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Giurisprudenza e documenti

Le Sezioni Unite estendono la tutela dei diritti dei giornalisti pubblicisti che lavorano in subordinazione

di Giorgio Flaim
giudice del tribunale di Trento
Con la sentenza 28 gennaio 2020, n. 1867 le Sezioni Unite, condividendo la soluzione e i passaggi argomentativi dell’ordinanza interlocutoria 24.5.2019, n. 14262, riconoscono ai collaboratori fissi, iscritti nell’elenco dei pubblicisti, che lavorano in esclusività, il potere di stipulare validi contratti di lavoro subordinato

Nel volgere di meno un anno la Suprema Corte ha risolto una questione – oltre che di notevole complessità, necessitando un approfondito esame dei nessi tra fonti legali e disciplina collettiva[1] – di grande rilievo sotto il profilo degli interessi protetti, concernendo l’ambito della libertà negoziale spettante agli iscritti nell’elenco dei “pubblicisti” e, correlativamente, l’individuazione della linea di confine rispetto alle attività riservate agli iscritti nell’elenco dei “giornalisti professionisti”.

Infatti era controverso se un iscritto nell’elenco dei pubblicisti potesse stipulare un contratto di lavoro subordinato avente a oggetto lo svolgimento in modo esclusivo delle mansioni proprie della qualifica di “collaboratore fisso”[2] (è, invece, sempre stata incontestata[3] la sussistenza di tale facoltà nel caso di svolgimento non esclusivo, come è agevolmente desumibile dall’art. 36, ultimo cpv. della nota a verbale[4] CCNL Giornalisti - CNLG[5]).  

La necessità di un coordinamento tra diverse fonti normative deriva già dal fatto che la figura del “pubblicista” e quella contigua di “giornalista professionista” sono nozioni legali (art. 1 L. 3.2.1963, n. 69: “Sono pubblicisti coloro che svolgono attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni o impieghi”; “Sono professionisti coloro che esercitano in modo esclusivo e continuativo la professione di giornalista”), mentre la qualifica di “collaboratore fisso” è prevista dalla contrattazione collettiva (art.2 CNLG: “giornalisti addetti ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa comunque collegati ad aziende editoriali, che non diano opera giornalistica quotidiana purché sussistano continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio[6].

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In una prima pronuncia (Cass. 4.2.2019, n. 3177;) la Suprema Corte ha risolto negativamente la questione, dichiarando nullo per contrarietà a norma imperativa un contratto di lavoro (ritenuto subordinato) che era stato stipulato con l’ editore di un quotidiano da un iscritto nell’elenco dei pubblicisti per lo svolgimento in modo esclusivo delle mansioni di collaboratore fisso (fatta salva la ricorrenza di un’ipotesi ex art. 2126 co.1 cod.civ. di prestazione di fatto con violazione di legge, ma con oggetto e causa leciti).

Alla base di questa decisione vi è l’assunto secondo cui tra il collaboratore fisso che svolge la sua attività in modo esclusivo e colui che riveste la qualifica di redattore ex art. 5 CNLG (la quale può essere attribuita soltanto a iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti) vi è una differenza soltanto di ordine quantitativo (il collaboratore fisso non dà “opera giornalistica quotidiana”, come puntualizza l’art. 2 CNLG) e non anche di carattere qualitativo in punto professionalità[7], atteso che “il know how… è lo stesso”.

Ne consegue che il collaboratore fisso che svolge la sua attività in modo esclusivo deve essere assoggettato al medesimo controllo di qualità cui è sottoposto il redattore e che si realizza esigendo l’iscrizione non solo nello stesso albo, ma anche nello stesso elenco, quello dei giornalisti professionisti (con il possesso, quindi, dei requisiti a tal fine necessari).

Quindi un collaboratore fisso che svolga la sua attività in modo esclusivo deve essere iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti.

Cass. 3177/2019 rinviene una conferma nel disposto ex art. 45 L. 69/1963[8], il quale, a suo dire, identifica la “professione di giornalista”, intesa come attività svolta in via esclusiva (ossia in modo professionale), solamente in quella esercitata dagli iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti (mentre gli iscritti nell’elenco dei pubblicisti possono svolgere l’attività giornalistica anche esercitando “altre professioni o impieghi”, vale a dire anche in via non esclusiva).

