221.671 rifugiati, 196.717 sfollati interni, 29.882 rimpatriati[1] e 2680 richiedenti asilo[2]. Questi ultimi sono stati ripartiti tra la capitale Niamey, la città di Agadez e la regione di Diffa, che accoglie soprattutto richiedenti ciadiani e camerunesi in fuga da Boko Haram ai quali, a differenza di chi proviene dalla Nigeria, non è riconosciuto prima facie lo status di rifugiato.

Il ruolo di luogo di accoglienza e asilo – che si consolida dal 2012 con l’inizio del conflitto in Mali e l’intensificarsi di quello intorno al Lago Ciad – si sovrappone, nel caso del Niger, a quello di “Stato di transito” assunto a partire dagli anni novanta. Più specificamente, per meglio comprendere la politica in materia di asilo e il posto occupato dai richiedenti nel contesto nigerino, non si può prescindere dalla sua funzione di principale “canale” di passaggio per le migrazioni trans-mediterranee che originano dal Sahara centrale a partire dagli anni 2012-2013[3].

Nel contesto della “crisi migratoria” in Europa e con la ridefinizione, dal 2015, del partenariato euro-africano, tale funzione ha contribuito a fare del Niger un collaboratore indispensabile nell’attuazione delle diverse politiche, sia migratorie che di asilo. Da questo punto di vista, occorrerà tener conto di due fasi distinte. La prima ha inizio nel 2015-2016 (all’indomani del Vertice di La Valletta) e contempla, da un lato, l’istituzione dell’EUTF[4] – di cui il Niger è il principale beneficiario – e, dall’altro, l’approvazione e applicazione della legge 2015-36 sul traffico illecito di migranti[5]. I diversi dispositivi e azioni previsti mirano ad aumentare il controllo delle frontiere, a criminalizzare il trasporto e l’alloggio prestati ai migranti che intendano oltrepassare in modo irregolare il confine settentrionale del Niger, il potenziamento dei «rimpatri volontari assistiti» promossi dall’Oim. Lo Stato nigerino, così come i suoi partner europei, si pone in una logica di blocco dei flussi migratori che attraversano il Paese in direzione della Libia e dell’Algeria. Se l’EUTF comprende un capitolo in materia di protezione, questo riguarda i progetti di assistenza umanitaria prestata ai rifugiati e agli sfollati interni nelle regioni di Tillabéri e Diffa.

La questione della protezione e dell’asilo in rapporto al fenomeno migratorio emerge, in territorio nigerino, nel settembre 2017. Da questo momento – che segna l’inizio della seconda fase –, i dispositivi di protezione internazionale non interessano più soltanto gli spazi di conflitto frontalieri, ma si estendono alla “popolazione migrante”, in base alla constatazione che una sua componente ricade nell’ambito della protezione internazionale e chi la rappresenta può acquisire lo status di rifugiato. L’estensione al Niger della politica dell’asilo è stata agevolata anche dal fatto che il Paese dispone, dal 1997, di una legge nazionale sul riconoscimento dello status di rifugiato. Ancorché poco applicati dal momento della loro adozione[6], si tratta di strumenti giuridici che offrono un supporto effettivo alla realizzazione di un’alternativa – qual è, appunto, la protezione internazionale – alla traversata del deserto e del Mediterraneo.

Quattro eventi in particolare hanno contribuito all’emergere di una politica dell’asilo rivolta ai migranti internazionali. Essi presentano diverse dimensioni: europea (apertura ai programmi di reinsediamento), internazionale (nuovi orientamenti della politica dell’Unhcr in Niger e Libia), relativa ai governo nazionali e alle opinioni pubbliche interne (ruolo dei media nella divulgazione delle condizioni di vita in Libia). Benché al principio relativamente indipendenti, i loro vari sviluppi sono confluiti, a un dato momento dell’autunno 2017, a corroborare l’esigenza di attuazione di quella politica in Niger, ampliandone l’entità funzionale di spazio di accoglienza.

Nostro obiettivo sarà, allora, mostrare come questo particolare spazio di accoglienza che tali eventi hanno contributo a creare sia interrelato al fenomeno migratorio tanto sul piano dei dispositivi e delle politiche adottati quanto su quello dei percorsi individuali. A tal fine, ci si interrogherà su come la politica di asilo sia stata definita e messa in pratica dall’autunno 2017; in seguito, volgendo l’analisi a una situazione locale particolare (la città carovaniera di Agadez), mostreremo come il Niger si costruisca progressivamente come spazio di accoglienza possibile per persone richiedenti la protezione, colpite sia dalle politiche migratorie sia dall’insicurezza e dalle violenze subite nei Paesi di origine e/o in quelli di residenza in un momento anteriore al loro arrivo in Niger.

 

2. Quattro episodi convergenti verso una politica dell’asilo in Niger?

Nell’autunno 2017, quattro eventi contribuiscono alla definizione e alla costruzione di uno spazio di asilo rivolto ai migranti internazionali. In parte indipendenti, essi si sono – come già accennato – coniugati per rafforzare la posizione di ciascuno degli attori in gioco rispetto alla questione della protezione internazionale.

