Magistratura democratica
Pillole di CEDU

Sentenze di dicembre 2023

Le più interessanti sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo nel mese di dicembre 2023

Le pronunce di dicembre della Corte Edu qui selezionate concernono la rinnovazione della prova dichiarativa in caso di ribaltamento dell’assoluzione nel giudizio di rinvio, l’estensione degli obblighi procedurali in casi di violenza di genere, il rapporto tra il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici e la mancata osservanza di misure disciplinari …

In Stasi c. Italia, la Corte aggiunge un tassello alla sua giurisprudenza sulla rinnovazione della prova dichiarativa nei giudizi d’impugnazione, ove venga ribaltata la condanna; nel caso di specie, nonostante la doppia conforme di assoluzione e l’esercizio del potere d’integrazione probatoria ex officio da parte dei giudici del rinvio, il rigetto dell’istanza di rinnovazione non compromette l’equità complessiva del procedimento, alla luce dei plurimi elementi a sostegno della condanna, dell’adeguata valutazione sia delle dichiarazioni già rese che della richiesta di rinnovazione, della possibilità di riferire la rinuncia al diritto di prova (per effetto del rito premiale) proprio al testimone “richiesto” nel giudizio di rinvio, in quanto già ascoltato in fase di indagine.

In Vučković c. Croazia, la Corte estende la portata degli obblighi procedurali derivanti dall’articolo 3 della Convenzione (di norma riguardanti indagini incomplete o inadeguate, ovvero un’arbitraria esclusione della responsabilità o comunque punibilità dell’imputato) al modo con cui i giudici nazionali commisurano la pena; si tratta di un giudizio particolarmente penetrante che, non potendo censurare direttamente la scelta della fattispecie incriminatrice applicabile (“atti osceni” piuttosto che “tentativo di stupro”) fa pesare la mancata valorizzazione di taluni elementi sulla proporzionalità della pena (ritenendola insufficiente), stante l’impressione di un’inammissibile indulgenza delle autorità nel trattare i casi di violenza contro le donne.

In Humpert e altri c. Germania, la Grande Camera si pronuncia per la prima volta sulla compatibilità con la libertà di associazione di una normativa che vieta in via generale lo sciopero a tutti i dipendenti pubblici e sottopone l’eventuale inosservanza a misure disciplinari. Attraverso una valutazione complessiva dei mezzi di esercizio delle libertà sindacali in concreto a disposizione dei ricorrenti, la Corte ha escluso che una esclusione generale del divieto di sciopero sia sproporzionata.

 

Sentenza della Corte Edu (Prima Sezione), 12 dicembre 2023, Stasi c. Italia, ric. n. 2693/17

Oggetto: articolo 6 della Convenzione (equo processo) – procedimento penale e rito abbreviato – assoluzione in primo e in secondo grado, condanna dinanzi ai giudici di rinvio – esercizio del potere di integrazione probatoria ex officio da parte dei giudici di rinvio, contestuale rigetto dell’istanza dell’imputato di rinnovazione della prova dichiarativa – potere esercitato senza compromettere l’equità complessiva del procedimento, stante l’esistenza di molteplici elementi di prova a sostegno della condanna e l’adeguatezza della valutazione delle dichiarazioni testimoniali già rese, nonché della necessità della rinnovazione istruttoria.

Il ricorrente veniva accusato per l’omicidio della fidanzata e, in sede di udienza preliminare, chiedeva di essere processato col rito abbreviato. Il GUP accoglieva la richiesta e, al contempo, integrava il compendio probatorio ex officio, in primis mediante l’audizione dei due testimoni, B. e T., che avevano reso sommarie informazioni dinanzi all’autorità inquirente (nello specifico, in relazione alla presenza di una bicicletta di fronte all’abitazione della vittima). La sentenza di primo grado assolveva il ricorrente, rilevando, tra le altre cose, che non possedeva (come lui, neanche la famiglia) una bicicletta corrispondente a quella riferita (seppur con alcuni elementi divergenti) dai testimoni. Anche la Corte di Appello, respinte le richieste di rinnovazione probatoria del pubblico ministero e della parte civile, confermava l’assoluzione. La Corte di cassazione, viceversa, annullava la sentenza rilevando l’illegittima mancata assunzione di taluni mezzi di prova, in particolare, il sequestro di una bicicletta rinvenuta nel magazzino del padre del ricorrente. I giudici di rinvio ammettevano d’ufficio numerose prove, tra cui diverse perizie e il sequestro della bicicletta, mentre rigettavano la richiesta di rinnovazione presentata dal ricorrente e avente ad oggetto la nuova audizione di B. e T., perché potessero prendere visione della bicicletta sequestrata; i giudici ritenevano esaurienti le dichiarazioni già rilasciate e pericoloso l’impatto dei media sulla memoria e sulle impressioni dei testimoni. La condanna valorizzava diverse circostanze: la vittima conosceva l’assassino e l’assassino conosceva la casa della prima; il ricorrente aveva fornito una descrizione incongrua, illogica e falsa delle circostanze in cui era stato trovato il corpo della vittima; le impronte digitali sul dispenser di sapone del bagno, usato dall’assassino per pulirsi, dimostravano che il ricorrente era stato l’ultimo utilizzatore del dispenser; tracce significative del DNA della vittima erano state trovate sui pedali della bicicletta del richiedente; il numero di scarpe del richiedente corrispondeva alle impronte lasciate dall'assassino.

