Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di ottobre 2015

di Pier Francesco Poli , di Alice Pisapia
* Prof. a contratto di Diritto UE Univ. Dell’Insubria e Avvocato Foro di Milano</br> **Dottore di ricerca in Diritto e Procedura Penale e Avvocato del Foro di Milano
I casi affrontati dalla Corte: negazionismo del genocidio armeno (Svizzera), detenzione illegittima (Italia), condizioni di custodia presso una stazione di polizia (Francia)

La Svizzera condannata per avere represso penalmente il negazionismo del genocidio armeno.

Sentenza della Corte EDU (Grande Camera) 21 ottobre 2015, rich. nn. 27510/2008, Perinçek c. Svizzera

Oggetto: Repressione penale del negazionismo – Violazione dell’art. 10 CEDU – Libertà di espressione – Sussistenza –Importance level 1

Il ricorrente è un politico turco il quale aveva negato pubblicamente che le deportazioni compiute ai danni degli armeni dal 1915 in poi fossero qualificabili come genocidio. Per tali affermazioni il signor Perinçek veniva condannato ad una pena pecuniaria per il reato previsto dall’art. 262 bis comma 4 che sanziona chiunque neghi, sminuisca ovvero cerchi di giustificare un genocidio o un altro crimine contro l’umanità. Lamenta il ricorrente la violazione dell’art. 10 CEDU assumendo che la pronuncia adottata nei suoi confronti violi la citata disposizione convenzionale.

La Corte accoglie il ricorso, in particolare ritenendo che la limitazione alla libertà di espressione, stabilita dalla normativa interna del codice penale svizzero, non risultasse essere “necessaria in una società democratica” secondo quanto previsto dall’art. 10 CEDU. I giudici di Strasburgo, infatti, per avallare il proprio giudizio sottolineano che i) le dichiarazioni erano state rese da un soggetto politico e quindi la sua libertà di espressione dovesse essere maggiormente tutelata, ii) il genocidio armeno era fatto storico risalente, iii) le dichiarazioni non avevano una forte idoneità offensiva, iv) l’incriminazione per genocidio non era comune a tutti i Paesi facenti parte della Convenzione europea, v) non vi erano obblighi internazionali di incriminazione, vi) non vi erano ragioni particolari addotte dalla Svizzera per giustificare la limitazione alla libertà di espressione, vii) la tutela penale – ancorché la condanna fosse ad una pena solo pecuniaria – risultava del tutto sproporzionata, risultando al più giustificabile una tutela civile.

 

L’Italia condannata a Strasburgo per violazione dell’art. 5 par. 1 CEDU.

Sentenza della Corte EDU (Quarta Sezione) 13 ottobre 2015, rich. nn. 28263/2009, Baratta c. Italia

Oggetto: Violazione dell’art. 5 par. 1 CEDU  – Detenzione realizzata in esecuzione di condanna pronunciata all’esito di processo celebrato in contumacia per ritenuta assenza di legittimo impedimento dell’imputato –  Sussistenza – Importance level 2

Il ricorrente, cittadino italiano, lamenta di essere stato detenuto in esecuzione di condanna non legittima in quanto successiva a processo erroneamente celebrato in contumacia. In particolare, il signor Baratta si duole del fatto che i giudici di merito italiani avessero rigettato il proprio legittimo impedimento, sulla base della circostanza che egli sarebbe stato latitante e si sarebbe quindi sottratto volontariamente al processo, e lo avessero condannato, all’esito del processo, all’ergastolo. Successivamente, rileva il ricorrente che la Corte di Cassazione aveva riaperto il processo, ritenendo illegittima la dichiarazione di contumacia.

All’esito del nuovo processo di primo grado, quindi, il signor Baratta era stato prosciolto per intervenuta prescrizione dei reati a lui contestati. La Corte accoglie il ricorso ritenendo che la pena detentiva scontata dal signor Baratta in conseguenza della sentenza pronunciata in contumacia non fosse legittima in quanto non rientrante nei casi previsti dall’art. 5 par. 1 CEDU..

 

Nessuna violazione dell’art. 3 CEDU per le condizioni in cui era stato trattenuto presso una stazione di polizia un ambientalista francese.

