Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di aprile 2020

Le più interessanti pronunce emesse dalla Corte di Strasburgo ad aprile 2020

Le più rilevanti sentenze di aprile della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardano diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione, quali il diritto alla vita, la proibizione della tortura, il diritto al rispetto della vita privata, nonché il diritto alla libertà di espressione. Nonostante l’attività della Corte abbia risentito della pandemia, nel mese di aprile si è pronunciata su questioni molto importanti. La quinta sezione si è espressa in tema di abuso della forza da parte delle autorità contro persone ristrette, nelle cause Kukhalashvili c. Georgia – sul profilo dell’art. 2 – e Castellani c. Francia – sul profilo dell’art. 3. La sezione IV invece ha riscontrato la violazione dell’art. 8 da parte della Serbia, in merito al prelievo di un campione di DNA, e la violazione dell’art. 10 da parte dell’Ungheria nei confronti di ATV Zrt, un’emittente indipendente.

 

Sentenza della Corte Edu (Sezione V) 2 aprile 2020 rich. nn. 8938/07 e 41891/07, Kukhalashvili e altri c. Georgia

Oggetto: articolo 2 (diritto alla vita), insurrezione, abuso della forza, decessi all’interno di un istituto penitenziario, efficacia delle indagini, indagine tardiva, legittimità e proporzionalità della risposta

La Corte Edu ha statuito, all’unanimità, la violazione dell’art. 2 della Convenzione. 

La causa Kukhalashvili e altri c. Georgia nasce dal ricorso di tre cittadine georgiane, familiari di Z.K. e A.B., rispettivamente di 23 e 29 anni, deceduti nella prigione n. 5 di Tbilisi nel marzo 2006 durante un’operazione condotta dalle forze antisommossa. Le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2, accusando le autorità di essere responsabili del decesso dei loro congiunti e di non aver condotto un’indagine effettiva.

I disordini del 27 marzo 2006 nacquero dalla decisione delle autorità di trasferire sei detenuti con l’obiettivo di ridurre la loro influenza all’interno dell’ambiente carcerario. A seguito dell’intervento delle forze antisommossa, persero la vita sette detenuti e ventiquattro persone rimasero ferite, ventidue detenuti e due agenti penitenziari. I documenti consegnati ai familiari attestavano ferite d’arma da fuoco. La procura giustificò gli atti ricorrendo a «un momento di estrema urgenza», negò ai familiari la possibilità di costituirsi parte civile e aprì due fascicoli separati: da un lato, in merito a un eventuale abuso di potere perpetrato dalla polizia e dagli agenti penitenziari, su cui poi sono state effettuate alcune indagini; dall’altro, relativamente alla morte di Z.K. e A.B., su cui tuttavia le autorità non hanno svolto alcuna indagine.

La Corte Edu analizza l’intera questione sotto il profilo dell’art. 2: riscontra anzitutto il ritardo nell’apertura di un’indagine, di tre mesi, ingiustificato vista la gravità degli eventi e il pericolo di inquinamento o perdita delle prove. Inoltre, le indagini sono state condotte dall’unità responsabile di aver dato l’ordine di intervento, che non ha esaminato il piano dell’operazione né l’utilizzo della forza che ha provocato morti e feriti. La Corte quindi giudica l’indagine penale inefficace, tardiva, caratterizzata dalla mancanza di imparzialità e indipendenza, data l’impossibilità per i familiari di partecipare al processo e i ritardi eccessivi.

I giudici della quinta sezione analizzano poi se l’utilizzo della forza sia stato o meno legittimo. Basandosi sulle poche informazioni dirette fornite dal Governo e sui rapporti di ONG, la Corte rileva che di fronte a un tentativo di rivolta le autorità sono legittimate all’uso della forza, ex art. 2 § 2 lett. a) e c). In merito alla proporzionalità di tale risposta, i giudici di Strasburgo evidenziano che l’autorità in questione non aveva ricevuto istruzioni specifiche sulle modalità e sull’intensità di intervento per evitare il più possibile il numero potenziale di vittime. L’operazione antisommossa dunque non è stata condotta in modo controllato e sistematico, le autorità non hanno valutato l’utilizzo di modalità meno violente o di negoziazioni. I giudici affermano che la morte di Z.K. e A.B. è stata causata dalla forza «indiscriminata ed eccessiva» delle autorità, che non hanno neppure assicurato assistenza medica. 

Secondo la Corte Edu, vi è dunque stata violazione dell’art. 2 su entrambi i profili: procedurale e sostanziale.

