Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

Salvare il soldato Romano

di Domenico Gallo
già presidente di sezione della Corte di cassazione
Una grazia senza giustizia all’ombra di un intrigo internazionale
Salvare il soldato Romano

Il 5 aprile il Presidente Napolitano ha adempiuto ad un impegno assunto sul piano internazionale che non si poteva declinare: salvare il soldato Romano.

E' difficile trovare qualche altra spiegazione che possa giustificare l'inusitata concessione della grazia  ad un imputato (il colonnello Joseph L. Romano III) condannato alla pena di anni sette di reclusione, che, non solo non ha scontato neanche un giorno di carcere, ma non ha mai manifestato alcun rammarico per il reato di sequestro di persona da lui commesso in concorso con agenti della CIA e personale del SISMI.

Sull’esercizio del potere di grazia, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 200/2006, così si è espressa:

Orbene, deve ritenersi, al riguardo, che l’esercizio del potere di grazia risponda a finalità essenzialmente umanitarie, da apprezzare in rapporto ad una serie di circostanze (non sempre astrattamente tipizzabili), inerenti alla persona del condannato o comunque involgenti apprezzamenti di carattere equitativo, idonee a giustificare l’adozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempre sull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le garanzie formali e sostanziali offerte dall’ordinamento del processo penale.

La funzione della grazia è, dunque, in definitiva, quella di attuare i valori costituzionali, consacrati nel terzo comma dell’art. 27 Cost., garantendo soprattutto il «senso di umanità», cui devono ispirarsi tutte le pene, e ciò anche nella prospettiva di assicurare il pieno rispetto del principio desumibile dall’art. 2 Cost., non senza trascurare il profilo di «rieducazione» proprio della pena.

Nel caso di specie è fin troppo evidente che la concessione della grazia, non è ascrivibile a motivazioni umanitarie o all'apprezzamento per il ravvedimento dimostrato dal condannato. Tale atto, pertanto, non può trovare altra spiegazione che non sia una ragione di Stato collegata ad esigenze di natura internazionale, ovvero ad obblighi assunti in sede internazionale.

Quello che lascia perplessi è che il potere di concedere la grazia venga esercitato come estrema ratio, dopo aver cercato in tutti i modi di sbarrare la strada al controllo di legalità esercitato in modo indipendente dall'autorità giudiziaria, cioè l'esercizio della grazia contro la giustizia.  

Dal comunicato emesso dal Quirinale traspare in modo evidente l'irritazione per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di un alto ufficiale della NATO e si dà notizia di un inusitato D.P.R.  con il quale è stato modificato un decreto del 2 dicembre 1956, portante il regolamento relativo   all'applicazione dell'articolo VII della Convenzione di Londra del 1951 che regola lo status delle Forze Armate dei paesi membri della NATO. Questo decreto, in pratica, stabilisce che, su richiesta del paese d’origine, il Ministro della Giustizia può rinunziare alla giurisdizione italiana “ in  ogni  stato  e  grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza”. (il testo precedente prevedeva che la richiesta  di rinunzia alla giurisdizione “non può  essere  fatta dopo che sia stato notificato all’imputato il decreto di citazione per il dibattimento di primo grado”).

In pratica, con questo decreto, la giurisdizione italiana sventola bandiera bianca nei confronti dei reati comuni commessi dai militari della NATO di stanza in Italia ed è singolare che un atto di così grave rilevanza politica sia stato deliberato l'8 marzo 2013 dal Consiglio dei Ministri di un Governo in carica per l'ordinaria amministrazione e che nel comunicato del Quirinale venga presentato come un atto dettato dalla necessità di adeguare il vecchio regolamento del 1956 all’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1988.

L’effetto di questa nuova normativa non è quello di adeguare il regolamento al “nuovo” codice di rito, ma di attribuire al potere politico la facoltà di decidere se e quando intervenire, per bloccare la giurisdizione, alla luce delle decisioni assunte in primo e secondo grado, eventualmente vanificando lavoro e decisioni della A.G. alla vigilia del giudizi di legittimità ed a seconda del gradimento politico delle sentenze di merito.

Il comunicato del Quirinale lascia intendere che, se questo provvidenziale decreto fosse stato approvato prima, il Governo italiano avrebbe certamente rinunciato alla giurisdizione italiana e salvato il soldato Romano dalle grinfie della magistratura italiana. Del resto l'insofferenza del Governo italiano, che ha cercato in tutti i modi di sbarrare la strada all'autorità giudiziaria per i procedimenti penali avviati a seguito del sequestro di Abu Omar, è certificata da ben sei conflitti di attribuzione sollevati nei confronti di autorità giudiziarie varie, da ultimo contro la  Cassazione, alimentati dall'uso strumentale del segreto di Stato, apposto persino sulla confessioni di alcuni imputati.

Tuttavia la tesi sostenuta dal Quirinale che il colonnello Romano avrebbe potuto godere della rinuncia alla giurisdizione italiana, qualora il D.P.R. in questione fosse stato approvato prima della sua condanna definitiva, è in palese contraddizione con il principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 19 settembre 2012 con la quale è stata confermata la condanna del colonnello Romano e di altri 22 agenti americani.

La Cassazione, infatti, ha respinto la tesi che nel caso dell’illecito penale commesso dall’ufficiale della NATO potesse ricorrere l’ipotesi della giurisdizione concorrente, essendo il fatto (rapimento di una persona in esecuzione di un ordine di extraordinary rendition) previsto come reato soltanto dalla giurisdizione italiana.

Non essendovi giurisdizione concorrente, secondo la Cassazione, non è nemmeno astrattamente ammissibile l’ipotesi che l’Italia potesse rinunciare alla propria giurisdizione in favore di quella degli Stati Uniti.

