Magistratura democratica

I ritorni di emergenza dalla Libia e dal Niger: una risposta centrata sulla protezione o una fonte di problematiche relative alla protezione?

di Maybritt Jill Alpes

Basato su una ricerca sul campo di tre mesi in Nigeria, Niger e Mali, il saggio indaga in che misura i ritorni di migranti assistiti e gestiti dall’Oim – in particolare dalla Libia e dal Niger – nei Paesi di origine possano costituire, in termini di protezione, una risposta nel medio e lungo periodo o, invece, generare nuove criticità per le persone coinvolte, le comunità di appartenenza e il tessuto sociale di quei Paesi. Dopo un’analisi dei fattori determinanti l’accettazione del ritorno, la ricerca rivela la successiva persistenza di bisogni essenziali a un qualsiasi progetto di vita, nonché di un forte legame tra empowerment socio-economico e mobilità geografica.

1. Introduzione / 2. Il contesto politico: i ritorni come intervento politico sulla migrazione in Africa occidentale / 3. Concettualizzare la protezione prima, durante e dopo il ritorno / 4. Ritorni e cause profonde delle problematiche relative alla protezione dei migranti / 4.1. Cause delle problematiche relative alla protezione in Libia / 4.2. [segue] … e in Niger / 5. Ritorni e nuove problematiche relative la protezione dopo l’arrivo / 6. Ritorni e meccanismi localmente validi ad assicurare protezione / 7. Conclusioni e implicazioni di policy

 

1. Introduzione

Quando, a fine novembre 2017, la CNN richiamò l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che in Libia si riducevano in schiavitù le persone, il focus del Vertice di Abidjan tra Unione africana (Ua) e Unione europea si è spostato su quel fenomeno.

I governi africani non hanno proseguito oltre nel dibattito sulle problematiche modalità del supporto europeo alla Guardia costiera libica, e hanno invece acconsentito al ritorno volontario dei propri cittadini presenti in Libia[1]. Come deciso durante il Vertice, la task force formata da Ua, Ue e Nazioni Unite si è rivolta all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) per aumentare la portata dei ritorni già in corso dalla Libia e da altri Paesi in forza di un’«Iniziativa congiunta» Ue-Oim finalizzata alla «protezione» e al «reinserimento» dei migranti[2].

Il ritorno è uno dei pilastri di questa iniziativa, con fondi destinati al «reinserimento», a «meccanismi di risposta e assistenza ai migranti», nonché a operazioni di soccorso nel deserto[3]. Se la dichiarazione congiunta Ua-Ue-Onu fa anche riferimento al reinsediamento e alle misure per combattere il traffico di esseri umani, essa ha tuttavia rafforzato la preesistente concezione delle operazioni di ritorno quali misure di protezione. Storie di schiavitù contemporanea e di sfruttamento in Libia fanno apparire le operazioni di ritorno una risposta protettiva necessaria a causa del contesto di emergenza in cui versa il Paese. Peraltro, nel mezzo dell’emergenza, è mancata una vera discussione sulle cause profonde delle sofferenze patite dai migranti in terra libica, nonché sulla misura in cui il ritorno e il successivo reinserimento possano rispondere ai loro bisogni e aspirazioni.

L’Oim è un’organizzazione intergovernativa. I suoi quattro tradizionali ambiti di intervento riguardano: la migrazione e lo sviluppo, la facilitazione della mobilità migratoria, la regolamentazione del fenomeno e il problema delle migrazioni forzate. Fondata nel 1951 come agenzia di supporto logistico e operativo, essa ha acquisito uno statuto permanente e l’attuale denominazione nel 1989, conoscendo da quel momento una rapida espansione: da 43 Stati membri e un budget di circa 300 milioni di dollari nel 1991, è passata a 172 Stati e 1,8 miliardi nel 2018[4]. Solo nel settembre 2016 è divenuta Agenzia collegata alle Nazioni Unite. Il suo modello di finanziamento, fortemente vincolato a progetti specifici (cd. “progettizzazione”), la distingue dall’Unhcr e da altre organizzazioni internazionali[5].

Dopo le critiche di Amnesty International[6] e Human Rights Watch[7] relative alla compatibilità di alcune sue operazioni con il rispetto dei diritti umani, la seconda versione del suo atto costitutivo afferma che, dal 2013, l’Organizzazione «si impegna a svolgere le proprie attività conformemente agli scopi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e nel rispetto delle politiche dell’Onu atte a promuovere detti scopi e principi nonché di altri strumenti pertinenti in materia di migrazione internazionale, rifugiati e diritti umani»[8].

I ritorni dalla Libia e dal Niger verso l’Africa occidentale subsahariana hanno assunto la forma di un intervento umanitario in Africa settentrionale e occidentale, dopo che le attività ufficiali di supporto alle operazioni di ricerca e soccorso (SAR) nel Mar Mediterraneo si sono progressivamente ridotte fino quasi ad arrestarsi[9]. Alla fine del 2016, i Paesi europei hanno smesso di impiegare le proprie imbarcazioni nell’area del Mediterraneo centrale, in prossimità delle acque territoriali libiche, concorrendo a una campagna lanciata contro le ong impegnate in attività SAR per impedire che continuassero a operare in quell’area[10]. Nella seconda metà del 2016, anche l’Unione europea ha iniziato a finanziare, formare ed equipaggiare la Guardia costiera libica[11].

Queste politiche sono tuttora in atto e mirano ad agevolare le azioni illegali condotte sui migranti in acque internazionali dalla Guardia libica, che arresta e detiene chi tenta la fuga via mare, talvolta da zone in cui è in corso un conflitto armato. Al principio delle cd. “operazioni di ritorno umanitario volontario” avviate dall’Oim a fine 2017, la maggior parte dei ritornati dalla Libia era stata arrestata e incarcerata dalle autorità libiche.

Quale conseguenza delle condizioni inumane e degradanti vissute all’interno dei centri di detenzione libici, i migranti hanno riferito – nell’ambito delle testimonianze raccolte dalla presente ricerca – di essersi sentiti obbligati ad accettare il ritorno[12].

Maurice Stierl e Sandro Mezzadra hanno definito tale arrangiamento un’«industria del refoulement», e gli operatori SAR parlano di una necessità di salvare due volte i migranti: dal naufragio e «dal rischio di essere nuovamente catturati e riportati indietro, per subire nuovamente torture e orrori dalle stesse persone da cui stavano fuggendo»[13]. Unendosi a proposte già da tempo formulate da organizzazioni per la tutela dei diritti umani[14], anche l’Oim e l’Unhcr hanno recentemente affermato che le persone soccorse nel Mediterraneo non dovrebbero essere fatte sbarcare in Libia, e che il sostegno prestato alle autorità libiche va interrotto in assenza di garanzie relative al rispetto degli standard sui diritti umani[15]. Nel 2019, i ritorni che l’Oim ha effettuato dai centri di detenzione libici sono diminuiti del 25%, mentre la maggior parte di essi è avvenuta dalle aree urbane del Paese.

I confini esistenti tra “soccorso”, “protezione”, “deterrenza” e “controllo delle frontiere” sono sfumati[16]. Il presente contributo indaga in che misura i ritorni possano costituire una risposta in termini di protezione a medio e lungo termine, oltre alla questione se, eventualmente, possano produrre nuove criticità in tal senso o altri effetti negativi per gli abitanti dei Paesi di origine. Con riguardo alla protezione, ci si riferirà in senso ampio ai bisogni personali: sia rispetto all’accesso immediato ai servizi di base, essenziali a garantire il diritto alla vita e un trattamento umano e dignitoso (ad esempio: cure mediche di emergenza, alimenti, uno spazio abitativo, sicurezza personale), sia considerando esigenze più a lungo termine di protezione sociale (accesso all’assistenza sanitaria, diritto all’istruzione). Ferma l’importanza delle questioni toccate dalla “protezione internazionale”, come definita dalla Convenzione di Ginevra, i luoghi del nostro fieldwork sono stati scelti con lo scopo di mettere in luce le dinamiche successive al ritorno, al di là delle questioni legate al non-respingimento.

Il contributo esplora le connessioni tra i ritorni e le problematiche relative alla protezione, facendo affidamento nell’analisi sui principi di protezione umanitaria concordati a livello internazionale[17]. Le risposte fornite nel rispetto di tali principi devono garantire, per esempio, che l’assistenza sia centrata sui bisogni e tenga conto delle vulnerabilità di ciascuno. Nella stessa linea, i protocolli Oim prevedono valutazioni di vulnerabilità riferite alle condizioni della mobilità – assicurandosi che un viaggio sia “sicuro” per una data persona – e la segnalazione di migranti “vulnerabili” ai quali deve essere prestata un’ulteriore assistenza nel corso del processo di ritorno e reinserimento. Tali misure mirano a riequilibrare le vulnerabilità esistenti.

Nondimeno, i principi di protezione umanitaria prevedono anche la necessità, per gli attori umanitari, di prevenire i danni, di sostenere lo sviluppo di capacità soggettive di auto-protezione, oltre a permettere alle persone di reclamare i propri diritti. In base a questi principi, ci si domanda se i ritorni affrontino a partire dalle sue cause la problematica della protezione dei migranti e se proprio la loro attuazione non crei nuove criticità. Più esplicitamente, di quale supporto necessitano le persone nei Paesi di origine per raggiungere, con percorsi propri, la protezione sociale e l’emancipazione socio-economica?

Nel quadro delle operazioni di ritorno dall’Africa settentrionale e occidentale, lo scritto si concentra su quelle effettuate dalla Libia e dal Niger verso, rispettivamente, la Nigeria e il Mali.

