Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di ottobre 2020

Le più interessanti pronunce emesse dalla Corte di Strasburgo ad ottobre 2020

Le più rilevanti sentenze di ottobre della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardano alcuni diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione: il diritto a un equo processo, il diritto al rispetto della vita familiare, il diritto di non essere giudicato o punito due volte, il diritto di difesa. La Corte Edu ha esaminato, nella causa Mediani c. Italia, la natura del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica; nella sentenza Koychev c. Bulgaria ha invece valutato i diritti del padre biologico nel procedimento di riconoscimento del minore. I giudici della Corte hanno poi condannato la Romania per la violazione dell’art. 1 Protocollo n. 7, che dispone le garanzie procedurali in caso di espulsione di stranieri, e hanno infine stabilito, nel caso Faller e Steinmetz c. Francia, l’insussistenza dei criteri Engel ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem ex art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione.

 

Decisione della Corte Edu (Sezione I) 1 ottobre 2020 rich. nn. 11036/14, Mediani c. Italia

Oggetto: articolo 6 § 1 (diritto a un equo processo), eccessiva durata del procedimento, ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, legge Pinto

La Corte ha statuito, all’unanimità, l’irricevibilità del ricorso. 

La causa nasce dal ricorso del sig. Mediani, che nel 1986 lavorava all’interno dell’amministrazione della provincia di Livorno. La decisione dell’amministrazione di appartenenza di riconoscergli un nuovo livello professionale fu annullata dal comitato regionale. Il ricorrente fece ricorso al Tar per la Toscana che, riconoscendo la fondatezza della richiesta, annullò la decisione del comitato e richiese un nuovo parere. A seguito di un secondo parere negativo del comitato, nel 2003 il Tar accolse anche il secondo ricorso del ricorrente, decisione che fu annullata dalla provincia di Livorno l’anno successivo. Il ricorrente notificò quindi alla provincia di essersi rivolto al Presidente della Repubblica tramite lo strumento del ricorso straordinario. Il procedimento nel 2018 era ancora pendente. 

Il sig. Mediani lamenta, davanti alla Corte Edu, la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione, contestando l’eccessiva durata del procedimento amministrativo davanti al Presidente della Repubblica. 

La Corte Edu, anzitutto, ricorda che in tema di ricorso straordinario davanti al Presidente della Repubblica si è già pronunciata nella sentenza Nardella c. Italia (rich. nn. 45814/99), in cui afferma che le disposizioni della Convenzione non sono applicabili ex art. 35 a tale rimedio, poiché non si tratta di un rimedio di natura giurisdizionale (§ 26). Con le modiche apportate dalla l. n. 69 del 18.06.2009 e dal d.lgs n. 104/2010, che hanno introdotto il parere vincolante del Consiglio di Stato e la possibilità di ricorre al Presidente della Repubblica solo per le controversie di competenza del giudice amministrativo, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ha assunto natura giurisdizionale (§ 30). La Corte sottolinea, infatti, che tale strumento si pone come rimedio alternativo al ricorso giudiziario e necessita del consenso di tutte le parti (§ 31). Le disposizioni della Convenzione, quindi, e in particolare l’art. 6, sono oggi applicabili al ricorso straordinario (§35). Tuttavia, nel caso di specie, il ricorrente ha presentato il ricorso nel 2004, ben prima delle modifiche introdotte nel 2009 e nel 2010. La medesima decisione è stata assunta dalla giurisprudenza interna, secondo cui il nuovo sistema di giurisdizione si applica esclusivamente ai ricorsi presentati dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 104/2010. Inoltre, la Corte rileva che il sig. Mediani non si è servito dei rimedi interni, poiché non ha presentato ricorso ai sensi della legge Pinto per l’eccessiva durata del procedimento (l. n. 89/2001, «Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo»), § 37. Alla luce di tali considerazioni, la Corte conclude affermando che «il ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell’art. 35 § 3» e che vada respinto ex art. 35 § 4. 

Mediani c. Italia

 

Sentenza della Corte Edu (Sezione IV) 13 ottobre 2020 rich. nn. 32495/15, Koychev c. Bulgaria 

Oggetto: articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), riconoscimento di paternità, padre biologico, bilanciamento interessi privati e pubblici, superiore interesse del minore

La Corte ha statuito, all’unanimità, la violazione dell’art. 8 della Convenzione. 

