Magistratura democratica
Magistratura e società

Ricordando mio padre, Franco Bile

Un ricordo del figlio a un mese dalla scomparsa

Mio padre ha concluso la sua vita terrena la sera del 29 aprile 2022, a 93 anni, serenamente, nel mio abbraccio. 

Franco Bile è stato ricordato dai colleghi e dagli amici. Ringrazio ognuno per aver saputo trovare le parole più belle per descriverne l’alto profilo professionale e le qualità umane. 

Le poche righe che seguono sono i ricordi di un figlio. Vicende minori, se vogliamo, raccontate così come viene. Scelte, tra le tante che hanno accompagnato la sua lunga storia di magistrato, per raccontare dell’esempio, caro e prezioso, lasciatomi da un uomo dotato di un’incredibile forza creativa, espressione armonica di intelligenza e sensibilità.

Papà, secondo i progetti della famiglia, sarebbe dovuto diventare un Ammiraglio. Suo padre, perso a soli dieci anni, era un militare. Il nonno e due zii generali dell’esercito. Sulla mensola della mia libreria “naviga” ancora la piccola flotta di navi da guerra che, alla fine degli anni ’30, gli venne regalata perché crescesse con la consapevolezza del futuro che gli era stato assegnato. Ma dopo il liceo classico e la laurea con lode in giurisprudenza, raccolta la vita tra le mani, si diresse altrove, iniziando a tracciare, passo dopo passo, un altro sentiero. Frequentò la scuola di Guido Capozzi, condividendo studio e speranze con un gruppo di coetanei, alcuni dei quali destinati a lasciare un’impronta indelebile nella sua vita affettiva, oltre che nella giurisprudenza italiana. Insieme presero il treno da Napoli. Tutti a Roma, per andare a sostenere le prove scritte del concorso in magistratura nelle aule del Palazzo degli esami di via Induno. Alla consegna degli elaborati seguì un’estate segnata da un sentimento misto di fiducia e preoccupazione. Papà era convinto di ciò che aveva scritto nel tema di diritto civile, ma la sua umiltà lo portava a fidarsi del commento di un collega più anziano al quale aveva fatto leggere la minuta (allora il candidato poteva tenere con sé la brutta copia). Si classificò al primo posto con il massimo dei voti. Il collega riconobbe l’errore e la loro amicizia ne uscì rinvigorita.

Tra i miei ricordi diretti, c’è una sera in cui tornavamo in macchina dal mare, genitori e figli. Mio padre annunciò a me e a mio fratello la decisione, presa insieme all’amico di sempre Andrea Vela, di partecipare al concorso per la nomina a consigliere di cassazione (aveva già superato quello per l’appello qualche anno prima). In modo pacato, come sempre, ci chiese se fossimo disposti a dare il nostro contributo. Ci guardammo sorpresi. Non capivamo come avremmo potuto sostenere il progetto. Ma il dubbio fu subito sciolto. Ci domandava di limitare per un po’ l’ascolto di musica rock a tutto volume (solo una parete divideva la nostra camera e il suo studio). Inutile dire che lo facemmo con tutto il cuore. Nei mesi che seguirono, l’atmosfera in casa ricordava quella di una biblioteca. Papà e Andrea facevano le ore piccole, riempendo foglietti di schemi e appunti. Che tenerezza, negli anni, ritrovarne ogni tanto qualcuno, per caso, tra le pagine dell’enciclopedia giuridica. L’esame andò bene (e noi, felicissimi, festeggiammo rialzando al massimo il volume della musica e dell’adolescenza!).

Riaffiorano alla memoria i viaggi familiari e i momenti in due, trascorsi a bighellonare per Roma la domenica mattina, scoprendo chiese, monumenti e angoli suggestivi o visitando musei e pinacoteche. Poi le attività manuali. In tempo di guerra aveva imparato a costruire i giocattoli con il legno (navi e soldati, ovviamente). Avrò avuto circa otto anni quando mi regalò l’attrezzatura essenziale e mi iniziò a quest’arte. Nella costruzione applicava il criterio del massimo risultato con il minimo sforzo. Faceva ciò che occorreva, ma nulla di più, ritenendo che ogni esubero fosse controproducente. Intuivo già allora che si trattava di una visione della vita. Anni dopo l’avrei ritrovata anche nei contenuti e nelle forme delle sue sentenze. 

Un’altra immagine riguarda il momento in cui decisi di cambiare mestiere e diventare magistrato. Stavo per compiere ventisette anni e vivevo già da solo da più di cinque. Alle spalle un percorso di studio completamente diverso e un lavoro redditizio. Comprensibilmente, la mia idea apparve a molti bizzarra e irrealizzabile. Ma non a lui. La sera che lo andai a trovare per metterlo a parte della cosa esordì scherzando: «guarda che per fare il concorso ci vuole la laurea in giurisprudenza». Poi un gesto semplice, intenso. Tirò fuori dalla libreria il suo vecchio “Manuale di diritto privato” di Andrea Torrente e me lo consegnò: «tieni, guardalo, leggi qualcosa e vedi se ti piace». «Se ti piace». In queste parole c’è il sentimento con cui papà ha vissuto e la prima, grande, lezione per un aspirante magistrato: la passione. Lui era così, amava in modo lieve, discreto. Una presenza a volte silenziosa, ma attenta e costante. 

Con papà siamo stati anche amici, amici veri. Essere diventato magistrato ci ha dato un’occasione in più per condividere. C’è un episodio in particolare che ha molto significato per me. Lo racconto nella consapevolezza che è un’impresa ardua per le mie capacità descrittive provare a condividere una sensazione, più che un fatto. 

Fine degli anni ’90. La sera prima della storica decisione scolpita nella sentenza n. 500 del 1999. In cucina, davanti a una mozzarella di bufala, si parlava, come sempre, di ogni cosa. La conversazione inclina sulla risarcibilità degli interessi legittimi. Ma poi si estende, abbraccia temi più ampi. Ad un tratto mi dice: «la verità, figlio mio, è che in diritto si può dire tutto, ma a un certo punto è la Storia che cambia. E’ una cosa che si sente, una sensazione che si avverte. Occorre coglierla e farsene interpreti». Era ispirato, si vedeva. Mentre lo diceva guardava lontano e muoveva le mani, come il navigante che accarezza il vento per orientare la vela.

Nell’ultima lettera che mi ha scritto, e che ha voluto che leggessi solo dopo la sua morte, insieme a tanti pensieri di tenerezza, intimi, familiari, in un breve passaggio ha ricordato: «per anni abbiamo parlato di noi e delle nostre vite, delle vicende del passato e dei progetti per il futuro, di diritto e di politica, a volte con serietà e altre volte (e meno male!) con sorridente leggerezza». 

Ecco, anche questo è mio padre.  

28/05/2022
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