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L’ordinanza interlocutoria 24.5.2019, n. 14262 dissente in ordine all’assetto delineato da Cass. 3177/2019 cit. circa il rapporto tra la qualifica di redattore ex art. 5 CNLG e quella di collaboratore fisso ex art. 2 CNLG che svolga la sua attività in modo esclusivo. Infatti ritiene vi sia una diversità non solo quantitativa (afferente la quotidianità dell’ “opera giornalistica” svolta), ma, alla luce di un consolidato orientamento[9], anche qualitativa, in ragione del coinvolgimento del redattore nella cd. “cucina redazionale”, implicante la più ampia elaborazione del prodotto da editare, sotto il profilo della definitiva revisione e selezione degli articoli e sotto il profilo della composizione del giornale da pubblicare, mentre l'impegno del collaboratore fisso si concreta nel redigere con carattere di continuità articoli su argomenti specifici o compilare rubriche.

Quindi è la complessità delle mansioni a rappresentare l’elemento discretivo tra le situazioni in cui sussiste l’obbligo di iscriversi nell’elenco dei giornalisti professionisti (tra cui i redattori[10]) e quelle in cui vi è l’obbligo di iscriversi nell’elenco dei pubblicisti.

Questo assunto appare in armonia con le previsioni che individuano i requisiti necessari ai fini dell’iscrizione nell’uno e nell’altro elenco: il giornalista professionista è tenuto a svolgere un periodo di praticantato (art. 34 L. 69/1963) e a superare una prova di idoneità professionale (art.32 stessa legge); il pubblicista ha l’onere soltanto di documentare, mediante giornali e periodici contenenti scritti a sua firma e certificati dei direttori delle pubblicazioni, di aver svolto attività pubblicistica regolarmente retribuita da almeno due anni (art. 35 stessa legge).

Invece non svolge una funzione selettiva il solo carattere esclusivo dell’attività esercitata perché il contestuale svolgimento (o meno) di altre professioni non incide in modo determinante sulla qualità delle prestazioni di lavoro giornalistico[11]; in particolare, relativamente alla questione controversa, verrebbe disconosciuto il valore discretivo della complessità delle mansioni, se si ritenesse necessaria, ai fini della validità del contratto di lavoro subordinato stipulato dal collaboratore fisso ex art.2 CNLG, l’iscrizione o nell’elenco dei giornalisti professionisti o nell’elenco dei pubblicisti a seconda che l’attività giornalistica sia svolta in via esclusiva o contemporaneamente ad altri impieghi o professioni.

È vero, come si è già ricordato, che l’esclusività dell’attività giornalistica costituisce un requisito necessario degli iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti (art. 1 l. 69/1963), ma ciò non preclude all’ iscritto nell’elenco dei giornalisti pubblicisti di  svolgere l’attività giornalistica che gli è propria senza esercitare altre professioni o impieghi.

Non gli può essere impedito neppure identificando la nozione di professionalità con quella di esclusività, operazione ermeneutica ormai non più consentita dopo la novella dell’art. 45 l. 69/1963 ad opera dell’art. 5 L 26.10.2016, n. 198[12], il quale ha chiarito che non solo l’attività degli iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti, ma anche quella esercitata dagli iscritti nell’elenco dei pubblicisti è sussumibile nella “professione di giornalista[13].

Di contro Cass. ord. 14262/2019 cit. evidenzia l’equivalenza qualitativa tra le mansioni proprie del collaboratore fisso ex art. 2 CNLG (caratterizzate, come si è già ricordato, da “continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio”, pur senza “opera giornalistica quotidiana”) e quelle proprie dell’iscritto nell’elenco dei pubblicisti (costituite da “attività giornalistica non occasionale e retribuita”, anche se con il contestuale esercizio di “altre professioni o impieghi”;).

