Magistratura democratica
Magistratura e società

Come una trilogia

di Gaetano Ruta
sostituto procuratore presso il Tribunale di Milano
Un percorso indietro nel tempo attraverso i libri di Benedetta Tobagi: storie di dolore, ingiustizia e lacerazione sociale, ma anche di riscatto e speranza, nello spazio di vicende giudiziarie che hanno segnato la vita della Repubblica

 

1. Immergersi nella storia senza distogliere lo sguardo dal presente. Andare a ritroso nel tempo, in un passato comunque non lontano, avendo impressa l’immagine di salme trasportate via da camion dell’esercito, morti anonimi senza lo spazio del dolore condiviso.

La storia, soprattutto quella a noi più vicina, è fatta di icone capaci di una impressionante carica evocativa. La microstoria ne rappresenta uno dei momenti di maggior fascino: non è la scala di osservazione che rende angusto o limitato un argomento, si può scrivere una storia globale partendo anche da una piccola comunità. La vocazione universalistica della storia è frutto del grado di interrelazione stabilito tra i fatti che vengono osservati. La narrazione è arricchita quando si innestano, nella cornice di un’autentica descrizione degli eventi, le vicende individuali di chi quegli eventi ha attraversato: anche un elemento di fantasia, al limite, non ne tradisce la missione, come insegna la grande tradizione del romanzo storico.

Benedetta Tobagi ha scritto tre libri, i cui fatti hanno una scansione temporale relativamente vicina: 1980, 1974 e 1969. Apparentemente una progressione cronologica a ritroso, in realtà un percorso che riflette una vicenda umana di crescita e maturazione intellettuale.

 

2. Il 28 maggio 1980 viene ucciso a Milano Walter Tobagi, giornalista del Corriere della Sera e padre dell’autrice, per mano di un gruppo terroristico appartenente a frange di estrema sinistra. Ne ricorre quest’anno il quarantesimo anniversario.

Un anno terribile il 1980 a scorrerne le cronache, con una scia di sangue che segue e precede stagioni di grande violenza. L’anno si apre con l’uccisione a Palermo del Presidente della Regione Sicilia, Piersanti Mattarella, e conosce nella sola Palermo la morte per mano della mafia del capitano dei carabinieri Emanuele Basile e del Procuratore della Repubblica Gaetano Costa. Nel torno di poche settimane, nell’inverno del 1980, vengono uccisi dalle Brigate Rosse o da altre frange terroristiche di estrema sinistra Vittorio Bachelet, vice presidente del Csm, Nicola Giacumbi, Procuratore della Repubblica di Salerno, Girolamo Minervini, Direttore Generale degli istituti di prevenzione e pena, Guido Galli, giudice istruttore a Milano. E poi ancora, nel mese di giugno a Roma, per mano questa volta di estremisti di destra, è la volta del sostituto procuratore Mario Amato. La violenza terroristica e criminale si diffonde e colpisce, accanto a queste figure, uomini delle forze dell’ordine e tanti comuni cittadini. Vi sono poi due eventi che segnano se possibile in maniera terrificante il 1980: il disastro aereo di Ustica del 27 giugno, in cui persero la vita gli 81 passeggeri del DC9 Itavia, e la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto, in cui rimasero uccise 85 persone e centinaia ferite. Anche la natura con i suoi artigli ci mise del suo: il 23 novembre un terremoto di grado X della scala Mercalli flagellò l’Irpinia, estendendosi su una vasta area che ricomprendeva le province di Avellino, Salerno e Potenza; quasi tremila morti, migliaia di feriti e sfollati, l’inizio di una tormentata storia di ricostruzione, di camorra e corruzione. 