A fine agosto 2017, il Presidente francese annuncia l’apertura di 3.000 posti destinati al reinsediamento, 1500 per il Niger e 1500 per il Ciad:

«Innanzitutto, abbiamo messo agli atti (…) la possibilità di ottenere un trattamento umanitario all’altezza delle nostre esigenze e di identificare, nelle zone del Niger e del Ciad riconosciute come pienamente sicure e sotto la supervisione dell’Unhcr, coloro che hanno diritto all’asilo secondo le normative vigenti, così da garantire condizioni di sicurezza nel minor tempo possibile e riconoscere loro quel diritto avviando la procedura dal territorio africano. È un aspetto importante, perché evita a donne e uomini di correre rischi sconsiderati in zone di estremo pericolo quali sono, attualmente, una parte del deserto e il Mediterraneo (…). L’identificazione sarà effettuata sulla base delle liste fornite dall’Unhcr e delle cd. “liste chiuse”, vale a dire formate dai migranti fin d’ora identificati dall’Unhcr e che si trovano in queste due zone di passaggio»[7].

Pronunciate in occasione di un vertice euro-africano “ristretto”[8] sulla crisi migratoria, le dichiarazioni di Macron si pongono in linea di continuità con diversi ambiti politici e operativi. Mentre, a fronte del rifiuto opposto dagli Stati, fallisce progressivamente la volontà dell’Ue di costituire degli hotspot nei Paesi di transito, questo discorso individua un’alternativa direttamente supportata dall’attività dell’Unhcr (comprese le “liste chiuse”), affidando contemporaneamente all’Ofpra («Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi») il compito di identificare le persone provviste dei requisiti idonei a integrare tale status che si trovino in Niger o in Ciad. Un altro ambito riguarda il ruolo conferito al Niger di barriera alla rotta migratoria verso il Mediterraneo: come nel caso dell’EUTF, la stabilità del Paese è posta in primo piano per giustificare e legittimare l’identificazione dei richiedenti asilo. Infine, il carattere umanitario di questo tipo di procedura è invocato nella misura in cui permetterebbe alle persone di evitare i rischi insiti nell’atto di attraversare il deserto, la Libia e il Mediterraneo.

È quest’ultimo argomento a rappresentare il filo conduttore seguito dal programma dell’Unhcr sui cd. “flussi migratori misti”, definito nel marzo 2017 con la firma di un Memorandum di intesa tra l’Unhcr, l’Oim e il Governo nigerino. Mentre fino a quel momento si era concentrato sull’assistenza ai rifugiati e agli sfollati interni dalle aree di conflitto presenti ai confini del Niger, l’Unhcr estende ora il suo raggio di azione ai flussi migratori con l’apertura di un ufficio nella principale città di transito a nord del Paese, Agadez. Il Memorandum prevede un meccanismo di referral all’Unhcr delle persone che abbiano fatto richiesta di protezione, azionato sia dall’Oim (che gestisce centri di accoglienza ad Arlit, Dirkou, Agadez e Niamey) sia dalle autorità locali. In particolare, per quanto attiene alla formazione dei dossier, l’Unhcr si impegna ad assistere la «Commissione nazionale di eleggibilità» (CNE), che ha la piena responsabilità nella determinazione dello status di rifugiato. Pur se affrontata, la questione del reinsediamento resta una mera eventualità per i richiedenti asilo e i rifugiati, i quali di norma rimangono in territorio nigerino.

In continuità con i contenuti del Memorandum, nel maggio 2017 l’Unhcr apre l’ufficio di Agadez, che ha il compito di identificare, all’interno del flusso di migranti, i richiedenti la protezione internazionale e di supportare la loro domanda di asilo[9]. Durante il suo atelier di pianificazione pluriennale tenutosi l’ottobre successivo a Niamey, l’Unhcr ha ribadito la necessità di identificare già in Niger i richiedenti protezione; vengono qui forniti dei dati numerici, mettendo in relazione le nazionalità che transitano per il Niger con quelle che ottengono l’asilo dopo l’arrivo in Europa. Inoltre, i posti garantiti dal Presidente francese per il reinsediamento sono richiamati sia a sostegno del tentativo di ottenere nuovi posti in altri Paesi, sia per sostenere la necessità del programma sui flussi migratori misti presso le autorità centrali e locali nigerine (in particolare nella regione di Agadez).

A novembre 2017, un fatto importante contribuisce tuttavia all’evoluzione di tale programma: la diffusione da parte della CNN di un video che mostra dei migranti ridotti in schiavitù e “venduti” in Libia[10] suscita una forte reazione emotiva in Africa come in Europa. Benché le condizioni di vita e i trattamenti subiti in quel Paese siano tristemente noti e oggetto di denunce da parte di diverse organizzazioni, il filmato costituisce una svolta importante in Africa occidentale, in particolare a livello di opinione pubblica. Vengono organizzate manifestazioni davanti alle sedi delle ambasciate libiche di numerosi Paesi e sono avanzate richieste di rimpatrio dei propri cittadini fuoriusciti. Gli Stati che hanno ancora una sede diplomatica a Tripoli domandano ai loro connazionali di identificarsi e organizzano trasferimenti via aerea, con l’aiuto dell’Oim.

