Magistratura democratica
cinema e letteratura

Trash, il film vincitore del Festival di Roma

di Donatella Salari
Ufficio del Massimario Corte di Cassazione
Stephen Daldry già noto per il celebre Billy Eliot e per il film The Hours, si è ispirato al romanzo di Andy Mulligan, su sceneggiatura di Richard Curtis, pure noto per Quattro matrimoni e un funerale
Trash, il film vincitore del Festival di Roma

Vince, perciò, Trash e non a caso, perché al Festival del Cinema di Roma la spazzatura - senza alcuna ironia - è stata la grande protagonista.

Mai come in questo momento, infatti, si sentiva il bisogno di rappresentare il declino dei legami sociali devastati dalla spazzatura reale e metaforica.

I rifiuti-simbolo della mancanza di senso possono condannare all’impossibilità di ogni relazione con l’altro, come nel tragico film Lulu di Luis Ortega, classe 1980 (anche questo film in concorso), che comincia e finisce in mezzo alla spazzatura, oppure creare nuove possibilità di vita come accade ai coraggiosi ragazzini di Trash.

I rifiuti che si accumulano, in un mondo dominato dal corpo, mimano bene il disperato vuoto di un’umiliazione sociale che si riempie di spazzatura, ossia degli scarti di un’improbabile comunità cittadina fatta di recinti e di emarginazione, insomma un immenso sprawl urbano a cui aggiungere slums e favelas.

Se ci pensiamo bene la spazzatura è anche la protagonista del dramma campano della Terra dei fuochi, come scommessa della società civile, ma anche come riemersione del malaffare continuamente rimosso e celato, ossia sepolto.

La spazzatura, perciò, può narrare ogni cosa di persone e di mondi e può fare emergere segreti e verità inconfessabili che diventano vera rappresentazione di conflitti sociali e di livelli di vita.

Se è così, in Trash i rifiuti rappresentano anche un registro possibile di racconti dell’emarginazione sociale con finale difficile, ma ottimista. Perché la spazzatura è segreto, ma è anche cosa viva che si trasforma e riscatta, come una scintilla di senso.

Così un ragazzino di una favela di Rio de Janeiro trova un portafoglio nella montagna di spazzatura dove lavora e nella quale abita. La visione apocalittica di questo universo di sporcizia e di scarti fa ammutolire e ci riporta alla mente alla vigilia dei Mondiali di calcio 2014 gli sgomberi forzati e violenti di questi luoghi d’incredibile povertà da parte dell’incontrollabile Polizia militare brasiliana.

Perciò in quel portafoglio c’è tutto: non solo denaro, non solo la prova di una corruzione politica, ma anche simbolismo religioso e riscatto etico. Al protagonista Rafael si uniscono altri due ragazzini Gardo e Gabriel detto Rato, hanno tutti 14 anni e sembrano non solo gli eroi delle favelas ma anche gli eredi letterari del Gavroche del Victor Hugo de “I miserabili”.

E’ lui il monello abbandonato in strada senza un legame familiare preciso, ma che riesce a vivere incontaminato nella sporcizia e nella fame e che dorme nella statua a forma di elefante allora situata a Parigi, in Place de la Bastille, per poi morire sulle barricate per un ideale di libertà.

Il ritmo narrativo di Trash è repentino e spiazzante, molto simile ad un videogioco o ad un giro vorticoso su di un ottovolante. Ma il godimento è assicurato non solo per gli occhi, ma anche per la dimensione simbolica di alcuni snodi narrativi: in una Bibbia che i ragazzi sottraggono all’inseguimento della Polizia emerge prepotente e vitale, attraverso l’uso di un sistema criptato di segni e numeri, la risposta ad un desiderio insopprimibile di giustizia in una città che sa ben distinguere tra ricchi e poveri e che la modernità ci consegna, insieme a quella mancanza di senso, che diventa ..appunto spazzatura.

09/11/2014
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