Magistratura democratica
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In tema di sanzione disciplinare al giudice che posta messaggi politici su Facebook. La CEDU condanna la Romania per violazione del diritto alla libertà di espressione

di Francesco Buffa
consigliere della Corte di cassazione

In un caso relativo alla sanzione disciplinare della riduzione della retribuzione inflitta ad un giudice che aveva pubblicato due messaggi sulla sua pagina Facebook, la Corte europea dei diritti dell’uomo, con la sentenza 20 febbraio 2024, Danileţ c. Romania (ricorso n. 16915/21), ha ritenuto, a strettissima maggioranza (quattro voti contro tre), che vi sia stata una violazione dell'articolo 10 (libertà di espressione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 

1. Il fatto

Il caso riguardava un giudice di un tribunale di provincia che aveva pubblicato due messaggi sulla sua pagina Facebook, avente (beata lui!) 50mila followers. Vasilică-Cristi Danileţ, giudice presso il tribunale della contea di Cluj, noto per la sua partecipazione attiva ai dibattiti ed avente una certa fama nazionale (già membro del Consiglio Superiore della magistratura, ex vicepresidente di un tribunale, già consigliere del Ministro della Giustizia, membro fondatore di due organizzazioni non governative che operano nel campo della democrazia e giustizia e autore di numerosi articoli giuridici), aveva pubblicato due messaggi sulla sua pagina Facebook. Il primo messaggio così diceva: “Qualcuno potrebbe aver notato il susseguirsi di attacchi, la disorganizzazione e il discredito subito da istituzioni come la Direzione Generale dell'informazione e della protezione interna, il Servizio segreto romeno, la polizia, la direzione nazionale anticorruzione, la gendarmeria, la procura presso l’Alta Corte di Cassazione e Giustizia e quest’ultima, l’esercito. (Gli attacchi in questione) non sono comparsi a caso dopo “gli abusi commessi dalle istituzioni del potere”. Sappiamo cosa significa mancanza di efficienza e peggio ancora sarebbe la ripresa del controllo politico delle istituzioni: servizi, polizia, giustizia, esercito? E, a proposito dell'esercito, qualcuno ha avuto l'opportunità di riflettere sull'articolo 118 comma 1 della Costituzione che prevede che “l'esercito è subordinato esclusivamente alla volontà popolare per garantire (...) la democrazia costituzionale"? Cosa accadrebbe se un giorno vedessimo l’esercito per strada per difendere...la democrazia, perché oggi vediamo che il consenso è in declino? vi sorprenderebbe sapere che questa soluzione (...) sarebbe conforme alla Costituzione!? Secondo me è l’albero che nasconde la foresta (...)”.

Nel suo secondo messaggio, il giudice Danileţ aveva pubblicato sulla sua pagina Facebook un collegamento ipertestuale ad un articolo di stampa intitolato “Un pubblico ministero lancia l'allarme. Vivere in Romania oggi rappresenta un rischio enorme. La linea rossa è stata superata quando si tratta della magistratura”; nell’articolo in questione, un pubblico ministero aveva espresso il suo punto di vista per quanto riguarda la gestione dei procedimenti penali effettuata dalla pubblica accusa e le difficoltà incontrate dai pubblici ministeri nella gestione dei casi loro assegnati. Il link era accompagnato da commento di elogio del pubblico ministero in questione: “Ecco un pubblico ministero che ha il sangue nelle vene: parla apertamente del liberazione di prigionieri pericolosi, delle cattive idee dei nostri governanti riguardo riguarda riforme legislative, e di linciaggi di magistrati!”.

 

2. La sanzione disciplinare

Il CSM rumeno ha ritenuto che il giudice Danileţ avesse – inequivocabilmente e davanti a migliaia di lettori – messo in dubbio la credibilità delle istituzioni pubbliche, insinuando che fossero controllati dalla classe politica e proponendo come soluzione che l'esercito intervenisse per garantire la democrazia costituzionale. 

ll CSM ha ritenuto che il linguaggio utilizzato nel commento pubblicato dal giudice avesse oltrepassato i limiti consentiti ad un magistrato e fosse indegno di un giudice, avendo violato il dovere di moderazione dei giudici in un modo tale da offuscare la buona reputazione della magistratura. 