L’Oim definisce le operazioni di ritorno dalla Libia «ritorni volontari umanitari» (VHR) e quelle avviate dal Niger «ritorni volontari assistiti» (AVR). I programmi di ritorno eseguiti in entrambi i Paesi variano in certa misura. In particolare, i rispettivi contesti geografici e politici creano sfide differenti per i migranti e impongono altrettante condizionalità per l’Oim e gli operatori umanitari. Contrariamente ai ritorni forzati e assistiti dai Paesi europei, i programmi VHR e AVR sono entrambi giustificati da un contesto emergenziale per i migranti in transito, e sono perciò implementati come “interventi di protezione”. Ai fini della nostra argomentazione, i programmi (VHR e AVR) di ritorno dalla Libia e dal Niger saranno riuniti sotto l’insieme unico dei cd. “ritorni di emergenza”.

Nello sforzo di porre in primo piano i vissuti dei migranti ritornati nel Paese di origine [da qui in avanti: “ritornati” (ndr)], delle loro famiglie e di altri cittadini, questo contributo si avvale di un periodo di dieci settimane di ricerca qualitativa a contatto con i testimoni intervistati e con il personale delle organizzazioni internazionali e delle agenzie territoriali incaricate di attuare i programmi in Mali, Niger e Nigeria tra gennaio e marzo 2019.

Metodologia di ricerca. I risultati si basano sull’analisi di interviste open-ended con 23 persone ritorniate dalla Libia[18], 15 migranti in Niger e in Mali, colloqui formali con il personale dell’Oim (21), delle ong (11), delle istituzioni nazionali (10), nonché con rappresentanti dell’Ue, dell’Unhcr (2) e di agenzie europee per lo sviluppo (2).

Al fine di individuare le effettive dinamiche operanti sul campo, il paper si basa anche sull’osservazione reiterata dei voli e delle procedure di accoglienza destinati ai ritornati, su visite nei centri per il transito e l’assistenza temporanei, su discussioni di gruppo con migranti assistiti da ong e chiese. Completano l’oggetto della ricerca i training di formazione professionale inseriti nei programmi di reinserimento a favore dei ritornati.

La forza dei dati acquisiti dai ritornati risiede nella qualità dei colloqui, unita all’analisi situazionale basata sull’osservazione dei loro contesti di vita.

Contro il rischio di distorsioni, abbiamo deliberatamente evitato di rivolgerci all’Oim per contattare i ritornati, preferendo ricorrere alla mediazione di ricercatori universitari, membri delle chiese e leader delle comunità locali. Ciò ha fatto sì che i futuri intervistati non associassero gli autori della ricerca all’Oim e si sentissero più liberi di collaborare senza il pensiero di ripercussioni sul loro accesso all’assistenza per il reinserimento né paure (più o meno fondate) dovute all’eventuale divieto di intraprendere un nuovo viaggio. Pur strutturando le interviste secondo un certo standard, il ricercatore ha aperto e chiuso ciascun incontro lasciando ai protagonisti lo spazio per fare domande ed esprimere le proprie preoccupazioni. Raggiungendo le persone da intervistare attraverso la rete comunitaria e mediante un campionamento “a catena”, si sono così potuti ascoltare anche i migranti ritornati tramite l’Oim che, tuttavia, non hanno avuto accesso alle misure di reinserimento sociale. I dati sono circoscritti alle dinamiche e alle esperienze dei migranti ritornati in contesti urbani.

Lo scritto delinea, in primo luogo, il contesto delle politiche di ritorno dalla Libia e dal Niger verso la Nigeria e il Mali, per poi occuparsi dei diversi approcci concettuali ai bisogni personali prima, durante e dopo il ritorno. Nella sua trattazione empirica, si indagano le molteplici connessioni esistenti tra i ritorni e l’ambito della protezione sociale. In prima battuta si esaminano le cause inerenti alla questione nel momento anteriore al ritorno; in seconda battuta, si indaga se e come i ritorni, una volta effettuati, siano in grado di generare nuove criticità relativamente alla protezione. Infine, si intende far luce su come i ritornati e le loro famiglie concepiscano e costruiscano essi stessi i propri meccanismi di protezione.

 

2. Il contesto politico: i ritorni come intervento politico sulla migrazione in Africa occidentale

Con l’aumento, nel 2015, dei tassi di arrivo dei richiedenti asilo e di altri migranti[19] in Europa, politici e decisori strategici hanno iniziato a richiedere politiche di ritorno più forti ed efficienti. Tale orientamento è andato a scapito di altre opzioni di policy, come la regolarizzazione e l’espansione di vie legali alla migrazione[20]. In concreto, ai ritorni è corrisposto, quale effetto sulla gestione delle migrazioni, un investimento politico e finanziario per l’aumento del controllo alle frontiere nei Paesi europei, con l’istituzione della nuova Guardia costiera e di frontiera europea, oltre a un incremento degli accordi di riammissione e di altre forme di cooperazione bilaterale, come la “Joint Way Forward” tra Ue ed Afghanistan e la dichiarazione fra Ue e Turchia[21]. Considerato nel suo insieme, lo sviluppo di queste policies non ha comunque prodotto un significativo aumento dei ritorni dai Paesi di destinazione – a causa, fra l’altro, di difficoltà logistiche, di limiti intrinseci alle politiche di ritorno e di obblighi in materia di diritti umani[22].

Gli Accordi di riammissione. In base al Quadro di partenariato sulla migrazione del 2016, l’Ue e i suoi Stati membri hanno negoziato una serie di accordi formali e informali con i Paesi terzi al fine di facilitare la riammissione dei migranti nei Paesi di origine e ridurre il numero di persone che raggiungono irregolarmente le frontiere con l’Europa. Per mezzo del Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa (EUTF), il Consiglio dell’Unione europea ha inoltre posto l’assegnazione di fondi per l’aiuto allo sviluppo e la risposta alle emergenze in linea con la sua agenda migratoria e le priorità del Consiglio “Giustizia e Affari interni” dell’Ue[23]. Per esempio, in Etiopia, Niger, Gambia e Marocco, i progetti per lo sviluppo sono stati approvati parallelamente all’avanzamento della negoziazione degli accordi di ritorno e riammissione[24].

Rispetto alle espulsioni dall’Europa, le operazioni di ritorno dai cd. “Paesi di transito” avvengono su scala molto più larga. Tra marzo 2017 e novembre 2019, l’Oim ha effettuato il ritorno di 30.869 migranti dalla Libia, 29.337 dal Niger e 2.522 dal Mali[25]. I Paesi di origine che hanno ricevuto il maggior numero di persone attraverso i flussi di ritorno in quel periodo erano rilevanti anche in rapporto ai flussi migratori verso l’Europa[26] – in particolare la Nigeria (15.707), il Mali (14.628) e la Guinea (13.084). Si potrebbe, così, sostenere che i ritorni dai Paesi di transito contribuiscono all’esternalizzazione delle funzioni di controllo dei confini.

Terminologia relativa ai ritorni. Esistono diverse posizioni relative al modo di intendere il lavoro dell’Oim in Libia e in Niger. I migranti intervistati in occasione di questa ricerca molto spesso si riferivano al loro ritorno come a un atto di “deportazione”. L’Oim e gli Stati membri dell’Ue parlano invece di “assistere i migranti che hanno necessità di fare ritorno nei Paesi di origine su loro richiesta”. In questo senso, le operazioni sono inquadrate come un’azione esclusivamente umanitaria, che non ha alcun legame con le più ampie logiche di gestione delle migrazioni adottate da chi provvede a finanziarle.

La terminologia qui impiegata per le operazioni Oim di trasporto di migranti dalla Libia e dal Niger nei Paesi di origine è descrittiva e neutrale – “ritorni”. Parlare di operazioni di “ritorno” riferendosi all’attività dell’Organizzazione non comporta una valutazione del grado in cui i migranti abbiano richiesto il – o acconsentito al – ritorno (in ragione, tra l’altro, delle terribili condizioni vissute in Libia o in Niger).

I ritorni volontari assistiti (AVR) hanno avuto origine come alternativa alle espulsioni dai Paesi di destinazione. Il concetto-chiave è nella qualità specifica dei ritorni: volontari, umani e dignitosi[27]. Il supporto offerto dopo il ritorno dovrebbe rendere il reinserimento sostenibile, così che le persone non si sentano nuovamente costrette a emigrare[28]. Nel 2008, l’Oim ha iniziato ad effettuare AVR anche dai Paesi di transito. L’idea era quella di «offrire alternative prima che la mancanza di alternative rendesse i migranti vulnerabili»[29].

Dopo il 2015, l’Ue ha aumentato gli investimenti allo scopo di ottimizzare la capacità operativa dell’Oim lungo le rotte del Mediterraneo centrale. Ciò ha portato, nel maggio 2017, al lancio dell’«Iniziativa congiunta» Ue - Oim per «la protezione e il reinserimento dei migranti» finanziate nel quadro dell’EUTF e riguardante quasi tutti i Paesi del Nordafrica, il Sahel, la zona intorno al Lago Ciad e il Corno d’Africa. L’iniziativa prevede attività di capacity building, protezione e assistenza al ritorno volontario, sostegno al reinserimento, raccolta e analisi dei dati sulla migrazione, attività di informazione e di sensibilizzazione, attività funzionali alla «stabilizzazione delle comunità» svantaggiate[30].

L’EUTF. Nel novembre 2015 i capi di Stato e di governo europei e africani hanno creato il «Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per la stabilità e la lotta alle cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno degli sfollati in Africa». Mettendo in comune risorse provenienti dagli Stati membri dell’Ue, dal Fondo europeo di sviluppo e dal budget unionale[31], l’EUTF rappresentava inizialmente uno strumento finanziario per il piano d’azione basato sull’approccio condiviso alla migrazione concordato al Vertice di La Valletta (11-12 novembre 2015). Il piano di azione è stato definito per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati, favorire la cooperazione finalizzata alla mobilità e alla migrazione legali, rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, prevenire e combattere la migrazione irregolare, il traffico di migranti e la tratta di esseri umani, con una più stretta cooperazione in materia di ritorno, riammissione e reinserimento. Le ong umanitarie hanno contestato questo strumento finanziario per far dipendere l’aiuto ufficiale allo sviluppo dal desiderio europeo di fermare le migrazioni irregolari e raggiungere intese con i Paesi africani sul ritorno in patria dei propri concittadini[32]. Con ogni probabilità, e malgrado le critiche, tale modello di risposta alle crisi diventerà prevalente a livello politico tramite lo «Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e sviluppo internazionale» («Neighbourhood, development and international cooperation instrument») con il prossimo bilancio a lungo termine – il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dell’Ue.

