Magistratura democratica
Europa

Lo Stato di diritto, i dilemmi e le ambizioni dell’Europa

di Mariarosaria Guglielmi
Magistrato Segretario presso il Consiglio Superiore della Magistratura
Un richiamo ai principi forti in materia di giustizia, stato di diritto e standard europei, mentre gli Stati Membri sembrano sempre più ripiegati su sé stessi
Lo Stato di diritto, i dilemmi e le ambizioni dell’Europa

«Io credo che dovremmo essere “ambiziosi” quando parliamo di “Stato di diritto” e di diritti fondamentalialmeno quanto l’Europa è “ambiziosa” nel mettere in opera nuovi meccanismi di assistenza finanziariae regole per l’unione monetaria e bancariaPerché banche e budgets sono certamente molto importanti per la nostra economia….ma l’Europa non è solo banche e budgets. È molto di più. E deve essere molto di più, se vogliamo conquistare non solo le “tasche” ma anche il cuore e la mente dei cittadini europei. Ecco perché è così importante creare un nuovo meccanismo per tutelare lo Stato di diritto».

Viviane Reding - Vice Presidente della Commissione Europea e Commissario UE per la Giustizia.

Con l’invito a fare scelte coraggiose, che mettano al centro della politica europea la democrazia e i diritti dei cittadini, il commissario Reding ha concluso il discorso sull’Unione Europea e lo “Stato di diritto”pronunciato il 4 settembre 2013 al Centre for European Policy Studies(“The EU and the Rule of law. What next?”).

L’intervento raccoglie e sviluppa le indicazioni provenienti dal dibattito in corso da tempo nelle istituzioni Europee sull’efficacia dei meccanismi di tutela dei principi dello “Stato di diritto” all’interno dell’Unione, e sulla necessità di risolvere il cosiddetto "dilemma di Copenaghen": l'Unione europea, che richiede ai paesi candidati il rispetto dei principi democratici, la tutela e la promozione dei diritti fondamentali (art. 49 del Trattato sull’Unione europea), e ha incluso fra i requisiti di adesionela presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia e lo “Stato di diritto” (il cd. criterio politico, definito dal Consiglio europeo di Copenaghen nel 1993 in vista dell’allargamento dell’Unione a Est), non dispone di strumenti efficaci per prevenire ed affrontare le violazioni dei valori comuni da parte degli Stati membri.

Situazioni di grave minaccia ai diritti fondamentali e allo Stato di diritto che si sono verificate negli ultimi anni all’interno dell’Unione, hanno messo alla prova le Istituzioni europee, rendendo manifesti i limiti dei meccanismi di tutela esistenti e l’urgenza di interventi idonei a potenziarli.

Quale prospettiva deve allora avere una nuova politica dell’Unione in tema di “rule of law”? Quella indicata dal commissario Reding richiede scelte coerenti con i principi declamati nei trattati, e il superamento delle ambiguità che sono alla base del “dilemma di Copenaghen”.

Il “dilemma di Copenaghen” è, anzitutto, un dilemma “concettuale” (v. Policy Department Citizens’ Right and Constitutional Affair “ The triangular relationship between Fundamental rights, Democracy and ruler of law in the EU” Study -2013).

Lo “Stato di diritto” è uno dei valori posti a fondamento dell’Unione e della sua azione esterna (artt. 2 e 21 del TUE) ma l’esatta definizione del principio, richiamato dal Trattato UE e dalla Carta dei diritti fondamentali, è controversa poiché strettamente connessa all’assetto e all’evoluzione storica degli ordinamenti nazionali e alle diverse tradizioni giuridiche, che l’Unione si è impegnata a rispettare (artt. 4 c. 2 TUE, 67 c. 1 TFEU): alla concezione dello Stato di diritto - espressione della sovranità statale si fa appello in contrapposizione al principio del primato del diritto europeo; in nome dell’identità nazionale si rivendica l’insindacabilità delle scelte che riguardano l’assetto costituzionale e l’equilibrio fra i poteri negli stati membri.

