Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Brevi osservazioni sul caso Randstad Italia

di Paolo Biavati
professore ordinario di diritto processuale civile nell'Università di Bologna

SOMMARIO. 1. La sentenza Randstad. – 2. I difficili rapporti tra i vertici delle giurisdizioni. – 3. La mancata applicazione del diritto dell’Unione: violazione di diritto, non eccesso di potere giurisdizionale. – 4. Il rispetto dell’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione.

1. La sentenza resa dalla Grande sezione della Corte di giustizia dell’Unione europea il 21 dicembre 2021 nel caso Randstad Italia è nota e ha già suscitato molti commenti[1]. Ne riepilogo il contenuto per sommi capi.

Il Consiglio di Stato aveva rigettato il ricorso di un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, in presunta violazione del diritto dell’Unione. Il ricorrente insoddisfatto impugna la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 362, comma 1°, c.p.c., per motivi inerenti alla giurisdizione. Ritiene, infatti, che la mancata applicazione di una norma europea da parte della suprema magistratura amministrativa dia luogo ad un eccesso di potere giurisdizionale. La Cassazione reputa non infondato questo profilo di ricorso e sottopone alla Corte di giustizia tre questioni pregiudiziali, che, nella sostanza ruotano intorno ad un unico tema: se, cioè, la mancata applicazione del diritto dell’Unione ovvero il mancato esercizio dell’obbligo di rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato diano luogo ad un’usurpazione della competenza interpretativa esclusiva della Corte di giustizia in materia di diritto dell’Unione e, come tali, costituiscano un eccesso di potere, scrutinabile dalla Cassazione.

La Corte di giustizia, in grande sezione, risponde che non osta al diritto dell’Unione, sotto il profilo dell’esistenza di una tutela effettiva ed equivalente rispetto alle posizioni soggettive garantite dal diritto interno, una disposizione normativa nazionale, come quella italiana, che impedisce di contestare la conformità al diritto europeo di una sentenza del Consiglio di Stato dinanzi alla Corte di Cassazione.

La sentenza è perfettamente condivisibile nel suo esito. Peraltro, sono numerosi i profili coinvolti da questa decisione e dalla sua articolata motivazione: ne prenderò brevemente in considerazione alcuni.

 

2. Lo scenario retrostante alla vicenda Randstad Italia è fin troppo noto. Senza accedere a letture frettolose e giornalistiche, non vi è dubbio che da tempo sussistano frizioni fra la Cassazione e il Consiglio di Stato. A me sembra che il tema di fondo sia abbastanza semplice. La Costituzione imbocca (o meglio, conserva) la via della pluralità dei plessi giurisdizionali, riservando al vertice della giurisdizione ordinaria un ruolo di preminenza soltanto in ciò che concerne “i motivi inerenti alla giurisdizione” (art. 111, ult. comma, Cost.). Nel corso del tempo, però, l’àmbito di azione della pubblica amministrazione si è ampliato e ancor più si è ampliata la sfera materiale della giurisdizione amministrativa. Il contenzioso economico si è andato sempre più spostando in direzione dei tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato, che oggi governano interi comparti strategici.  

Questo spiega, a mio avviso, i ripetuti sforzi delle Sezioni unite di ricondurre a maggiore unità l’ordinamento, attraverso un’interpretazione estensiva (o, come la si è definita, «dinamica») della nozione di eccesso di potere giurisdizionale[2]. Sennonché, è scesa in campo la Consulta, nella nota sentenza n. 6 del 2018, ergendosi a tutela del principio costituzionale della giurisdizione ripartita e confinando entro limiti ben precisi il potere di controllo della Cassazione. Ecco allora che il tema dell’eccesso di potere, quasi come un fiume carsico, impedito di scorrere in piena superficie, riemerge in nuove forme, ovvero cerca nuovi sbocchi. Uno di questi sbocchi è la tesi, secondo cui la mancata (doverosa) applicazione del diritto dell’Unione europea, non solo in via di applicazione diretta ma anche nella veste dell’omesso rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, costituirebbe un vero e proprio abuso di giurisdizione, come tale censurabile a norma di Costituzione e secondo l’art. 362, comma 1°, c.p.c.   