Quindi conclude in senso diametralmente opposto a Cass. 3177/2019, ritenendo non sia “ravvisabile alcuna ragione logica e giuridica per cui il collaboratore fisso debba necessariamente essere un giornalista professionista e non possa essere un pubblicista, anche ove eserciti di fatto l'attività in modo esclusivo, per scelta o per necessità”.

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Le Sezioni Unite (sent.28.1.2020, n. 1867) hanno condiviso le conclusioni e i passaggi argomentativi dell’ordinanza interlocutoria.

In primo luogo sono opportunamente puntualizzati gli elementi di fatto peculiari della questione controversia (attinente la validità o la nullità del contratto di lavoro subordinato): lo stipulante è un collaboratore fisso ex art. 2 CNLG iscritto nell’elenco dei pubblicisti, che, oltre a possedere i caratteri previsti dalla clausola collettiva (“continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio”), svolge la sua attività con esclusività, vale a dire senza esercitare altre professioni o impieghi[14].

Anche ad avviso delle Sezioni Unite tra la figura del redattore ex art. 5 CNLG e quella di collaboratore fisso ex art. 2 CNLG vi è una “differenza non meramente quantitativa - segnata solo dalla quotidianità della prestazione - ma anche qualitativa, in ragione del maggior apporto professionale richiesto al redattore rispetto al collaboratore fisso”.

Trova così piena conferma la tesi dell’ordinanza interlocutoria secondo cui la scelta dell’autonomia collettiva di esigere che il (solo) redattore (e non anche il collaboratore fisso) sia iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti trova fondamento nella maggiore complessità delle mansioni proprie della qualifica di redattore.

Le Sezioni Unite concordano che su questi stessi presupposti sostanziali si basa anche la distinzione, questa posta dal legislatore, tra giornalista professionista e pubblicista: solo al primo sono richiesti requisiti di natura qualitativa la cui presenza è garantita dalla necessità dello svolgimento di un periodo di praticantato e soprattutto del superamento di un esame (art. 32 e 34 l. 69/1963). Inoltre vi è “compatibilità” tra le peculiarità del collaboratore fisso previste dall’art. 2 CNLG (“continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio”) e quelle caratterizzanti il pubblicista secondo l’art. 1 L. 69/1963 (“attività giornalistica non occasionale e retribuita anche se esercitano altre professioni e impieghi”).

Quindi sia per l’autonomia collettiva che per la legge il criterio discretivo tra il binomio redattore-giornalista professionista e il binomio collaboratore fisso-pubblicista è rappresentato da requisiti attinenti il contenuto intrinseco delle prestazioni svolte.

Di contro, come già ritenuto dall’ordinanza interlocutoria, anche le Sezioni Unite negano abbia valore selettivo l’esclusività delle prestazioni ossia la circostanza che siano svolte senza l’esercizio di altre professioni e impieghi. Infatti, se è vero che, come dispone l’art. 1 L. 69/1963, l’esclusività rappresenta un elemento essenziale della figura del giornalista professionista[15], tuttavia lo svolgimento di altre professioni e impieghi non costituisce un requisito indefettibile del pubblicista; in proposito viene richiamato l’orientamento dottrinale secondo cui il pubblicista “può, ma, evidentemente, non deve svolgere altra attività professionale[16].

Quindi ritengono sia “frutto di un salto logico l'opzione interpretativa secondo cui, ove il collaboratore fisso svolga, per ragioni meramente accidentali ed esterne alla tipologia del rapporto di lavoro, attività giornalistica in via esclusiva, egli diventi per così dire "di fatto" giornalista professionista, con la conseguente necessità della sua iscrizione nel relativo elenco”.

Anche ad avviso delle Sezioni Unite l’obbligo di iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti non può essere imposto ai collaboratori fissi che svolgano in via esclusiva le proprie prestazioni neppure riconducendo la loro attività ad una nozione legale di “lavoro giornalistico” riservata, appunto, agli iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti.

In proposito evidenziano come “la legge non definisce il giornalista, né la professione di giornalista”, sebbene “elementi definitori possono trarsi dalle norme della contrattazione collettiva e dalla legge professionale”.