Nel 1980 Benedetta Tobagi aveva tre anni. Del padre non può conservare ricordi personali. Il libro che pubblica nel 2009, Come mi batte forte il tuo cuore, è una storia di ricerca, sulle orme di un padre che non c’è più ma che ha lasciato molte tracce della sua breve esistenza (Walter Tobagi viene ucciso ad appena 33 anni). Se non fosse che narra fatti veri, con un’alternanza tra descrizione di vicende del reale ed un gigantesco scandaglio interiore, verrebbe da pensare ad un moderno romanzo storico o ad un lungo racconto di formazione, di cui i capitoli rappresentano, esteriormente, le tappe di sviluppo. Walter Tobagi era un giornalista, che chiude la sua breve ed intensa attività professionale al Corriere della Sera. Ne viene ripercorsa la storia, dall’infanzia in Umbria al trasferimento in Lombardia, secondo una linea che intreccia la sua vita al contesto sociale in cui era inserito: l’esperienza di studente al liceo Parini di Milano e l’attività tra i redattori della Zanzara, il celebre giornale del liceo che ha lasciato un segno e fu anche al centro di una accesa vicenda giudiziaria; i primi passi nel mondo del giornalismo, accompagnati a profondi interessi culturali per la storia e il mondo del lavoro e sindacale; l’arrivo al Corriere della Sera e l’impegno nell’associazione dei giornalisti, tra il riconoscimento di indubbie qualità professionali e le tensioni del mondo editoriale. Una vita lavorativa che gli aveva consentito il contatto con personaggi di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e della cultura. Leggere la storia di Walter Tobagi è un po’ ripercorrere un pezzo di storia nazionale tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70. C’è un dopo, lo spartiacque violento del 28 maggio 1980, che crea un vuoto e segna l’avvio di una vita che riparte con difficoltà, tra introversioni, rievocazioni difficili, un risvolto giudiziario vissuto in maniera sofferta. Alla fine le storie sembrano quasi intrecciarsi, la vita del padre e quella della figlia si sono appena lambite eppure la ricerca intorno al padre non si esaurisce in una rievocazione delle proprie origini, ma si proietta oltre, in un percorso esistenziale che contribuisce in maniera determinante a definire l’identità della figlia. Pagine con una prosa a tratti poetica sono la rivelazione di un legame che coinvolge il cuore come la mente, a testimonianza di quanto in profondità è capace di spingersi l’animo umano. 

 

3. Sei anni prima, in una singolare coincidenza temporale proprio il 28 maggio, si consumava una delle più violente stragi del terrorismo nero, Piazza della Loggia a Brescia. Una stella incoronata di buio (2013) è un viaggio complesso, nella storia di un processo ma, prima ancora, nella vita di persone che dalla strage sono state segnate. Esiste un io narrante, l’autrice, accompagnata dalla guida sicura di Manlio Milani, sopravvissuto alla bomba, presente alla manifestazione antifascista insieme alla moglie Livia e alla coppia dei loro amici, Alberto e Clem, che rimasero dilaniati dalla esplosione. Al centro della narrazione, effettivamente, non sta tanto la storia del processo, cui pure larga parte del libro è dedicata, ma la storia di vite spezzate, di chi è morto e di chi è sopravvissuto. Livia, Alberto e Clem, Giulietta, uccisi dall’ordigno in Piazza della Loggia, sono le figure che più di altre rivivono nella rappresentazione degli anni che precedono la strage. Viene restituita l’immagine di persone con un bagaglio ricco di cultura, interessi e speranze, attive nel mondo della scuola, animate dalla vocazione alla realizzazione di un mondo migliore. Mai come in questo caso può dirsi che la scrittura riscatta la storia, elimina la patina che ricopre il passato e ridà vita e luce a chi non c’è più. Accanto alle pagine di violenza, gli anni a cavallo tra i ’60 e i ’70 sono stati il periodo della storia repubblicana dove con più intensità si è manifestato l’impegno civile ed il sentimento di appartenenza alla comunità: lo statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il diritto penitenziario, la legge Basaglia, le battaglie referendarie, sono il frutto di una lotta per i diritti civili che non conoscerà eguali nei decenni successivi. I trascorsi delle persone di cui il libro racconta sono la testimonianza di una società civile che con il proprio impegno ha creduto in una realtà più aperta ed attenta agli ultimi, agendo con la vivacità intellettuale di chi – soprattutto nella scuola e nei rapporti con i giovani (le vittime erano insegnanti) – non ha timore di sperimentare formule innovative per il bene di tutti. Anche il modo di partecipazione della collettività agli eventi tragici di quegli anni lascia il segno: una massa composta e silenziosa di trecentomila persone in Piazza Duomo a Milano in occasione dei funerali delle vittime di Piazza Fontana, ed una animata da una forte impronta antifascista a Brescia per Piazza della Loggia, “il filo simbolico della religione civile italiana, dal Risorgimento alla Resistenza, alla solidarietà tra le forze dell’arco costituzionale”.

Certo, la storia di quegli anni presenta tante sfaccettature, al lato fervido e generoso di Manlio, Livia e dei loro amici fa da contraltare il “granchio d’ombra” dell’eversione nera e di quei pezzi delle istituzioni che l’hanno coperta. La ricerca si volge verso le origini dei fenomeni eversivi, con una indagine sui risvolti primigeni che hanno fatto da sfondo a ciò che accadrà in seguito: l’autrice si addentra così nel cuore di Roma, accompagnandoci dentro la basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Junio Valerio Borghese, il principe nero responsabile di un tentato golpe nel dicembre 1970; o portandoci davanti all’Hotel Parco dei Principi, alle spalle di villa Borghese, dove nel 1965 si tenne un incontro che incubò le manifestazioni eversive avvenute in seguito. Indaga sui percorsi equivoci degli uomini delle istituzioni che hanno minato le indagini, ripercorrendone storia e carriere, talvolta coronate da tributi ed onori, come per quel capitano dei carabinieri che tanta parte ebbe nella vicenda giudiziaria di Piazza della Loggia.