L’ultimo episodio corrisponde al Vertice di Abidjan tra Unione africana e Unione europea (29-30 novembre 2017). In via preliminare, il Presidente del Niger è fra i primi capi di Stato a condannare la «pratica ignobile» della vendita dei migranti come schiavi in Libia. È anche il primo ad appellarsi alla Corte penale internazionale perché si occupi di questo caso, chiedendo che il tema sia iscritto all’ordine del giorno dello stesso Vertice[11]. Nonostante il comunicato finale del Vertice non comporti la minima modifica del partenariato euro-africano definito a La Valletta, quell’appuntamento ha costituito l’occasione per porre all’attenzione dell’opinione pubblica il problema del trattamento dei migranti in Libia, portando a una specifica dichiarazione sul punto. Questa, peraltro, ha un contenuto modesto, limitandosi a richiamare la necessità di una collaborazione con le autorità libiche nella lotta contro il traffico e la tratta di migranti, e semplicemente ricordando il dovere di assicurare il ritorno volontario dei migranti, di trovare soluzioni durature per i rifugiati e di garantire l’accesso delle organizzazioni internazionali e dei consolati alle persone presenti sul territorio[12].

Se questi diversi momenti si collocano in successione cronologica (pur avendo l’Unhcr avviato il suo programma sui flussi misti e aperto la sede di Agadez dal mese di maggio), il loro reciproco articolarsi ha consentito un ampliamento della portata dei temi dell’asilo e della protezione nell’ambito della questione migratoria in Niger. Allo stesso tempo, richiamando con maggior forza le questioni legate al trattamento dei migranti in Libia e al reinsediamento, gli eventi di fine 2017 hanno aperto la strada al programma ETM (Emergency Transit Mechanism)[13] di evacuazione verso il Niger delle persone bisognose di protezione internazionale che si trovano nelle carceri libiche, prima del loro reinsediamento in un Paese terzo. Parallelamente, il Governo nigerino, in accordo con l’Oim, ha avviato l’evacuazione dei propri cittadini dalla Libia su base volontaria: l’operazione ha coinvolto, all’inizio del 2018, quasi 4000 persone e i trasferimenti aerei sono avvenuti con una certa regolarità, a seconda delle richieste e dell’intensità dei combattimenti in Libia[14].

In questa prospettiva, non solo il Memorandum firmato a marzo del 2017 – e rinnovato nel 2020 – trova piena applicazione, ma la questione dell’accoglienza e dell’asilo irrompe nel dibattito pubblico: mentre emerge un discorso nazionale sul Niger come spazio di accoglienza (ripreso da alcune organizzazioni internazionali, tra cui l’Unhcr), a livello locale le reazioni delle autorità e degli abitanti sono tra le più diverse, dipendendo altresì dal modo in cui i richiedenti asilo sono arrivati e dalla loro visibilità nello spazio pubblico.

 

3. Tensioni intorno all’accoglienza dei richiedenti asilo: il caso di Agadez

Come principale città di transito sulla rotta fra il Niger e la Libia, Agadez è stata oggetto di un’attenzione particolare durante l’avviamento del citato programma sulla migrazione “mista” da parte dell’Unhcr. Abbiamo scelto allora di concentrare l’attenzione sulle dinamiche che, in quel contesto specifico, ruotano intorno all’accoglienza dei richiedenti asilo.

Per diverse decadi, fino all’effettiva applicazione della legge 2015-36 relativa al traffico illecito di migranti a partire da fine settembre 2016, Agadez ha rappresentato un importante snodo migratorio per i cittadini dell’Africa centrale e occidentale che volessero raggiungere la Libia, l’Algeria e (alcuni di loro) l’Europa. Questo transito ha prodotto un’importante economia, sia per quanto riguarda i servizi di trasporto che la ricezione abitativa, o i settori informali come quello della vendita di alimenti, di occhiali, di recipienti – tutti beni indispensabili a una traversata del deserto[15]. Oltre ad aver portato all’arresto di un centinaio di persone e al sequestro di altrettanti veicoli, la legge 2015-36 e i relativi dispositivi di controllo hanno pesantemente colpito l’economia cittadina. Benché sia difficile misurare il calo dei flussi, diversi migranti continuano a passare per Agadez e a farvi sosta, ma nuove rotte e nuove modalità organizzate di trasporto hanno contribuito a rendere invisibile il transito, ormai illegale. Così, le difficoltà economiche che hanno coinvolto diversi attori (diretti e indiretti) della migrazione dalla fine del 2016 hanno provocato tensioni importanti, che i progetti di reinserimento non sono riusciti a sciogliere. La specifica vicenda di Agadez è significativa per comprendere la genesi localizzata delle problematiche inerenti alla protezione e all’asilo e il modo in cui gli attori hanno reagito all’arrivo di alcune migliaia di richiedenti protezione al volgere del 2017 e per tutto l’anno successivo.

