Magistratura democratica

Eguaglianza e ragionevolezza nel tecnicismo della Cassazione: note minime

di Stefano Pagliantini

In alcune recenti pronunce della Corte di cassazione emerge il canone della ragionevolezza quale criterio mediante cui identificare la regola di giustizia del caso concreto.

1. Quattro casi emblematici di un decidere secondo ragione / 2. Cass., 20 giugno 2019, n. 16623; Cass., sez. unite, 11 luglio 2019, n. 18672; Cass., sez. unite, 6 novembre 2019, n. 28314; Cass., 22 novembre 2019, n. 30555 / 3. Fattispecie e neo-legalità

 

1. Quattro casi emblematici di un decidere secondo ragione

Con la consueta acutezza, un Maestro della civilistica italiana scrive che «la prima e più immediata utilizzazione» della “ragionevolezza” la vede declinata quale «predicato di una disparità di trattamento introdotta da una classificazione legislativa»[1]. Nella cornice dell’art. 3 Cost. è così visto dalle corti come irragionevole «ogni trattamento analogo per situazioni diverse o reciprocamente diverso per situazioni analoghe».

Orbene, già solo limitando lo spoglio al formante giurisprudenziale dell’ultimo semestre, sono tante le epifanie di una ragionevolezza quale canone che, nell’ottica di un bilanciamento tra principi, mette in forma una regola di giustizia eletta a bussola canalizzante la soluzione del caso concreto. Il quartetto che seguirà sembra rispecchiare emblematicamente un procedere delle corti improntanti le loro decisioni «su ragioni dialetticamente soppesate come più probabili e quindi migliori di altre»[2].

 

2. Cass., 20 giugno 2019, n. 16623; Cass., sez. unite, 11 luglio 2019, n. 18672; Cass., sez. unite, 6 novembre 2019, n. 28314; Cass., 22 novembre 2019, n. 30555

Cass., 20 giugno 2019, n. 16623[3]: sono ammessi all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione i creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti. Ci siamo già esercitati in argomento suggerendo, come adesso la Cassazione mostra di voler statuire, un’applicabilità in via analogica dell’art. 524 cc benché, com’è a tutti noto, al momento della morte del de cuius non si abbia delazione d’eredità nei riguardi del legittimario totalmente preterito visto che costui matura lo status di chiamato all’eredità soltanto a seguito di una sentenza che, accogliendo la sua domanda di riduzione, rimuova l’efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie lesive[4]. Epperò, com’è di tutta evidenza, l’argomento dogmatico sconta qui una palese irragionevolezza, posto che il negare l’ammissibilità dell’azione surrogatoria avrebbe confezionato una vistosa disparità di trattamento tra i creditori dei legittimari, essendo pacifico che si dà invece azione quando la lesione del legittimario, istituito in una quota inferiore a quella di sua spettanza, sia solo parziale. Ecco allora scattare, nel segno di un contemperamento tra opposti interessi, un bilanciamento che, se da un lato rimette al legittimario la libertà di divenire o meno erede, dall’altra non vulnera la garanzia patrimoniale dei creditori. Il Maestro citato in apertura chioserebbe che, nell’attuale complessità ordinamentale, una decisione regge non quando sia dogmaticamente impeccabile, ma laddove si dipani lungo «le pieghe di una argomentazione persuasiva svolta in chiave di ragione»[5].