E poi la storia del processo, dei processi sarebbe più corretto dire, tante e tali sono state le diramazioni che hanno preso corso. Piazza della Loggia purtroppo non è un unicum, la storia di Piazza Fontana documenta terribili assonanze.

 

4. Piazza Fontana il processo impossibile è il volume pubblicato nel 2019, a cinquanta anni dal compimento della strage. E’ un vero e proprio testo storico, calibrato su una ricostruzione che ha come fonte principale gli atti processuali, una miniera di informazioni, come mette in risalto l’autrice. Piazza Fontana non rappresenta solo una strage impunita, ma una storia processuale lunga ed intricata, protrattasi per 35 anni, con l’ultima pronuncia della Cassazione resa nel 2005. Esistono momenti di intreccio tra la storia di Piazza Fontana e quella di Piazza della Loggia, legati alla comune matrice fascista, al ruolo della eversione veneta, alle gravi e ripetute deviazioni istituzionali. Piazza Fontana è un processo che ha attraversato l’Italia, non metaforicamente ma nella realtà dei fatti: non è un caso che il processo, effettivamente il più rilevante, di cui il libro ripercorre le tappe, è quello che si celebra a Catanzaro a partire dalla fine degli anni ’70. Il contesto storico e sociale fa da sfondo nei suoi colori forti: le sperimentazioni politiche degli anni ’70, il compromesso storico, il ruolo della Democrazia Cristiana, l’emergere progressivo della eversione nera in quella che The Observer definì la strategia della tensione, sono non soltanto componenti esterne al processo. È una vicenda che mette a nudo i limiti del sistema giudiziario, i pericoli che si annidano nell’interpretazione della legge, i difficili equilibri tra magistratura e polizia giudiziaria, la gravità delle interferenze che comprimono l’indipendenza della magistratura ed impediscono uno sviluppo trasparente del percorso giudiziario.  

 

5. Sono vicende che interrogano l’uomo di legge, ponendolo dinanzi alla concretezza dell’azione dello Stato, agli effetti che ne derivano per i cittadini, allo scollamento nella scala dei valori che si registra nell’applicazione della legge.

Piazza della Loggia e soprattutto Piazza Fontana sono l’emblema della distanza che può stabilirsi tra verità storica e verità processuale: se un senso hanno avuto i processi succedutisi nel tempo ed il grande lavoro di raccolta fatto da magistrati e forze dell’ordine, è quello di avere aggiunto ogni volta un nuovo tassello per ricomporre il quadro degli avvenimenti. La tensione per la verità ha superato la resa della giustizia, costringendo la giustizia in una torsione non facile da comprendere: la sentenza della Cassazione del 2005, l’ultima nella storia di Piazza Fontana, riconosce esplicitamente la colpevolezza di due esponenti di Ordine Nuovo, già imputati e prosciolti in via definitiva in un precedente giudizio, e quindi non più giudicabili.

Mai come nella vicenda di Piazza Fontana suona beffardo l’insegnamento antichissimo secondo cui res iudicata pro veritate habetur: è un dato di realtà, il giudizio si risolve in una valutazione di prove e la ricerca giudiziale non può sovrapporsi a quella storica, perché si fonda su una trama di regole che costituisce il fondamento del processo. Non di meno, la verità rappresenta l’orizzonte al quale deve tendere il processo, come obiettivo fissato dalla legge prima ancora che come tensione morale.

Il tema delle regole è centrale per la comprensione delle deviazioni che vi sono state in questi processi: non sempre risulta chiaro quanto le deviazioni dipendano da un obiettivo preordinato o quanto da un imperdonabile dilettantismo nella gestione di una parte delle indagini.

Certo alcuni episodi appaiono incredibili: le modalità della ricognizione personale di Valpreda, l’avere fatto brillare la bomba rinvenuta presso la Banca Commerciale lo stesso giorno della esplosione di Piazza Fontana, gli idranti a ripulire Piazza della Loggia subito dopo la strage, la dispersione di un importante contributo dichiarativo come quello della commessa di Padova dove era stata venduta la valigia utilizzata per collocare la bomba del 12 dicembre.

E molto vi sarebbe da dire su certe decisioni giudiziali: l’accoglimento della istanza di rimessione con il trasferimento del processo di Piazza Fontana a Catanzaro non rappresenta solo una scelta molto discutibile sul piano processuale (nel quadro normativo attuale non sarebbe neppure possibile), ma è stata la fonte di enormi difficoltà pratiche ed organizzative nella gestione del processo.