Mentre si andava riducendo il suo tradizionale ruolo di crocevia, la contemporanea recrudescenza dei combattimenti nel sud della Libia e l’intensificarsi delle espulsioni dall’Algeria hanno contribuito a rendere Agadez un luogo di accoglienza per popolazioni migranti cacciate dai loro luoghi di insediamento o di transito. Se gran parte degli espulsi dall’Algeria riceve assistenza al centro di accoglienza e di transito dell’Oim per essere destinata al “rimpatrio volontario assistito” nel proprio Paese di origine, altri sono indirizzati all’Unhcr come soggetti bisognosi di protezione. Si tratta essenzialmente di persone provenienti dall’Africa centrale e occidentale, alcune delle quali sono già passate per la città nel viaggio di andata. Coloro che arrivano dalla Libia presentano un profilo originale nel contesto di Agadez. In effetti, all’inizio del 2018, più di 2000 persone in gran parte di nazionalità sudanese, ma anche etiopi ed eritrei, raggiungono la capitale regionale in fuga dal sud libico, informati sia dell’apertura di un ufficio dell’Unhcr in Niger che di una possibilità di ottenere asilo in quel Paese. A fine anno, Agadez conta 1647 richiedenti asilo, 163 dei quali sono minori non accompagnati.

L’arrivo di queste persone in un arco di tempo così ridotto obbliga le organizzazioni umanitarie, Unhcr in testa, a modificare la loro strategia, mentre al contempo prendono accordi con le autorità locali. Le abitazioni già affittate per alloggiare i richiedenti inviati dall’Oim o identificati nelle autostazioni si riempiono rapidamente, e i “sudanesi”[16] – come ormai vengono chiamati – si ritrovano in un primo tempo a dormire in strada, di fronte alla «Direction Régionale de l’État civil», l’ufficio pubblico incaricato del servizio di registrazione delle domande di asilo. In seguito è allestito un centro di prima accoglienza formato da grandi hangar, che permettono la separazione tra famiglie, uomini soli e minori non accompagnati. Ciononostante, molti di loro dormono ancora all’aperto di fronte al centro di accoglienza, e ricevono assistenza umanitaria (medico-sanitaria, vitto).

Le tensioni scaturite dall’arrivo dei richiedenti e l’accoglienza loro prestata sono rivelatrici di nodi irrisolti, sia nazionali che locali, legati alla questione dell’asilo e, più in generale, alla gestione delle migrazioni. A livello locale, le organizzazioni umanitarie si trovano a doversi confrontare con lamentele e solleciti relativi alla permanenza di queste persone e alle loro condizioni di vita. Diversi problemi si cristallizzano attorno alla presenza dei “sudanesi”: richieste di sanificazione per il raggruppamento di centinaia di individui, accuse di furto, di piccola delinquenza… In tale situazione, l’Unhcr e il Consiglio regionale di Agadez organizzano, nel luglio 2018, un «Forum regionale sullo spazio dell’asilo nel contesto della migrazione mista», con l’obiettivo di «sostenere la regione di Agadez allo scopo di trovare soluzioni durevoli ai problemi legati alla presenza di fuoriusciti sudanesi e di altre nazionalità per rafforzare la coesistenza pacifica con la popolazione ospite»[17].

Nell’introduzione al comunicato si riaffermano non soltanto il ruolo di Agadez quale crocevia di migrazioni e le perdite economiche connesse agli eventi recenti, ma anche il rispetto dei principi della protezione e dell’asilo, con particolare riferimento alle condizioni di insicurezza vissute in Libia. Le raccomandazioni obbediscono alla stessa logica, oscillando tra aspetti strettamente legati al controllo migratorio e all’applicazione della legge 2015-36, e aspetti inerenti ai principi dell’asilo. Ad esempio, si chiede allo Stato nigerino di accelerare le procedure per la domanda di asilo, di rendere più efficiente la Commissione nazionale di eleggibilità così come di «adottare misure di clemenza nei confronti degli ex-prestatori di servizi atti a facilitare la migrazione irregolare attualmente in stato di detenzione e prevedere agili procedure per il recupero dei beni loro confiscati»[18], o di impegnarsi a favorire la messa a disposizione dei «mezzi appropriati alla gestione della problematica della migrazione mista»[19]. Infine, tra le varie raccomandazioni formulate, troviamo anche l’auspicata delocalizzazione dei centri di accoglienza per i richiedenti protezione fuori dal perimetro urbano, in una struttura a ciò predisposta. Attivato nel settembre 2018 in una zona altamente periferica (a 15 km circa da Agadez), l’accampamento dà rifugio ai richiedenti “sudanesi”; i cittadini di altra nazionalità e le persone in condizione di grave vulnerabilità restano alloggiati in centro città, nelle strutture abitative affittate dall’Unhcr.

