Magistratura democratica
Magistratura e società

In memoria di Ronald Dworkin

di Alfredo Guardiano
Consigliere della Corte di cassazione
La Costituzione è la bussola dell’azione politica, che indirizza i poteri pubblici verso “l’individuazione, l’implementazione e la salvaguardia dei diritti fondamentali”. Serve per ricomporre il dissidio tra giustizia e legge alla luce della intrinseca unità dei valori etici e morali
In memoria di Ronald Dworkin

Una volta Oliver Wendell Holmes Jr., uno dei più famosi giudici nella storia della Corte Suprema americana, mentre si recava in carrozza al lavoro, dette un passaggio al giovane Learned Hand, destinato a diventare uno dei più autorevoli giudici di “merito” e “judicial philosophers” degli Stati Uniti di ispirazione progressista, il quale, sceso alla propria destinazione e, salutando Holmes, gli urlò allegramente: “Fa’ giustizia, giudice!”.

Holmes fermò la vettura, fece invertire la marcia al conducente e, tornando indietro, gli disse: “Non è quello il mio lavoro”, ripartendo verso la sua meta ed il suo lavoro: “presumibilmente quello di non fare giustizia”.

Questo piccolo aneddoto, con relativo ironico commento finale, viene riportato da Ronald Dworkin nella introduzione del suo libro Justice in Robes (Giustizia in toga, pubblicato in Italia da Laterza) e mi sembra rappresenti con efficacia un settore importante della sua riflessione, foriero di insegnamenti e di stimoli anche per i giudici di civil law.

Dworkin, infatti, è stato grande teorico del diritto e filosofo politico particolarmente attento a conciliare l’idea classica del liberalismo giusnaturalistico circa l’esistenza di diritti individuali, anteriori alle codificazioni, con le politiche di protezione sociale del Welfare State.

Come è stato giustamente osservato, il suo pensiero si inserisce nel filone della cultura politica e giuridica del dopoguerra, che annovera tra i suoi esponenti più significativi Luigi Ferrajoli, Jurgen Habermas, Neil MacCormick, Gustavo Zagrebelsky, Ernst- Wolfgang Bockenforde. Per costoro, i testi costituzionali non sono più solo lo statuto delle istituzioni statali e la formalizzazione del contratto tra Stato e consociati, in cui si definiscono i limiti del potere del primo ed i diritti degli altri. La Costituzione, invece,  diventa la bussola dell’azione politica, che indirizza i  poteri pubblici verso “l’individuazione,  l’implementazione e la salvaguardia dei diritti fondamentali”.

In questa prospettiva, per Dworkin, è fondamentale l’opera dei giudici, ed in primo luogo dei giudici costituzionali, il cui compito è quello di procedere, attraverso l’interpretazione, all’individuazione dei principi di giustizia come emergono dai testi costituzionali, dalla pratica giudiziaria, dai precedenti dottrinali e dalla esperienza storica della comunità, adattandoli alla specificità del caso concreto, secondo la sensibilità contemporanea.

Dworkin ci propone una lettura “morale” della Costituzione, al fine di oltrepassare le secche del positivismo giuridico, in cui si arenava la risposta data da Holmes al giovane Land nell’aneddoto riferito all’esordio. La Costituzione serve per ricomporre il dissidio tra giustizia e legge alla luce della intrinseca unità dei valori etici e morali.   Nella sua ultima opera Justice for the Hedgehogs, (“Giustiza per i ricci”, appena edito da Feltrinelli), il filosofo spiega che “il diritto è una branca della morale politica, che è, a sua volta, un branca di una morale personale più generale, la quale è anche essa, a sua volta, una branca di una teoria ancora più generale su cosa significa vivere bene”.

Provate a sostituire il termine “morale” con “politica” e vi accorgerete come la lezione di Dworkin rappresenti per noi, intendo proprio noi di Magistratura Democratica, un viatico imprescindibile.          

 

22/02/2013
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