Divenuta definitiva la condanna, il ricorrente adiva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo lamentando la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 (d) della Convenzione, in relazione, soprattutto, al rigetto, da parte dei giudici di rinvio, della richiesta di rinnovazione dell’esame dei testimoni.

La Corte premette alcune valutazioni sul rito abbreviato già sviluppate nei casi Scoppola c. Italia (n. 2) o Di Martino e Molinari c. Italia. 

Con riguardo al rigetto della domanda di rinnovazione della prova dichiarativa nel procedimento di rinvio, la Corte rileva che, al momento della richiesta del rito abbreviato, il ricorrente aveva accettato di essere giudicato in base alle dichiarazioni rese in sede di indagini da B., rinunciando alla pertinente audizione. L’esercizio del potere di integrazione probatoria ex officio, pur derogando alle regole ordinarie del rito ordinario, non rappresenta di per sé una violazione dell’equo processo, purché le pertinenti modalità appaiano legittime. Nello specifico, l’equità non risulta compromessa in quanto la condanna si è basata su molteplici elementi di prova e i giudici interni hanno sufficientemente e ragionevolmente motivato in ordine alla rilevanza delle dichiarazioni di B. e alla necessità della pertinente audizione.

La Corte dichiarava il ricorso manifestamente infondato.

 

Sentenza della Corte Edu (Seconda Sezione), 12 dicembre 2023, Vučković c. Croazia , ric. n. 15798/20

Oggetto: articoli 3 e 8 della Convenzione (divieto di tortura e diritto al rispetto della vita privata) – obblighi positivi e aspetto procedurale – episodi a sfondo sessuale integranti “atti osceni” piuttosto che “tentato stupro” – riforma in appello del trattamento sanzionatorio con commutazione della pena detentiva in lavori socialmente utili – esame parziale delle circostanze rilevanti in un caso di violenza contro le donne – necessità che lo Stato dia un messaggio forte di repressione di tale forma di criminalità. 

Nel 2015 la ricorrente presentava una denuncia penale contro un collega di lavoro, M.P., per due episodi di violenza sessuale durante i turni svolti insieme, lei come infermiera, lui come autista di ambulanza. Interrogato dalla polizia, M.P. ridimensionava l’accaduto e lo giustificava nell’ottica dello scherzo, confessando di aver chiesto alla ricorrente di toccarlo e di averla lui stesso toccata su cosce e sedere.

Dopo tre anni, il Tribunale di primo grado condannava M.P. a dieci mesi di reclusione per atti osceni; i giudici di appello, pur confermando la decisione di primo grado, sostituivano la reclusione con i lavori socialmente utili, valorizzando lo stato di incensuratezza dell’imputato e la circostanza che, nell’arco di quattro anni di procedimento penale, egli avesse tenuto una condotta conforme alla legge.

Contestualmente, la ricorrente esercitava un’azione risarcitoria dinanzi ai giudici civili contro M.P. e il proprio datore di lavoro.

Dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la ricorrente lamentava l’eccessiva indulgenza dei giudici nazionali nell’irrogare la sanzione, nonostante la gravità degli atti di violenza sessuale, in violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

La Corte, stante la pacifica riconducibilità dei fatti di stupro e violenza sessuale all’articolo 3 della Convenzione, ricorda gli obblighi sostanziali e procedurali che generalmente ne conseguono; al contempo, evidenzia le peculiarità del caso di specie, in cui la ricorrente non denuncia la violazione degli obblighi di indagine o l’arbitraria esclusione della responsabilità penale dell’imputato, bensì la decisione di appello di commutare la pena detentiva. 