La causa nasce dal ricorso del sig. Koychev, che tra il 2003 e il 2005 ebbe una relazione dalla quale nacque un bambino nel 2006. Il minore non fu riconosciuto immediatamente dal ricorrente, che procedette al riconoscimento nel 2013. La madre si oppose al riconoscimento e, quando il ricorrente fu informato di tale opposizione, scoprì che il minore era già stato riconosciuto dal nuovo compagno della madre. Nel 2014 il tribunale ordinario dichiarò l’inammissibilità dell’azione di riconoscimento del ricorrente. Il sig. Koychev decise dunque di agire contro il riconoscimento del nuovo compagno della madre, allegando che non era il padre biologico del bambino. Tuttavia, sia in primo grado che in appello, fu pronunciata l’inammissibilità, poiché solo la madre e il figlio possono ricorrere contro la dichiarazione di riconoscimento di paternità. Nel 2015 la Corte di Cassazione a cui si rivolse il ricorrente, confermò l’inammissibilità, sottolineando che il sig. Koychev avrebbe dovuto rivolgersi al pubblico ministero o alla direzione territoriale dei servizi sociali, i quali avrebbero potuto promuovere azione di annullamento del riconoscimento di paternità. Il ricorrente si rivolse a entrambi, tuttavia, nessuno dei due organi ritenne giustificato e opportuno procedere con l’azione di annullamento, allegando l’interesse del minore.   

Il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 8 e 6 della Convenzione, sostenendo l’impossibilità di contestare il riconoscimento di paternità. I giudici di Strasburgo esaminano il ricorso esclusivamente sotto il profilo dell’art. 8. 

Anzitutto, la Corte ricorda che, nell’ambito delle azioni di riconoscimento di paternità, l’art. 8 richiede che al padre biologico non venga impedita totalmente la possibilità di stabilire la paternità (§ 57). Nel caso di specie, tuttavia, i tribunali nazionali hanno giustificato il rifiuto di accogliere la domanda del ricorrente sulla base dell’interesse superiore del minore. La Corte deve, quindi, analizzare se le autorità abbiano operato un giusto equilibrio tra gli interessi privati e pubblici in gioco (§ 62). In primo luogo, i tribunali interni non hanno approfondito il legame affettivo esistente tra il ricorrente e il minore, né le motivazioni alla base del mancato riconoscimento del figlio nei primi sette anni dello stesso (§ 63). I giudici nazionali, inoltre, non hanno tenuto in considerazione il fatto che il ricorrente non sia stato informato dell’avvenuto riconoscimento del compagno della madre del minore e che, quindi, non abbia potuto contestare immediatamente tale azione e chiedere un accertamento della paternità, anche a causa del divieto imposto dalle norme interne (§ 64). Infine, la Corte Edu sottolinea che il processo decisionale delle autorità interne non ha garantito e tutelato tutti i diritti del ricorrente: non sono state sentite tutte le parti, non è stato svolto un esame dettagliato della situazione, la Cassazione si è basata sui rilievi dei Servizi Sociali risalenti a due anni prima (§ 66).

La Corte conclude perciò che vi è stata violazione dell’art. 8 della Convenzione. 

Koychev c. Bulgaria 

 

Sentenza della Corte Edu (Grande Camera) 15 ottobre 2020 rich. nn. 80982/12, Muhammad e Muhammad c. Romania

Oggetto: articolo 1 Protocollo n. 7[1] (garanzie processuali in caso di espulsione di stranieri), espulsione, sicurezza nazionale, garanzie procedurali, diritti di difesa, bilanciamento degli interessi

La Corte Edu ha statuito, con 14 voti contro 3, la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7 alla Convenzione.

I ricorrenti, due cittadini pakistani, all’epoca dei fatti risiedevano legalmente in Romania con un permesso di studio valido fino al 2015. Nel 2012, sulla base di documenti secretati e in possesso del servizio di intelligence (SRI), la Corte d’appello rumena dichiarò i ricorrenti «persone indesiderate» per un periodo di quindici anni, disponendone il rimpatrio. Furono accusati di sostenere un gruppo di fondamentalisti islamici legati ad al-Qaeda. I ricorrenti presentarono ricorso alla Corte di cassazione, dichiarandosi innocenti e allegando: di non aver mai partecipato ad alcuna attività del gruppo, di non aver avuto la possibilità di visionare i documenti di prova e, quindi, che i loro diritti di difesa non fossero stati garantiti. La Corte di cassazione confermò la decisione di appello, respingendo le richieste e sostenendo che i motivi di sicurezza nazionale giustificassero l’espulsione dei due ricorrenti e la mancata garanzia dei loro diritti, come previsto anche dall’art. 1 § 2 del protocollo n. 7 alla Convenzione. 

I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 1 § 1 del Protocollo n. 7 della Convenzione, per la mancata garanzia dei loro diritti di difesa.