Kukhalashvili e altri c. Georgia

 

Sentenza della Corte Edu (Sezione V) 20 aprile 2020 rich. nn. 43207/16, Castellani c. Francia

Oggetto: articolo 3 (proibizione della tortura), garanzie procedurali durante l’arresto, uso della forza, proporzionalità e necessità dell’uso di unità speciali di polizia

La Corte Edu ha statuito all’unanimità la violazione dell’art. 3 della Convenzione. 

La causa nasce dal ricorso di un cittadino francese, il sig. Castellani, che lamenta la violazione dell’art. 3 della Convenzione, in relazione alle modalità con cui avvenne il suo arresto da parte della polizia. 

Nel 2002, infatti, fu aperta un’indagine che vide coinvolto il ricorrente, il quale venne arrestato all’interno della propria abitazione, con l’aiuto delle forze speciali GIPN. Il ricorrente affermò che, al momento dell’irruzione, reagì per legittima difesa, non realizzando che si trattasse di agenti di polizia e aggredì uno di essi. Solo in un secondo momento, resosi conto della situazione, non oppose più resistenza e venne picchiato dagli agenti. Questi ultimi, invece, dichiararono che era impossibile che il ricorrente non avesse riconosciuto gli agenti di polizia e che aveva reagito in maniera violenta, costringendoli ad usare la forza.  Sottoposto a custodia cautelare, il ricorrente venne visitato da un medico che riscontrò contusioni su tutto il corpo, frattura della nona costola, delle ossa del naso e della mascella destra. Si aprì quindi un procedimento penale a carico del sig. Castellani, per aggressione contro un pubblico ufficiale, e parallelamente il ricorrente sporse denuncia contro gli agenti di polizia per omissione di soccorso di persona in pericolo, violenze intenzionali e atti di barbarie (non-assistance à personne en péril, violences volontaires et actes de barbarie, § 22). 

Nel 2009 il ricorrente venne assolto dall’accusa, mentre nei confronti degli agenti di polizia il giudice istruttore decise di mantenere solo l’accusa di omissione di soccorso di persona in pericolo, facendo cadere gli altri capi di imputazione, ma il ricorrente si appellò contro tale pronuncia e ottenne la ripresa delle indagini sulla base delle accuse originarie. Nel 2006 le accuse di violenza intenzionale e atti di barbarie vennero nuovamente respinte e anche la Corte d’appello confermò la pronuncia di primo grado. Il sig. Castellani, infine, chiese il risarcimento dei danni a lui causati e, in un primo momento, venne condannato lo Stato, considerando l’utilizzo delle forze speciali GIPN un atto di negligenza, tuttavia la Corte d’Appello annullò la sentenza, respingendo le pretese del ricorrente. La Corte di Cassazione adita rinviò la causa davanti alla Corte d’Appello, respingendo la sentenza di secondo grado. Quest’ultima ritenne lo Stato responsabile della mancata fornitura di cure mediche e lo condannò al pagamento di 5000 euro. Infine, il ricorso per Cassazione del ricorrente venne respinto. 

La Corte Edu, anzitutto, sottolinea come dai certificati medici non vi sia dubbio che il ricorrente abbia sofferto lesioni significative, sia dal punto di vista fisico che psicologico (§ 56). Ciò che la Corte deve accertare è se sia stato garantito o meno l’equilibrio tra l’interesse generale della società e il rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo, in particolare se l’operazione degli agenti di polizia abbia rispettato tutte le garanzie e se la forza fisica usata contro il ricorrente sia stata strettamente necessaria (§ 57). 

Riguardo al primo punto, la Corte evidenzia che non è di sua competenza giudicare l’utilizzo di determinate unità speciali nel corso di un’indagine penale (§ 58), ma che, in ogni caso, tali forze speciali andrebbero utilizzate solo in situazioni di grave pericolo e che, nel presente caso, l’intervento delle GIPN era stato autorizzato per l’arresto di sospettati diversi dal ricorrente e che, quindi, nei confronti dello stesso non vi era stata esplicita autorizzazione da parte del giudice (§ 59). La Corte conclude, quindi, che non sono state rispettate le garanzie necessarie per la tutela dei diritti del sig. Castellani. 

In relazione all’uso della forza da parte delle GIPN nei confronti del ricorrente, la Corte, in primo luogo, mette in evidenza come le stesse autorità nazionali abbiano confermato che il ricorrente ha agito per legittima difesa. Di conseguenza, i giudici di Strasburgo constatano, da un lato, che le accuse nei confronti del ricorrente sono cadute e, dall’altro, che la condotta di molti agenti era caratterizzata da violenza. Non valutando necessaria e proporzionata la forza fisica usata dagli agenti di polizia, la Corte riconosce che vi è stata violazione dell’art. 3 della Convenzione.  