L’assistenza volontaria al ritorno e le attività di sostegno al reinserimento dell’iniziativa congiunta Ue-Oim offrono assistenza ai migranti bloccati nei Paesi che si trovano lungo la rotta per l’Europa, come Libia, Niger, Mali, ma anche Burkina Faso e Mauritania. Tuttavia, i cittadini africani si spostano anche verso Paesi del continente africano che non rappresentano Paesi di transito per i migranti diretti in Europa. Per fare un esempio, i maliani seguono da tempo rotte migratorie verso la Costa d’Avorio, il Ghana, la Guinea Equatoriale, l’Angola e il Sudafrica, e hanno sperimentato situazioni di grave difficoltà in Costa d’Avorio e Angola, nonché – in minor misura – in Liberia e nello Zambia[33]. Il fatto che i maliani all’estero possano contare o meno sui programmi di ritorno e reinserimento dipenderà dalle priorità dei donatori. Ad esempio, i migranti maliani che si trovano nel bacino del Ciad, in Arabia Saudita, in Angola o in Mozambico non potranno beneficiare dell’assistenza dell’Oim. Pertanto, la scelta dei Paesi interessati dal suo intervento rivela la prospettiva eurocentrica nel cui ambito i donatori definiscono quelle stesse priorità[34].

Stando al piano originario dell’iniziativa congiunta Ue-Oim (del marzo 2017), 20.000 migranti avrebbero dovuto essere ritornati da Libia, Niger e Mali in 13 Paesi di origine nell’arco di un triennio. Dopo quanto rivelato dalla CNN a novembre 2017, la task force composta da Ua, Ue e Onu ha chiesto all’Oim un’accelerazione dei ritorni per un minimo di 15.000 persone dalla Libia in sei settimane[35]. Diversi Stati africani, come il Niger, la Nigeria o la Repubblica Democratica del Congo, hanno collaborato al ritorno di circa 5000 loro rispettivi connazionali bloccati in Libia. Questo processo è stato agevolato dalla task force internazionale, con finanziamenti provenienti dall’EUTF[36].

Dopo questi ritorni di emergenza dalla Libia, l’Oim ha continuato a effettuare ritorni dall’Africa settentrionale e occidentale, principalmente da Libia e Niger, ma anche dal Mali in misura considerevole. Ad esempio, per limitarsi al Niger e alla Libia, nel periodo marzo 2017 - novembre 2019 l’Oim ha provveduto al ritorno di oltre 40.000 migranti in totale[37].

Questo “cambio di scala” nei ritorni ha avuto un impatto sulla capacità dell’Oim di implementare i programmi di assistenza al reinserimento previsti in bilancio dall’iniziativa congiunta Ue-Oim. In Mali, l’Oim ha assistito 10.000 ritornati tra maggio 2017 e gennaio 2019, pur potendo – secondo le sue stime – offrire supporto solo a circa 1000 individui (il 10% dei ritornati)[38]. A gennaio del 2019 si è pianificata un’assistenza supplementare per altre 2000 persone ritornate. Tuttavia, poiché l’Oim è stata in grado di contattare 4000 ritornati su 10.000, è improbabile che la percentuale di persone aventi accesso all’assistenza al reinserimento dopo il ritorno sia fortemente aumentata da allora[39]. In Nigeria la percentuale risulta più alta, pur restando relativamente contenuta. Nel periodo intercorso tra maggio 2017 e febbraio 2019, l’Ufficio nigeriano dell’Oim ha dichiarato di avere accolto circa 12.000 persone dalla Libia (l’89%) e, in misura minore, da Mali, Marocco, Niger e Paesi europei (11% nell’insieme). Su 12.000 ritornati, 9000 erano raggiungibili dopo il ritorno, 5000 hanno beneficiato di una formazione professionale e 4300 hanno ricevuto un aiuto al reinserimento individuale o collettivo sotto forma di beni materiali destinati ad avviare un’attività d’impresa. Se nel “supporto” al reinserimento si include anche l’accesso ai servizi medico-sanitari, l’Ufficio nigeriano dell’Oim ha assistito 7000 ritornati dei 12.000 accolti (il 58%)[40].

 

3. Concettualizzare la protezione prima, durante e dopo il ritorno

Attualmente, le responsabilità connesse alla protezione successiva al ritorno sono filtrate attraverso la lente di una letteratura in tema di ritorno e reinserimento largamente sviluppata in relazione ai programmi operativi di ritorno volontario e nel contesto sistemico della development cooperation. L’assunto di fondo è che i migranti ritornati contribuiranno allo sviluppo della loro comunità di origine mediante l’impiego del proprio capitale umano, finanziario e sociale[41]. Gli studi accademici hanno ampliato tale assunto, aggiungendo la variabile del tipo di traiettoria di ritorno. A seconda che i ritorni siano volontari o che avvengano nella riluttanza, o sotto pressione, obbligo o coazione[42], i loro potenziali effetti sullo sviluppo varieranno[43]. Il contributo dei ritornati sarà maggiore nel caso di una scelta volontaria, ad esempio per ragioni di anzianità e futuro pensionamento, o dettata da motivi familiari di varia natura, oppure perché gli obiettivi che hanno spinto a emigrare sono stati raggiunti. Inversamente, il contributo allo sviluppo sarà più debole laddove i migranti abbiano semplicemente visto scadere un permesso di soggiorno, siano spinti dal Paese di destinazione a partire o effettivamente forzati ricorrendo alla carcerazione o ad altri mezzi coercitivi[44].

Se gli studiosi hanno esaminato in questi termini il potenziale e i limiti del contributo allo sviluppo da parte dei ritornati in funzione dei loro percorsi di ritorno, questo tipo di analisi si è concentrato sui ritorni effettivi, escludendo coloro verso cui sono state emesse decisioni di ritorno o che si trovano altrimenti sotto pressione per fare ritorno nel proprio Paese. Come già rilevato, gli Stati membri dell’Ue emettono decisioni di ritorno in numero molto maggiore di quanto possano effettivamente realizzare. Pertanto, le politiche di ritorno producono conseguenze anche sui migranti, non solo sui ritornati[45]. Per coglierne l’intera dimensione, sarebbe quindi importante far rientrare nell’analisi anche l’impatto delle minacce e delle pressioni esercitate per ottenere i ritorni. Nel caso di migranti provenienti dallo Sri Lanka, Michael Collyer è stato in grado di dimostrare che la pressione finalizzata al ritorno agisce da fattore negativo in rapporto agli effetti prodotti dalla migrazione sullo sviluppo[46]. Sempre più pressati e persino costretti a ritornare da vari strumenti di policy, i migranti diventano vulnerabili e hanno un margine minore di manovra nelle loro strategie di sussistenza. Ciò incide, fra l’altro, sulla capacità di inviare denaro alle famiglie nei Paesi di origine.

La saggistica sull’assistenza al reinserimento si è inoltre occupata dei ritorni dai Paesi di destinazione a quelli di origine. L’attualità dei ritorni dall’Africa settentrionale e occidentale offre, però, ulteriori sfide per una lettura dell’impatto che le dinamiche post-ritorno possono avere sullo sviluppo di un Paese. Le operazioni di ritorno in Libia (e, in minor misura, in Niger) sono effettuate in un contesto di emergenza. I migranti in Libia si decidono a ritornare[47] non perché abbiano conseguito i loro obiettivi o ritengano di poterlo fare meglio nel Paese di origine, ma per evitare detenzioni e situazioni di abuso e sfruttamento pericolose per la loro stessa vita[48]. In Niger, i migranti intervistati hanno acconsentito al ritorno dopo aver subito gravi violazioni di diritti umani e deportazioni potenzialmente mortali attraverso il deserto da parte delle autorità algerine. Alla luce delle peculiarità dei ritorni dalla Libia e dal Niger, il presente contributo mette in discussione i limiti di un inquadramento dei bisogni delle persone come “vulnerabilità”, quando queste si trovino fuori dal territorio dei Paesi di cittadinanza, e come “questioni legate allo sviluppo” quando invece risiedano entro i loro confini.

Il successivo paragrafo esplora in dettaglio il punto di vista dei diretti interessati sul perché e sul come siano pervenuti a rientrare dalla Libia e dal Niger nel proprio Paese di origine.

 

4. Ritorni e cause profonde delle problematiche relative alla protezione dei migranti

Le interviste ai migranti ritornati nei Paesi di origine indicano che le operazioni di pull-back (“arretramento”) sulla costa libica, le pratiche di detenzione perpetrate in Libia una volta a terra e le espulsioni dall’Algeria verso il Niger giocano un ruolo-chiave nella produzione del contesto in cui i migranti giungono ad accettare il ritorno gestito dall’Oim. Le operazioni di ritorno offrono vie di fuga da situazioni di afflizione, ma non ne affrontano le cause. In base ai principi del diritto umanitario, ogni intervento umanitario deve rendere possibile per i migranti l’esercizio di una scelta significativa, implicando un accesso incondizionato all’assistenza umanitaria e un approccio alla mobilità fondato sui diritti delle persone, come l’agevolazione della libertà di movimento regionale.