Anzitutto, la Corte ricorda che qualsiasi limitazione ai diritti di difesa di persone straniere necessita di essere giustificata, ad esempio per motivi di sicurezza nazionale, e controbilanciata adeguatamente da garanzie procedurali, nonché da un’autorità indipendente. I giudici di Strasburgo rilevano che, sulla base dell’art. 1 del Protocollo n. 7, i soggetti stranieri devono essere informati – preferibilmente con modalità scritte o comunque in modo tale da garantire il diritto di difesa – del contenuto dei documenti e delle informazioni su cui si basa la loro espulsione (§ 128). In linea di principio, gli imputati devono conoscere gli elementi di fatto alla base dell’accusa, nello specifico l’accusa di essere una minaccia per la sicurezza nazionale (§ 129). 

Nel presente caso, secondo la Corte, non è chiaro se le accuse siano state verificate. I ricorrenti non hanno ricevuto un’adeguata informazione circa il contenuto di tali accuse ed è stato negato loro l’accesso ai documenti di prova (§ 159). La Corte Edu sottolinea inoltre che l’espulsione ha avuto conseguenze importanti sulla vita e sulla reputazione dei ricorrenti (§ 161). I giudici di Strasburgo aggiungono infine che il mero fatto che la decisione sia stata presa da un organo giudiziario di alto livello, la Corte di cassazione, non è sufficiente a controbilanciare le gravi limitazioni dei diritti dei ricorrenti (§ 205). La Grande Camera statuisce dunque la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 7 della Convenzione. 

http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-205509 

 

Decisione della Corte Edu (Sezione V) 22 ottobre 2020 rich. nn. 59389/16 e 59392/16, Bernard Faller e Michel Steinmetz c. Francia 

Oggetto: articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione (diritto di non essere giudicato o punito due volte), ordine dei medici, procedimento disciplinare, procedimento penale, principio del ne bis in idem, criteri Engel

La Corte ha statuito, all’unanimità, l’irricevibilità del ricorso. 

I ricorrenti Faller e Steinmetz, due medici francesi, lamentano la violazione dell’art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione, che sancisce il principio del ne bis in idem. Nel 2008, ai ricorrenti fu proibito di prestare assistenza medica per 24 mesi, a seguito di una pronuncia del Consiglio dei medici dell’Alsazia, che li ritenne responsabili di aver violato alcuni tra i doveri più importanti: nello specifico, aver fornito ai propri pazienti informazioni inesatte in merito ai procedimenti di assistenza medica, aver svolto radiografie senza il necessario diploma e aver fatturato prestazioni che non avevano eseguito personalmente. Nel 2009 i ricorrenti si appellarono alla sezione apposita del Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici, la quale confermò la mala condotta dei ricorrenti, ma ridusse a quattro mesi il divieto di assistenza. Al contempo, venne aperta un’indagine penale a loro carico. Nel 2013, il gip rinviò a giudizio i ricorrenti, imputati di frode, esercizio illegale della professione e inganno sulle qualità essenziali di una prestazione medica. Nel 2014 il Tribunale di Colmar condannò i ricorrenti a quattro mesi di reclusione con sospensione della pena e a una multa di 25.000 euro. La Corte d’appello confermò la sentenza di primo grado e condannò i ricorrenti alla pena detentiva di 18 mesi sospesa, al pagamento di una multa di 25.000 euro e all’interdizione dall’esercizio della professione per la durata di un anno. Infine, la Cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti che denunciarono la violazione da parte della Corte d’appello del principio del ne bis in idem, ritenendo di essere già stati condannati in via definitiva dalla giurisdizione ordinaria per gli stessi fatti. 

I ricorrenti lamentano quindi, di fronte alla Corte Edu, di essere stati condannati due volte per gli stessi fatti, dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Medici e dalla giustizia penale. 

Anzitutto la Corte Edu sottolinea che, ai fini dell’applicazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7, è necessario stabilire la natura penale del primo procedimento sulla base dei c.d. criteri Engel: la qualificazione giuridica nel diritto interno, la natura del reato e la gravità della sanzione (§ 41). La giurisprudenza della Corte è da molto tempo orientata a non ricomprendere i procedimenti disciplinari all’interno della «materia penale» (§ 42). I giudici di Strasburgo rilevano infatti l’insussistenza dei criteri Engel: da un lato, i comportamenti scorretti ai sensi del codice di sicurezza sociale non rientrano nella categoria dei reati del diritto penale francese (§ 46), né la loro natura può essere considerata penale, dall’altro, la sanzione disciplinare – nonostante possa incidere gravemente nella sfera personale dei soggetti – non è di natura penale (§ 47), trattandosi di un divieto temporaneo di esercizio della professione. 