La creazione di un nuovo e più efficace meccanismo di tutela dello Stato di diritto richiede che si affermi una visione europea dei valori e dei principi costituzionali e giuridici comuni, che l’Unione deve assumere a parametri di valutazione della “continuità” dell’azione degli Stati membri con i criteri di Copenaghen.

Due passaggi di particolare interesse su questo punto si colgono nel discorso della Reding.

Il principio di “legalità”, espressione dello Stato di diritto in tutti gli ordinamenti nazionali, deve essere inteso come garanzia non solo dell’applicazione e dell’osservanza della legge,  ma anche dello “spirito” della legge: nella visione europea dello Stato di diritto, il principio di legalità è a presidio dei diritti fondamentali, che diventano il parametro di valutazione anche di scelte compiute nel rispetto della “legalità” formale.

- L’indipendenza dei sistemi giudiziari,  sancita dall’47 della Carta Europea dei diritti fondamentali e dall’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, è componente essenziale della visione europea dello Stato di diritto: riforme ed interventi con ricadute sui requisiti di indipendenza e di imparzialità di un sistema giudiziario non appartengono al “dominio riservato” del singolo Stato membro,  ma riguardano l’Unione nel suo complesso e ciascuno degli Stati che ne fa parte.

Il ruolo della giurisdizione nella Comunità europea, costruita “con la  forza dello Stato di diritto e non con quella di un esercito o di una polizia comune”, è stato descritto dalla Corte di Giustizia nella sentenza Les Verts ( C- 294/83 del 1986), che ha per la prima volta definito il significato di “Comunità basata sullo stato di diritto”: “né gli Stati che ne fanno parte, né le sue Istituzioni sono sottratte al controllo della conformità dei loro atti alla Carta costituzionale di base costituita dal trattato”; i trattati hanno per questo previsto un “sistema completo di rimedi giuridici e di procedimenti inteso ad affidare alla Corte di Giustizia il controllo di legittimità degli atti delle istituzioni”; attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, i giudici nazionali contribuiscono al controllo di legittimità, operando come “Tribunali locali” dell’Unione.

Con i trattati di Maastricht, Amsterdam, Nizza e Lisbona ha assunto crescente rilevanza la conformità degli Stati membri ai principi dello Stato di diritto e, parallelamente, la progressiva integrazione fra i sistemi giudiziari nazionali in vista della realizzazione dello “spazio comune di libertà, giustizia e sicurezza”.

In questa nuova “dimensione” si richiede reciproca e piena fiducia di tutti cittadini e delle istituzioni nazionali nell’osservanza, da parte di ogni Stato membro e in ogni Stato membro, dei valori e dei diritti fondamentali richiamati dall’art. 2 del Trattato UE, e l’indipendenza dei sistemi giudiziari, la qualità e l’efficienza delle giurisdizioni nazionali sono condizioni necessarie per il corretto funzionamento dell’Unione.

Perché la tutela dello Stato di diritto è oggi una priorità per l’Unione? L’intervento del commissario Reding mette in luce le debolezze che la politica dell’Unione ha dimostrato in tema di rule of law, richiamando gli eventi di crisi dello Stato di diritto che le istituzioni europee hanno dovuto affrontare in concomitanza con il sopraggiungere della crisi economica.

Non eventi isolati, ma situazioni che hanno assunto la natura di “violazione sistemica”, per la gravità della minaccia arrecata a diritti fondamentali o alla stabilità delle istituzioni democratiche: le espulsioni delle popolazioni Rom in Francia nell’estate del 2010; le numerose riforme adottate in Ungheria, a partire dal 2011, che hanno suscitato allarme per le ricadute sull’indipendenza del sistema giudiziario, sulla Corte Costituzionale e sui diritti fondamentali; la crisi determinata in Romania nell’estate del 2012 dall’adozione di una serie di misure urgenti da parte del governo, che hanno alterato gli equilibri costituzionali e comportato, fra l’altro, una restrizione delle competenze della Corte Costituzionale.

