Dal dibattito che si è aperto sulla magistratura onoraria, a seguito della pubblicazione dell’interessante libro denuncia di P. Bellone, sta emergendo – fosse la volta buona! – una forte presa di coscienza dell’insostenibilità della situazione venutasi a creare negli uffici, con il consolidamento di una vasta “sacca di precariato” in continua espansione numerica, priva di serie garanzie lavorative, sottopagata, mal reclutata e mal disciplinata a livello normativo primario e secondario eppure, ciò nonostante, risorsa sempre più preziosa ed indispensabile per il funzionamento quotidiano della giurisdizione.
Se però la denuncia di questa patologia è chiara, come spesso capita è la ricerca delle soluzioni che appare meno facile e lineare.
Come uscire, allora, da una situazione impantanata in cui si cumulano in modo perverso la vergognosa incapacità del legislatore e del Ministero a mettere ordine nella materia, con l’indifferenza e connivenza colpevoli della Magistratura a tutti i livelli, capace solo di sfruttare acriticamente, senza limiti e pudore (in nome delle solite emergenze, carenze d’organico e di risorse, ecc.) questa “carne da macello” che fa comodissimo avere a disposizione, in quanto manovalanza multiuso, docile e subalterna anche perché poco permeata di cultura e garanzie tabellari?
Quante volte ci ricordiamo davvero che, quando i “nostri” GOT o VPO vanno in udienza sostituendoci, non sono nostri delegati o meri esecutori di direttive altrui ma “magistrati a tutto tondo”, con le stesse identiche garanzie costituzionali che assistono l’attività giurisdizionale del togato?
E quante volte ci facciamo davvero carico del diritto delle parti e degli imputati ad avere il proprio affare trattato o, perfino, deciso da un magistrato sempre professionalmente attrezzato ed all’altezza dei suoi compiti e doveri?
Chi scrive sono anni che, quasi del tutto vanamente, in CSM, in ANM, in MD e nei diversi ruoli giudiziari svolti, ha cercato di tenere ferma la bussola in questo mare procelloso denunciando le contraddizioni dell’assetto, i rischi e pericoli di sbracamento e di abuso negli uffici, i pasticci e forzature normative combinate ripetutamente dallo stesso autogoverno nel tentativo mai riuscito di disciplinare razionalmente la questione, e proponendo infine alcune vie minimali di indispensabile riforma che continua, al contrario, a latitare.
Di conseguenza oggi sono molto scettico sulla volontà effettiva del sistema (e nostra?) di affrontare davvero questo bubbone, essendo molto più facile e comodo per tutti conservare lo status quo e la non soluzione delle mere proroghe.
Provo tuttavia, per l’ultima volta, a formulare alcune modeste e limitate indicazioni, che presuppongono comunque a monte lo scioglimento doveroso di alcuni “nodi” circa il rapporto in generale che auspichiamo tra magistratura professionale ed onoraria, sul come intendiamo l’onorarietà, o i modi di reclutamento accettabili che pensiamo di quest’ultima ed in particolare il rapporto che deve esserci con l’esercizio della professione forense (di “alterità” o di “cumulo controllato”?).
Mi limito pertanto a porre, tra le tante che vorrei, solo tre questioni:
a)la prima
Qualsiasi riforma della MO di Tribunale e Procura dovrebbe operare secondo una logica di due tempi : una normativa transitoria che risolva l’odierna patologia creatasi e l’eventuale (sottolineo eventuale) riforma più generale che delinei, a regime, un miglior assetto futuro di queste figure onorarie.
Prima cioè si deve affrontare l’urgentissimo e preliminare problema dei “precari” pluri-prorogati ex lege, che debbono avere (per essere chiari) un solo “destino” : la cessazione dello stato di precario a tempo indeterminato attraverso o la loro stabilizzazione come magistrati ordinari, (ma con regolari concorsi o quote riservate di concorso, rispettosi comunque dell’art. 106 Cost. e non con meccanismi selettivi da operetta come qualcuno ha proposto senza alcun risultato negli scorsi anni), oppure in caso di mancato superamento del concorso, con il loro reimpiego in altri comparti della PA.
Il tutto previo riconoscimento, quanto meno previdenziale, del servizio per tanti anni prestato a favore dello Stato.
Essenziale, comunque, resta il fatto che una disciplina urgente e transitoria deve servire a far uscire dai nostri uffici tutti i precari di lungo corso, lasciando in servizio solo quelli infra 6 anni.
Poi, anche se al momento lo vedo meno urgente, si deve porre mano alla riforma a regime, rispetto a cui la proposta minimale è quella di mantenere, nella sostanza, l’attuale fisionomia normativa di un magistrato davvero onorario ma rigorosamente temporaneo ( un triennio rinnovabile una sola volta previa seria valutazione di conferma), selezionato però con maggior rigore, dotato di maggiori garanzie di trattamento economico e previdenziale, delineato infine in modo più preciso quanto a requisiti d’ingresso, organico (oggi non esiste alcun “tetto” di legge al loro numero) funzioni esercitabili e con la necessaria precisazione che l’esercizio di funzioni vietate attiene al profilo della capacità del giudice con conseguente nullità processuale degli atti compiuti (vale a dire l’esatto contrario della blanda disposizione contenuta, con buona pace di tutti noi, nell’art. 33 cpv CPP, ritenuta norma generale operante anche nel civile).
b)seconda questione.
Riferendomi solo ai GOT, penso che la loro utilizzazione più seria e corretta sia quella di inserirli sempre nell’ “ufficio del processo” che sottintende un uso non abbandonato alle logiche individualistiche dei singoli fortunati che avranno lo “schiavetto” a disposizione, magari grazie alla foglia di fico dell’aumento del proprio ruolo come previsto dalla discutibile circolare consiliare vigente che ha disancorato, a questo proposito, l’uso del GOT dai parametri normativi primari dell’art. 43 OG (mancanza o impedimento) , inventandosi la strana figura dell’affiancamento.
Al contrario l’inserimento organico nell’ufficio del processo comporta un uso controllato e più ampio dell’onorario, collocato tabellarmente a livello di sezione o di gruppo di lavoro o di settore, sotto la diretta responsabilità del Presidente di sezione o coordinatore del gruppo/settore ed al servizio della sezione stessa, strettamente collegato ai piani e programmi elaborati in sezione e affidato così di volta in volta ai giudici che richiedono motivatamente il suo intervento, per ragioni obiettive di servizio.
E da questo punto di vista, la diversa terminologia usata “ufficio del processo” anziché “ufficio del giudice”, riflette non una sterile questione nominalistica e tanto meno dovrebbe immiserirsi in assurde contrapposizioni correntizie, ma una sostanziale diversità di approccio alla questione organizzativa e al modo di lavorare nostro negli uffici, utilizzando nel modo più corretto e proficuo una utilissima risorsa esterna.
Per tale inserimento,poi, non credo occorra una particolare modalità di arruolamento degli onorari o una legge speciale sull’ufficio del processo (o della sezione) bastando una più attenta disciplina consiliare ed , ancor più, una sagace redazione delle tabelle dell’ufficio e coerenti provvedimenti organizzativi conseguenziali.
c) terza ed ultima questione.
Bisogna porre uno stop immediato all’indiscriminata assunzione di nuovi GOT e VPO, fatto che sta avvenendo invece nel complice silenzio generale, acuendo la patologia del sistema attuale e offendo un alibi alle inerzie del ministero nella copertura integrale indispensabile dell’organico e nella sua necessaria rivisitazione. Vogliamo allora, finalmente, iniziare davvero una battaglia, come corrente e come magistratura associata, su tutto questo?