Rispetto al contenuto delle sentenze che hanno definito i giudizi emerge il vecchio ed attualissimo tema della valutazione della prova indiziaria, eternamente sospeso tra chi è capace di cogliere correlazioni stringendole in un quadro unitario e chi, al contrario, si perde nei rivoli di un mondo senza apparenti connessioni. Sul piano della valutazione della prova, nulla più della prova indiziaria si espone a variabili cognitive non facilmente controllabili, rivelando la fallibilità del giudizio.

La ricostruzione di quanto accaduto nelle indagini su Piazza Fontana e Piazza della Loggia consegna una realtà molto grave: le interferenze dei servizi segreti e l’inquinamento delle prove da parte di settori della polizia giudiziaria costituiscono fatti ampiamente documentati, di cui i libri di Benedetta Tobagi forniscono una precisa rappresentazione. La storia racconta di indagini condotte da chi, avendone il potere, sceglie il colpevole e adatta le prove al fine di incastrarlo: una marea che si abbatte su innocenti e costringe gli inquirenti nel lavoro impegnativo di depurare il vero dal falso. E’ proprio di fronte a vicende così gravi che si coglie l’importanza di principi quali l’autonomia e l’indipendenza della magistratura da ogni altro potere (art. 104 Cost.) e la dipendenza funzionale della polizia giudiziaria dall’autorità giudiziaria (art. 109 Cost.): il solco tra principi costituzionali e realtà delle istituzioni ha consentito che si generassero le crepe che hanno prodotto tante macerie. Risuona l’eco dei moniti di Norberto Bobbio: il potere invisibile quale elemento di distruzione della democrazia, il suo mancato superamento come la più pericolosa tra le promesse non mantenute per la realizzazione dell’ordinamento democratico.

 

6. Si avverte forte, in tutti i libri, l’intensità della partecipazione emotiva. Non è un limite, è un bene che la giustizia tocchi nel profondo le corde dell’animo umano. Una delle immagini più belle è il pianto liberatorio sul treno regionale che riporta Benedetta Tobagi da Brescia a Milano dopo la pronuncia della sentenza di primo grado per Piazza della Loggia, mentre è sola, in uno scompartimento vecchio, col volto appoggiato al finestrino.

In tutti i libri si indaga l’origine del male, ciò che sta dietro la scelta di dare gratuitamente la morte ad un’altra persona. Segue un percorso più introspettivo il libro dedicato al padre, ha un taglio storico il volume su Piazza Fontana, in Una stella incoronata di buio si trovano pagine di grande afflato culturale: la sensazione è talvolta quella di trovarsi dinanzi a modelli antropologici che fuoriescono dal circuito della mente e del cuore. E centrale è l’indagine sul fascismo e le sue forme di manifestazione, passate ed attuali. Si presenta con tante maschere il fascismo, quella violenta degli stragisti di Ordine Nuovo, quella istintiva e confusa dei ragazzi di Casa Pound, quella ambigua degli apparati deviati dello Stato, quella ideologica dei teorici come Julius Evola. Ma è sempre drammaticamente pericoloso perché le tante sfaccettature possono saldarsi e ricomporsi ad unità, nella spirale di quel fascismo eterno di cui Umberto Eco ha colto, nell’orizzonte del moderno, caratteri ed insidie.

Ci sono tanti modi per rispondere al male subito da altri uomini. I libri di Benedetta Tobagi raccontano storie di uomini e donne che si sono affidati alla giustizia dello Stato, rispettandola anche quando lo Stato ha fatto di tutto per privarsi della loro fiducia. Uomini e donne che hanno elaborato il lutto con un percorso di ricerca interiore, che li ha portati ad anteporre la ragione e la perseveranza all’istinto ed alla rabbia. Uomini e donne che hanno fatto della testimonianza a favore di tutti, anche delle persone apparentemente più ostili e distanti, la via per il recupero della verità.

“Il viaggio comincia dove qualcun altro l’ha interrotto. C’è sempre una valigia, una eredità da raccogliere”. Ci sono Walter, Livia, Alberto e Clem, Giulietta, i loro compagni caduti a Piazza della Loggia e quelli prima di loro uccisi a Piazza Fontana. E poi, la moltitudine silenziosa al funerale di Piazza Duomo e quella più accesa a Brescia. C’è chi ci ha accompagnato dentro queste storie e i tanti che prima e dopo, vivi o morti, ne hanno raccolto il testimone e lo portano avanti. Coesi, tutti, nello stringersi in social catena - l’immagine della Ginestra cara a Benedetta Tobagi - lungo il percorso della storia. Perché “Una stella ha forse ancora luce. Niente, niente è perduto” [da Una stella incoronata di buio].

02/05/2020
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