Ovviamente i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione possono essere liberamente apprezzati ed anche criticati e contestati sul piano culturale o “scientifico”, ma un organo costituzionale può motivare un proprio atto adottando un’interpretazione contraria ai principi di diritto espressi, in via definitiva, nel caso concreto dalla Corte di Cassazione?

C’è un ulteriore aspetto di questa vicenda che deve essere esaminato. Con la sentenza della Cassazione è divenuta definitiva la condanna nei confronti di 23 cittadini americani che hanno compiuto un’azione illecita in Italia operando come agenti del loro governo.

Per quale motivo la grazia è stata concessa con grande precipitazione ad un alto ufficiale della NATO e non (almeno non ancora!) agli altri 22 agenti della Cia?  

In che cosa differisce la posizione di un ufficiale della NATO rispetto a quella degli altri cittadini stranieri coindagati?

Per trovare una risposta a questo interrogativo occorre addentrarsi nei meandri dei segreti di Stato che sono stati seminati lungo il percorso dell’autorità giudiziaria.

È noto che, nel corso dell'istruttoria preliminare, e a seguito di un'eccezione sollevata dall'indagato, generale Nicolò Pollari, che faceva genericamente riferimento ad atti coperti da segreto, la procura di Milano interpellava, in data 18 luglio 2006, il Ministro della difesa e la Presidenza del Consiglio dei ministri con altrettanto generico quesito.

     Con tale missiva la procura della Repubblica richiedeva al Ministro della difesa «la trasmissione di ogni comunicazione o documento eventualmente trasmessi a quel Ministero - o dal Ministero trasmessi al Direttore del SISMI o ad altri eventuali destinatari - concernenti il sequestro in oggetto indicato o le vicende (...) che lo hanno preceduto, o in generale tutti i documenti, informative o atti relativi alla pratica delle cosiddette renditions (con tale termine intendendosi sequestri e trasferimenti di sospetti terroristi al di fuori delle procedure legali)».

     Con altra missiva, pure del 18 luglio 2006, la procura di Milano richiedeva al Presidente del Consiglio, «nella ipotesi in cui gli atti, documenti o informative richiesti - al Ministro della difesa - fossero effettivamente esistenti e gravati dal segreto di Stato, di valutare l'opportunità di revocarlo».

     Con missiva del 26 luglio 2006, il Presidente del Consiglio dei ministri, onorevole Prodi, testualmente affermava: «Con lettera in data 18 luglio 2006, prot. n. 10838/05.21, la S.V. ha chiesto al Ministro della difesa la trasmissione di ogni comunicazione o documento eventualmente trasmessi a quel Ministero - o dal Ministero trasmessi al Direttore del SISMI o ad altri eventuali destinatari - concernenti il sequestro in oggetto indicato o le vicende sopra descritte che lo hanno preceduto, o in generale tutti i documenti, informative o atti relativi alla pratica delle cosiddette renditions. Su tale premessa, la S.V. chiede con lettera in pari data al Presidente del Consiglio dei Ministri, "nella ipotesi in cui su tali atti, documenti o informative, ove effettivamente esistenti, gravasse il segreto di Stato, di valutare l'opportunità di revocarlo". Sentito in proposito il Ministro della difesa, rilevo che su detta documentazione risulta effettivamente apposto il segreto di Stato dal precedente Presidente del Consiglio dei ministri; il segreto è stato successivamente confermato dallo scrivente».

La Presidenza del Consiglio dei ministri, quindi, ha opposto l'esistenza del segreto di Stato in ordine a «documenti, informative o atti relativi alla pratica delle cosiddette renditions», senza specificare in che cosa consistano e quali siano i documenti, le informative e gli atti che si riferiscono alla pratica delle «renditions».

Questo significa che esistono atti e documenti coperti da segreto relativi alla pratica, posta in essere dalla CIA specialmente sotto la Presidenza Bush, di catturare e trasferire i sospetti terroristi al di fuori delle procedure legali e delle regole dell'habeas corpus.

Ciò costituisce una conferma indiretta di quanto denunziato dall'onorevole Dick Marty, rapporteur dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa che, nel II rapporto sulle detenzioni segrete e trasferimento segreto di detenuti che coinvolgono Stati membri del Consiglio d'Europa, reso noto in data 7 giugno 2007, fa esplicito riferimento all'esistenza di accordi segreti fra gli Stati Uniti d'America e Paesi europei membri della NATO, riguardanti proprio la collaborazione degli Stati europei alla pratica delle «renditions» posta in essere dalla CIA, che sarebbero stati stipulati in occasione del Consiglio atlantico del 4 ottobre 2001.

Quindi se nel Consiglio Atlantico del 4 ottobre 2001 sono stati stipulati degli accordi semplificati in forma segreta sulle c.d. renditions, l'attività per cui è stato condannato il colonnello Romano, in un certo senso rientrava nelle missioni della NATO.

Se alcuni paesi europei membri della NATO, fra cui l’Italia, hanno accettato segretamente di collaborare con la pratica delle extraordinary renditions, cioè a concorrere a quei fatti che lo Statuto di Roma della Corte Penale internazionale, all’art. 7, definisce “sparizione forzata di persone” includendoli fra i crimini contro l’umanità, è evidente che gli Stati Uniti non possono accettare che gli ufficiali della NATO vengano perseguiti per tali attività.

Questo spiega perchè gli americani siano stati così furenti per l'incriminazione in Italia di un ufficiale NATO e questo spiega anche la precipitazione di Napolitano a concedere la grazia: il rischio che gli alleati rovesciassero il tavolo scoprendo gli altarini degli accordi segreti era troppo alto!

03/05/2013
Altri articoli di Domenico Gallo
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.