Questa differenza di trattamento tra le nazionalità dei richiedenti asilo – per ragioni di coesistenza inter-comunitaria – è motivo di forti tensioni tra l’Unhcr, lo Stato nigerino e le collettività territoriali. Come si diceva, queste ultime hanno fatto pressione sulle autorità statali perché fossero accelerate le procedure di asilo. Ora, oltre alla scarsità del personale destinato all’attività di centralizzazione a Niamey di tali procedure (tramite la CNE)[20], lo Stato è reticente a consentire l’accesso al sistema di asilo ai cd. “sudanesi”. La principale ragione è l’addotto timore che fra loro vi siano ex-combattenti e/o persone che avrebbero intrapreso il viaggio esclusivamente per cercare l’oro nei pozzi illegali situati nel nord del Paese. Questa situazione perdura fino a metà del 2019, quando sono attivati i controlli di sicurezza, e viene consentito il deposito progressivo delle domande di asilo e l’accesso allo status di rifugiato per diverse centinaia di persone a partire dal gennaio 2020.

Un altro motivo di attrito è l’aumento del flusso migratorio in seguito sia alla posizione assunta dallo Stato nigerino dopo la diffusione del video della CNN e in occasione del Vertice di Abidjan, sia all’apertura di un ufficio dell’Unhcr ad Agadez. Se – fin dal settembre 2017 – un simile effetto era stato anticipato dall’Unhcr, esso è nuovamente sottolineato dal Consiglio regionale di Agadez: «Abbiamo un altro fenomeno, l’effetto “di attrazione” (appel d’air) provocato dallo Stato del Niger in concomitanza con le violazioni dei diritti umani in Libia. Il Niger ha accettato di accogliere tutti gli africani di ritorno, ed ecco che ci siamo trovati nel mezzo di quest’onda, con più di 2000 richiedenti – 1800 dei quali sudanesi – che si trovano nell’area di Agadez»[21]. Tali affermazioni possono leggersi sotto due diversi angoli di lettura: da un lato, i rappresentanti locali mettono in primo piano le scelte adottate dallo Stato centrale senza previa concertazione, pur essendo i primi interessati a quelle decisioni; dall’altro, l’espressione «tutti gli africani» può rinviare al fatto che la città ha visto arrivare non già una molteplicità di nazionalità, quanto piuttosto alcune nazionalità – sudanesi, etiopi, etc. – alle quali non era finora abituata, poiché il transito per Agadez riguardava per lo più cittadini dell’Africa occidentale, del Camerun, del Congo, del Centrafrica, e gli espulsi dall’Algeria.

È possibile, a questo punto, mettere in rapporto l’argomento del fattore di attrazione con quanto affermano in proposito gli stessi richiedenti e con i loro percorsi di arrivo. Le interviste realizzate nel luglio 2018 e nell’aprile 2019 con 22 richiedenti asilo provenienti dalla Libia fanno luce su diversi aspetti. Da una parte, la scelta di andare in Niger è avvenuta per costrizione, direttamente imputabile all’intensità degli scontri (a Sebha in particolare) o dovuta a forme di violenza più specifiche, come le prese in ostaggio o il lavoro forzato. D’altra parte, l’accesso all’informazione varia da persona a persona, a seconda delle condizioni di vita sperimentate in Libia e del proprio entourage. Alcuni sono stati informati attraverso i media abituali, in particolare la televisione, interpretando il programma di evacuazione ETM come l’avvio di un meccanismo di reinsediamento a partire dal Niger; altri sono stati consigliati dal loro entourage o, semplicemente, è giunta loro voce che – secondo i punti di vista: l’Unhcr o il Governo nigerino – stessero creando uno spazio di asilo in Niger. Infine, altri ancora sono arrivati semplicemente perché il Niger è il Paese più prossimo al sud della Libia, ritenendolo più stabile e sicuro del vicino Ciad. Così, benché l’informazione circolante sulle possibilità di asilo in Niger, sulla presenza dell’Unhcr o sulle prospettive di reinsediamento abbia giocato un ruolo nel loro arrivo, resta difficile parlare di “fattore di attrazione”. In effetti, anche se a metà 2018 il numero dei richiedenti sudanesi ha superato le 2000 unità, si tratta di una cifra estremamente limitata se confrontata all’importanza di quella comunità in Libia[22]. D’altra parte, le difficoltà incontrate nel corso della procedura di richiesta di asilo, così come quelle relative alle condizioni di vita, hanno spinto un certo numero di loro a lasciare Agadez, essenzialmente per ripartire verso la Libia: se erano circa 2200 a metà 2018, oggi sono meno di 1500 a vivere nel capoluogo regionale.

L’analisi di queste partenze permette di portare la riflessione sull’accoglienza dal punto di vista dei richiedenti asilo e, eventualmente, su come essi riescano o meno a immaginare il loro futuro in Niger.