Castellani c. Francia

 

Sentenza della Corte Edu (Sezione IV) 14 aprile 2020 rich. nn. 75229/10, Case of Dragan Petrović c. Serbia

Oggetto: articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), minaccia di utilizzo della forza nel prelievo di un campione di DNA, consenso al prelievo del campione, legittimità della perquisizione

La Corte Edu ha statuito, con sei voti contro uno, la violazione dell’art. 8 della Convenzione.  

La causa nasce dal ricorso di un cittadino serbo, il quale lamenta la violazione dell’art. 8 della Convenzione, a seguito di una perquisizione illegittima avvenuta nella propria abitazione e di un prelievo di campione di DNA, eseguito con la minaccia della forza. 

Nel luglio 2008 il ricorrente venne coinvolto in un caso di omicidio. Il suo appartamento venne sottoposto a perquisizione, allo scopo di cercare indizi ricollegabili al reato e il pubblico ministero richiese il prelievo di un campione di DNA per confrontarlo con le tracce biologiche trovate sulla scena del crimine. Il giudice per le indagini preliminari autorizzò le autorità a prelevare il campione anche con l’uso della forza, nel caso in cui il ricorrente non prestasse il proprio consenso.  

Il ricorrente diede il proprio consenso al prelievo di un campione di saliva, ma le autorità non registrarono formalmente come avvenne l’operazione. L’11 settembre 2008 il gip informò il pubblico ministero che non vi era alcun riscontro tra il DNA del ricorrente e le tracce biologiche della scena del crimine. Parallelamente, il sig. Petrović ricorse davanti alla Corte Costituzionale serba denunciando la violazione del diritto al rispetto alla propria vita privata, come stabilito anche dagli artt. 25 e 40 della Costituzione serba; tuttavia il suo ricorso fu rigettato, con la motivazione che le autorità avevano agito in accordo con la legge e che il ricorrente aveva prestato il proprio consenso. 

La Corte Edu anzitutto rileva che il ricorso promosso dal ricorrente di fronte alla Corte Costituzionale serba vada ricondotto all’ambito di applicazione dell’art. 35 della Convenzione e si debba considerare, quindi, un rimedio nazionale interno effettivo. La Corte Costituzionale, infatti, ha giudicato il ricorso nel merito e lo ha rigettato sulla base di ragioni sostanziali. 

In secondo luogo, la Corte stabilisce che il caso vada analizzato alla luce dell’art. 8 della Convenzione, concordando con il ricorrente che sia la perquisizione che il prelievo di un campione di DNA vadano considerati come interferenze nella vita privata. Tali interferenze, per non violare l’art. 8, devono avere una base legale (in accordance with the law), devono perseguire uno scopo legittimo (legitimate aim) e devono essere necessarie in una società democratica (necessary in a democratic society) (§70). 

Nello specifico, riguardo alla perquisizione nell’abitazione del ricorrente, la Corte evidenzia che è stata svolta in base alla legge – ex artt. 77 § 1 e 78 del codice di procedura penale – persegue uno scopo legittimo – la ricerca di prove rilevanti in relazione ad un grave reato – ed è necessaria in una società democratica, e quindi è proporzionata allo scopo (§ 74). La Corte non ritiene dunque che vi sia stata violazione dell’art. 8 della Convenzione. 

Sotto il profilo del prelievo del campione di DNA, invece, la Corte evidenzia, anzitutto, che il consenso prestato dal ricorrente non ha rilevanza, poiché prestato sotto la minaccia che sarebbe stato comunque prelevato con la forza. In secondo luogo, tale interferenza nella vita privata del ricorrente, non è in accordo con la legge nazionale: non vi è alcun riferimento specifico al prelievo di un campione di DNA, se non nel codice di procedura penale del 2011, secondo cui il prelievo va eseguito da un esperto e il campione può essere prelevato solo nei confronti di un sospettato; l’operazione, inoltre, non è stata adeguatamente formalizzata attraverso un verbale ufficiale. Tali considerazioni sono sufficienti a ritenere che vi sia stata violazione dell’art. 8 della Convenzione.

Dragan Petrović c. Serbia

 

Sentenza della Corte Edu (Sezione IV) 28 aprile 2020 rich. nn. 61178/14, ATV Zrt c. Ungheria

Oggetto: articolo 10 (diritto alla libertà di espressione), interferenza dello Stato, diritto a un’informazione imparziale, distinzione tra fatti e opinioni

La Corte Edu ha statuito, all’unanimità, la violazione dell’art. 10 della Convenzione.