4.1. Cause delle problematiche relative alla protezione in Libia

In Libia l’Oim facilita l’ottenimento dei titoli di viaggio necessari al ritorno di migranti che si trovino in strutture di detenzione o aree urbane. Per la documentazione destinata ai migranti provenienti da Sudan, Sud Sudan, Darfur, Somalia, Eritrea, Etiopia, Siria, Palestina, Yemen e Iraq, è competente l’Unhcr[49].

Nonostante la situazione di emergenza in Libia, i migranti si sono lamentati di non aver potuto scegliere liberamente il proprio ritorno. In una discussione di gruppo, un migrante, parlando della sua esperienza, ha riferito di essere finito in un centro di detenzione libico dove la scelta gli è stata preclusa: «La seconda volta siamo stati fermati in mare. L’Oim ci ha assistiti (…). Non ci è stato permesso di lasciare il centro. Quando arriva l’Oim, ti dicono che se non farai ritorno a casa non lasci il centro». Un altro migrante maliano ritornato si è espresso così in proposito: «Non abbiamo avuto una vera scelta tra accettare o meno il ritorno (…). L’Oim ti minaccia se dici che vuoi rimanere»[50]. Nonostante la logica umanitaria che assiste le operazioni di ritorno dalla Libia, i migranti vivono l’intervento dell’Oim come un controllo della loro sfera di mobilità che incide sulla libertà di scegliere[51].

Anche se le operazioni di ritorno possono salvare delle vite, le narrazioni dei migranti indicano che l’intervento dell’Oim in Libia riduce anche la loro autonomia decisionale. Parlando delle ragioni e delle modalità di questi ritorni, i migranti hanno spesso messo a confronto il loro rispettivo margine di scelta in strutture di detenzione ufficiali gestite da agenti governativi libici o in luoghi di detenzione informali gestiti da milizie o bande armate. Un giovane nigeriano ha spiegato di aver provato a non tornare in un centro ufficiale di detenzione: «Non ho deciso io di tornare nel centro; non c’era contrattazione (…). Molti di noi hanno chiesto la liberazione dietro il pagamento di una somma, ma loro rifiutano. Dicono che su questo non c’è contrattazione. Chiunque finisca nel centro è sotto custodia dell’Oim e sarà fatto rientrare nel proprio Paese – non si fanno eccezioni. È così che siamo tornati a casa».

Al contrario, un migrante maliano di nome Philibert è stato in grado di riscattarsi dalla sua condizione di detenzione. Nel suo racconto, il denaro destinato al cugino sarebbe arrivato il giorno successivo, ma una persona che indossava una divisa dell’Oim è giunta sul posto, e il cugino di Philibert ha commentato: «L’Oim ha pagato per liberarci [da un centro di detenzione ufficialmente non riconosciuto] e ci ha trasferiti in un secondo centro di detenzione, dove siamo stati trattenuti un altro mese (…). Non ci hanno domandato se vogliamo rimanere o tornare a casa. L’uomo non ci ha parlato. Farà come vorrà». Stando alla policy dell’Oim, l’Organizzazione non ha responsabilità per (né effettua) i trasferimenti di persone in centri di detenzione. Tuttavia, in questa testimonianza, l’intervento dell’Oim non è percepito come migliorativo del personale percorso migratorio in Libia.


4.2. [segue] … e in Niger

Molti dei migranti che accettano il ritorno dal Niger sono stati precedentemente espulsi dall’Algeria nella striscia desertica al confine con il Niger. Con la sua presenza ad Assamaka, l’insediamento più vicino al confine tra i due Stati, nel 2018 l’Oim è stata innanzitutto capace di fornire assistenza umanitaria a 11.606 migranti espulsi dall’Algeria[52]. I migranti camminano per 12 km verso il confine o sono soccorsi dall’Oim. A prescindere dalla nazionalità, tutti hanno accesso ad acqua e cibo una volta arrivati ad Assamaka. Sempre nello stesso anno, l’Oim ha prestato assistenza umanitaria a 1479 migranti in difficoltà su altre rotte o al confine con la Libia[53]. Degli 11.606 migranti soccorsi dopo il pericoloso tragitto a piedi nel deserto algerino, 8832 hanno accettato la successiva trasferta da parte dell’Oim nei centri di transito presenti in Niger.

Le interviste ai ritornati mostrano come i rischi ai quali sono esposti i migranti nel corso delle espulsioni dall’Algeria al Niger occupino un posto centrale nell’accettazione, da parte loro, dell’assistenza fornita dall’Oim e del successivo ritorno dal Niger nei Paesi di origine. In Libia, Boubacar aveva scelto con piena consapevolezza di non voler optare per un ritorno gestito dall’Oim. Nel 2012, lasciato il Mali all’età di 18 anni, era finito in Libia a causa di un blocco stradale in Marocco. Là è stato sequestrato e ha potuto liberarsi grazie al denaro spedito da un compagno di viaggio che era riuscito ad attraversare il Mediterraneo. Dopo la liberazione, ha rifiutato il ritorno dalla Libia in quanto si sarebbe presentato ai familiari a mani vuote. È invece andato in Algeria, per cercare di guadagnare i soldi necessari a una traversata via mare, ma qui è stato espulso verso il Niger e ha dovuto camminare 15 km nel deserto prima di essere soccorso da operatori dell’Oim[54]. Solo dopo aver rischiato la vita durante quest’ultimo episodio, ha accettato il ritorno in Mali.

Se l’Oim scorta ad Assamaka i migranti espulsi nel deserto, offrendo loro l’accesso a un ricovero e, successivamente, un servizio di trasporto fino alla città di Arlit, ciò è previsto alla sola condizione che i migranti accettino il ritorno nel proprio Paese di provenienza. I programmi dell’Oim non sono quindi progettati allo scopo di fornire servizi di accoglienza a tutti i migranti presenti in Niger, ma solo a quelli che accettino di avvalersi dell’opzione di “ritorno volontario”. Per chi è espulso dall’Algeria, è possibile firmare in anticipo per un AVR (ritorno volontario assistito), in modo da beneficiare del trasporto e dell’assistenza ad Arlit, Agadez o Niamey e, in un secondo tempo, rinunciare ai programmi di ritorno lasciando i centri di transito.

La presenza dell’Oim al confine tra Niger e Algeria traduce un delicato equilibrio tra diverse funzioni. Nell’avamposto di Assamaka, lo staff nigerino dell’Oim applica il modello umanitario fornendo accesso incondizionato a cibo, acqua e assistenza medico-sanitaria per una media di 24 ore dal soccorso. In questo lasso di tempo, l’Oim organizza il servizio di trasporto dal posto di confine ad Arlit, Agadez o Niamey. Per l’accesso al trasporto e agli spazi abitativi di permanenza, tuttavia, l’Oim segue logiche gestionali, in base alle quali solo i migranti che accettano il ritorno faranno parte del gruppo target cui è destinata l’attività umanitaria dell’Organizzazione.

Sebbene nella pratica possano esservi (e, di fatto, vi siano) delle eccezioni, in linea di principio l’Oim offre un servizio di trasporto da Assamaka ad Arlit solo a chi rientri in tale categoria[55]. L’accesso a una sistemazione abitativa ad Arlit richiede, pertanto, il consenso dell’interessato a collaborare ai preparativi per il ritorno. Coloro che rifiutano potranno tentare un rientro in Algeria ricorrendo alla rete di trasportatori dei villaggi vicini[56]. Altri viaggiano prima fino ad Arlit, dove possono ottenere trasferimenti in denaro da parte di familiari, per poi riprendere la strada per l’Algeria o per altra destinazione.

Dopo ogni nuova espulsione dall’Algeria, il personale di “Oim Niger” aumenta il livello di sensibilizzazione tra gli espulsi riguardo alla possibilità di registrarsi in vista di un ritorno volontario assistito. I programmi di ritorno non costituiscono, tuttavia, un appropriato strumento di policy per tutti gli espulsi.

In primo luogo, dal dicembre 2018, le autorità algerine hanno iniziato a espellere in Niger, in casi isolati e in numero ridotto, cittadini yemeniti, siriani, palestinesi, bengalesi e tibetani[57], alcuni dei quali in possesso di certificati di riconoscimento dello status di rifugiato (refugee cards) emessi dall’autorità algerina. Alcuni di questi rifugiati espulsi sono stati indirizzati all’Unhcr in Niger, mentre altri hanno pagato dei trafficanti per rientrare in Algeria.

In secondo luogo, i cittadini degli Stati membri dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) hanno effettivamente diritto a circolare liberamente nei Paesi corrispondenti e possono quindi, nel caso degli espulsi presenti in territorio nigerino, esercitare tale diritto. Mentre l’Oim ha predisposto sistemi di rinvio che consentono ai migranti con speciali necessità di essere indirizzati ai soggetti competenti, come il Governo nigerino o le ong che collaborano con l’Unhcr[58], l’assistenza offerta nella zona di confine si concentra, peraltro, sui ritorni piuttosto che sui diritti delle persone. I migranti espulsi dall’Algeria non ricevono il supporto necessario a documentare le violazioni subite durante l’espulsione e a porvi rimedio. In concreto, i migranti che non intendono o non possono rientrare nel proprio Paese di origine ritornano in Algeria con i propri mezzi.

L’advocacy contro politiche e pratiche in grado di nuocere alle persone e lesive dei loro diritti è parte integrante delle responsabilità delle organizzazioni umanitarie. Secondo la logica umanitaria[59], le risorse destinate all’alloggio, al vitto e all’assistenza sanitaria dovrebbero essere impiegate a sostegno di chi ne ha più bisogno, non di chi accetta il ritorno. Quale attore di rilievo nella regione, il cui budget ha subito un rapido incremento nell’ultimo decennio, l’Oim ha una particolare responsabilità nel negoziare gli obiettivi dei programmi umanitari e la natura dei relativi gruppi target con i soggetti finanziatori in termini coerenti ai principi del diritto umanitario.