Senza ripercorrere in dettaglio gli iter migratori, occorre rilevare che molti di loro, all’inizio, si sono ritrovati in un campo per sfollati interni in Darfur o per rifugiati in Ciad. Si tratta di un aspetto rilevante nella misura in cui la partenza dai campi, dal punto di vista individuale o familiare, rimanda a una ricerca di autonomia e indipendenza – uscire dalla condizione di “umanitariamente assistito” – e/o di maggiore sicurezza. I più anziani, giunti in Libia prima della caduta di Gheddafi, hanno potuto acquisire quell’autonomia e vivere stabilmente nel Paese, fintanto che il conflitto non è esploso nel 2011. Quanto ai più giovani, sono partiti verso la Libia con l’intenzione di seguire le tracce dei primi, oppure con l’intento di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. A prescindere da quando si sono stanziati e dalla durata della loro permanenza in terra libica, il tratto che li accomuna è l’essersi trovati ad affrontare molteplici forme di violenza nel corso degli ultimi anni: la stragrande maggioranza dei richiedenti incontrati è stata presa in ostaggio o ha conosciuto le carceri libiche e i lavori forzati, il che significa – in tutti i casi – avere subito torture fisiche e psicologiche. In un quadro simile, la partenza per il Niger è essenzialmente motivata dalla volontà di sottrarsi a queste violenze multiformi, oltre che dalla consapevolezza di poter ottenere la protezione internazionale e/o l’assistenza umanitaria. Nondimeno, arrivare e fermarsi ad Agadez per un tempo indefinito poiché legato all’incertezza dell’accesso allo status di rifugiato, e soprattutto vivere in un accampamento (il centro umanitario di accoglienza) situato all’esterno della città rappresenta, in qualche modo, una forma di ritorno al punto di partenza: dagli accampamenti in Darfur o in Ciad a quello di Agadez…

“Ritornare in un campo” vuol dire ricadere nella logica dell’attesa e dell’incertezza: attesa dello status di rifugiato e di migliori condizioni di vita rispetto a una quotidianità che si costruisce all’insegna della dipendenza dall’aiuto umanitario. In questa prospettiva, l’Unhcr resta un attore centrale per i richiedenti, che nella sua operatività nutrono migliori aspettative rispetto alla capacità di intervento dello Stato nigerino, come mostra il resoconto di seguito riportato:

«Bachir è arrivato ad Agadez il 31 gennaio 2018. Da quando è qui, le cose vanno meglio. È sollevato, non è come a Tripoli. Qui non si sentono le armi. È sempre in pensiero per suo fratello maggiore e si prende cura della famiglia di lui. È stato ferito e porta i segni delle torture subite. Ora è nelle mani dell’APBE, dell’Unhcr e del COOPI[23]. Non sa per quanti anni ci resterà, saranno loro a valutare e a decidere per lui e per la famiglia del fratello. Ha in mente di portare qui la sua compagna [che si trova in Darfur] non appena potrà abitarvi stabilmente (…). Se lo Stato del Niger rifiuterà di attribuirgli lo status di rifugiato, non vuole fare ritorno in Libia né in Sudan. La sola soluzione è l’Unhcr: accordandosi con loro, troverà un rimedio» (Bachir, nota di diario, Agadez, luglio 2018).

«Da quando è arrivato qui sono ben accolti, e perciò ringrazia le autorità, gli abitanti e il popolo nigerino per aiutarli nelle necessità della vita. Certo, giovane com’è, vuole continuare gli studi e lavorare, perché ha i genitori a cui pensare. Vuole andare avanti nella vita. Per parte sua, in Niger ha trovato pace e stabilità, che in Sudan e in Libia non ha mai conosciuto. Se istruzione e occupazione si trovano qui riunite come condizioni possibili, perché non rimanere? Ma tutto questo è nelle mani dell’APBE e dell’Unhcr. Se, per il rifiuto opposto dallo Stato che lo accoglie, non otterrà l’asilo, la questione torna nelle mani dell’Unchr» (Hamani, nota di diario, Agadez, luglio 2018).

Questa posizione di attesa – portatrice di tensioni – verso lo status di rifugiato si accompagna a un’aspettativa nei confronti dell’Unhcr come soggetto capace di provvedere soluzioni umanitarie e di protezione, anche qualora lo Stato opponga il rifiuto alla domanda di asilo. I termini adottati dai richiedenti per designare l’Unhcr sono particolarmente indicativi: essi ripongono il proprio futuro «nelle mani dell’Unhcr», e molti di loro fanno uso dell’espressione «l’Unhcr è mio padre e mia madre», vale a dire: “colui/colei che deciderà del mio avvenire”. Il frequente ricorso alle figure genitoriali in riferimento all’Unhcr traduce, da parte loro, una forma di dipendenza accettata all’interno di un sistema di relazioni dotato di una sua logica, in un tempo e un luogo particolari (Agadez). Tuttavia, ciò non significa che siano bendisposti verso qualunque decisione assunta nei loro confronti dall’Unhcr o dallo Stato nigerino. Come dimostrano i successivi ritorni in Libia o i tentativi di lavorare senza licenza nei pozzi auriferi, se si presenta l’opportunità o se la realtà quotidiana di Agadez non offre risposte soddisfacenti, è possibile optare per una nuova partenza. Parallelamente, se alcuni ambiscono a stabilirsi ad Agadez in maniera duratura, ciò non potrà avvenire che a una condizione: oltre all’accesso a una lingua che favorisca l’inter-comprensione, l’inserimento è legato alla possibilità di realizzare aspirazioni individuali, riprendere gli studi, avere un lavoro e migliorare il proprio tenore di vita. Altri, infine, aspirano al reinsediamento in un Paese terzo, un argomento che genera attriti con l’Unhcr: benché alcuni tra loro abbiano beneficiato di voli umanitari, questi richiedenti asilo non rientrano pienamente nella logica programmatica del reinsediamento, se non in casi speciali di particolare vulnerabilità (ad esempio, se si tratta di minori non accompagnati).