Cass., sez. unite, 11 luglio 2019, n. 18672[6]: sono da reputare, ai sensi dell’art. 2943, comma 4, cc, atti idonei a interrompere la prescrizione dell’azione di garanzia per vizi (art. 1495, comma 3, cc) le manifestazioni stragiudiziali di volontà del compratore rese «nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1, con la produzione dell’effetto generale contemplato dall’art. 2945 cc, comma 1». Nonostante la lettera difforme dell’art. 1495 cc, dopo questo arresto, l’interruzione della prescrizione annuale delle azioni edilizie non passa più conseguentemente per il medio esclusivo di una domanda giudiziale. Al netto della vexata quaestio sulla natura della garanzia ex art. 1476, n. 3, anche qui la cifra che ispira il periodare della Corte è apertamente consequenzialista: esiste, leggiamo, una «plausibile possibilità» che una prescrizione interrotta stragiudizialmente induca il venditore ad agire «eliminando i vizi», con il doppio risultato utile di sterilizzare una «inutile proliferazione di giudizi» e di confezionare un «ragionevole bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti» visto che, come di nuovo leggiamo, una più efficace tutela dell’acquirente non penalizza «eccessivamente» le ragioni del venditore se il nuovo termine, che ricomincia a decorrere, è quello breve di un anno dalla consegna. Pure qui, in realtà, aleggia un convitato di pietra dogmatico: e sono le sez. unite n. 19702/2012[7], che hanno escluso, come adesso ci rammenta la Cassazione, che la garanzia della vendita di diritto comune riconosca al compratore un’azione di esatto adempimento. Un siffatto rimedio, che all’acquirente è precluso pure a titolo di risarcimento del danno in forma specifica, si dà soltanto, hanno statuito quelle sezioni unite, in ipotesi tipizzate di legge (vendita B2C e garanzia di buon funzionamento) ovvero laddove il venditore si sia contrattualmente impegnato alla riparazione/sostituzione della res. Ebbene, con un effetto interruttivo stragiudiziale, siccome viene così riconosciuto alle parti «un congruo spatium deliberandi», è indubbio che le sezioni unite odierne provano ad aggirare quel decisum[8], obliquamente incentivando il ritaglio di una tutela ripristinatoria che rimetta in linea vendita codicistica e vendita di consumo. Il che, detto di passata, è tutto fuorché un esito (proficuo) di poco momento. (Ri)detto à la Lipari, si ha qui un arresto che si avvale del principio di ragionevolezza quale bussola orientante la soluzione giudiziale, con segnatamente una ragionevolezza che opererebbe «quale criterio di ricostruzione delle norme giuridiche desunte dai testi legislativi»[9]. Con una frase ad effetto, si potrebbe pure discorrere di un principio di ragionevolezza che ormai espugna la cittadella della fattispecie.

Cass., sez. unite 6 novembre 2019, n. 28314: «la nullità per difetto di forma scritta, contenuta nell’art. 23, comma 3, del d.lgs n. 58 del 1998, può essere fatta valere esclusivamente dall’investitore con la conseguenza che gli effetti processuali e sostanziali dell’accertamento operano soltanto a suo vantaggio. L’intermediario, tuttavia, ove la domanda sia diretta a colpire soltanto alcuni ordini di acquisto, può opporre l’eccezione di buona fede, se la selezione della nullità determini un ingiustificato sacrificio economico a suo danno, alla luce della complessiva esecuzione degli ordini, conseguiti alla conclusione del contratto quadro».

Siccome la narrazione, se la inquadriamo nella cornice della dicotomia interpretativa che ha originato la rimessione alle sezioni unite, è arcinota, un sunto basta e avanza: una nullità selettiva ad libitum scopertamente tratteggia una fattispecie che vede l’investitore trasformato in un soggetto titolare di una copertura assicurativa, a carico dell’intermediario, per ogni minusvalenza rampollante da un ordine in perdita. È in re ipsa qui, se non si coniano dei correttivi preposti a fare da schermo, che il «di garanzia» dell’art. 23 Tuf verrà a ottimizzare delle forme di opportunismo postcontrattuale in quanto è come se dicessimo che, rispetto all’ordine in default, l’investitore vanta una specie «di put option a costo zero»[10], con un moral hazard che si mostra così, di per sé diremmo, meritevole di tutela. Anche un’antiselettività in purezza, già ci è capitato di scriverlo[11], non scherza però: visto che è il titolo che tutto tiene, un giudicato di nullità retroattiva del contratto quadro finisce infatti per conculcare apertamente la tutela dell’investitore, se è vero che la reciprocità dell’obbligo restitutorio, laddove non pareggi, potrebbe pure ribaltare «il segno della condanna»[12], con un credito restitutorio a vantaggio dell’intermediario. Di qui, eccoci già arrivati al punto, la “terza via” temperante ideata, a mo’ di verità ascosa, dalle sezioni unite odierne: caduto il contratto quadro, il solo investitore ha diritto alla ripetizione con una facoltà, di domandare la restituzione dei soli ordini in perdita, paralizzabile per il tramite di un’eccezione di buona fede che l’intermediario, spogliato invece dello speculare diritto a domandare la restituzione delle cedole riscosse, può opporre, in tutto o in parte, secondo una logica di sottrazione aritmetica tra poste negative e positive. Esemplificando, se il risultato utile dell’azione di nullità è 100, ma l’investitore ha guadagnato 90, si riduce in proporzione senza mai però oltrepassare lo 0 in quanto, siccome è inibita la restituzione a suo danno, per le sezioni unite odierne l’investitore trattiene comunque quanto abbia medio tempore lucrato. Una penna autorevole scrive che «a venire in questione [è così] la determinazione (…) della misura in cui il diritto di ripetizione spetta [all’investitore]»[13]. In piena sintonia, noi diciamo che: siccome, se l’investitore è in bonis, allora avremo un art. 2033 cc che si disapplica, la cifra di queste sezioni unite vede in realtà il canovaccio di una ripetizione unilaterale che può evolversi in un’irripetibilità bilaterale. Una nullità a retroattività debole o irretroattiva, al fine di scongiurare il prodursi di un arricchimento senza causa dell’investitore, può candidarsi così a formula che espressivamente cattura l’essenza di un ragionevole bilanciamento tra i contrapposti interessi dell’investitore e dell’intermediario, entrambi muniti di un sicuro fondamento costituzionale (artt. 41 e 47 Cost.). Di nuovo, così, un dispositivo che vede un argomento di ragion pratica vincere su di uno di segno dogmatico, con un art. 1422 che viene riletto come inclusivo di una deroga virtuale nel caso di una nullità di protezione.