 

5. Ritorni e nuove problematiche relative alla protezione dopo l’arrivo

Dalle interviste ai migranti ritornati nel Paese di origine emerge come essi, anche a ritorno avvenuto, affrontino bisogni legati alla protezione. Il concetto di “reinserimento” presuppone l’integrazione in un preesistente sistema sociale, politico ed economico. Dalla Libia e dal Niger, i migranti fanno ritorno in Paesi di origine che, nondimeno, sono strutturalmente deboli. Un approccio olistico alle dinamiche post-ritorno investe anche in sistemi educativi e formativi, in meccanismi di sicurezza sociale, presta attenzione ai diritti delle vittime di tratta o di tortura e al rischio che i ritornati si trasformino in sfollati interni.

Nella fase anteriore al volo di ritorno, l’Oim opera secondo protocolli standard convenuti per valutare la vulnerabilità di una persona anche in rapporto al suo arrivo nel Paese di origine. Tali protocolli sono applicati con modalità specifiche per ciò che riguarda i ritorni dalla Libia. Riconoscendo il limitato margine di autonomia per i migranti in Libia, l’Oim classifica i ritorni assistiti da quel Paese come «ritorni volontari umanitari» (VHR), effettuando nella fase pre-partenza valutazioni più concise in tema di vulnerabilità. In seguito al ritorno, l’Oim cerca di rispondere ai bisogni più urgenti con progetti mirati al sostentamento, secondo un «approccio integrato al reinserimento». La protezione offerta dall’Oim si focalizza su preesistenti vulnerabilità connesse a caratteristiche specifiche dei ritornati, come il bisogno di tutela dei minori, delle donne in stato di gravidanza, delle vittime di tratta o di chi necessiti di assistenza medico-sanitaria.

In Nigeria, ad esempio, quando i charter arrivano dalla Libia, Port Health e l’Agenzia nazionale per la gestione delle emergenze impiegano personale sanitario e due ambulanze che lavorano a fianco del personale dell’Oim per rispondere alle potenziali necessità dei ritornati. Nelle settimane e nei mesi successivi al ritorno, tuttavia, i migranti si trovano confrontati a nuovi problemi di protezione sociale, come i costi dell’assistenza sanitaria, le tasse scolastiche da pagare o anche il ritrovarsi senza una casa.

Mentre le procedure valutative per identificare le vulnerabilità sono state integrate dall’Oim a livello di policy, l’accesso a un supporto addizionale per rispondere ad altri bisogni – tra cui, appunto, l’assistenza sanitaria o le tasse scolastiche – si è rivelato finora difficoltoso nella pratica. I ritornati che chiedano di accedere a un’assistenza supplementare in ragione di vulnerabilità emerse in seguito al loro rientro dovranno essere in grado di stabilire un contatto con il personale dell’Oim. A causa del carico ingente di casi che l’Oim si trova attualmente a gestire, i ritornati intervistati hanno avuto grandi difficoltà a contattare telefonicamente gli operatori dell’Organizzazione[60], riferendo di “viaggi” reiterati agli uffici dell’Oim, dove aspettavano per ore[61]. Inoltre, la situazione economica dei ritornati è così precaria che non possono permettersi di sostenere i costi di trasporto, perciò finiscono per rinunciare a chiedere il sostegno.

Il monitoraggio proattivo dei casi di reinserimento da parte del personale Oim potrebbe offrire il potenziale per identificare le vulnerabilità e le esigenze di un’ulteriore assistenza, ma ad oggi è stato implementato in maniera marginale[62], in parte perché risulta molto difficile per lo staff dell’Organizzazione mantenere un contatto stabile con i ritornati[63].

I ritorni possono alimentare criticità legate alla protezione nei Paesi di ritorno anche in altri modi.

In prima battuta, come sopra accennato, gli investimenti finanziari in aiuti al ritorno e al reinserimento sono stati decisi a scapito di altre opzioni politiche, come la creazione di rotte migratorie legali (a livello regionale) e sicure o i più tradizionali aiuti strutturali allo sviluppo. In assenza di solidi sistemi di sicurezza sociale previsti dagli Stati, ci si rivolge ai familiari che vivono all’estero per coprire i costi dell’assistenza sanitaria o il pagamento delle tasse e dei libri scolastici. Per fare un esempio, durante l’attesa del suo ritorno assistito dal Mali, una donna camerunese intervistata si preoccupava per i suoi figli e nipoti, che non potevano più andare a scuola da quando, dopo essere stata espulsa dall’Algeria, aveva smesso di inviare denaro alla famiglia.

Una policy capace di rispondere complessivamente alla mobilità in Africa settentrionale e occidentale necessita, pertanto, di considerare non solo i bisogni di protezione individuale dei ritornati, ma anche quelli dei loro familiari che, nei Paesi di origine, potrebbero dipendere dal migrare dei primi e dalle rimesse connesse alla propria protezione sociale[64]. Ciò implica che i decisori politici si impegnino a fondo sulla questione di quali siano gli effetti sullo sviluppo prodotti dalle rimesse al confronto di quelli derivanti dall’assistenza al reinserimento. La questione è cruciale, dato che l’iniziativa congiunta Ue-Oim è finanziata con i fondi allo sviluppo dell’EUTF[65]. Pertanto, se l’assistenza al reinserimento non produce effetti positivi per lo sviluppo dei Paesi di origine, non dovrebbe essere finanziata attraverso l’aiuto pubblico allo sviluppo. Approcci alternativi al ritorno e al reinserimento “assistiti” sarebbero la creazione di rotte migratorie sicure e legali e programmi volti a regolamentare la migrazione da lavoro.

Le rimesse. Rappresentano il denaro o altri beni che i migranti inviano a familiari e amici nei Paesi di origine. Esse contribuiscono alla crescita economica e al miglioramento della qualità della vita nei Paesi in via di sviluppo, spesso in misura maggiore rispetto agli aiuti ufficiali allo sviluppo. Avendo la possibilità di accedere a percorsi di migrazione legali, i migranti potranno effettuare le rimesse più facilmente.

In secondo luogo, al loro arrivo i ritornati possono trovarsi con una rete di supporto sociale più debole di quella anteriore al loro iniziale progetto migratorio. Nell’assenza di un sistema di welfare strutturato, le reti familiari e sociali in genere costituiscono meccanismi informali essenziali per la protezione sociale. Nei Paesi di origine, le famiglie spesso vedono il ritorno come un progetto migratorio fallito, del quale i migranti sono comunque individualmente responsabili.

Per esempio, lo zio di Martha, cittadina nigeriana, non ha accettato il suo ritorno dalla Libia e le ha domandato in tono accusatorio: «Tua sorella è in Francia… Perché ti hanno espulsa [dalla Libia]?». La vergogna di avere lavorato nell’ambiente della prostituzione crea un ulteriore pregiudizio, che spinge le donne ritorniate a cercare residenza in altre città e luoghi per non subire lo stigma sociale, talvolta continuando a prostituirsi. Come Martha ha chiarito nella sua intervista, «In qualità di donna ritornata dalla Libia, se incontro un uomo non dovrei dirgli di essere stata in quel Paese, perché penserebbe che vi abbia esercitato la prostituzione».

L’Oim ha riconosciuto l’esistenza di tali dinamiche, iniziando a rispondere a livello progettuale e programmatico con attività di sensibilizzazione, ma i limiti strutturali dell’assistenza al reinserimento non hanno ricevuto la dovuta attenzione a livello di policy. Una risposta esauriente in termini di policy dovrà considerare che il “reinserimento” sarà, in molti casi, più difficile degli iniziali tentativi fatti per realizzare un progetto di vita nei Paesi di origine, rendendo le persone più inclini – anziché restie – a viaggiare fuori dal Paese dopo il ritorno.

In terzo luogo, i ritorni possono alimentare cicli di spostamento se le condizioni di sicurezza nei luoghi (o nelle regioni) di origine non sono favorevoli al ritorno. Nel quadro degli AVR, l’Oim prevede che i migranti siano indirizzati all’Unhcr se un Paese di origine non è considerato sicuro. Tale approccio denota solo il rispetto del principio di non-respingimento, lasciando a margine i diritti essenziali di natura sociale ed economica dei migranti[66]. Esso, inoltre, si riferisce alla “sicurezza” su scala nazionale, tralasciando l’importanza delle variazioni possibili all’interno dei rispettivi Stati. In alcuni casi, i ritornati sono ex-sfollati interni (nel momento anteriore alla loro traiettoria migratoria), oppure rischiano di diventare tali dopo il ritorno. I nigeriani provenienti dal bacino del lago Ciad o i maliani delle regioni centrali e settentrionali, ad esempio, non saranno in grado di fare ritorno ai loro villaggi e città di origine se tuttora temono per la propria sicurezza.

Una risposta politica globale alla mobilità in Africa settentrionale e occidentale deve perciò affrontare l’esame di potenziali criticità inerenti alla protezione non solo in rapporto agli Stati, ma anche alle regioni e ai luoghi di origine.

 

6. Ritorni e meccanismi localmente validi ad assicurare protezione

Il presente paragrafo mostra le strategie adottate dagli stessi ritornati per soddisfare le proprie esigenze e aspirazioni. Scopo dell’analisi non è valutare progetti o programmi dell’Oim, ma ricondurre le pratiche e le esperienze dei migranti entro un più ampio contesto politico. Il raffronto tra l’utilizzo delle rimesse dei migranti e l’assistenza al reinserimento amplia il campo di analisi delle operazioni di ritorno come risposta funzionale alla protezione e sottolinea il bisogno di adottare approcci alla mobilità maggiormente centrati sui diritti. Nei prossimi studi dedicati al tema, sarebbe interessante capire non soltanto se i ritornati considerano e percepiscono positivamente l’assistenza al reinserimento, ma anche in che modo essi comparano e integrano tale supporto con le rimesse che i migranti inviano dai Paesi dell’Europa, dell’Africa o di altri continenti.