Pertanto, le questioni sorte dall’articolarsi non lineare tra logiche e dispositivi istituzionali ed aspirazioni individuali restano aperte, il che non sorprende troppo se si considera che sono i vari livelli politico-istituzionali (organizzazioni internazionali, Stati, collettività territoriali) a trovarsi in reciproca tensione. Per fare un esempio, alla fine del 2019 ad Agadez, dopo un mese di occupazione dello spazio antistante gli uffici dell’Unhcr da parte dei richiedenti asilo alloggiati nel centro di accoglienza, la polizia è intervenuta su sollecito delle autorità locali per ricondurre i manifestanti in quella struttura. Sono seguiti scontri e al campo è divampato il fuoco. 336 richiedenti, alcuni dei quali liberati in breve tempo, sono stati arrestati; 121 sono stati deferiti al Tribunale di Agadez e 111 condannati a pene detentive di una durata compresa tra 6 e 12 mesi, con sospensione condizionale della pena, per il fatto di essersi riuniti (senza armi) nella pubblica via e aver turbato l’ordine pubblico[24]. L’episodio, una volta di più rivelatore di come le questioni dell’accoglienza e dell’attesa siano in grado di fomentare discordie, ha richiamato al dibattito pubblico la presenza dei “sudanesi” in Niger, contribuendo ad accelerare il deposito e l’esame delle domande di asilo.

Contrariamente a quanto avviene a Niamey, dove un sit-in di richiedenti asilo di fronte alla sede dell’Unchr è in corso da diversi mesi, l’occupazione di Agadez ha suscitato forti contrasti, fino a sollecitare l’intervento della polizia. Queste reazioni ci dicono che l’accoglienza dei richiedenti, ancorché dichiarata e garantita dalle autorità locali e nazionali, dovrà però svolgersi in un quadro prestabilito: quello di un accampamento, anzitutto, e a distanza dal resto della popolazione. Tra le prerogative dello Stato, che detiene il potere di riconoscere il diritto di asilo, e l’assistenza umanitaria degli stessi richiedenti prestata dalle organizzazioni internazionali si crea una tensione significativa, in quanto scaturita da un contesto in cui la popolazione ospite rimane molto povera e dipende essa stessa da politiche di assistenza. Le aspettative dei richiedenti asilo si inseriscono nel mezzo di questi attriti, prendendo corpo in una dimensione quotidiana che ha nelle organizzazioni internazionali i loro principali interlocutori.

Se al 31 dicembre 2019 risultavano depositati 335 fascicoli, con un indice di accettazione dell’87%, l’accesso allo status di rifugiato non risolve comunque le situazioni personali e l’applicazione da parte dell’Unhcr di un approccio basato sul “caso per caso” (in funzione delle situazioni individuali) soggiace alla molteplicità delle variabili locali.

 

4. Conclusioni

Dalla macro-scala delle conferenze internazionali e delle dichiarazioni politiche a quella locale dell’effettiva accoglienza dei richiedenti asilo, i ruoli giocati dai diversi attori si costruiscono in funzione delle conflittualità legate alla negoziazione dell’ambito operativo di ciascuno. Mentre il clamore internazionale e nazionale hanno permesso di rafforzare il programma dell’Unhcr sui flussi di migrazione “mista” in Niger, la rotta migratoria che attraversa questo Paese si è progressivamente esaurita o ha preso strade e forme differenti. Il contesto dei Paesi limitrofi (Libia e Algeria), che ha provocato una mobilità in senso “discendente”, ha portato ad ampliare la portata di questo programma, in particolare nella città di Agadez. L’accoglienza di oltre 1500 richiedenti asilo non solo ha contribuito a creare una forte pressione sul sistema di asilo nascente – nonostante la normativa datata –, ma ha fatto emergere la questione dell’accoglienza in un capoluogo regionale nel quale anche i servizi di base sono carenti.

A livello locale, si intrecciano le tensioni tra le aspirazioni dei richiedenti, le logiche umanitarie delle organizzazioni internazionali e, per le autorità politiche, il modo di guardare all’accoglienza, che diviene oggetto di “trattativa” con la popolazione che rappresentano. L’esempio dei “sudanesi” di Agadez è istruttivo al riguardo, nella misura in cui porta sia le autorità che le organizzazioni umanitarie a negoziare uno spazio di accoglienza in grado di soddisfare tutti, eccetto forse i richiedenti asilo. Di fatto, la costruzione di un accampamento alla periferia della città configura una messa a distanza e un’accoglienza necessariamente sottoposta a una condizione di invisibilità.

Malgrado queste tensioni a livello locale, il Niger è stato tuttavia capace di imporsi come spazio di accoglienza possibile, almeno sul piano internazionale, ancorché le condizioni di tale accoglienza si inscrivano in quell’orizzonte a breve termine che è proprio dell’ambito umanitario.