La sezione disciplinare ha ricordato che i giudici hanno il dovere di non pregiudicare la dignità delle loro funzioni né l'imparzialità e l’indipendenza della giustizia e di mostrare ogni volta moderazione ed esprimere le proprie opinioni in modo prudente al fine di evitare il rischio di mettere in pericolo il rispetto e la fiducia del pubblico negli organi giudiziari.

Veniva quindi inflitta la sanzione della riduzione della retribuzione del 5% per due mesi.

 

3. Il ricorso alla CEDU e le posizioni delle parti in sintesi

Esaurite le vie di ricorso interne infruttuosamente, Danilet si è rivolto alla CEDU, deducendo che la condanna disciplinare aveva violato la sua libertà di manifestazione del pensiero ed il suo diritto alla riservatezza, protetti dagli articoli 10 ed 8 della Convenzione. 

La parte ricorrente ha richiamato le sentenze Roland Dumas c. Francia (n. 34875/07, § 43, 15 luglio 2010), Morice c. Francia ([GC], n. 29369/10, § 125, CEDU 2015) e Wille c. Liechtenstein ([GC], n. 28396/95, § 63, CEDH 1999-VII), ed affermato la necessità alla luce della detta giurisprudenza di esaminare il contenuto delle sue espressioni alla luce dell'intera vicenda.

Il Governo rumeno ha difeso la misura disciplinare citando il caso Baka v. Ungheria ([GC], n. 20261/12, §§ 162-164, 23 giugno2016) e ricordando che i dipendenti pubblici (compresi i magistrati) beneficiano della tutela offerta dall'articolo 10 del della Convenzione, ma che hanno, a causa del loro status, un obbligo di riservatezza e che devono usare la libertà di espressione con moderazione ogni volta l’autorità e l’imparzialità della magistratura rischiano di essere compromesse.

Nel giudizio innanzi alla CEDU è intervenuto il Forum dei giudici della Romania, che ha sottolineato che le modifiche alle leggi che regolano il funzionamento del sistema giudiziario erano già state oggetto di critiche da parte del Consiglio d’Europa e di diverse associazioni professionali a livello nazionale per aver compromesso i progressi nell’indipendenza della magistratura, in particolare da un aumento dell’interferenza del potere esecutivo sul potere giudiziario. Per altro verso, il Forum ha evidenziato che in merito alla libertà di espressione dei giudici il diritto interno non è sufficientemente chiaro e preciso e lascia troppo spazio all'interpretazione.

 

 

4. La decisione della Corte

Nella sua sentenza 20 febbraio 2024, Danileţ c. Romania (ricorso n. 16915/21), la Corte EDU –rilevato che la sanzione disciplinare incide sulla libertà di manifestazione del pensiero della persona e costituisce una ingerenza statale nel godimento dei diritti convenzionalmente protetti- esamina la vicenda alla luce del triplice criterio applicato come di consueto nella sua giurisprudenza, volto a verificare se l’ingerenza sia prevista dalla legge, persegua uno scopo legittimo e sia necessaria in una società democratica, ossia proporzionata.

Sotto il primo profilo, la Corte ammette che nozioni come “onore”, “probità professionale” e “buona immagine della giustizia” siano nozioni generali aperte, che in quanto tali si prestano a diverse interpretazioni. Tuttavia, ritiene soddisfatto il principio di legalità in quanto richiedere una precisione assoluta nella legge importerebbe una certa rigidità ed impedirebbe alla norma di adattarsi alle mutevoli situazioni. 

Quanto allo scopo legittimo, la Corte rileva che l’ingerenza è giustificata in ragione della garanzia dell'autorità e dell'imparzialità del potere giudiziario.

Quanto alla proporzionalità dell’ingerenza, la Corte rileva significativamente che la circostanza che i messaggi in questione abbiano delle implicazioni politiche non è di per sé sufficiente perché un giudice debba evitare di pronunciare una dichiarazione in materia (“Même si une question suscitant un débat sur le pouvoir judiciaire a des implications politiques, ce simple fait n’est pas en lui-même suffisant pour empêcher un juge de prononcer une déclaration sur le sujet”). 