La Corte si trova a dover valutare, pertanto, il modo (criteri e ragioni) con cui tale decisione è stata presa, senza entrare nel merito né delle scelte di politica (rispetto alle quali gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento) né della scelta di qualificazione giuridica dei fatti (in termini di “atti osceni” piuttosto che “tentativo di stupro”)

Se, da una parte, il servizio civile rappresenta una componente efficace della moderna politica criminale degli Stati membri del Consiglio d’Europa, l’abuso sessuale sulle donne è un tipo di illecito molto grave, con effetti debilitanti sulle vittime. 

In concreto, la commutazione della pena detentiva sembra essere avvenuta senza l’attento esame di tutti gli elementi pertinenti: la natura ripetuta degli episodi subiti dalla ricorrente; l’uso di violenza da parte dell’indagato (circostanza ritenuta non determinante per la diversa qualificazione giuridica dei fatti, ma che avrebbe dovuto quanto meno influenzare il trattamento sanzionatorio), la mancata valutazione degli interessi della vittima e delle ripercussioni derivanti dal reato (la diagnosi, le assenze dal luogo di lavoro); la mancanza di segni di ravvedimento o rimorso da parte del condannato. I giudici di appello, senza menzionare tali fattori aggravanti, si sono limitati a valorizzare il trascorrere del tempo nell’ottica dell’imputato.

Secondo la Corte, questo approccio potrebbe indicare una certa indulgenza dell’autorità croate nel punire la violenza contro le donne, così scoraggiando le vittime dal denunciare eventuali reati, laddove, invece, sarebbe necessario farsi portavoce di un messaggio forte: la violenza contro le donne non può essere tollerata. 

Ne discende la violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

 

Sentenza della Corte Edu (Grande Camera), 14 dicembre 2023, Humpert e altri c. Germania, ric. nn. 59433/18, 59477/18, 59481/18 e 59494/18    

Oggetto: articolo 11 (libertà di associazione) – Sanzioni disciplinari inflitte agli insegnanti (dipendenti pubblici) per aver partecipato, durante l'orario di lavoro, a scioperi organizzati dal proprio sindacato – Violazione del divieto costituzionale di sciopero dei dipendenti pubblici – Elementi essenziali della libertà di associazione - Possibilità che il divieto di sciopero incida su un elemento essenziale - Finalità legittima di garantire la stabilità dell'amministrazione, l'adempimento delle funzioni pubbliche, il corretto funzionamento del sistema educativo – Sciopero come parte importante dell'attività sindacale, ma non unico mezzo – Esistenza di diverse garanzie istituzionali , a livello nazionale – Il divieto di sciopero contestato non priva di sostanza la libertà di organizzazione dei dipendenti pubblici - Sanzioni disciplinari non gravi - Le decisioni dei tribunali nazionali basate su motivazioni pertinenti e sufficienti – Ponderazione approfondita degli interessi in gioco – Il margine di apprezzamento rispettato.

I ricorrenti sono cittadini tedeschi impiegati come insegnanti con lo status di dipendenti pubblici presso scuole statali tutti membri del Sindacato per l'istruzione e la scienza. Dopo aver scioperato da un'ora a tre giorni per chiedere un miglioramento delle condizioni di apprendimento e di lavoro, sono stati sottoposti a sanzioni disciplinari (sospensione dall’insegnamento, rimprovero, multa).