 

* Traduzione di Mosè Carrara Sutour.

1. Categoria adottata dall’Unhcr, il termine “rimpatriato” è qui riferito ai migranti nigerini insediati – alcuni di loro da lunga data – in Nigeria i quali, in fuga da Boko Haram, hanno fatto ritorno in Niger.

2. Vds. https://data2.unhcr.org/fr/country/ner.

3. J. Brachet, Migrations transsahariennes. Vers un désert cosmopolite et morcelé (Niger), Éditions du Croquant, Parigi, 2009.

4. «Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per la stabilità e la lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa».

5. Vds. F. Boyer e H. Mounkaila, Européanisation des politiques migratoires au Sahel : le Niger dans l’imbroglio sécuritaire, in E. Grégoire - J.-F. Kobiané - M.-F. Lange (a cura di), L’État réhabilité en Afrique. Réinventer les politiques publiques à l’ère néolibérale, Karthala, Parigi, 2018; F. Boyer, Sécurité, développement, protection. Le triptyque de l’externalisation des politiques migratoires au Niger, in Hérodote, vol. 172, n. 1/2019, pp. 169-189.

6. Con l’eccezione dell’accoglienza dei rifugiati ciadiani negli anni novanta.

7. Dichiarazione di Emmanuel Macron durante il mini-vertice euro-africano con i Capi di Stato e di governo, Parigi, 28 agosto 2017, www.elysee.fr/front/pdf/elysee-module-778-fr.pdf.

8. Il vertice ha riunito i Presidenti di Ciad, Niger e Francia, i Capi di governo di Italia, Spagna e Germania, il Capo del Governo libico di unità nazionale e l’Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Ue.

9. Cfr. https://unhcrniger.tumblr.com/post/160297475724/le-hcr-ouvre-un-bureau-à-agadez-sur-la-route-des.

10. Disponibile online: www.youtube.com/watch?v=z08zUFaF740.

11. Cfr. https://nigerdiaspora.net/index.php/politique-niger/2668-le-president-du-niger-en-appelle-a-la-cpi-sur-les-migrants-reduits-a-l-esclavage-en-libye.

12. «They stressed the imperative need to improve the conditions of migrants and refugees in Libya and to undertake all necessary action to provide them with the appropriate assistance and to facilitate their voluntary repatriation to their countries of origin as well as durable solutions for refugees. In this regard, they stressed the need for all Libyan stakeholders to facilitate access by international organisations and by consular officials of countries of origin» (www.consilium.europa.eu/media/31871/33437-pr-libya20statement20283020nov2010.pdf).

13. Per un approfondimento sul programma ETM, cfr.: https://unhcrniger.tumblr.com; www.asgi.it/wp-content/uploads/2019/07/ASGI-Resettlement-ETM-FRANCAIS-.pdf; https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/74110.pdf.

14. Cfr. https://refugeesmigrants.un.org/fr/avec-laide-de-loim-le-niger-rapatrie-par-avion-ses-migrants-de-libye.

15. H. Mounkaila, Le passage des migrants à Niamey et à Agadez : une source d’économie informelle diversifiée entre conjonctures et permanences, in A. Boureima e D. Lawali (a cura di), Sahel entre crises et espoirs, L’Harmattan, Parigi, 2014, pp. 321 ss.

16. Il termine è qui posto fra virgolette in quanto designa i richiedenti asilo provenienti dalla Libia originari del Sudan, dell’Eritrea e dell’Etiopia. Ad Agadez, “sudanesi” è una categoria genericamente estesa a tutti questi soggetti.

17. Comunicato finale del «Forum regionale sullo spazio dell’asilo nel contesto della migrazione mista», Agadez, 4 luglio 2018.

18. Ibid.

19. Ibid.

20. Fino al 2018, le domande di asilo si potevano presentare soltanto a Niamey. Il programma relativo ai flussi misti e l’arrivo dei “sudanesi” ad Agadez hanno fatto sì che il deposito delle domande e la costituzione dei fascicoli – successivamente riuniti a Niamey – venissero effettuati localmente. Nel corso del 2019, una delle varie sessioni decentrate della CNE si è tenuta ad Agadez.

21. Colloquio presso il Consiglio regionale di Agadez, 18 aprile 2019.

22. O. Pliez (a cura di), La nouvelle Libye. Sociétés, espaces et géopolitique au lendemain de l’embargo, Karthala, Parigi, 2004, pp. 139-155.

23. APBE, «Action Pour le Bien-Être» (https://apbe.org/qui-sommes-nous/), è l’ong nigerina incaricata della gestione del Centro umanitario di Agadez; COOPI, «Cooperazione Internazionale» (www.coopi.org/it/cosa-facciamo.html), è una ong italiana attiva ad Agadez, responsabile per la destinazione delle abitazioni in affitto ai richiedenti asilo più vulnerabili e della realizzazione di attività di sostegno psico-sociale presso il Centro umanitario.

24. Cfr. www.alternativeniger.net/nigerjugement-des-demandeurs-dasile-a-agadez/.