Magistratura democratica

Introduzione

di Enrico Scoditti

Il diritto civile reca il sigillo dell’eguaglianza fin dalla sua nascita. Quando a Roma al termine ius viene aggiunto l’aggettivo civile, si schiude la prospettiva di una sfera dell’agire sociale nella quale sono garantite un complesso di relazioni paritarie sottratte alla sfera pubblica della politica. La soglia fra diritto civile e politica a Roma non fu mai superata. La cifra della modernità risiede invece in un diverso rapporto fra diritto e politica, intesa quest’ultima nel senso costituzionale di indirizzo fondamentale di una comunità. Quando l’antico diritto romano ritorna centrale nell’Europa continentale, dopo le persistenze e riscoperte medievali, la rivoluzione egualitaria del 1789 è già esplosa. Dalla presa della Bastiglia parte un cammino egualitario che il Novecento, nei trent’anni gloriosi dopo il secondo conflitto mondiale, conduce a un punto mai conosciuto finora. L’invenzione novecentesca dei diritti sociali fa dell’eguaglianza non più una riserva garantita per coloro i quali operano nell’ordine del mercato. L’eguaglianza diventa l’obiettivo della politica, la quale deve ora rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto l’eguaglianza dei cittadini, come recita la norma fondante della Repubblica italiana. Il diritto civile è così attraversato dall’imperativo dell’eguaglianza in senso sostanziale.

Alla “scoperta” da parte dei civilisti italiani della Costituzione fece seguito, negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, una legislazione che aprì circuiti di distribuzione di beni e servizi sottratti alle negoziazioni private. Trattandosi di immissione di eguaglianza sostanziale nel diritto civile per via legislativa, lo strumento della disciplina fu essenzialmente quello della fattispecie legale, anche se alcuni giuristi (Stefano Rodotà primo fra tutti) sollecitavano un uso più coraggioso delle clausole generali da parte dei giudici. L’intervento della legge era sul regolamento contrattuale e non sul comportamento delle parti del contratto, prima e dopo la conclusione dell’atto. L’intervento della fonte eteronoma sul contratto introduceva così, in funzione redistributiva e di gestione del processo economico, una regolazione di interessi affidata non al mercato, ma all’autorità politica e a quella amministrativa, nei limiti in cui fosse delegata dalla prima.

L’irruzione della disciplina comunitaria, a partire dalla fine degli anni ottanta, introduce un nuovo modello di Stato. Non più lo Stato gestore del processo economico, ma lo Stato regolatore. Il nuovo compito del potere pubblico è quello della disciplina dei comportamenti privati mediante la creazione di un’infrastruttura giuridica in grado di rimediare ai cd. fallimenti di mercato, in primo luogo le asimmetrie informative fra professionisti e consumatori. Il punto di riferimento di questa disciplina sono soprattutto i comportamenti degli attori economici e l’atto contrattuale rileva nella misura in cui possa costituire la leva per la disciplina delle condotte. La normativa sulle clausole abusive dei consumatori è disciplina dell’atto in funzione del divieto di condotte abusive dello stato di superiorità informativa del professionista. La regola di comportamento, tradizionalmente affidata alla clausola generale della buona fede, diventa parte della disciplina dell’atto, realizzando un’originale combinazione di fattispecie legale e clausola generale.

Lo Stato regolatore, a differenza dello Stato gestore, non sembra fare dell’eguaglianza in senso sostanziale la propria mission principale, anche se nel corso degli anni il divieto di discriminazione, contemplato dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ha in qualche modo rappresentato il ponte fra la tradizione universalistica dei sistemi nazionali di welfare e il diritto unionale, una sorta di modello euro-unitario di giustizia sociale. I nuovi orizzonti che nel 2019 la Commissione europea ha delineato configurano un terzo modello di Stato, dopo quello gestore di origine nazionale e quello regolatore di origine comunitaria. Si tratta del modello, teorizzato da qualche economista, di Stato innovatore, secondo cui il potere pubblico diventa il motore dell’innovazione, trasformandosi nel catalizzatore di nuovi investimenti e nuovi mercati, in direzione di quella che si prospetta come la nuova rivoluzione dopo quella informatica, la rivoluzione verde. È apparsa poi, in modo violento e improvviso, la pandemia. Il Covid-19 obbliga oggi gli Stati, in un contesto reso drammatico dagli eventi, a intervenire con tutto il loro peso in modo straordinario a sostegno del processo economico.

Nel quadro di questo nuovo interventismo del potere pubblico la questione sociale può e deve tornare al primo posto nell’agenda politica. Se il passaggio dallo Stato regolatore allo Stato innovatore prenderà piede, avverrà sullo sfondo della radicale riconfigurazione della composizione sociale delle società europee che si è materializzata nell’ultimo decennio e nella quale la diseguaglianza, vecchia e nuova, è tornata a riaffacciarsi prepotentemente come questione politica. Si tratta di un esito che la pandemia aggrava in modo straordinario.

Al tema delle “nuove diseguaglianze” è stato già dedicato il fascicolo n. 2 del 2017 della Rivista trimestrale Questione giustizia. L’interrogativo che il fascicolo odierno intende sollecitare è come possano impattare oggi sul diritto civile i nuovi scenari che la questione dell’eguaglianza in senso sostanziale apre. Come si riclassifica la tradizionale dialettica fra fattispecie legale e clausola generale, asse portante della disciplina del diritto civile europeo, alla luce di una nuova centralità che oggi l’art. 3 cpv. della Costituzione può riacquistare? I contributi, con diversità di accenti e punti di osservazione, ruotano per lo più intorno a questa domanda, muovendo anche dalle linee di riforma che propone il disegno governativo di revisione del codice civile. Il circuito “giudice, fattispecie e clausola generale” è comunque oggetto di specifico esame da parte di una serie di contributi. Si tratta di un tema che entrerà in gioco quando i giudici dovranno dirimere le controversie che potranno insorgere per le conseguenze sui contratti in corso della sopravvenienza della pandemia.

Il diritto civile, nella sua millenaria storia, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l’eguaglianza. Si tratta di capire oggi se, in questo rapporto, si aprano nuove vie. L’ora più buia, che avvolge le nostre società al momento di chiudere questa introduzione, può proiettare, nel futuro a noi prossimo, una nuova luce egualitaria sulla totalità dei rapporti civili, immettendo solidarietà in quello che è per eccellenza il diritto dell’individuo, il diritto civile.