Dopo aver impugnato senza successo le decisioni in diversi tribunali amministrativi, i ricorrenti hanno presentato un ricorso costituzionale alla Corte costituzionale federale, la quale si è pronunciata contro i ricorrenti, ritenendo che l'articolo 9 § 3 (libertà di associazione) della Grundgesetz si applicasse a ogni persona, compresi i dipendenti pubblici, e che per questo motivo le azioni disciplinari contro i ricorrenti costituivano una interferenza con il loro diritto di formare associazioni. Tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto che tale interferenza fosse giustificata da altri interessi costituzionali, in particolare dai principi tradizionali del pubblico impiego di carriera di cui all'articolo 33, § 5, della Grundgesetz, tra cui il divieto di sciopero. Il divieto di sciopero è uno dei principi tradizionali della pubblica amministrazione, che ha lo scopo di mantenere un'amministrazione stabile, di garantire l'adempimento delle funzioni statali e quindi il funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni. Un diritto di sciopero, anche se fosse solo per alcuni dipendenti pubblici, metterebbe in discussione l'intero assetto del sistema di carriera del pubblico impiego tedesco e richiederebbe, come minimo, modifiche fondamentali al “principio di alimentazione” (Alimentationsprinzip secondo cui i dipendenti pubblici devono ricevere una retribuzione adeguata), al dovere di lealtà, al principio dell'impiego a vita e al principio secondo cui i diritti e i doveri materiali, compresa la retribuzione, devono essere regolati dal legislatore. Pertanto, essa violerebbe le garanzie di cui all'articolo 33, paragrafo 5, della Grundgesetz. La Corte costituzionale ha valutato che, nel complesso, la restrizione dei diritti dei ricorrenti non era irragionevole e non rendeva inefficace la loro libertà di associazione. In particolare, il legislatore aveva sufficientemente compensato il divieto di sciopero concedendo alle organizzazioni ombrello dei sindacati dei dipendenti pubblici il diritto di partecipare alla stesura di nuove disposizioni di legge sullo status dei dipendenti pubblici e la possibilità per questi ultimi di adire i tribunali per ottenere un "adeguato mantenimento", in conformità con il "principio di alimentazione". Per quanto riguarda l'articolo 11 della Convenzione EDU, la Corte costituzionale federale ha ritenuto il divieto di sciopero compatibile con tale disposizione, affermando che era giustificato dalla prima frase dell'articolo 11 § 2. La Corte ha inoltre considerato i ricorrenti come "membri dell'amministrazione dello Stato", ai quali potevano essere imposte restrizioni ai sensi della Convenzione.

I ricorrenti hanno così presentati ricorso alla Corte EDU, invocando la violazione degli articoli 11 (libertà di riunione e di associazione) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in quanto le misure disciplinari nei loro confronti, così come il divieto generale di sciopero per i dipendenti pubblici, non erano previste dalla legge, erano sproporzionate e, rispetto agli insegnanti assunti su base contrattuale, discriminatorie. Inoltre, ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1 (diritto a un equo processo), hanno contestato la Corte costituzionale federale in quanto non aveva preso in considerazione i trattati internazionali pertinenti.

Rispetto alla dedotta violazione dell’Articolo 11, la Corte ha ribadito che la libertà sindacale non è un diritto indipendente, ma un aspetto specifico della più generale libertà di associazione. Nel corso del tempo tale articolo è stato interpretato nel senso di includere tra i suoi come elementi essenziali il diritto di formare e aderire a un sindacato, il divieto di accordi di chiusura, il diritto di un sindacato compiere azioni di rappresentanza delle istanze dei suoi membri e il diritto alla contrattazione collettiva. 

Finora non è stato ancora chiarito se il divieto di sciopero incida su uno degli elementi essenziali della libertà sindacale. Per rispondere a tale questione, la Corte ha considerato l'insieme delle misure adottate dallo Stato convenuto per garantire la libertà sindacale e i mezzi e i diritti alternativi concessi ai sindacati e ai loro membri per difendere i propri interessi. Ha preso in considerazione altri aspetti delle relazioni di lavoro, come la contrattazione collettiva, le specificità del settore interessato e le particolari posizioni dei lavoratori. In ogni caso, il margine di discrezionalità ("margine di apprezzamento") concesso allo Stato in tale materia è limitato. Nel caso di specie, la Corte ha valutato che i ricorrenti avevano subito provvedimenti nei loro confronti a causa della loro partecipazione a scioperi durante l'orario di lavoro. In quanto tali, queste misure avevano costituito un'interferenza con la loro libertà di associazione. 

Le misure si basavano sull'articolo 33, paragrafo 5, della Legge fondamentale e sulle parti pertinenti delle leggi sullo statuto dei dipendenti pubblici e delle leggi sui dipendenti pubblici dei diversi Länder. La Corte costituzionale Federale ha costantemente interpretato la Legge Fondamentale nel senso che essa sancisce il divieto di sciopero per tutti i dipendenti pubblici. La restrizione era quindi prevista dalla legge. 

Inoltre, l'argomentazione del Governo, secondo cui la restrizione allo sciopero dei dipendenti pubblici doveva garantire il mantenimento di un'amministrazione stabile, l'adempimento delle funzioni statali e il corretto funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni, è stata ritenuta dalla Corte una finalità legittima. 