Per prima cosa, come emerge dalle loro narrazioni, le rimesse inviate dai familiari che vivono in Europa possono comunque formare la base della protezione sociale delle famiglie anche quando i ritornati riescano, al loro ritorno, a ottenere l’accesso a un’assistenza reintegrativa.

Così, benché l’Oim avesse equipaggiato Seydou con una motocicletta, le entrate giornaliere di cui disponeva non erano sufficienti a pagare la sua sistemazione (per non parlare di mantenere la sua famiglia nel villaggio di origine, con i relativi bisogni di assistenza sanitaria, le tasse scolastiche, etc.). Pur beneficiando dell’assistenza dell’Oim, Seydou ha continuato a domandare al fratello, residente in Francia, di pagare un intermediario per ottenere un visto per quel Paese. Mentre il fratello ha rifiutato di portarlo con sé, dopo una disputa ha accettato di inviare denaro a Seydou, in modo che potesse far fronte ai problemi familiari nel villaggio e così adempiere i suoi doveri di adulto responsabile. Le rimesse dalla Francia hanno permesso a Seydou di mantenere l’onore e la funzione sociale di “maschio adulto responsabile” sia nel luogo di residenza che nel villaggio di origine. Pertanto, e nonostante la motocicletta fornita dall’Oim, la migrazione transcontinentale è rimasta un fattore cruciale nella vita di Seydou.

I ritornati intervistati in questo studio erano, poi, più resilienti al rientro perché già abili ad acquistare appezzamenti di terreno, costruire abitazioni e sostenere i propri familiari con le rimesse effettuate nel corso delle loro traiettorie migratorie, spesso in diversi Paesi dell’Africa occidentale. Contrariamente alle logiche di assistenza al reinserimento – tradottasi finora in corsi di formazione per acquisire competenza imprenditoriale o nell’apertura di piccoli esercizi commerciali – i migranti (principalmente in Algeria) hanno scelto di investire le loro rimesse anzitutto e principalmente nell’acquisto di un lotto di terreno nel Paese di origine, per potervi costruire una casa.

In soli sei mesi all’estero (nel caso specifico, in Algeria), Martha, cittadina camerunese – che abbiamo già citato –, è stata in grado di risparmiare abbastanza da permettere al fratello di acquistare un appezzamento di terra e edificare una casa per lei e per i suoi figli. In attesa del suo ritorno in Camerun, ha spiegato: «Posso ritornare in Camerun. Non sono in affitto, ho una casa. Posso sopravvivere (…). In sei mesi all’estero sono riuscita a realizzare una casa. Usciamo dal nostro Paese perché fuori siamo pagati meglio».

Sebbene l’assistenza sia sempre più orientata a provvedere a bisogni anche di tipo comunitario, un approccio al reinserimento basato su progetti non può ovviare alle disparità di reddito presenti nei Paesi di origine, di transito e di destinazione. Questi gap, nondimeno, sono una delle molteplici e complesse ragioni per cui la gente lascia il suo Paese per lavorare all’estero. Pertanto, l’uso dei fondi di aiuto allo sviluppo per l’assistenza al ritorno e al reinserimento deve essere esaminato e confrontato con i benefici che sullo sviluppo producono le rimesse.

Ancora, i migranti intervistati, se accettano i ritorni dalla Libia e dal Niger, lo fanno a causa delle inerenti situazioni di emergenza, ma continuano comunque a considerare la mobilità geografica come la chiave della loro mobilità sociale. La determinazione a non rinunciare alle aspirazioni correlate alla migrazione dopo il ritorno è emersa dal materiale delle interviste, ma è evidente nel numero degli intervistati che, in realtà, erano già ritornati e ri-emigrati varie volte in precedenza. Inoltre, è noto che ivoriani e camerunesi sono soliti dichiararsi maliani per potersi sottrarre allo stato di detenzione in Libia. Ciò è dovuto a una più solida presenza, rispetto ad altre, dell’ambasciata del Mali, maggiormente capace di fornire documenti di viaggio ai detenuti. Il semplice trasferimento in un Paese di transito consente loro di evitare la vergogna e l’umiliazione davanti ai propri familiari nelle località di provenienza. Inoltre, ciò permette loro di emigrare nuovamente verso nord a un costo inferiore, perché non dovrebbero effettuare un ritorno completo a sud, negli effettivi Paesi di origine.

Nelle esperienze dei migranti ritornati, mobilità geografica e mobilità sociale continuano a essere connesse l’una all’altra. Una risposta che intenda rispettare meccanismi di resilienza validi a livello locale dovrà, allora, lavorare per l’apertura di canali di mobilità sicuri e legali a livello regionale e non solo. Creando condizioni possibili per percorsi migratori (regionali) economicamente validi e fisicamente sicuri, mobilità e vulnerabilità potranno così affrancarsi l’una dall’altra.

 

7. Conclusioni e implicazioni di policy

Considerati isolatamente, i ritorni di emergenza rispondono a una preoccupazione di protezione individuale immediata. In Libia, accettare il ritorno consente ai migranti di abbandonare luoghi di detenzione orrendi e condizioni di elevato sfruttamento; in Niger, ciò permette l’accesso a un rifugio, al vitto, all’assistenza sanitaria, spesso dopo espulsioni illegali che mettono a repentaglio la vita umana.

Tuttavia, in un quadro più ampio e più a lungo termine, le politiche di ritorno non affrontano le cause profonde delle vulnerabilità sofferte dagli stessi migranti. Le interviste alle persone ritornate mostrano che le operazioni di pull-back sulla costa libica e le pratiche espulsive degli agenti algerini verso il Niger sono elementi-chiave per la creazione del contesto che vede i migranti spinti ad accettare i ritorni dell’Oim nei Paesi di origine.

Dopo il rientro, i ritornati continuano a fronteggiare esigenze di protezione, in particolare per quanto riguarda l’accesso ai servizi medico-sanitari o le spese per i servizi scolastici. Di fronte a sistemi di protezione assenti o comunque carenti, l’assistenza al reinserimento individuale potrà affrontare queste esigenze solo parzialmente. Come si evince dalle interviste, l’emancipazione socio-economica rimane fortemente legata alla mobilità geografica, anche dopo i primi ritorni. Di conseguenza, i ritornati seguono a nutrire ambizioni di mobilità e di protezione sociale mediante ripetuti tentativi di viaggio.

Le raccomandazioni di policy che seguono collegano gli approfondimenti appena svolti ai principi di protezione umanitaria: i) non nuocere (evitare e prevenire il danno alle persone); ii) rafforzare la capacità delle persone di rivendicare i propri diritti; iii) sostenere lo sviluppo di capacità di auto-protezione; iv) provvedere un’assistenza fondata sui bisogni.

1) Le problematiche inerenti alla protezione dei migranti in Africa settentrionale e occidentale non sono inevitabili, ma sono la conseguenza attiva di politiche specifiche.

- Le organizzazioni internazionali, l’Ue e il Governo del Niger dovrebbero ufficialmente assumere una posizione ferma contro le espulsioni dei cittadini subsahariani dall’Algeria verso il Niger. Queste deportazioni costituiscono una violazione manifesta del diritto internazionale e rendono i migranti estremamente vulnerabili.

- L’Ue e i suoi Stati membri dovrebbero: interrompere il finanziamento della Guardia costiera libica e garantire invece operazioni proattive di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale; stabilire meccanismi idonei a prevedere sbarchi e ricollocazioni; proteggere i diritti di migranti e rifugiati nella cooperazione in materia di migrazione con la Libia; impegnarsi in una globale condivisione delle responsabilità e nel facilitare la definizione di percorsi migratori regolari.

2) Alle problematiche che coinvolgono la protezione dei migranti in Africa settentrionale e occidentale si può far fronte rafforzando la capacità dei migranti di rivendicare i propri diritti.

- I programmi di ritorno dovrebbero prestare maggiore attenzione ai diritti degli sfollati interni, così come di chi ha subito la tratta o la tortura prima o durante i percorsi di migrazione. Le vittime di tratta o di tortura dovrebbero avere un significativo accesso a una procedura di asilo o a un meccanismo di ricollocazione in un Paese terzo quale alternativa al ritorno nel Paese di origine.

- Poiché il potenziale della migrazione in termini di sviluppo può essere ottimizzato legalizzando e rendendo sicure le rotte migratorie, gli Stati africani, e in particolare i membri dell’ECOWAS, dovrebbero difendere e sostenere lo sviluppo regionale e la libertà di movimento, in linea con l’Agenda 2063 e il Protocollo ECOWAS sulla «Libera circolazione delle persone, il diritto alla residenza e allo stabilimento» del 1979.

3) I migranti in Africa settentrionale e occidentale e i cittadini nei Paesi di origine hanno i propri meccanismi di auto-protezione.

- I ritornati intervistati hanno faticato ad avviare progetti di vita sostenibili, pur avendo avuto accesso all’assistenza finalizzata al reinserimento, a causa dei costi sostenuti per le spese mediche e di istruzione nei Paesi di origine. Anziché investire su progetti imprenditoriali a base individuale o collettiva, o in campagne di sensibilizzazione sui rischi insiti nell’atto di emigrare, le risorse dell’EUTF potrebbero essere più fruttuosamente indirizzate verso un aiuto strutturale allo sviluppo che investa in sistemi di istruzione e di sicurezza sociale nei Paesi di origine.

- I ritornati intervistati erano più resilienti dopo il ritorno nei casi in cui fossero in grado di acquistare una porzione di terreno, costruirsi una casa o sostenere le famiglie con le rimesse provenienti dalla loro traiettoria migratoria. Pertanto, la loro capacità di avviare con successo nuovi progetti di vita nei Paesi di origine trae un beneficio dall’esistenza di vie libere e sicure per la migrazione regionale e internazionale.

4) È necessario che i finanziamenti destinati ai ritorni e all’assistenza al reinserimento siano basati sui bisogni delle persone e su prove empiriche.