Sentenza della Corte EDU (Quinta Sezione) 6 ottobbre 2015, rich. nn. 80442/2012, Lacomte c. Francia

Oggetto: Non violazione dell’art. 3 CEDU  – Condizioni di custodia presso una stazione di polizia – Importance level 3

Il ricorrente, cittadino francese, è un ambientalista il quale era stato arrestato il 6 novembre 2008 dalla polizia tedesca mentre aveva esposto alcuni striscioni su un ponte ferroviario All’interno di essi, vi erano messaggi di protesta contro il trasporto di materiale nucleare che doveva essere portato in Francia a mezzo del treno.

La Corte distrettuale di Luneberg aveva quindi stabilito di detenere la ricorrente a scopo preventivo in stato di detenzione sino al passaggio del treno e comunque non oltre la mezzanotte del 10 novembre. Questa decisione era stata assunta sulla base di una normativa interna che consente siffatti provvedimenti qualora vi sia il pericolo imminente di un’offesa ad interessi di considerevole importanza. Il 9 novembre tuttavia la Corte regionale di Luneberg annullava la decisione, ordinando il rilascio immediato del signor Lacomte. Lamenta la ricorrente le condizioni della detenzione in ragione del fatto che i) la cella dentro alla quale era stato trattenuto ne corso della prima notte era molto piccola e senza finestre e ii) la cella ove era stata reclusa nel corso della seconda notte aveva le foto di persone detenute attaccate alle pareti ed inoltre non le era stato concesso nessuno spazio per lo svolgimento di esercizio fisico.

La Corte non accoglie il ricorso ritenendo, anche in ragione della brevità del tempo trascorso in stato di detenzione, non integrata la violazione dell’art. 3 CEDU.

08/01/2016
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In tema di sanzione disciplinare al giudice che posta messaggi politici su Facebook. La CEDU condanna la Romania per violazione del diritto alla libertà di espressione

In un caso relativo alla sanzione disciplinare della riduzione della retribuzione inflitta ad una giudice che aveva pubblicato due messaggi sulla sua pagina Facebook, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza 20 febbraio 2024, Danileţ c. Romania (ricorso n. 16915/21), ha ritenuto, a strettissima maggioranza (quattro voti contro tre), che vi sia stata una violazione dell'articolo 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 

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Ancora due condanne dell’Italia per i suoi hotspot

Sadio c. Italia,  n. 3571/17, sentenza del 16 novembre 2023, e AT ed altri c. Italia, ricorso n. 47287/17, sentenza del 23 novembre 2023. Ancora due condanne (una di esse, anzi, doppia e l’altra triplice) per l’Italia in tema di immigrazione, con specifico riferimento alle condizioni di un Centro per richiedenti asilo in Veneto e di un Centro di Soccorso e Prima Accoglienza in Puglia.

14/12/2023
I criteri probatori della violazione del principio del giusto processo di cui all'art. 6 Cedu. Una visione comparatistica

La Supreme Court del Regno Unito ha fornito, in una propria recente sentenza, un contributo di essenziale rilevanza su questioni il cui intreccio avrebbe potuto portare, se non si fosse saputo individuare l'appropriato filo di cucitura, esiti disarmonici sia nel diritto di common law inglese sia, con anche maggior gravità, nel diritto europeo convenzionale. Si trattava di coordinare il fondamentale principio del giusto processo, fissato dall'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani del 1950, con il più solido dei ragionamenti circa la sufficienza del materiale probatorio raccolto a divenire indice della violazione dello stesso articolo 6. I supremi giudici inglesi si sono collocati saldamente sulla linea della giurisprudenza di Strasburgo, fissando, in un caso dalle irripetibili peculiarità, affidabili parametri che sappiano, come è avvenuto nel caso sottoposto al loro esame, felicemente contemperare l'esigenza di garantire costantemente condizioni di svolgimento dei processi rispettose dei diritti umani con quella, altrettanto meritevole di apprezzamento, di evitare l'abuso del ricorso allo strumento di tutela convenzionale fondato su motivi puramente congetturali e tali, pertanto, da scuotere la stabilità del giudicato, lasciandolo alla mercé di infinite, labili impugnazioni, contrarie allo stesso spirito del fondamentale precetto del giusto processo.

13/12/2023