Come ho avuto modo di rilevare, a mio avviso, quella delle Sezioni unite è una battaglia politicamente condivisibile. Non mi sembra plausibile, però, nello specifico, il percorso immaginato, che tenta di fare leva sul diritto europeo[3]

 

3. Il punto chiave mi pare il seguente: l’errore nell’applicazione del diritto dell’Unione da parte del giudice amministrativo di ultima istanza, ovvero la mancata proposizione del rinvio pregiudiziale a Lussemburgo, costituiscono una violazione di diritto (grave, ma non censurabile in Cassazione), oppure assurgono al livello di eccesso di potere giurisdizionale?   

Sia chiaro: la tesi svolta dalle Sezioni unite è sottile. Se il giudice nazionale di ultima istanza svuota il diritto dell’Unione o non ricorre alla necessaria verifica interpretativa della Corte di giustizia, sta erodendo, in sostanza, i rapporti fra diritto europeo e diritto interno e, quindi, eccede i limiti dell’ordinamento italiano e, dunque, quelli della sua giurisdizione. Se la giurisdizione è un potere e questo potere sussiste nell’ambito di un ordinamento dato, l’espletamento di un’attività decisoria che trascende quell’ambito risulta essere realizzato mediante un eccesso di potere giurisdizionale[4].

Tuttavia, le Sezioni unite, in questo modo, forzano la natura del sistema dell’Unione europea: e la Corte del Kirchberg, molto attenta a non valicare il confine delle prerogative nazionali, non ha mancato di rilevarlo.

In un sistema federale, il ragionamento della Cassazione sarebbe ovviamente accoglibile. Allo stato, però, la relazione di supremazia del diritto dell’Unione sul diritto interno è una relazione imperfetta. Di fronte alla violazione compiuta dall’organo giudiziario di ultima istanza, non esiste una forma di sanzione diretta. Le deboli possibilità di reazione offerte dall’ordinamento europeo restano attualmente quelle indicate nella sentenza Randstad: vale a dire, una possibile azione di inadempimento ai trattati ex art. 258 Tue spiegata dalla Commissione contro lo Stato membro i cui giudici disapplicano il diritto dell’Unione, ovvero un’azione di responsabilità a contenuto risarcitorio intentata dal privato contro lo Stato dinanzi ai giudici nazionali[5].   

Alla radice, però, sta la considerazione che il fenomeno della violazione del diritto dell’Unione resta quello che è: un errore di diritto e non un eccesso di potere giurisdizionale. Infatti, la potestas iudicandi anche in tema di diritto dell’Unione appartiene ai giudici nazionali, salvi i casi di azione diretta a Lussemburgo previsti dai trattati e dalla normazione derivata[6].

È appena il caso di notare che, sul piano interno, questo problema è insolubile. Ci sarà sempre un giudice contro le cui pronunce non si può ricorrere. La stessa Cassazione, in passato, si è resa artefice di ripetuti orientamenti difformi dal diritto europeo e ciò è costato la condanna del nostro paese, in uno dei rari casi di azione di inadempimento proposta dalla Commissione[7]. Ed è anche corretto notare che in altri importanti casi è stato invece il Consiglio di Stato a farsi promotore del rinvio pregiudiziale[8].

Vado oltre con il ragionamento. Se anche in una futura struttura federale dell’Unione fosse inclusa la possibilità di impugnare a Lussemburgo le pronunce nazionali di ultima istanza rese in violazione del diritto europeo, nessuno potrebbe garantire che l’interpretazione della Corte di giustizia fosse quella esatta. Siamo abituati, in modo un tantino naïve, a prestare sempre ossequio alle decisioni del Kirchberg: ma questo, a ben guardare, è positivismo giuridico, perché nessuno è perfetto e anche i giudici supremi sbagliano: a meno che non si ammetta che essi hanno ragione, in quanto supremi. Ma allora – e chiudiamo il cerchio – nelle materie su cui ha giurisdizione, il Consiglio di Stato è giudice supremo e non è il sistema dell’Unione che gli toglie questa qualità.