La ricorrente ATV – un’emittente indipendente, che offre servizi televisivi e online – lamenta la violazione del suo diritto alla libertà di espressione, sancito dall’art. 10, sostenendo che le autorità interne hanno interferito nel loro diritto senza che tale interferenza fosse necessaria in una società democratica.

Il 29 novembre 2012 ATV mandò in onda una notizia intitolata «Manifestazione di massa contro il Nazismo», per raccontare una protesta organizzata da diverse forze politiche contro il partito Jobbik. A fronte del reclamo dell’ufficio stampa del partito, l’Autorità nazionale sui media e le telecomunicazioni avviò un procedimento a carico dell’emittente, sulla base della sezione 12 della legge sui media. Tale disposizione prevede che, ai giornalisti di notiziari, è vietato «aggiungere opinioni o valutazioni alle notizie di ordine politico» (§ 15). La società ricorrente fu quindi giudicata responsabile di aver violato tale disposizione, per aver qualificato il partito Jobbik come partito di estrema destra. Allegando il diffuso utilizzo di tale definizione e la sua base scientifica in scienze politiche e sociali, nonché il posizionamento politico del partito in Parlamento, ATV si appellò contro la decisione dell’autorità. La decisione fu tuttavia confermata anche in secondo grado, dove venne sottolineato che «il termine ‘estrema destra’ costituisce un’opinione, non un dato di fatto […] Jobbik non si definisce un partito di estrema destra» (§ 12).

La Corte Edu premette anzitutto che una tale interferenza nel diritto deve essere prescritta dalla legge e necessaria in una società democratica, ex art. 10 § 2. L’espressione «prescritto dalla legge» non richiede solamente una base legale, ma si riferisce anche alla qualità della legge, che deve essere caratterizzata da accessibilità e prevedibilità degli effetti, al fine di permettere al cittadino di orientare i propri comportamenti. La Corte considera inoltre il parere della Commissione di Venezia[1], secondo cui non è semplice distinguere i fatti dalle opinioni, e l’indeterminatezza dei termini utilizzati dalle norme rischia di rendere le previsioni di legge uno strumento di repressione della libertà di espressione.

La Corte Edu individua dunque due questioni, strettamente legate tra loro: da un lato, esaminare se la valutazione dei giudici fosse o meno prevedibile e, dall’altro, se tale interferenza perseguisse uno scopo legittimo e se fosse o meno necessaria in una società democratica.

Sul profilo dello scopo legittimo, la Corte accoglie le motivazioni del Governo – che sostiene che il pubblico ha diritto a ricevere un’esposizione imparziale e bilanciata delle notizie nei programmi di informazione – e individua come scopo legittimo appunto «la protezione dei diritti degli altri» (§ 39). 

Sul secondo profilo, invece, i giudici di Strasburgo rilevano che davanti all’imprecisione delle disposizioni di legge le corti ungheresi avrebbero dovuto tracciare il confine di tale norma, affinché non si trasformasse in uno strumento di repressione della libertà di espressione. Considerando che anche tra le autorità interne non è stata data un’interpretazione univoca del termine «estrema destra» e rilevando le diverse modalità di distinzione tra fatti e opinioni, la Corte Edu afferma che l’emittente ATV non avrebbe potuto prevedere che il termine in questione sarebbe stato qualificato come opinione. Né prevedere che il divieto di utilizzare tale termine in un notiziario fosse necessario a tutelare l’imparzialità dell’informazione. Poiché la restrizione ha costituito un’interferenza sproporzionata, e non necessaria in una società democratica, nel suo diritto alla libertà di espressione, la Corte rileva che vi è stata violazione dell’art. 10 della Convenzione.

ATV Zrt c. Ungheria

 

[1] La Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto, nota come Commissione di Venezia, è un organo consultivo del Consiglio d’Europa, istituito nel 1990. «Concepita inizialmente come strumento d’ingegneria costituzionale di emergenza, in un contesto di transizione democratica, la Commissione ha visto la propria attività evolvere progressivamente sino a diventare un'istanza di riflessione giuridica indipendente», attorno ai temi di democrazia, diritti umani e primato del diritto. V. https://www.venice.coe.int/webforms/events/ 

[**]

Marika Ikonomu, Università Statale di Milano, già tirocinante presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa

Agnese Galatà, Università degli Studi di Milano, tirocinante ex. art.73 del dl 69/2013, presso il Tribunale per i Minorenni di Milano

21/10/2020
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