Vero è peraltro che è richiesta discrezione ai giudici quando sono chiamati a rendere giustizia, al fine di garantire la propria immagine di giudici imparziali, e ciò in quanto la parola del magistrato, a differenza di quello dell'avvocato, è accolto come espressione di valutazione oggettiva che coinvolge non solo la persona che si esprime ma anche, attraverso lui, l'intero istituto della Giustizia (“dans l’exercice de leur fonction juridictionnelle, la plus grande discrétion s’impose aux autorités judiciaires lorsqu’elles sont appelées à rendre la justice, afin de garantir leur image de juges impartiaux… La parole du magistrat, contrairement à celle de l’avocat, est reçue comme l’expression d’une appréciation objective qui engage non seulement celui qui s’exprime mais aussi, à travers lui, toute l’institution de la Justice »).

Tanto premesso in linea generale, la Corte riteiene che nelle loro decisioni, i giudici nazionali non avevano concesso alla libertà di espressione del ricorrente il peso e l’importanza che tale libertà era dovuta alla luce della giurisprudenza della Corte, nonostante fosse stato utilizzato un mezzo di comunicazione (vale a dire un account Facebook accessibile al pubblico) che avrebbe potuto sollevare legittimi interrogativi riguardo al rispetto da parte della giudice del suo obbligo di sobrietà e riserbo. 

Tuttavia i giudici nazionali non avevano né ponderato i diversi interessi in gioco secondo i criteri stabiliti dalla giurisprudenza della CEDU, né debitamente analizzato se l'ingerenza nel diritto della ricorrente alla libertà di espressione era stata necessaria. 

Per quanto riguarda il primo messaggio, la Corte afferma che esso conteneva una critica alle influenze politiche a cui sarebbero sottoposte alcune istituzioni, vale a dire la polizia, la magistratura e l'esercito: ricollocate nel loro giusto contesto, le dichiarazioni del ricorrente equivalevano a giudizi di valore secondo i quali vi sarebbe un pericolo per la democrazia costituzionale nel caso in cui le istituzioni pubbliche cadessero nuovamente sotto il controllo politico. 

Per quanto riguarda il secondo messaggio, la Corte valuta che la posizione del ricorrente rientrava chiaramente nel contesto di un dibattito su questioni di interesse pubblico, poiché riguardava riforme legislative che incidevano sul sistema giudiziario.

Di conseguenza, la Corte è del parere, con riguardo a questo secondo messaggio come al primo, che qualsiasi ingerenza nell’esercizio della libertà di fornire o ricevere informazioni avrebbe dovuto essere oggetto di un controllo rigoroso, in quanto il margine di discrezionalità dello Stato in materia è ridotto.

Ciò premesso, la Corte riafferma il principio secondo cui ci si può aspettare dai giudici che mostrino moderazione nell’esercizio della loro libertà di espressione, poiché l’autorità e l’imparzialità della magistratura potrebbero essere messe in discussione. Tuttavia, nel caso di specie, le dichiarazioni in questione non erano chiaramente illegali, diffamatorie, incitanti all’odio o alla violenza. 

Inoltre, la Corte attribuisce un peso significativo al fatto che i giudici nazionali avevano scelto di non imporre al ricorrente la minima sanzione (che, all’epoca dei fatti, era un ammonimento), il che aveva indubbiamente avuto un effetto dissuasivo e deterrente in quanto deve aver scoraggiato non solo il ricorrente stesso, ma anche altri giudici, dal prendere parte, in futuro, al dibattito pubblico su questioni riguardanti la separazione dei poteri o le riforme legislative che interessano i tribunali e, più in generale, su questioni riguardanti l’indipendenza della magistratura. 

La Corte conclude quindi che, nel valutare gli interessi concorrenti in gioco, i tribunali nazionali non avevano tenuto nella debita considerazione diversi fattori importanti, in particolare riguardanti il contesto più ampio in cui erano state rese le dichiarazioni del ricorrente, la sua partecipazione ad un dibattito su questioni di interesse pubblico, la questione se i giudizi di valore espressi nel caso di specie fossero sufficientemente fondati in fatto e, in ultima analisi, l’effetto potenzialmente dissuasivo della sanzione inflitta; inoltre, l'esistenza di un attacco alla dignità e all'onore della professione di giudice non era stata sufficientemente dimostrata. 