Il quis custodiet custodem è una sfida che non ha soluzione definitiva[9].

 

4. La Corte di giustizia, nella sua motivazione, si interroga su un altro aspetto, che in definitiva è conseguente alle annotazioni appena svolte: se, cioè, il sistema italiano sia rispettoso dei principi di effettività e di equivalenza della tutela dei diritti di derivazione europea. I giudici di Lussemburgo offrono alla domanda una risposta affermativa.

Il limpido argomentare della Corte meriterebbe davvero pochi commenti. Mi limito a raccogliere alcuni spunti.

Intanto, va rilevato che la Corte nulla obietta alle modalità italiane di riparto della giurisdizione e al regime di non impugnabilità interna delle pronunce di ultima istanza del giudice amministrativo. Il rispetto dei giudici verso il nostro sistema contrasta in modo singolare con l’affannoso ricorso di taluni al “ce lo chiede l’Europa”, per giustificare soluzioni prettamente indigene. 

Va poi rimarcata la sottolineatura data dalla Corte al principio di autonomia procedurale, che rappresenta lo snodo essenziale di un corretto rapporto fra le regole nazionali e la necessaria applicazione del diritto dell’Unione. A me è sempre parso essenziale metterne in luce la natura dinamica e performante, come polo di riferimento per le (pur libere nelle forme) modalità processuali interne[10]. Liberi i legislatori nazionali di plasmare come meglio credono le norme di procedura, ma sempre con l’obiettivo dell’efficacia e della piena implementazione del diritto europeo, in condizioni (almeno) di parità con il trattamento dei diritti garantiti dall’ordinamento interno. Del resto, è nel principio di autonomia procedurale che si fonda il senso della verifica della compatibilità europea delle norme interne, oggetto di numerose pronunce della Corte di giustizia.   

Nel caso Randstad la Corte ha dedicato ampio spazio a questo profilo, precisando con chiarezza che una norma quale l’art. 111, comma 8°, Cost., «non rivela alcun elemento da cui risulti la violazione» dei trattati (e in specie dell’art. 19, par. 1°, comma 2°, Tue). 

La lezione impartita dal Kirchberg è nitida. 

Da un lato, la Corte di Lussemburgo non cerca strappi e non tenta fughe in avanti, restando consapevole dei limiti dell’attuale fase del processo di integrazione europea: strappi e fughe in avanti che, forse, qualcuno avrebbe auspicato.

Dall’altro lato, essa richiama i singoli Stati, i loro legislatori e i loro giudici ad assumersi in prima persona le responsabilità che loro spettano. Le disfunzioni della giustizia italiana sono ben note e, a mio avviso, includono il tema del riparto di compiti fra le giurisdizioni: vanno affrontate con decisione, ma se ne deve trovare la soluzione all’interno del nostro ordinamento, senza cercare improbabili scorciatoie europee[11]


 
[1] Sentenza del 21 dicembre 2021, in causa C-497/20. Si vedano, ad esempio, le interviste a Francario, Montedoro, Rordorf e Cannizzaro (nonché a chi scrive), pubblicate su www.giustiziainsieme.it. Sempre sul sito citato è disponibile la videoregistrazione del convegno che si è tenuto il giorno 11 febbraio 2022 presso l'Università di RomaTre sul tema Il caso Randstad Italia tra questioni di giurisdizione e di giustizia.

[2] Di recente su questo tema, v. ad esempio la lineare Cass., S.U., ord. 3 novembre 2021, n. 31311. In dottrina, fra gli altri, v. GASPERINI, Il sindacato dalla Cassazione sulla giurisdizione tra rito e merito, Padova, 2002.

[3] Ho svolto alcune rapide considerazioni rispondendo a cinque domande poste da Roberto Conti, La Corte di Giustizia risponde alle S.U. sull’eccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i “seguiti” a Corte Giust., G.S., 21 dicembre 2021 – causa C-497/20, Randstad Italia?, in www.giustiziainsieme.it.