La Corte Edu dichiara dunque le richieste irricevibili e respinge il ricorso ai sensi dell’art. 35 § 4. 

Muhammad e Muhammad c. Romania

 

Decisione della Corte Edu (Sezione V) 22 ottobre 2020 rich. nn. 59389/16 e 59392/16, Bernard Faller e Michel Steinmetz c. Francia 

Oggetto: articolo 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione (diritto di non essere giudicato o punito due volte), ordine dei medici, procedimento disciplinare, procedimento penale, principio del ne bis in idem, criteri Engel

La Corte ha statuito, all’unanimità, l’irricevibilità del ricorso. 

I ricorrenti Faller e Steinmetz, due medici francesi, lamentano la violazione dell’art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione, che sancisce il principio del ne bis in idem. Nel 2008, ai ricorrenti fu proibito di prestare assistenza medica per 24 mesi, a seguito di una pronuncia del Consiglio dei medici dell’Alsazia, che li ritenne responsabili di aver violato alcuni tra i doveri più importanti: nello specifico, aver fornito ai propri pazienti informazioni inesatte in merito ai procedimenti di assistenza medica, aver svolto radiografie senza il necessario diploma e aver fatturato prestazioni che non avevano eseguito personalmente. Nel 2009 i ricorrenti si appellarono alla sezione apposita del Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici, la quale confermò la mala condotta dei ricorrenti, ma ridusse a quattro mesi il divieto di assistenza. Al contempo, venne aperta un’indagine penale a loro carico. Nel 2013, il gip rinviò a giudizio i ricorrenti, imputati di frode, esercizio illegale della professione e inganno sulle qualità essenziali di una prestazione medica. Nel 2014 il Tribunale di Colmar condannò i ricorrenti a quattro mesi di reclusione con sospensione della pena e a una multa di 25.000 euro. La Corte d’appello confermò la sentenza di primo grado e condannò i ricorrenti alla pena detentiva di 18 mesi sospesa, al pagamento di una multa di 25.000 euro e all’interdizione dall’esercizio della professione per la durata di un anno. Infine, la Cassazione respinse il ricorso dei ricorrenti che denunciarono la violazione da parte della Corte d’appello del principio del ne bis in idem, ritenendo di essere già stati condannati in via definitiva dalla giurisdizione ordinaria per gli stessi fatti. 

I ricorrenti lamentano quindi, di fronte alla Corte Edu, di essere stati condannati due volte per gli stessi fatti, dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Medici e dalla giustizia penale. 

Anzitutto la Corte Edu sottolinea che, ai fini dell’applicazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7, è necessario stabilire la natura penale del primo procedimento sulla base dei c.d. criteri Engel: la qualificazione giuridica nel diritto interno, la natura del reato e la gravità della sanzione (§ 41). La giurisprudenza della Corte è da molto tempo orientata a non ricomprendere i procedimenti disciplinari all’interno della «materia penale» (§ 42). I giudici di Strasburgo rilevano infatti l’insussistenza dei criteri Engel: da un lato, i comportamenti scorretti ai sensi del codice di sicurezza sociale non rientrano nella categoria dei reati del diritto penale francese (§ 46), né la loro natura può essere considerata penale, dall’altro, la sanzione disciplinare – nonostante possa incidere gravemente nella sfera personale dei soggetti – non è di natura penale (§ 47), trattandosi di un divieto temporaneo di esercizio della professione. 

La Corte Edu dichiara dunque le richieste irricevibili e respinge il ricorso ai sensi dell’art. 35 § 4. 

Bernard Faller e Michel Steinmetz c. Francia

 

 
[1] Art. 1 del Protocollo n. 7 alla Convenzione Edu: § 1. Uno straniero regolarmente residente sul territorio di uno Stato non può essere espulso, se non in esecuzione di una decisione presa conformemente alla legge e deve poter: (a) far valere le ragioni che si oppongono alla sua espulsione; (b) far esaminare il suo caso; e (c) farsi rappresentare a tali fini davanti all’autorità competente o a una o più persone designate da tale autorità. § 2. Uno straniero può essere espulso prima dell’esercizio dei diritti enunciati al paragrafo 1 a, b e c del presente articolo, qualora tale espulsione sia necessaria nell’interesse dell’ordine pubblico o sia motivata da ragioni di sicurezza nazionale.

[**]

Marika Ikonomu, Università Statale di Milano, già tirocinante presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa
 
Agnese Galatà, Università degli Studi di Milano, tirocinante ex. art.73 del dl 69/2013, presso il Tribunale per i Minorenni di Milano

02/04/2021
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