Rispetto alla valutazione della proporzionalità della misura, la Corte ha in via preliminare riconosciuto che il divieto di sciopero per i dipendenti pubblici, compresi gli insegnanti con tale status, era assoluto e poteva essere qualificato come una restrizione “severa”. La Corte ha inoltre osservato che l'approccio della Germania di vietare gli scioperi a tutti i dipendenti pubblici, come i ricorrenti, non era in linea con la tendenza internazionale. Gli organismi internazionali di controllo istituiti nell'ambito degli strumenti internazionali specializzati avevano ripetutamente criticato tale divieto basato sul mero status di dipendente pubblico. Senza mettere in discussione l'analisi effettuata da tali organismi, la Corte ha ribadito che il suo compito era quello di determinare se la legge nazionale applicabile ai ricorrenti fosse proporzionata, come richiesto dall'articolo 11 § 2 della Convenzione, essendo la sua giurisdizione limitata alla Convenzione e non si estendeva alle norme di diritto internazionale del lavoro. 

Venendo quindi alla valutazione di merito, la Corte ha osservato che lo sciopero è una parte importante dell'attività sindacale, ma non è l'unico mezzo a disposizione dei sindacati e dei loro membri per tutelare i propri interessi. I dipendenti pubblici tedeschi potevano formare e aderire ai sindacati, e molti dipendenti pubblici, tra cui i ricorrenti, si avvalevano di tale diritto. I sindacati dei dipendenti pubblici avevano il diritto di partecipare per legge alla stesura dei regolamenti del pubblico impiego. La Corte ha osservato che nessuna delle altre Parti contraenti prevedeva diritti analoghi di partecipazione sindacale al processo di fissazione delle condizioni di lavoro come mezzo per compensare il divieto di sciopero dei lavoratori interessati. Inoltre, i dipendenti pubblici hanno il diritto costituzionale di ricevere un "mantenimento adeguato", commisurato al loro grado e alle loro responsabilità e in linea con l'evoluzione delle circostanze economiche e finanziarie prevalenti e del tenore di vita generale (il "principio di alimentazione"), che possono far valere in tribunale. La varietà di tutele istituzionali, nel loro complesso, ha permesso ai sindacati dei dipendenti pubblici e ai dipendenti stessi di difendere efficacemente i propri interessi. L'alto tasso di sindacalizzazione dei dipendenti pubblici tedeschi dimostra l'efficacia pratica dei diritti sindacali garantiti ai dipendenti pubblici. Il divieto di sciopero non ha reso la libertà sindacale dei dipendenti pubblici priva di sostanza. 

Inoltre, le misure disciplinari adottate nei confronti dei ricorrenti non erano state severe e avevano perseguito l'importante obiettivo di garantire la tutela dei diritti sanciti dalla Convenzione attraverso un'amministrazione pubblica efficace (nel caso specifico, il diritto all'istruzione). 

Rispetto al controllo giurisdizionale ex post, la Corte ha ritenuto che i tribunali nazionali avessero addotto motivazioni pertinenti e sufficienti per giustificare tali misure, ponderando gli interessi in gioco e tenendo conto della giurisprudenza della Corte europea nel corso dell'intero procedimento interno. Le effettive condizioni di impiego degli insegnanti con lo status di dipendenti pubblici in Germania hanno ulteriormente favorito la proporzionalità delle misure impugnate nel caso di specie, così come la possibilità di lavorare come insegnanti della scuola pubblica con lo status di dipendenti statali con diritto di sciopero. La Corte ha quindi concluso che le misure adottate nei confronti dei ricorrenti non avevano oltrepassato il margine di apprezzamento dello Stato ed erano state proporzionate agli importanti obiettivi legittimi perseguiti. Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che non vi è stata alcuna violazione dell'articolo 11.

Rispetto alla lamentata violazione dell’articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 11, la Corte ha ritenuto che i ricorrenti non avessero sollevato una denuncia di discriminazione davanti alla Corte costituzionale federale. Poiché i tribunali nazionali dovevano prima avere la possibilità di rispondere a questa denuncia, questa parte del ricorso era quindi irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Per quanto riguarda la lamentata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, invece, la Corte europea ha dichiarato i reclami inammissibili, in quanto la Corte costituzionale federale aveva tenuto conto del diritto del lavoro internazionale e delle loro argomentazioni relative al diritto di sciopero dei dipendenti pubblici.

[**]

Chiara Buffon, esperta giuridica presso l'Ufficio dell'Agente del Governo, PhD Diritto Pubblico ind. Penale Università di Roma Tor Vergata

Alessandro Dinisi, esperto giuridico presso l'Agente del Governo, PhD Diritto Privato Università di Pisa

Giulia Battaglia, dottoressa di ricerca in Scienze giuridiche, Giustizia costituzionale e diritti fondamentali dell’Università di Pisa

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