[4] Non mancano le voci, in dottrina, che suggeriscono una lettura evolutiva dell’art. 111, comma 8°, Cost., nel senso prefigurato dalle Sezioni unite, con ampia valorizzazione dell’inserimento del nostro ordinamento nel sistema europeo: v. per tutti CASTORINA, Unità e pluralismo giurisdizionale alla prova del diritto europeo, in GUIDARA (a cura di), Specialità delle giurisdizioni ed effettività delle tutele, Torino, 2021, p. 107 ss.

[5] V. in punto RASIA, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte del giudice supremo: il caso Traghetti del Mediterraneo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2007, p. 661 ss.

[6] Definisce «erronea» la scelta delle Sezioni unite di sollevare il rinvio pregiudiziale a Lussemburgo FERRO, I “motivi inerenti alla giurisdizione” e il gioco delle tre Corti, in GUIDARA, op. cit., p. 173 ss, spec. p. 185.

[7] Si tratta della sentenza 9 dicembre 2003, C-129/00, Commissione c. Italia. In materia, v. DE MARIA, Recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2004, p. 879 ss. e spec. p. 889 ss.; PEERBUX-BEAUGENDRE, Première consécration espresse du principe de la responsabilité de l’Etat membre pour les jurisprudences de ses cours suprêmes dans le cadre de l’article 226 CE, in Revue trimestrielle de droit européen, 2004, p. 208 ss.; RASIA, Il controllo della Commissione europea sull’interpretazione del diritto comunitario da parte delle corti supreme degli Stati membri, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile,  2005, p. 1025 ss.

[8] Così, nel caso Lucchini (Corte giust., 18 luglio 2007, in causa C-119/05), su cui v. fra gli altri CONSOLO, La sentenza Lucchini della Corte di giustizia: quale possibile adattamento degli ordinamenti processuali interni e specie del nostro?, in Rivista di diritto processuale, 2008, p. 225 ss.; ID., Il primato del diritto comunitario può spingersi fino a intaccare la “ferrea” forza del giudicato sostanziale?, in Corriere giuridico, 2007, p. 1189 ss.; BIAVATI, La sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Rassegna tributaria, 2007, p. 1591 ss.; STILLE, Giudicato interno e giurisdizione comunitaria: la composizione dei contrasti, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2008, p. 873 ss.; PETRILLO, Il “caso Lucchini”: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Diritto e pratica tributaria, 2008, 3, p. 413 ss.; NEBBIA, Do the rules on  State aids have a life of thier own? National procedural autonomy and effectiveness in the Lucchini case, in European Law Review, 2008, p. 427 ss.  

[9] Giova rilevare che, nel tempo, l’atteggiamento della Corte di Cassazione nei confronti del diritto europeo si è evoluto molto positivamente, anche per effetto del ricambio generazionale. Si legga l’ottima messa a punto di VINCENTI, La Cassazione e le Corte europee, in ACIERNO, CURZIO, GIUSTI (a cura di), La Cassazione civile, Bari, 2020, 3° ed., p. 533 ss.

[10] Sul tema dell’autonomia procedurale, v. fra i molti contributi GALETTA, L’autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea: Paradise Lost?, Torino, 2009; CONSOLO, Il flessibile rapporto dei diritti processuali civili nazionali rispetto al primato integratore del diritto comunitario (integrato dalla Cedu a sua volta), in Corti europee e giudici nazionali, Atti del XXVII convegno nazionale dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile, Bologna, 2011, p. 189 ss; BIAVATI, Europa e processo civile. Metodi e prospettive, Torino, 2003.

[11] Il dibattito sull’unità della giurisdizione non è sopito. Nel novero della vasta letteratura in tema, v., ad esempio, VERDE, Questione giustizia, Torino, 2013, p. 101 ss.; PANZAROLA, Il controllo della Corte di Cassazione sui limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 2018, p. 605 ss. Non posso fare a meno di citare, poi, l’eccellente lavoro di un giovane studioso, prematuramente scomparso: DEL ROSSO, Unità della giurisdizione e prosecuzione del processo. Contributo allo studio della translatio iudicii, Napoli, 2020, con una completa analisi dei diversi orientamenti dottrinali sul tema.

09/03/2022
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