In ordine alla prima, desumono che sia i giornalisti professionisti (che, ai sensi dell’art. 1 CNLG, prestano “attività giornalistica quotidiana con carattere di continuità e con vincolo di dipendenza”), sia i collaboratori fissi (la cui attività, come già visto, si caratterizza, ai sensi dell’art. 2 CNLG, per “continuità della prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio” anche se non prestano “opera giornalistica quotidiana”) rientrano nella stessa categoria dei giornalisti.

Quanto alle legge professionale (L 63/1969)[17], ritengono che “nella parte in cui include il giornalista professionista e il pubblicista in uno stesso ordinamento, sottoponendoli agli stessi poteri e doveri, mostra di considerare unitariamente la “professione di giornalista[18]”.

Una recente conferma viene rivenuta, come già evidenziato dall’ordinanza interlocutoria, nella novella dell’art. 45 della stessa legge, ad opera dell’art. 5 L. 198/2016, il quale, stabilendo che: “Nessuno può assumere il titolo, né esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine regionale o interregionale competente”, presuppone implicitamente che i giornalisti pubblicisti possiedano e svolgano la professione di giornalista.

Quindi, ad avviso delle Sezioni Unite, “tanto per la contrattazione collettiva quanto per la legge ordinamentale[19], la professione del giornalista è caratterizzata dalla continuatività, da intendersi come sistematicità e abitualità della prestazione, in antitesi alla sporadicità e saltuarietà, nonché dalla onerosità, senza che rilevi l'esclusività o la prevalenza della stessa rispetto ad altre professioni o impieghi”.

Viene evidenziato come questa conclusione sia in piena armonia con la nozione giuridica di “professionalità” ordinariamente utilizzata, che esige, in riferimento sia all’attività d’impresa sia a quella professionale, un esercizio sistematico e abituale, ma non anche esclusivo[20].    

* * *

La ratio decidendi sottesa prima all’ordinanza interlocutoria e poi alla sentenza della Sezioni Unite ha il pregio di individuare il presupposto dell’obbligo di iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti e, corrispondentemente, per i pubblicisti i limiti alla loro libertà di stipulare validi contratti di lavoro subordinato per l’esercizio della propria attività lavorativa, in requisiti concernenti il contenuto intrinseco delle mansioni e non già in una circostanza esterna e talvolta del tutto casuale, qual è il carattere esclusivo della prestazione giornalistica (ossia il mancato svolgimento contestuale di altre professioni o impegni).

Ne discende una soluzione chiara e ragionevole in ordine alla protezione degli interessi che vengono in rilievo: è soltanto la complessità delle prestazioni a giustificare una limitazione della libertà negoziale dei pubblicisti in funzione della tutela dell’interesse generale a che le attività giornalistiche di maggior rilievo, così importanti per un adeguato sviluppo della vita democratica, vengano svolte dai soggetti più preparati.

Inoltre appaiono rispettati i risultati dell’ interpretazione letterale e di quella sistematica da cui è desumibile la mancanza di valore discretivo delle circostanze attinenti al carattere esclusivo della professione di giornalista.

 

 

[1] In un contesto caratterizzato dalla difficoltà di applicare il contratto di lavoro subordinato “ad una prestazione per definizione intellettuale e creativa caratterizzata altresì dal suo essere concreta manifestazione di un principio di libertà costituzionalmente garantito”; così P. Chieco, Qualifiche contrattuali e categorie legali nel lavoro giornalistico: i persistenti dilemmi della giurisprudenza, in Riv. it. dir. lav., .2, 2001, pag. 227, che, richiamando l’art. 4 L. 69/1963(“E' diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”) afferma che il lavoro giornalistico costituisce “concreta manifestazione di un principio di libertà costituzionalmente garantito”; nello stesso senso L.Tebano, Così diversi, così uguali: giornalista e addetto stampa, in Riv.it. dir. lav., 4, 2017, pag. 623.

