Magistratura democratica
Prassi e orientamenti

Messa alla prova: un vademecum da Vercelli

di Fabrizio Filice
Giudice del Tribunale di Vercelli
Un documento e alcuni modelli redatti dall'autore per i colleghi del Tribunale. All'interno anche un breve spunto su possibili percorsi di mediazione penale
Messa alla prova: un vademecum da Vercelli

Novità legislative: legge 28 aprile 2014, n. 67 contenente “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”.

Relazione accompagnatoria dei moduli per l’applicazione delle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova.

 

INTRODUZIONE

La presente relazione funge da “vademecum” di accompagnamento ai -  e illustrazione dei – modelli di provvedimenti elaborati per l’applicazione delle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova.

Attesa la già avvenuta diffusione dei primi commenti dottrinali, nonché della relazione dell’Ufficio del Massimario presso la Corte di Cassazione (Rel. n. III/07/2014 del 5 maggio 2014), quest’ultima, in particolare, ampiamente e approfonditamente illustrativa dei contenuti della normativa e delle principali problematiche potenzialmente derivabili, la presente relazione si soffermerà unicamente su alcuni aspetti, taluni di ordine sostanziale e altri di ordine processuale, che si ritiene opportuno ulteriormente approfondire, in quanto dirimenti ai fini di non trascurabili esiti applicativi.

 

IN DIRITTO SOSTANZIALE

Le condizioni soggettive ostative

L’art. 168 bis, co. 4 e 5, c.p. prevede che la sospensione del procedimento con messa alla prova  dell'imputato non può essere concessa più di una volta e che l’istituto non si applica nei casi previsti dagli articoli 102, 103, 104, 105 e 108 c.p.

L’art. 464-quater  c.p.p., prevede, invece, al co.3, che la sospensione è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all'articolo  133  del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati. 

A tal fine, il giudice valuta  anche  che  il  domicilio  indicato  nel programma dell'imputato sia tale da assicurare le esigenze di  tutela della persona offesa dal reato.

Ora, la disposizione da ultimo citata, in quanto contenente un richiamo concettuale espresso alla “prognosi favorevole” sull’astensione dal commettere nuovi reati,  già compendiato dall’art. 164/1 c.p. in tema di sospensione condizionale della pena, ha condotto alcuni commentatori  a ritenere che ( cfr. §§ I,1 della relazione massimario, cit.) i soggetti già gravati da precedenti, i quali non potrebbero godere della sospensione condizionale, si vedrebbero  precluso anche l’accesso alla nuova ‘misura’, in quanto presuppone anch’essa una prognosi favorevole circa il futuro comportamento dell’imputato.

Sì che la platea dei soggetti potenzialmente interessati al beneficio si restringerebbe, secondo questa opinione, a coloro per i quali assume rilievo non la mera esenzione dalle conseguenze sanzionatorie (altrimenti evitabili, e senza obblighi aggiuntivi, con la sospensione condizionale), ma l’interesse a evitare lo stigma della sentenza di condanna.

La conclusione, tuttavia, pare quantomeno controvertibile.

Anzi tutto perché la nuova misura richiama la disciplina della sospensione condizionale solo in riferimento alla prognosi favorevole circa l’astensione dal commettere nuovi reati, ma non anche in riferimento alle condizioni ostative di cui all’art. 164 c.p., fra cui l’aver riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto.

Se a ciò si aggiunge che la norma in esame esclude la fruibilità dell’istituto per i soli soggetti dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza ma non anche per i recidivi, se ne può concludere che il Giudice possa addivenire a una valutazione prognostica favorevole anche in relazione a soggetti recidivi che, come tali, non potrebbero fruire, invece, della sospensione condizionale.

 

La natura sostanziale dell’istituto e le conseguenze in punto diritto intertemporale

Posto che manca,  nella legge approvata, una disciplina diretta a regolare i procedimenti instaurati per i delitti previsti dall’art. 168-bis che abbiano, al momento dell’entrata in vigore della legge, superato le fasi processuali entro le quali, ai sensi dell’art. 464-bis cod. proc. pen., la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere richiesta dall’imputato, la Relazione del massimario, cit., conclude per un prospettabile favor per l’ammissione “retroattiva” alla stregua delle soluzioni già adottate in riferimento ad altri istituti (inter alia: art. 30, comma secondo del D. lgs. 28 luglio 1989, n. 272; 64 del D. lgs. 28 agosto 2000, n. 274; 4-ter del d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 2000 n. 144; legge 12 giugno 2003, n. 134) in quanto definiti  a “carattere misto” sostanziale-processuale.