La Commissione Europea ha reagito, talvolta con richiami severi, altre volte – ricorrendone i presupposti- con le procedure di infrazione, favorendo il graduale ripristino delle condizioni minime di legalità: in Francia e altrove è stata cambiata la legge sulla libertà di movimento e tutti gli Stati membri hanno poi adottato il primo strumento giuridico a livello dell’UE sulla integrazione dei Rom; l’Ungheria ha rispettato la decisione con la quale la Corte di Giustizia nel novembre 2012 ha stabilito la non conformità al diritto europeo dei provvedimenti sul collocamento a riposo obbligatorio per i giudiciche avevano compiuto i 62 anni (sentenza C-286/12) e ha modificato le leggi cardinali sul potere giudiziario, attuando in parte le raccomandazioni della Commissione di Venezia relative all’organizzazione e all’amministrazione dei Tribunali e allo status giuridico dei magistrati; in Romania, l’intervento della Commissione ha consentito di ripristinare l’autorità della Corte Costituzionale, e di porre fine ai conflitti istituzionali.

Superata l’emergenza, sono rimaste le criticità riscontrate rispetto al funzionamento dell’unico specifico meccanismo di tutela dello Stato di diritto previsto dai trattati: l’art. 7 del TUE  disciplina una “procedura d’allerta” finalizzata alla  “constatazione” dell’esistenza di “un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art. 2”, e una procedura sanzionatoria, per la “constatazione”  dell’esistenza di “ una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’art. 2”, che può portare alla sospensione di alcuni dei diritti derivanti allo Stato dall’applicazione di trattati, compresi i diritti di voto all’interno del Consiglio.

La norma ha un campo di applicazione “orizzontale e generale” poiché copre tutti i settori d’attività degli Stati membri e l’Unione ha facoltà di intervenire anche in caso di violazione in un settore di autonoma competenza di uno Stato membro:  lo scopo è sanzionare violazioni di diritti fondamentali commesse da uno Stato membro che, per la loro gravità,  “rischiano di pregiudicare gli stessi valori fondamentali dell’Unione e della fiducia tra i suoi stati membri,a prescindere dal settore nel quale intervengono” (comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo  Com/2003/0606).

L’art. 7 si è di fatto rivelato uno strumento inutilizzabile e poco efficace, anche nella più gravi situazioni, come quelle che hanno riguardato l’Ungheria: la procedura è complessa; le decisioni sono rimesse a valutazioni discrezionali, che richiedono elevate maggioranze o l’unanimità (la constatazione della situazione di rischio spetta Consiglio, che decide a maggioranza di 4/5; la constatazione dell’esistenza della violazione spetta al Consiglio Europeo, che decide all’unanimità); la gravità delle sanzioni previste ha rappresentato di fatto un incentivo alla sostanziale disapplicazione della norma.

Gli eventi di crisi dello Stato di diritto hanno confermato l’ urgente necessità di superare la dicotomia esistente fra il “potere leggero” della persuasione politica e  “l’opzione nucleare” dell’art. 7 (cfr. il discorso del Presidente Barroso nel discorso sullo Stato dell’Unione dell’11 settembre 2012).

Dal dibattito che si è svolto nelle istituzioni europee e al forum Assises de la Justice nel novembre 2013 sono venute chiare indicazioni in questa direzione.

Nella risoluzione del 3 luglio 2013,  che ha approvato il report sulla situazione dei diritti fondamentali in Ungheria (c.d report di MEP Tavares) il Parlamento Europeo ha ribadito la necessità  di risolvere con urgenza il “dilemma di Copenaghen” e ha formulato una serie di “raccomandazioni” alle Istituzioni Europee per la creazione di un nuovo meccanismo di tutela dell’art. 2 TUE, richiedendo  la regolare valutazione di tutti gli Stati membri “in merito al mantenimento delle conformità ai valori fondamentali dell’Unione e ai requisiti della democrazia e dello Stato di diritto” e una più stretta cooperazione tra le istituzioni dell’Unione e gli altri organismi internazionali impegnati nella difesa dello Stato di diritto, come il Consiglio d’Europa   e la Commissione di Venezia.