[2] In riferimento a questa fattispecie G. Giugni (voce Il contratto di lavoro giornalistico, in Enc. Dir., 1973, vol. XXIII, pag. 449), segnalava che “vi sono persone che svolgono attività giornalistica esclusiva e(o) a pieno tempo, senza godere, almeno pienamente, della tutela predisposta dall'autonomia collettiva in favore del giornalista professionista”. Più recentemente P. Campanella, Natura, oggetto e requisiti di validità del contratto di lavoro giornalistico, in Il lavoro nella giurisprudenza, 2008, pag. 691) si è soffermata sul fenomeno che “coinvolge soprattutto lavoratori iscritti nell'elenco dei pubblicisti, impiegati nelle redazioni decentrate dei giornali quotidiani per lo svolgimento di servizi di cronaca locale amministrativa, politica, giudiziaria, sportiva, culturale e dello spettacolo. Formalmente reclutati alla stregua di collaboratori esterni, in forza di una successione di incarichi e con remunerazione commisurata alle singole prestazioni, essi finiscono per inserirsi a pieno titolo nelle redazioni. Qui sono utilizzati in via stabile e continuativa come redattori ordinari, pur se privi dello status di giornalisti professionisti, magari nel disinteresse dei vertici aziendali o comunque con la tacita tolleranza del datore di lavoro, che, consentendovi, realizza un evidente risparmio nei costi del personale”.

[3] Da ultimo, S.D'Ascola, Sul rapporto di lavoro del collaboratore fisso, in Argomenti Dir. Lav., 2017, 6, pag. 1654.

[4]Ai pubblicisti che prestano la loro opera di collaboratori fissi ai sensi dell’art.2 del presente contratto, spetta il trattamento retributivo previsto dall’art.2 e quello normativo previsto dalle lettere a), b) e c) del paragrafo precedente

[5] Il primo dei CCNL giornalisti, stipulato in data 10.1.1959, è stato reso efficace erga omnes con d.P.R. 16.1.1961, n. 153; tuttavia la figura del collaboratore fisso è stata introdotta dal CNLG del 5.5.1985.

[6] La clausola collettiva precisa che: “Agli effetti di cui al comma precedente sussiste:

- continuità di prestazione allorquando il collaboratore fisso, pur non dando opera quotidiana, assicuri, in conformità del mandato, una prestazione non occasionale, rivolta a soddisfare le esigenze formative o informative riguardanti uno specifico settore di sua competenza;

- vincolo di dipendenza allorquando l’impegno del collaboratore fisso di porre a disposizione la propria opera non venga meno tra una prestazione e l’altra in relazione agli obblighi degli orari, legati alla specifica prestazione e alle esigenze di produzione, e di circostanza derivanti dal mandato conferitogli;

- responsabilità di un servizio allorquando al predetto collaboratore fisso sia affidato l’impegno di redigere normalmente e con carattere di continuità articoli su specifici argomenti o compilare rubriche”.

Si tratta degli elementi di fatto che, ad avviso della giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis Cass. 23.12.2018, n. 29182; Cass. 20.5.2014, n. 11065), integrano la subordinazione cd. “attenuata” o “affievolita” nel rapporto di lavoro giornalistico. Infatti, stante il carattere creativo dell’attività giornalistica, la subordinazione non è esclusa dalla mancanza di un orario di lavoro predeterminato e dalla disponibilità di una certa libertà di movimento. In proposito F. BUFFA, La subordinazione del giornalista, in Giust. Civ. 9, 2010, pag. 2002; G.Centamore, Sempre sulla prestazione di fatto del giornalista, in Riv. it. dir.lav., 3, 2019, pag. 369..

[7]In questo senso anche P.Chieco, op.cit., pag. 214

[8] Nel testo prima della novella ex art. 5 L. 198/2016 (“Nessuno può assumere il titolo né esercitare e non è iscritto nell'albo professionale”). Secondo Cass. 3177/2019 cit. la novella, avendo un carattere non innovativo, ma “meramente esplicativo”, non apporta mutamenti sul piano ermeneutico.