Cass., 22 novembre 2019, n. 30555: una domanda di nullità del contratto preliminare, per carenza della garanzia accessoria di cui all’art. 2 d.lgs n. 122/2005, una volta che sia stata rilasciata la garanzia prescritta per legge in data successiva alla stipula del preliminare, e senza che nel frattempo si sia manifestata l’insolvenza del promittente venditore ovvero che risulti altrimenti pregiudicato l’interesse del promissario acquirente, «costituisce abuso del diritto e non può quindi essere accolta». Anche qui ritorna la buona fede che invade il campo della nullità di protezione, parcellizzandone il campo di operatività. Il tutto – il rilievo vien da sé – nell’ottica di un diritto come discorso razionale.

 

3. Fattispecie e neo-legalità

Nel saggio di Enrico Scoditti[14], che costituisce l’occasione per il dibattito ospitato in questo numero della Rivista, si dubita alquanto di una narrazione incentrata sulla “crisi della fattispecie”, mettendo piuttosto in evidenza la straordinaria fortuna che, specie in sede eurounitaria, riceve una tecnica di tipo regolamentare. L’idea è senza dubbio intrigante: ma, notiamo, già i precedenti che abbiamo citato sono espressivamente evocativi di una regola spesso coniata slegandola dal testo legislativo. Che non sia allora piuttosto vero che viviamo in tempi di una legalità complessa o, come lucidamente scrive Umberto Breccia[15], di un’inter-legalità?

 

 

[1] Così N. Lipari, Diritto civile e ragione, Giuffrè, Milano, 2019, p. 63.

[2] Così L. Mengoni, Le aporie decostruttive del diritto secondo Jacques Deridda, in Riv. trim. dir. proc. civ., n. 1/1999, p. 355.

[3] In Riv. notariato, 2019, pp. 1123 ss.

[4] Vds., per chi lo volesse, S. Pagliantini, Legittimario pretermesso e tutela dei creditori: un esempio di massima (dottrinale) mentitoria, in Dir. succ. fam., n. 2/2018, pp. 495 ss. 

[5] Così N. Lipari, Diritto civile e ragione, op. cit., p. 45.

[6] In Contratti, 2019, pp. 507 ss.

[7] Consultabili in Giur. it., n. 11/2013, pp. 2257 ss., con nota di R. Calvo, Vendita ed esatto adempimento: luci e ombre del nuovo indirizzo delle Sezioni Unite.

[8] Non a caso R. Calvo, Difformità, inadempimento del venditore e denuncia del vizio occulto, in Corr. giur., n. 8-9/2019, p. 1034, è dell’avviso che le sezioni unite si prestino ad assecondare «un passo in avanti» nel segno di un’operatività dell’art. 2058 cc quale fattispecie costituiva di una regola idonea a propagarsi entro «il campo della mancata o inesatta attuazione del vincolo obbligatorio».

[9] Così N. Lipari, Diritto civile e ragione, op. cit., p. 22. 

[10] Così F. Vitelli, Investimenti fuori sede e diritto di ripensamento ex art. 30 T.U.F., in Banca borsa, n. 1/2019, pp. 525 ss.

[11] La nullità di protezione come una nullità selettiva?, in Foro it., 2019, I, cc. 980 ss.

[12] Così D. Maffeis, Nullità selettiva? Le Sezioni Unite e la buona fede dell’investitore nel processo, in Rivista di diritto bancario,
18 dicembre 2019 (www.dirittobancario.it/editoriali/daniele-maffeis/nullita-selettiva-le-sezioni-unite-e-la-buona-fede-dell-investitore-nel-processo).

[13] Vds. R. Rordorf, Buona fede e nullità selettiva nei contratti d’investimento finanziario, in questo fascicolo.

[14] Ripensare la fattispecie nel tempo delle clausole generali, in questo fascicolo.

[15] Incognite del pensiero giuridico contemporaneo. Identità e tradizioni. Ritorni problematici. Approdi insicuri, in F. Di Ciommo e O. Troiano (a cura di), Giurisprudenza e autorità indipendenti nell’epoca del diritto liquido. Studi in onore di Roberto Pardolesi, La Tribuna, Piacenza, 2018, p. 20.