Magistratura democratica
Giurisprudenza e documenti

Tutela penale del risparmio

di Fabio Di Vizio
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia
Forme di repressione degli abusi nell'erogazione del credito e nella gestione degli investimenti

L’entrata in vigore del nuovo sistema di prevenzione e gestione delle crisi delle banche e delle imprese di investimento in attuazione della direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) offre l’occasione di riconsiderare le tecniche di prevenzione e repressione penale sinora adottate nella materia della tutela del risparmio e degli investimenti. 

Se l’ispirazione del nuovo sistema civile è quella di offrire strumenti regolatori delle crisi bancarie più efficaci e flessibili, utilizzando risorse del settore privato, evitando che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti e riducendo gli effetti negativi sul sistema economico, non pare che l’applicazione di una procedura come il bail in (artt. 48-59 d.lgs. n. 180/2015) possa considerarsi irrilevante sull’assetto vigente dell’ordinamento penale.

In particolare, il rischio che il sacrificio del risanamento e della crisi bancaria debba essere sostenuto anche dai creditori dell’ente in dissesto (possessori di obbligazioni subordinate o di depositi per l’importo che sopravanza i 100 mila euro), parificati, sia pure in via progressiva e subordinata, ai proprietari, pare una novità significativa, quantomeno da non trascurare. Tanto più che il legislatore europeo ha adottato il cosiddetto “approccio legale”, per cui queste misure si applicano anche agli strumenti già emessi e dunque già posseduti da risparmiatori ed investitori. Il mutamento di scenario per questi ultimi, quindi,  intervenuto dopo che essi avevano realizzato le loro scelte,  giustifica almeno la riflessione sul modo in cui il diritto penale tutela realmente i loro  interessi e le loro aspettative. 

La disamina proposta nello scritto rende manifesto come il nostro sistema penale societario non consideri attualmente il conflitto di interessi mal gestito di per sé meritevole di sanzione. L’edificazione delle fattispecie, infatti, non prescinde mai dall’elemento del danno, che assume contenuti per lo più patrimoniali, in ogni caso valutabili in termini economici, rifuggendo da reati di pericolo. 

Lo studio esamina accuratamente  gli estesi  limiti e le ridotte possibilità di tutela offerte per investitori e risparmiatori dall’ordinamento penale in relazione al forme di infedeltà gestoria grave, sovente organizzata con la precisa consapevolezza dei limiti dell’indagine penale e del processo.

La “scoperta” è  che nei reati societari passati in rassegna la tutela degli interessi dei risparmiatori e degli investitori non professionali trova limitatissimo spazio e comunque una protezione riflessa. Inoltre, notevoli solo le difficoltà applicative dei reati societari astrattamente invocabili (art. 2629-bis, 2634 e 2635 c.c.) come di quelli bancari (art. 136 e 137 del d.lgs. n. 385/1993) o legati alla gestione infedele negli investimenti (articoli 167 e 168 d.lgs. n. 58/1998).   

Alla fine, resta quel poco che può essere garantito dai reati patrimoniali comuni della appropriazione indebita e della truffa, o ancora, dai reati fallimentari. Fattispecie penali costruite su meccanismi comuni ed evidenze basilari, che sovente emergono in fasi avanzate della compromissione dell’integrità degli operatori. Come confermato dalla loro operatività,  per lo più, in presenza di danni consumati, con il rischio di “poter poco” a fronte di macerie finanziarie estese.

In queste condizioni può dirsi stabile l’inefficacia dell’intervento repressivo penale, anzitutto per la scelta di non dotare il sistema di fattispecie di pericolo, diversamente dal modello francese incentrato sin dal 1935 sulla rilevanza penale dell’abuso dei beni, del credito e dei poteri da parte dei gestori societari, peraltro non solo in presenza di interessi di rilevanza pubblica, come quelli dei risparmiatori e degli investitori.

Raccogliendo alcuni degli sforzi interpretativi della Corte di legittimità, più che alzare l’entità delle pene edittali di reati congegnati sin dalla formulazione normativa in maniera da non essere realisticamente perseguibili, converrebbe cominciare a riflettere sull’opportunità di presidiare penalmente il patrimonio degli enti che gestiscono fondi altrui o da rimborsare, secondo un modello autenticamente lealistico, con abbandono delle forme di simbolismo penale sinora preferite.

 
29/01/2016
Altri articoli di Fabio Di Vizio
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.