Secondo la Corte, quindi, i tribunali rumeni non avevano fornito ragioni pertinenti e sufficienti per giustificare la presunta interferenza con il diritto alla libertà di espressione del ricorrente. Da qui il constat di violazione dell’articolo 10 della Convenzione (constat ritenuto peraltro nel caso essere un sufficiente rimedio a tutela della ricorrente, a integrale copertura del risarcimento di danni non patrimoniali del pari invocato). 

Quanto invece al grief relativo alla asserita lesione del diritto al rispetto della vita privata/diritto alla reputazione, la Corte ritiene che i motivi della sanzione non erano legati alla “vita privata” della ricorrente, che questa non aveva avuto gravi conseguenze negative per la “cerchia ristretta” della diffusione della notizia della sanzione, e che non vi era stato impatto alcuno sulle relazioni con gli altri o sulla reputazione della giudice; decide pertanto che l'articolo 8 della Convenzione non è applicabile nel caso di specie e dichiara, all'unanimità, irricevibile il motivo di ricorso presentato a questo titolo. 

 

5. La dissenting opinion

Da ultimo, va segnalato che la sentenza è stata resa a maggioranza (quattro a tre) dei giudici e che tre giudici hanno espresso un'opinione dissenziente, annessa alla sentenza. Nell’opinione dissenziente, si evidenzia che il giudice era un giudice di corte dipartimentale senza status rappresentativo di colleghi o responsabilità particolari o una posizione specifica di whistleblower, sicché l’intervento disciplinare non aveva ecceduto il margine di apprezzamento che spetta agli Stati in questa materia nel bilanciamento di interessi contrapposti, tanto più che la sanzione applicata non era particolarmente severa; per altro verso, secondo la dissenting opinion, i messaggi del giudice non costituivano una critica motivata nei confronti della situazione all’interno del sistema giudiziario o delle riforme della giustizia, ma una serie di affermazioni formulate con un linguaggio colorito; infine, i commenti avevano riguardato non solo il sistema giudiziario, ma anche l’esercito, in relazione al quale era pendente dinanzi (pur dinanzi ad altri giudici) questione della proroga del mandato del capo di stato maggiore dell'esercito, sicché il giudice avrebbe dovuto prestare particolare cautela nelle sue espressioni, in modo da preservare l’apparenza di imparzialità della magistratura. 

 

6. I precedenti giurisprudenziali

Nella giurisprudenza CEDU, molte sentenze sono direttamente collegate all'applicazione delle garanzie dell'art. 10 in favore di magistrati e, nella quasi totalità di casi ad essa sottoposti, la CEDU si è pronunciata in favore dei magistrati incolpati: in particolare, hanno riscontrato una violazione della Convenzione da parte degli Stati a seguito di condanna disciplinare o penale di giudici, Wille contro il Liechtenstein, Kayasu v. Turchia (n°1), Guja v. Moldova, Kudeshkina v. Russia, Baka c. Ungheria [GC], Kövesi c. Romania, Guz c. Polonia, Brisc c. Romania, Eminağaoğlu c. Turchia, Miroslava Todorova c. Bulgaria (tutte reperibili in lingua inglese o francese in HUDOC, banca dati on line della CEDU). Per un esame di queste sentenze e, più in generale, del rapporto tra magistrati e social media, si consenta il rinvio al mio scritto La libertà di espressione dei magistrati e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, relazione all'incontro Justice et liberté d'expression - La liberté d'expression des magistrats et ses évolutions récentes sur les réseaux sociaux, organizzato dall'Ecole Nationale de la Magistrature (ENM) e dal Conseil supérieur de la magistrature (CSM), con il sostegno dell'Unione europea, 12 e 13 maggio 2022, Formazione in presenza, edificio dell'Ecole de Formation du Barreau (EFB), Issy-les-Moulineaux, Francia, edito in questa Rivista il 9/6/2022 e reperibile qui: https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-liberta-di-espressione-dei-magistrati-e-la-convenzione-europea-dei-diritti-dell-uomo

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