Ciò in quanto, in casi siffatti, quantomeno l’interesse alla fruibilità delle disposizioni venate di profili irrefutabilmente sostanziali ( qual è l’estinzione del reato), giustificherebbe l’applicazione “retroattiva” anche delle disposizioni processuali che si qualificano presupposto irrefutabile per l’accesso a quelle sostanziali.

La conclusione è non solo da condividere, ma anzi da ritenersi ancor più avvalorata dal fatto che, in questo caso, e diversamente dalle normative citate a titolo di esempio, il legislatore ha inteso dipanare l’operatività della nuova normativa in due settori – anche normativamente – distinti: un settore sostanziale, disciplinato agli artt. 168 da bis a quater,  c.p.; e un settore processuale, disciplinato dal Titolo V-bis c.p.p.

In conseguenza di che, è da ritenere che l’istituto di nuovo conio costituisca, a pieno diritto, una nuova tipologia appartenente al genus delle cause di estinzione del reato, in via generale disciplinate agli artt. 150 ss. c.p.  e rientranti nella categoria sostanziale delle «cause di non punibilità» (secondo i fautori della  la tesi quadripartita del reato, ciò che declina  nell’ultimo segmento dell’analisi del reato).

Le norme processuali costituirebbero, dunque, non altro che un pendant processuale per l’attuazione, similmente all’art. 340 c.p.p. in relazione all’art. 152 c.p. in tema di remissione di querela. 

Il riferimento alla mediazione penale – linee guida

La possibile introduzione di “una mediazione con la persona offesa” per il viatico del programma di messa alla prova, dovrà, se percorsa, necessariamente tenere in debita considerazione le linee guida approntate dalla  direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 (che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la precedente decisione quadro 2001/220/GAI), la quale disciplina espressamente i “servizi di giustizia riparativa” (restorative justice).

Rispetto alla precedente decisione quadro del 2001, la direttiva sembra assumere nei confronti della RJ un atteggiamento di maggiore apertura, sia pure, per così dire, “condizionata” al pieno rispetto delle esigenze di tutela della persona offesa, in particolare quando questa sia contrassegnata da un particolare grado d vulnerabilità.

Se da una parte, infatti, il quadro della direttiva amplia idealmente il campo di applicazione della RJ (estendendo la definizione di “vittima di reato” sino a comprendere la c.d. “vittima indiretta” -  ovverossia “il familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona” -  e conferendo un espresso  riconoscimento agli strumenti di giustizia riparativa, tra cui, oltre alla mediazione penale, già contemplata nella  decisione quadro del 2001, anche il “dialogo esteso ai gruppi parentali” (c.d. Family group conferencing) e i “consigli commisurativi” (sentencing circles)[1]– dall’altra parte, la direttiva riserva un’estrema cautela nei confronti della possibilità di utilizzo della RJ nei casi più problematici, in cui affiorino condizioni di particolare vulnerabilità della vittima (il riferimento va, in particolare, ai reati di maltrattamenti in famiglia e di atti persecutori, che, però, non sono in ogni caso riguardati dalla messa alla prova, stanti le  attuali carature edittali); in questi casi occorrendo assolutamente evitare che, attraverso lo schermo della “mediazione”, la vittima sia coattivamente posta nuovamente a contatto con l’autore del reato, con il rischio di riacutizzazione del disagio (quando non della sofferenza vera e propria) che ciò comporta, se non, addirittura, con il rischio di subire pressioni nel senso della conciliazione o della rimessione della querela (nei casi in cui questa sia consentita).

Va evitato, nella sostanza, ciò che, in criminologia,  si definisce “vittimizzazione secondaria”, e che indica una nuova vittimizzazione della persona che sia già stata vittima, una prima volta, con il fatto-reato, delle condotte persecutorie e manipolative dell’autore del reato.

In conclusione, dunque, dalle fonti europee si raccomanda l’uso della RJ in esclusiva funzione di tutela della vittima; sì che, qualora l’interprete intenda percorrere la via della mediazione penale in questa sede, dovrà necessariamente porsi il problema di un uso della mediazione compatibile con le linee guida euro-unitarie (il che peraltro sembra essere stato già tenuto in conto anche dal Legislatore nazionale, ove ha inteso subordinare la decisione sulla MAP, in ogni caso, alle esigenze di tutela della persona offesa dal reato; v. l’art. 464 quater, co. 3, c.p.p.).