[9] Ex multis Cass. 12.12.2018, n. 32153; Cass. 13.11.2018, n. 29182; Cass.ord. 14262/2019 cit. richiama anche l’orientamento giurisprudenziale che ravvisa tra le due figure professionali un rapporto di sovraordinazione dell'una rispetto all'altra, con la conseguenza che "ben può il giudice di merito, al quale sia stato richiesto in giudizio il riconoscimento della qualifica di redattore, prendere in esame le concrete modalità di esercizio dell'attività lavorativa, così come dedotte dallo stesso lavoratore e risultanti acquisite al giudizio in esito a regolare contraddittorio, al fine del riconoscimento della qualifica di collaboratore fisso, senza che sia perciò configurabile una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, giacché, in tal caso, il giudice, sulla base degli stessi fatti oggettivi dedotti dal lavoratore, si limita, nell'ambito del principio jura novit curia, ad individuare l'esatta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro in contestazione” (Cass. 9.6.2000, n. 7931; Cass. 17.4.1990, n. 3168;).

[10] Lo ha ribadito di recente Cass. 8.3.2019, n. 6874.

[11] In senso critico G. Beretta, Attività giornalistica e collaborazioni fisse, in Giur. it., 2020,1, 140, secondo cui “l’esclusività non è soltanto “un dato quantitativo”…ma è soprattutto un requisito formale previsto dal relativo ordinamento professionale per il legittimo esercizio della professione giornalistica”; l’assunto però si fonda sul presupposto, tutt’altro che incontroverso, che la professione giornalistica possa essere esercitata solo da coloro che sono iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti.

[12] Il quale dispone: “Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti dell'albo istituito presso l'Ordine";

[13] Ad avviso di Cass. ord. 14262/2019 anche il precedente testo dell’art. 45 L. 69/1963 ("Nessuno può assumere il titolo né esercitare la professione di giornalista, se non è iscritto nell'albo professionale") non poteva riferirsi ai soli giornalisti professionisti, dato che altrimenti “dovrebbe concludersi che nessun divieto sia posto dalla legge quanto all'esercizio dell'attività giornalistica di pubblicista senza previa iscrizione nel relativo elenco nell'albo. Peraltro, risulterebbe illogico il riferimento fatto dalla disposizione citata all'iscrizione dei giornalisti professionisti nell'albo professionale anziché allo specifico elenco professionisti dell'albo medesimo

[14] Quindi si tratta di fattispecie distinta da quella riguardante il collaboratore fisso iscritto all’albo dei pubblicisti con attività non esclusiva, il cui contratto di lavoro subordinato è pacificamente valido.

[15] Secondo le Sezioni Unite stante l’ “esigenza di imporre al giornalista con maggiore professionalità di impiegare le sue energie lavorative nell'ambito della sola attività giornalistica”.

[16] G.Giugni, op. cit., pag. 449.    

[17]La quale, secondo le Sezioni Unite, contiene disposizioni (artt. 2, 4, 11, 20, 26 e 27), il cui esame “rivela un uso generico del termine "giornalista" (spesso, semplicemente, "iscritti"), indubbiamente comprensivo tanto del giornalista professionista quanto del pubblicista, ed un uso polisemico della parola "professione" o "professionale", che viene adoperato a volte per indicare solo il "giornalista professionista" (art. 26, comma 2) a volte, in senso lato, per indicare l'attività del giornalista, sia esso giornalista professionista o pubblicista, caratterizzata da continuatività e scopo di guadagno”.

[18] Da intendersi, come già statuito dalla Suprema Corte (Cass. 1.2.2016, n. 1853; Cass. 29.8.2011, n. 17723; Cass. 21,2,1992, n. 2166;), come quell’attività "di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione

[19] Un rilievo ermeneutico simile assume l’art. 38, 5.8.1981, n. 416 che consente ai giornalisti pubblicisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica di accedere allo stesso trattamento previdenziale attribuito ai giornalisti professionisti e praticanti.

[20] In questo senso il consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. 6.4.2017, n. 8982; Cass. 17.3.1997, n. 2321; Cass. 3.12.1981, n. 6395) relativamente al requisito dell’ “esercizio professionale” previsto dall’art. 2082 cod. civ. nel definire la figura dell’imprenditore. Nell’ambito delle professioni intellettuali vige il principio generale secondo cui per la legittimità del loro svolgimento non è richiesto il requisito dell’esclusività, salvo che ciò non sia espressamente richiesto dl singolo ordinamento professionale.

07/05/2020
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