Nel delineare i principi “guida” di nuovo meccanismo per la difesa dello stato di diritto l’intervento del commissario Reding raccoglie molte delle sollecitazioni contenute nella risoluzione.

Il controllo sull’effettivo rispetto dei principi di democrazia e Stato di diritto va al cuore della “sovranità nazionale”. Nei casi della Francia, dell’Ungheria e della Romania, la Commissione ha agito nell’ambito delle competenze previste dai Trattati e della normativa adottata in base al Trattato; nel caso della Romania, sono stati utilizzati i poteri previsti dal meccanismo di cooperazione e di verifica: le situazioni di crisi affrontate dall’Unione hanno dimostrato che ogni nuovo meccanismo di tutela dello Stato di diritto richiede  una forte “legittimazione”della Commissione, anche rispetto alle altre Istituzioni europee.

Il nuovo meccanismo esige appropriate competenze e conoscenze: l’EU Justice Scoreboard è il primo strumento per una valutazione comparativa dei sistemi giudiziari in relazione alla qualità indipendenza ed efficienza  dei sistemi giudiziari e può essere la base per sviluppare strumenti di azione in diversi ambiti;  il nuovo meccanismo dovrà valorizzare il ruolo dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali e la collaborazione con i networks europei che operano per l’integrazione dei sistemi giudiziari.

Va assicurata la parità di trattamento fra gli stati membri, come richiede l’art. 4 del TUE: il nuovo meccanismo deve essere applicabile in ogni caso di violazione seria e sistemica dello stato di diritto a tutti i paesi membri dell’Unione e la Commissione dovrà dimostrare la stessa attenzione verso tutti i casi di mancato rispetto dell’art. 2, ovunque si verifichino.

Il funzionamento del nuovo meccanismo richiede una stretta cooperazione con il Consiglio d’Europa, che ha sviluppato una particolare capacità di monitorare  il rispetto dei principi dello Stato di diritto avvalendosi della Commissione di Venezia, e ha fornito il suo supporto alla Commissione durante la situazioni di crisi in Ungheria e Romania.

Il percorso indicato dal commissario Reding per la introduzione di un nuovo sistema di tutela dello Stato di diritto prevede due fasi: occorre anzitutto utilizzare in maniera adeguata gli strumenti già previsti nei trattati vigenti, valorizzando il potere di intervento e di “persuasione” della Commissione allorquando si profila il rischio di una situazione di crisi sistemica; nell’ambito di una più ampia riflessione sul futuro dell’Europa, si dovrà in seguito valutare la possibilità di modificare i Trattati ampliando i poteri di monitoraggio e sanzionatori della Commissione. 

In questo ambito l’evoluzione dei trattati può portare a una modifica dell’art. 7 TUE per ridurre la soglia di applicabilità della norma, almeno per la parte relativa alla procedura “d’allerta”; un ruolo diverso può essere attribuito alla Corte di Giustizia, ora competente a pronunciarsi solo sulla legittimità degli atti adottati in base all’art. 7 TUE e sul rispetto delle prescrizioni di carattere procedurale ( art. 269 TUE ), prevedendo una procedura di infrazione per la tutela dell’art. 2 TUE attivata dalla Commissione o da altro Stato membro; il mandato dell’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, oggi circoscritto alle questioni inerenti ai diritti fondamentali  nell’UE e nei singoli stati membri quando attuano il diritto dell’Unione, può essere rafforzato ed esteso all’analisi delle situazioni nazionali.