In questo senso le prime decisioni che intenderanno porsi su questa china, saranno certamente di grande interesse perché contribuiranno, agendo in best practice, a quel processo di cross fertilization tra fonte euro-unitaria e fonte nazionale.

 

IN DIRITTO PROCESSUALE

La nomina del difensore d’ufficio in indagini preliminari

Pare delinearsi, negli addentellati della normativa, in particolare nel combinato disposto degli artt. 464 bis, co. 2 e 3, e 464 ter c.p.p.,  la possibilità che, nel corso delle indagini preliminari, l’istanza di MAP sia presentata dall’indagato personalmente e che ciò non escludibilmente avvenga in un momento in cui non si sia ancora provveduto (prima dell’avviso di conclusione indagini) alla nomina di un difensore (la sottoscrizione dell’istanza di cui all’art. 583, comma 3, c.p.p. non è eseguita necessariamente dal difensore).

Qualora ciò avvenga si ritiene che il Giudice, nel fissare l’udienza in camera di consiglio ex art. 464 quater c.p.p., debba provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio; essendo sufficiente rimarcare la natura “sostanzialmente sanzionatoria” degli obblighi e delle prescrizioni che connotano l’istituto – natura espressamente confermata dall’introduzione del principio della “fungibilità” ex art. 657-bis c.p.p.- a fronte della quale è da  ritenere obbligatoria, sin dall’instaurazione del procedimento, la difesa tecnica.

Il cumulo dei procedimenti e la separazione processuale in udienza preliminare

Nel caso in cui un imputato sia rinviato a giudizio per più reati, solo alcuni dei quali fruibili dell’istituto (possibilità portata dall’art. 551 c.p.p.), egli potrà, prima delle conclusioni di cui agli artt. 421 e 422 c.p.p., formulare istanza di MAP.

A questo punto il GUP dovrà sciogliere il cumulo e separare i procedimenti.

Di “procedimento oggettivamente cumulativo” parla espressamente uno dei primi provvedimenti diffusi in materia ( Tribunale di Torino, 21.5.2014), che richiama la giurisprudenza sul c.d. “patteggiamento parziale” (Cass. Sez. 3, Sentenza a. 41138 del 23/05/2013, ne. P.M. in proc. Pokutinski e altro, Rv. 256929; v. però contra: Cass. Sez. 3, Sentenza n. 34915 del 13/07/2011, ne. Di., Rv. 250860), di fatto sdoganante, secondo alcuni commentatori, una vera e propria “parcellizzazione” delle imputazioni.

L’impostazione è da condividere, debitamente premesso che la nozione di “cumulo” viene usualmente mutuata dalla processual-civilistica, là dove la «connessione oggettiva» dà luogo a «cumulo soggettivo» e la «connessione soggettiva» dà luogo a «cumulo oggettivo»; mentre, nel processo penale, in cui in libellum è introdotto unicamente dal pubblico ministero e non è a disposizione delle parti (nemmeno della stessa parte pubblica dopo che è stato introdotto, divenendo “irretrattabile”), tanto la connessione oggettiva quanto quella soggettiva danno luogo a «cumulo oggettivo e soggettivo» (id est la summa delle imputazioni).

Si tratta, dunque, non altro che di scindere il cumulo formatosi sottraendo i procedimenti per cui l’imputato chieda, in presenza dei presupposti, l’ammissione alla MAP.

La scissione avverrà tramite la generalklausel dell’art. 18/2 c.p.p. e porterà la conseguenza che l’udienza preliminare continui, sino a esito, per i reati che non consentono la MAP (o per cui non vi è richiesta);  mentre per gli altri reati, una volta effettuato lo stralcio, non sarà più possibile una loro ammissione all’udienza preliminare: sì che in caso di esito positivo della MAP la relativa sentenza di estinzione del reato sarà emessa dal GIP ex art. 129 c.p.p., previa fissazione di apposita udienza in camera di consiglio; nel caso di esito negativo (così come nel caso di revoca anticipata) gli atti dovranno essere restituiti al PM per la citazione diretta.

 

 


[1] Cfr. IL DIRITTO PENALE TRA NEUTRALITÀ ISTITUZIONALE E UMANIZZAZIONE COMUNITARIA, di Francesco Parisi, DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO.

02/07/2014
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