- Gli attori umanitari (e i loro finanziatori) dovrebbero individuare i beneficiari dei loro programmi di intervento sulla base esclusiva dei bisogni umanitari riscontrati, evitando di adottare in materia di migrazione logiche gestionali. Solo una frazione minoritaria delle migrazioni africane ha come destinazione l’Europa e il contributo allo sviluppo da parte dei ritornati è più forte quando essi decidono volontariamente di fare ritorno in patria.

- I fondi destinati allo sviluppo dovrebbero essere utilizzati nei programmi di ritorno e reinserimento solo se è possibile stabilire un collegamento positivo e certo con lo sviluppo di un Paese o di una sua regione. Gli effetti sullo sviluppo prodotti dall’assistenza al reinserimento sociale devono essere comparati con l’impatto e i benefici prodotti dalle rimesse dei migranti.

 


* Il saggio è oggetto di prossima pubblicazione nella versione originale, in lingua inglese, con il seguente titolo: M.J. Alpes, Emergency returns from Libya and Niger: A protection response or a source of protection concerns?, Brot für die Welt/Medico International, Berlino, 2020. Traduzione di Mosè Carrara Sutour.

1. Per il commento del segretario generale dell’Association Mauritanienne des Droits de l’Homme (AMDH), Amadou M’Bow, sulla tempistica di uscita del video della CNN appena antecedente il Vertice di Abidjan, vds. www.medico.de/warum-europa-die-sklavereibilder-aus-libyen-gelegen-kamen-16986/.

2. Vds. inoltre gli impegni comuni assunti al Vertice Ua-Ue di Abidjan come quadro di riferimento operativo per l’Oim, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/STATEMENT_17_5029.

3. Vds., per maggiori dettagli: https://migrationjointinitiative.org.

4. Migreurop, L’OIM, une organisation au service des frontières… fermées, in Note de Migreurop, n. 9/2019, www.migreurop.org/IMG/pdf/note_9_fr.pdf.

5. R. Patz e S. Thorvaldsdottir, Drivers of Expenditure Allocation in the IOM: Refugees, Donors, and International Bureaucracy, in M. Geiger e A. Pécoud (a cura di), The International Organization for Migration, Palgrave Macmillan (International Political Economy Series), Cham (CH), 2020, pp. 75-98.

6. www.amnesty.org/en/documents/ior30/011/2003/en/.

7. www.hrw.org/news/2007/11/28/human-rights-watchs-statement-iom-council.

8. https://publications.iom.int/books/constitution-and-basic-texts-2nd-edition

9. L’Italia ha cessato le proprie attività di ricerca e soccorso (SAR) nel dicembre 2014; la Germania e l’Irlanda hanno proceduto allo stesso modo per prendere parte all’operazione Eunavfor Med, rispettivamente, nel giugno 2015 e nell’ottobre 2017. L’attività di Eunavfor Med (operazione “Sophia”) e Frontex consisteva più nel controllo e nella sicurezza dei confini che in vere e proprie operazioni di ricerca e soccorso. Vds. P. Cuttitta, Pushing Migrants Back to Libya, Persecuting Rescue NGOs: The End of the Humanitarian Turn (Part I), in Border Criminologies, 18 aprile 2018, www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/pushing-migrants.

10. P. Cuttitta, Pushing Migrants Back to Libya, Persecuting Rescue NGOs: The End of the Humanitarian Turn (Part II), 19 aprile 2018, www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2018/04/pushing-0.

11. Precedentemente rispetto all’Ue, l’Italia ha a lungo finanziato, equipaggiato e formato le autorità libiche, compresa la Guardia costiera, prima e dopo la caduta di Gheddafi. Vds. P. Cuttitta, The Case of the Italian Southern Sea Borders: Cooperation across the Mediterranean?, in G. Pinyol (a cura di), Immigration flows and the management of the EU’s southern maritime borders, Cidob, Barcellona, 2008, pp. 45-62 (www.cidob.org/es/publicaciones/series_pasadas/documentos/migraciones/immigration_flows_and_the_management_of_the_eu_s_southern_maritim_borders).

12. L’Oim intende la “volontarietà” come la «capacità [di una persona] di rifiutare assistenza». Per un approfondimento sulla strutturazione dei ritorni volontari assistiti, vds. Oim (Migrant Protection and Assistance Division), A framework for assisted vountary return and reintegration, 2018, www.iom.int/sites/default/files/our_work/DMM/AVRR/a_framework_for_avrr_online_pdf_optimized_20181112.pdf.

13. M. Stierl e S. Mezzadra, The Mediterranean battlefield of migration, in Open Democracy, 12 aprile 2019, https://www.opendemocracy.net/en/can-europe-make-it/mediterranean-battlefield-migration/.

14. www.amnesty.org/en/latest/news/2018/11/cruel-european-migration-policies-leave-refugees-trapped-in-libya-with-no-way-out/.

15. www.iom.int/news/international-approach-refugees-and-migrants-libya-must-change-iom-director-general-antonio.

16. N. Nyberg Sørensen e S. Plambech, Global Perspectives on humanitarianism: When human welfare meets the political and security agendas, Danish Institute for International Studies (DIIS) Report, maggio 2019; J. Brachet, Policing the Desert: the IOM in Libya Beyond War and Peace, in Antipode, vol. 48, n. 2/2016, pp. 272-292.

17. Aa.Vv., The Sphere Handbook: Humanitarian Charter and Minimum Standards in Humanitarian Response, Practical Action Publishing, Rugby (UK), 2018 (https://doi.org/10.3362/9781908176707).

18. Per motivi di neutralità, non abbiamo chiesto alle ong che si occupano del reinserimento di disporre per noi interviste su larga scala, ma abbiamo fatto ricorso a una pluralità di contatti e a tecniche di campionamento “a catena” per individuare le persone da intervistare. Di conseguenza, l’interscambio si è esteso a un più ampio insieme di ritornati rispetto ai soli beneficiari dei programmi di reinserimento.

19. J. Carling, Refugees are Also Migrants. And All Migrants Matter, in Border Criminologies, 3 settembre 2015, www.law.ox.ac.uk/research-subject-groups/centre-criminology/centreborder-criminologies/blog/2015/09/refugees-are-also.

20. Special rapporteur delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti, Report for the 38th session of the Human Rights Council, 4 maggio 2018, p. 4.

21. Vds. anche la comunicazione della Commissione europea al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio, Progress report on the implementation of the European Agenda on Migration, Com (2019)481final, 16 ottobre 2019, pp. 15-18.

22. Ad esempio, nel 2017, gli Stati membri dell’Ue hanno imposto a 15.600 cittadini nigeriani e a 4700 cittadini maliani di lasciare il proprio territorio, ma – in base ai dati Eurostat – furono effettivamente espulsi dall’Unione solo 3700 nigeriani e 355 maliani.

23. Commissione europea e Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Taking forward the EU’s Comprehensive Approach to external conflicts and crises – Action Plan 2016-17, 18 luglio 2016, http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11408-2016-INIT/en/pdf.

24. T. Raty e R. Shilhav – Oxfam International, The EU Trust Fund for Africa: Trapped between aid policy and migration politics, 30 gennaio 2020, p. 3 (www.oxfam.org/en/research/eu-trust-fund-africa-trapped-between-aid-policy-and-migration-politics).

25. https://migrationjointinitiative.org/.

26. F. Natale - S. Migali - R. Münz – Joint Research Centre, Many more to come? Migration from and within Africa, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo, 2018, p. 12 (https://ec.europa.eu/jrc/en/publication/eur-scientific-and-technical-research-reports/many-more-come-migration-and-within-africa); M. Tardi, EU Partnerships with African Countres on Migration: A common issue with conflicting interests, in Notes de l’IFRI (Istitut français des relations internationales), 20 marzo 2018, p. 8 (www.ifri.org/en/publications/notes-de-lifri/european-union-partnerships-african-countries-migration-common-issue).

27. Per i sette principi-guida che assistono le procedure di ritorno volontario assistito, vds. Oim, A Framework, op. cit.

28. Più precisamente, l’Oim considera che il reinserimento possa ritenersi sostenibile quando i ritornati abbiano raggiunto livelli di autosufficienza economica, stabilità sociale all’interno delle loro comunità e un benessere psicologico tali da permettergli di far fronte lucidamente ai trasportatori in vista di una nuova emigrazione. Quale effetto del reinserimento sostenibile, si suppone che i ritornati siano in grado di rendere le loro ulteriori decisioni sulla migrazione più una questione di scelta che di necessità. Vds. Oim, Towards an Integrated Approach to Reintegration in the Context of Return, 2017, www.iom.int/sites/default/files/our_work/DMM/AVRR/Towards-an-Integrated-Approach-to-Reintegration.pdf.

29. Fonte: Oim, intervista del febbraio 2019.

30. https://migrationjointinitiative.org/about-eu-iom-joint-initiative.

31. Per una critica sulla mancanza di trasparenza nella gestione di questi fondi e su connesse potenziali violazioni della normativa in materia di appalti pubblici, vds. T. Spijkerboer e E. Steyger, Does the EU violate public procurement law in its external migration policy?, in EU Migration Law (blog), 28 novembre 2019, http://eumigrationlawblog.eu/does-the-eu-violate-public-procurement-law-in-its-external-migration-policy/, nonché M. Vermeulen e G. Zandonini, The EU bypasses public tenders in Africa. This is what the EU’s financial watchdog has to say, in The Correspondent, 12 dicembre 2019, https://thecorrespondent.com/172/the-eu-bypasses-public-tenders-in-africa-this-is-what-the-eus-financial-watchdog-has-to-say/22746696764-60a8bd44.

32. T. Raty e R. Shilhav – Oxfam International, The EU Trust Fund for Africa, op. cit.; E. Kervyn e R. Shilhav – Oxfam International, An Emergency for Whom? The EU Trust Fund for Africa, 15 novembre 2017, www.oxfam.org/en/research/emergency-whom-eu-emergency-trust-fund-africa-migratory-routes-and-development-aid-africa.