Il cambiamento più rilevante può essere realizzato  con l’abolizione dell’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali, che delimita il campo di  applicazione della Carta  alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, e  agli Stati membri soltanto quando agiscono nell’attuazione del diritto dell’Unione: ne conseguirebbe la immediata applicabilità in ogni stato membro dei diritti, incluso l’art. 47 della Carta (il diritto ad un ricorso effettivo e a un giudice imparziale), e la Commissione potrebbe attivare una procedura  di infrazione in ogni caso di violazione dei diritti fondamentali da parte degli Stati membri.

Con l’adozione del nuovo quadro giuridico per la difesa dello stato di diritto, presentatodalla Commissione l’11 marzo 2014, è stato realizzato il primo obiettivo: senza modificare i trattati, si è definita una procedura di “preallarme”, finalizzata a rilevare nella fase iniziale le situazioni di rischio per lo Stato di diritto, e a favorirne il superamento attraverso il dialogo con lo Stato membro interessato. E’ uno strumento complementare alla procedura ex art. 7 e a quella di infrazione ex art. 258 TFUE, prevista per i casi di violazione di specifiche disposizioni del diritto dell’Unione e della Carta nei limiti dell’art. 51.

La procedura “pre-articolo 7” si sviluppa in tre momenti: la Commissione raccoglie ed esamina tutte le informazioni necessarie per stabilire se sussista una “minaccia sistemica” allo Stato di diritto; avvia successivamente un dialogo con lo Stato membro, formulando un “parere sullo Stato di diritto”, e valuta le eventuali repliche ai rilievi; nel caso in non ritenga risolta in modo soddisfacente la situazione di rischio accertata, formula una raccomandazione con la quale invita lo Stato interessato a rimuovere le criticità entro un determinato termine e a comunicare i provvedimenti adottati; la Commissioneverifica quindi il rispetto tempestivo e adeguato delle prescrizioni e in caso di inadempimento può attivare la procedura dall’articolo 7 del TUE (follow – up della raccomandazione).

L’adozione del nuovo quadro è stata accompagnata dall’indicazione dei principi essenziali (ancorché non esaustivi) dello “Stato di diritto”, elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte europea dei diritti dell’uomo, e nei documenti del Consiglio di Europa.

La definizione ampia adottata dalla Commissione richiama in particolare quelli enucleati della Commissione di Venezia nel Rapporto sullo stato di diritto (n.512/2009 approvato nell’assemblea plenaria del 25-26 marzo 2011): il principio di legalità, che presuppone una procedura trasparente di adozione delle leggi; il principio della certezza del diritto; il divieto di esercizio arbitrario dei poteri pubblici; il diritto di accesso ad una giurisdizione indipendente, effettiva ed imparziale, che assicuri il rispetto dei diritti fondamentali e la conformità degli atti delle Istituzioni europee ai Trattati, ai principi generali e ai diritti fondamentali; il diritto a un giusto processo, che presuppone e richiede la separazione dei poteri e l’indipendenza del sistema giudiziario;  il principio di eguaglianza di fronte alla legge.

Il nuovo quadro giuridico realizza due importanti obiettivi: esplicita una “visione europea” dello Stato di diritto e dei principi costituzionali e giuridici che ne rappresentano le componenti essenziali; valorizza i poteri di intervento preventivo della Commissione in situazioni che preludono a disfunzioni sistemiche dello Stato di diritto, incluse quelle relative all’ordinamento costituzionale, alla separazione dei poteri e all’indipendenza ed imparzialità dell’ordine giudiziario, non risolte in  maniera adeguata dagli strumenti interni di protezione.

Si tratta di un significativo traguardo verso per l’affermazione del ruolo di promozione e di tutela dello Stato di diritto che spetta alle Istituzioni Europee e verso la costruzione di una più forte identità europea fondata sui valori comuni, che potrà restituire alla politica dell’Unione le più ampie e ambiziose prospettive indicate dal commissario Reding.

 

11/07/2014
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