33. Vds. D. Tounkara, La gestion des migrations de retour, un paramètre négligé de la grille d’analyse de la crise Malienne, in Politique africaine, vol. 130, n. 2/2013, p. 53.

34. Attualmente l’Oim è impegnata nella creazione di un meccanismo di finanziamento globale degli AVR, che consentirebbe di implementare le operazioni di ritorno sulla base di una valutazione dei bisogni dei migranti. Il modello di finanziamento dell’Oim implica che le priorità del donatore possono avere un impatto importante sulla definizione dei gruppi target destinatari delle operazioni. Vds. anche R. Patz e S. Thorvaldsdottir, Drivers of Expenditure Allocation in the IOM, op. cit.

35. Oim, Voluntary Humanitarian Returns from Libya Continue as Reintegration Efforts Step up, 13 marzo 2018, www.iom.int/news/voluntary-humanitarian-returns-libya-continue-reintegration-efforts-step.

36. Sui donatori dell’EUTF, cfr. il riquadro di testo relativo.

37. https://migrationjointinitiative.org/.

38. Il Ministero dei cittadini maliani all’estero della Repubblica del Mali afferma che l’Oim ha fornito sostegno al reinserimento di 700 persone su 10.000. Il “buco” numerico è imputabile al fatto che l’Oim include nel conteggio del sostegno al reinserimento anche il supporto psicologico e il pagamento delle tasse scolastiche per i più giovani.

39. Di fronte all’Ue, l’Oim motiva un indice così basso sostenendo che il progetto iniziale prevedeva il sostegno al reinserimento solo per 1900 ritornati nell’arco di un triennio.

40. Nella descrizione iniziale del progetto, era previsto che Oim Nigeria avrebbe fornito supporto al reinserimento di 3800 ritornati in tre anni. Se l’Ue ha promesso ulteriori fondi all’Oim, il fattore frenante è dato dalla limitata capacità istituzionale di quest’ultima.

41. Per dar ragione della complessità delle connessioni tra ritorno e sviluppo, ora l’Oim cerca di affrontare quegli aspetti comunitari e strutturali che, nei Paesi di origine, potrebbero facilitare la sostenibilità dell’assistenza al reinserimento.

42. K. Newland e B. Salant, Balancing Acts: Policy Frameworks for Migrant Return and Reintegration, Migration Policy Institute, Policy brief n. 6, ottobre 2018, p. 4 (www.migrationpolicy.org/research/policy-frameworks-migrant-return-and-reintegration).

43. J.P. Cassarino, Return migration and development: the significance of migration cycles, in A. Triandafyllidou (a cura di), The Routledge Handbook of Immigration and Refugee Studies, Routledge, New York, 2016, p. 220.

44. Oim, Implementing ACP-EU Cooperation on Migration and Development. A collection of good practices and lessons learned from the ACP-EU Migration Action, 2019, https://acpeumigrationaction.iom.int/sites/default/files/acp_eu_migration_action_final_publication_web_small_final.pdf

45. N.P. De Genova, Migrant “illegality” and deportability in everyday life, in Annual Review of Anthropology, vol. 31, 2002, pp. 419-447.

46. M. Collyer, Paying to Go: Deportability as Development, in S. Khosravi (a cura di), After Deportation: Ethnographic Perspectives, Palgrave Macmillan, Londra, 2018, pp. 105-125.

47. L’Oim ha informato l’autore della ricerca che non solo i migranti hanno il diritto di rifiutare il ritorno, ma che l’hanno anche esercitato in diverse occasioni.

48. Vds. anche la definizione di «ritorni volontari» contenuta nel Report del 4 maggio 2018, citato alla nota 20.

49. Per un confronto giornalistico sul lavoro dell’Unhcr in Libia, cfr. il seguente link: www.euronews.com/2019/10/02/unhcr-in-libya-part-1-from-standing-withrefugees-to-standing-withstates.

50. Dal punto di vista di un detenuto, effettuare e mantenere ferma la distinzione tra il personale dell’Oim e quello impiegato dalle autorità libiche può risultare difficile.

51. Senza specificare l’identità dei diversi tipi di attori in Libia, lo stesso migrante maliano ha aggiunto che «quando eravamo sulla strada verso l’aeroporto, ci hanno colpiti con le loro armi». La policy dell’Oim vieta al proprio personale il porto e l’utilizzo di armi, nonché l’uso della forza sui migranti nelle fasi di imbarco aereo. Altri migranti, dopo il ritorno, hanno detto di avere tentato senza successo la fuga dall’aeroporto – «Ci tenevano sotto stretto controllo».
All’interno dei centri di detenzione libici, è arduo per i migranti fare la differenza tra staff dell’Oim e pubblica autorità. Spesso i detenuti identificano organizzazioni e agenzie in base al logo stampato sull’uniforme del personale che lavora in un centro detentivo o che vi si trova in visita. Nel contesto libico non è difficile scambiare o acquistare le uniformi di agenzie od organizzazioni che non hanno mai assunto chi le indossa. Benché da questa intervista non sia possibile trarre conclusioni sulle pratiche effettivamente adottate sul campo, i dati della ricerca dimostrano come i migranti percepiscano e, di fatto, sperimentino una mancanza di scelta.

52. Nel 2018, nell’area di Assamaka, sono stati segnalati 15.663 migranti in situazione di difficoltà, 11.606 sono stati soccorsi e 11.061 hanno raggiunto il centro di transito dell’Oim (fonte: Oim Niger, «Search and Rescue Operations», dicembre 2018).

53. In Niger l’Oim effettua quelle che chiama operazioni di ricerca e soccorso “proattive” e “reattive”. Le prime sono state contenute nel numero e riguardano principalmente migranti bloccati ad Agadez, Arlit e Dirkou. Le operazioni reattive si svolgono ad Assamaka, al confine con l’Algeria, e interessano essenzialmente i migranti che sono stati forzatamente deportati dalle autorità algerine nell’area desertica prossima al confine con il Niger.

54. In alcuni casi, anche i migranti che non si trovano in stato di detenzione si rivolgono direttamente all’Oim per poter accedere a un programma di ritorno.

55. Oim Niger, «Search and Rescue Operations», dicembre 2018.

56. Per una modifica della normativa intervenuta nel 2015, in Niger, al di fuori di una prospettiva di ritorno o di reinsediamento, le ong possono fornire ai migranti l’accesso a un ricovero in misura solo molto parziale.

57. L’Oim non effettua ritorni volontari in Siria e nello Yemen.

58. L’Unhcr non è direttamente presente nell’insediamento di confine.

59. Cfr. Aa.Vv., The Sphere Handbook, op. cit.

60. Dall’inizio delle operazioni allo stadio attuale, la capacità di progettazione dell’Oim si è evoluta. Per esempio, l’Organizzazione ha iniziato ad assegnare telefoni cellulari e carte SIM all’arrivo, così da permettere al proprio staff di stabilire in modo proattivo un contatto con i ritornati. Quanto sopra riportato in dettaglio si riferisce alle esperienze dei ritornati all’inizio del 2019.

61. Oim Nigeria ha assunto iniziative per risolvere il problema, ad esempio offrendo una consulenza e una gestione dei casi a distanza, e accettando che i ritornati inviino la documentazione necessaria alla convalida del loro reinserimento via email. Nella nostra ricerca sul campo, non abbiamo incontrato ritornati che fossero a conoscenza o usufruissero di tali opportunità.

62. In coordinamento con il quartier generale dell’Oim a Ginevra, tra il 2017 e il 2018 sono stati sviluppati cinque tipi di sondaggi: monitoraggio del programma AVR e valutazione della soddisfazione dei suoi destinatari (0-1 mesi dall’arrivo); monitoraggio del programma di assistenza al reinserimento e soddisfazione degli assistiti (6-12 mesi dopo il ritorno); sostenibilità (12-18 mesi dopo il ritorno). Le valutazioni relative al sostegno al reinserimento sono attualmente in corso come attività interna a Oim Nigeria. Avrà importanza, allora, indicare se i risultati della valutazione saranno riferiti, per distinte coorti: a persone ritornate, a chi abbia ricevuto l’assistenza al reinserimento o alle persone con cui il personale dell’Oim è ancora in grado di stabilire un contatto. Il divario tra queste diverse coorti può essere rilevante.

63. La difficoltà per l’Oim a mantenere il contatto con i ritornati può essere illustrata dall’esempio che segue. Data una coorte di 12.000 ritornati, nel marzo 2019 Oim Nigeria è stata in grado di effettuare – impiegando tre membri del personale specializzato in attività di monitoraggio e valutazione (M&E) – il sondaggio relativo agli AVR su 228 persone ritornate. In una coorte di 1289 individui (su 12.000) nei confronti dei quali era stata completata l’assistenza al reinserimento, Oim Nigeria ha condotto sondaggi relativi a tale assistenza su 136 ritornati e sondaggi relativi alla sostenibilità su 19 ritornati.

64. Vds. S. Van Walsum e M.J. Alpes, Transnational Households: Migrants and Care, at Home and Abroad, in B. Anderson e I. Shutes (a cura di), Migration and Care Labour: Theory, Policy and Politics, Palgrave Macmillan, Londra, 2014, pp. 151-169.

65. Vds. T. Raty e R. Shilhav – Oxfam International, The EU Trust Fund for Africa, op. cit.; E. Kervyn e R. Shilhav – Oxfam International, An Emergency for Whom?, op. cit.

66. M.J. Alpes e I. Majcher, Who can and cannot be sustainably reintegrated after return? Using post-return monitoring for protection and human right guarantees, in UNU-CRIS Policy brief Series (Institute of Comparative Regional Integration Studies – Università delle Nazioni Unite), 2020, di prossima pubblicazione.